Ebbene sì! Sono infine tornata! Ce l’ho fatta! Ok, lo so…
questo capitolo doveva essere pubblicato a gennaio, ma purtroppo una serie di
sfortunati eventi si sono susseguiti: pc rotto, schema generale perso, problemi
personali.
Conseguentemente, solo oggi sono riuscita a ultimare il
capitolo che vi apprestate a leggere.
E spero che questo vi piaccia più del precedente xD
A che punto siamo della storia? Beh, ormai siamo alla
fine, visto che mancano SOLO nove capitoli. E sì, mi sento già male all’idea
che presto Father sarà concluso.
Detto tutto questo…
Vi lascio alla lettura.
Il prossimo capitolo lo avrete il 17 aprile!
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Chapter XLI:
Back To London
“Nobody said it would be easy”
-The Scientist, Coldplay-
Il
tirocinio di Alistair Snape era finalmente concluso. O almeno, la parte che lo
vedeva tirocinante al fianco di uno dei più importanti medimaghi
francesi e Mangiamorte era terminata: mancava solo la
parte che lo avrebbe visto al servizio del Signore Oscuro. Tempi ancora più bui
aspettavano quel diciottenne che aveva rinunciato alla propria vita e al
proprio amore per un bene superiore. Non aveva bene idea di che ruolo avessero
lui o suo padre e più ci pensava, più non riusciva a capire cosa potesse fare
un giovane come lui. Ovvio, era per non far saltare la copertura di suo padre,
ma cosa potevano volere il Signore Oscuro e Silente da lui? Non aveva niente da
offrire, se non inesperienza e tanta paura.
“Allora,
sei prontò, Alistair?” Domandò Jerome appoggiato allo stipite della porta della
stanza del moro.
“Sì,
sto impacchettando le mie ultime cose.” Rispose glacialmente.
“Sai,
potresti essere un po’ più carino visto che siamo stati coinquilini per mesi.”
Gli fece notare.
“Mi
spiace, Jerome: sono fatto così.” Ribatté ripiegando un maglione e infilandolo
nella valigia aperta sul letto.
E,
purtroppo, era davvero così: da quando era diventato un Mangiamorte
era diventato semplicemente di ghiaccio. Nulla gli suscitava emozioni, se non il
suo lavoro. Non s’era nemmeno affezionato a quel mago con cui aveva condiviso
la casa negli ultimi mesi, era come se una fitta nebbia avesse avvolto il suo
cuore e impedisse a chiunque anche solo di avvicinarsi ad esso. Solo una
persona sarebbe stata in grado di allontanare quella nebbia: peccato fosse la
stessa a cui non poteva avvicinarsi e che se lo avesse visto, molto
probabilmente, lo avrebbe affatturato senza pensarci due volte. Ma come poteva
dar torto a Hermione? L’aveva semplicemente distrutta.
“Come
mai sei così freddo, Alistair?” Domandò con il suo forte accento francese.
“Perché
devo.” Rispose dopo qualche istante di silenzio. “Nessuno è fondamentale.”
“Mi
spiace sentirti dire tutto questo.” Mormorò Jerome dopo aver portato alle
labbra una cucchiaiata di cereali, spostandosi appena dallo stipite e tenendo
saldamente la ciotola piena con la mano.
“E’
la semplice e pura verità.”
“Vuoi
dirmi che in Inghilterra non hai nessun amico? Nessuna ragazza che attende
impaziente il tuo ritorno?”
“Ho
degli amici, sì.” Rispose evasivamente.
“E
la ragazza?”
“Jerome,
per Salazar!” Sbottò Alistair. “Mi sono scopato l’intero corpo infermieristico
dell’ospedale dove ho fatto tirocinio: secondo te ho la ragazza?”
Il
francese lo guardò qualche istante, poi sorrise quasi dolcemente.
“Mon amie…” Iniziò. “… l’ho visto il tuo sguardo, quando sei
solo. Tu pensi a una ragazza che ti ha rubato e conquistato il cuore. Una
ragazza che ami. E non significano niente tutte quelle che ti sei portato a
letto: tu vorrai sempre lei. E’ la tattica del chiodo schiaccia chiodo, ma non
funziona, no? La cerchi dappertutto: lo vedo nei tuoi occhi. Lo vedo quando
qualcuno dice una battuta e ti volti, come a cercare una risata che sai che non
arriverà.”
Alistair
s’immobilizzò a quelle parole: come diavolo l’aveva capito? Non aveva mai
parlato di Hermione, né della propria storia, né della propria vita.
“E’
facile da capire, mon amie. E io le persone le capisco.”
Disse rispondendo alla sua tacita domanda. “E ora ti lascio finire le valigie.
