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Autore: Nuel    20/03/2014    2 recensioni
Appena giunta nella città santa, Elmara Kestal viene coinvolta negli intrighi della sua nuova Casata di appartenenza. Personaggi potenti e misteriosi si muovono attorno a lei che, come un abile ragno, dovrà riuscire a sopravvivere tra le insidie del palazzo. Forse, come dice sempre sua madre, il Buio è vivo, e ha fame...
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Guallidurth'
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Cap VII

Elmara Kestal corse a perdifiato attraverso i corridoi del casato non appena venne avvertita di quanto stava capitando. Sentiva uno strano nodo in gola, come se ci fosse qualcosa di totalmente sbagliato in quella situazione: il Qu’el Saruk, il Maestro d’Armi del casato si era intromesso in una lezione, aveva condotto con sé Oushas ed aveva organizzato uno scontro cui stavano assistendo tutti i giovani Mizz’rinturl.
Oushas contro Gulvelven.
Elmara Kestal doveva fare presto. Il cuore le stava esplodendo in gola.
Non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare, forse perché era consapevole di non poter intervenire in nessun modo, ma doveva, almeno, essere lì, qualunque cosa fosse accaduta.
    Al termine della corsa, spalancò la porta della sala d’armi col fiato corto e fece il proprio ingresso nella grande sala a due piani. Il silenzio regnava incontrastato mentre i due sfidanti si fronteggiavano immobili. La tensione era densa e tangibile.
Senza rendersene conto, Elmara Kestal si sollevò in punta di piedi, camminando rasente il muro: non poteva fare niente. Niente. Niente!
Sentiva il cuore batterle forte in gola mentre il respiro accelerava e diventava meno profondo.
« Madre Tenebrosa... » invocò l’Unica Dea, non avendo altro appiglio.
    Sui due lati corti della sala d’armi si trovavano il Qu’el Saruk e lo Jabbuk Tebryn, chiaramente teso. Elmara Kestal avrebbe voluto raggiungerlo, ma si fermò rendendosi conto delle implicazioni di un simile comportamento.
Perché il Maestro d’Armi aveva deciso di far sfidare quei due? Perché proprio Oushas?
Poteva, ovviamente, voler testare il figlio adottivo del casato, ma poteva anche aver scoperto che Gulvelven e lei avevano indagato per conto dello jabbuk.
Improvvisamente si chiese se tutto quello che avevano fatto non fosse stata una specie di trappola: se lo jabbuk avesse soltanto voluto incastrarsi? Se avesse anche lui ritenuto che fosse lei quella da eliminare ed avesse sacrificato Gulvelven, un maschio e per di più ancora recluta, per giungere al suo scopo? 
Forse avevano fatto male i loro conti, dopo tutto e si erano alleati con la fazione sbagliata.
    Se così fosse stato, Elmara Kestal avrebbe dovuto trovare rapidamente una scusa