Vieni a salutarmi, quando avrai finito.”
Così
dicendo, Jerome si allontanò e lasciò solo Alistair che annuì semplicemente.
Il
ragazzo fece un respiro profondo e si sedette sul letto. Si prese il capo tra
le mani e cercò di mantenere la calma sebbene il suo corpo tremasse.
Maledizione
a Jerome e a quelle sue parole.
Dall’altra
parte della Manica, esattamente a Spinner’s End,
Severus Snape era seduto su una poltrona nel salotto di casa sua a leggere le
ultime notizie sulla Gazzetta del Profeta: come sempre, niente di buono.
Attacchi a Babbani, nuove evasioni da Azkaban, nuove aggressioni a maghi. E in
tutto questo lui non poteva far nulla, se non stare agli ordini del Signore
Oscuro. O almeno, questo era ciò che egli credeva.
Sentì
bussare alla porta, così ripiegò ordinatamente il giornale e lo ripose sul
tavolino accanto alla poltrona. Si alzò e sistemò il proprio abito nero, per
poi uscire dalla sala e andare alla porta d’ingresso. Guardò attraverso lo
spioncino e vide ch’era Silente. Fece schioccare la lingua contrariato e aprì
la porta facendosi di lato mentre l’anziano mago entrava.
“Severus.”
Lo salutò il preside della Scuola di Stregoneria e Magia di Hogwarts.
“Cosa
ci fai qui?” Domandò senza troppi preamboli chiudendo immediatamente la porta. “Avrebbe
potuto esserci chiunque. Non puoi fare queste incursioni senza alcun preavviso.”
“Calma,
Severus, calma.” Lo tranquillizzò l’anziano gesticolando con la mano destra,
sempre più nera.
“Ti
fa male la mano?”
“No,
Severus. Non è ciò di cui parleremo oggi.” Rispose andando in sala e
accomodandosi sul divanetto, appoggiando la mano al bracciolo e osservandola
incuriosito.
“Che
cosa vuoi?” Chiese ancora l’uomo.
“Pecchi
sempre di gentilezza, Severus. Mi offriresti un the?”
L’uomo
lo guardò qualche istante basito per quella richiesta, poi si allontanò e andò
in cucina dove preparò del the. Fece il suo ritorno e lo posò sul tavolino che
separava il divanetto e la poltrona.
“Prego,
Silente.” Disse indicandogli la tazza e accomodandosi sulla poltrona.
“Grazie.”
Silente
annuì, poi si allungò e prese la tazza di the nero senza aggiungerci zucchero.
La portò alle labbra e bevve un sorso.
I
due rimasero in silenzio a lungo: si sarebbe potuto benissimo sentire il suono
di una mosca che volava.
“E’
oggi che torna Alistair, giusto?” Domandò con noncuranza.
“Esattamente.”
Rispose gelidamente.
“Bene.”
Disse annuendo Silente bevendo poi un altro sorso di the. “Perfetto, oserei
dire.”
“Che
cosa vuoi?”
“Lo
sai, Severus: il momento si sta avvicinando.”
“E
in tutto questo cosa c’entra mio figlio?” Domandò guardandolo negli occhi.
“Se
conosco bene Tom Riddle e –fidati- lo conosco bene, incaricherà anche Alistair
di venire a Hogwarts il giorno in cui succederà.”
“No.
Non succederà. Mi dispiace, Silente, ma per una volta ti stai sbagliando.”
“Vorrei
davvero che fosse…”
L’anziano
si interruppe quando si sentì il rumore di qualcuno che si smaterializzava in
corridoio. Pochi istanti dopo, qualcuno corse in bagno e vomitò.
“Credo
che tuo figlio sia arrivato, Severus.”
Fulminandolo
con lo sguardo, il pozionista si alzò e si diresse
rapidamente in bagno dove trovò il figlio piegato sul gabinetto. Scosse appena
il capo e non poté nascondere un sorriso.
“Non…
non mi ci… abituerò… mai.” Mormorò Alistair una volta che si fu pulito la bocca
ed ebbe tirato lo sciacquone.
“E’
normale, Alistair.” Disse Severus porgendogli l’asciugamano.
Il
giovane Snape si sciacquò il viso, prese l’asciugamano e si asciugò, per poi
guardare il padre negli occhi.
In
quel momento Severus sentì una stretta al cuore: quegli occhi non erano più
quelli del suo ragazzo spensierato, bensì gli occhi di chi stava soffrendo, di
chi ormai aveva rinunciato alla felicità e alla vita. < Maledetto. Maledetto
Signore Oscuro, maledetto Silente. Maledetto me. > pensò.
“Sei
cresciuto.” Disse Severus. “E ti sei tagliato i capelli.”
“Sono
già ricresciuti.”
L’uomo
annuì, per poi dargli le spalle.
“Vieni
in salotto. C’è una persona che ti attende.”
Forse
avrebbe dovuto essere più dolce, forse avrebbe dovuto salutare suo figlio in
modo più caloroso ma non ne era capace: questo era Severus Snape.
“Sono
felice anche io di rivederti, papà.” Sbottò acidamente Alistair, per poi
scuotere il capo. Conosceva suo padre, ma un abbraccio non gli sarebbe
dispiaciuto.
Severus
si fermò, poi si voltò.
“Ragazzo…”
Iniziò per poi interrompersi un attimo. Lo guardò nuovamente negli occhi,
quegli occhi così uguali a quelli della madre, per poi fare un respiro
profondo. “Mi sei mancato.” Riuscì soltanto a dire. “Ora andiamo.”
Avrebbe
voluto abbracciarlo, ma non ne era davvero in grado.
Alistair
accennò un sorriso, poi annuì. Passò la mano tra i capelli e seguì il padre.
Quando giunse in salotto, si immobilizzò e raggelò nel vedere Silente: che cosa
voleva ancora quell’uomo da lui? Non gli era bastato privarlo della propria
vita?
“Ben
tornato, Alistair.” Lo accolse l’anziano sorridendogli ampiamente.
“Signore.”
Lo salutò gelidamente.
“Siediti,
prego.”
Annuì
e andò a sedersi sulla poltrona accanto a quella del padre mentre Severus s’era
avvicinato alla finestra.
“Com’è
stato il tuo soggiorno in Francia?”
“Signore,
con tutto il rispetto, non credo che lei sia venuto qua per chiedermi del mio
soggiorno in Francia, perciò, gentilmente, passi subito al dunque.” Rispose
serio Alistair.
Severus
non poté trattenere un sorriso: il suo ragazzo era rimasto uguale, almeno in
quello. La sua era un’intelligenza straordinaria e infatti più volte s’era
chiesto come mai non fosse finito in Corvonero.
“Hai
ragione, Alistair.” Concordò l’anziano mago. “Sono qui per parlarti di una cosa
molto importante.”
“Allora
inizi: non attendo altro.” Commentò sarcasticamente.
“Durante
la tua assenza sono successe svariate cose…” Iniziò Silente.
“Vuole
dunque iniziare dal perché la sua mano è nera? Deduco stia andando in cancrena.”
Lo interruppe.
“Sono
stato sciocco e questa…” Gli mostrò la mano. “… ne è la conseguenza.” Continuò
annuendo. “Sono affetto da una maledizione che mi porterà alla morte entro
breve.”
Alistair
sbatté le palpebre.
“Sta
scherzando, signore?” Domandò incredulo: ai suoi occhi, Silente era immortale
sebbene sapesse che anch’egli era semplicemente un uomo.
“No,
Alistair: non sto scherzando. Questa maledizione mi porterà alla morte entro
pochi mesi, ma non sarà questa ad uccidermi.” Disse tranquillamente riprendendo
a sorseggiare il suo the.
“E
cosa lo farà, signore?”
“Tuo
padre.” Rispose.
Il
giovane lo guardò qualche istante, poi spostò lo sguardo sul padre, infine
tornò sull’anziano.
“Lei
mi sta prendendo in giro.”
“No,
Alistair. Tuo padre dovrà uccidermi per impedire che un’altra giovane anima –quella
di Draco Malfoy- venga corrotta.”
“Cosa c’entra
Draco in tutto questo?” Chiese confuso.
“Voldemort
ha incaricato il giovane Draco di porre fine alla mia vita per punire Lucius e
sappiamo tutti che non sarà mai in grado di compiere la missione. La sua
punizione sarebbe la morte e non voglio che un giovane ragazzo perisca per
causa mia. Conseguentemente, tuo padre dovrà uccidermi.”
“Ma…
perché?”
“Perché
Silente è ciò che si frappone tra lui e il potere.” Intervenne Severus. “Una
volta che lui sarà morto, nulla gl’impedirà di impossessarsi del Ministero
della Magia e fare ciò che vuole.”
“Esattamente.”
Confermò Silente.
“Quindi…
quindi mio padre… mio padre la deve uccidere?” Domandò corrugando la fronte
Alistair.
“Esattamente.”
Ripeté tranquillamente l’anziano, come se stessero parlando di una bella gita
in riva a un lago. “E conoscendo bene Voldemort, vorrà includere sicuramente
anche te in questo piano.”
“M-me?
E… e che dovrei fare?”
“Questo
ancora non lo so.” Disse Silente posando la tazza ormai vuota sul tavolino. “Ma
credo che presto lo scopriremo.”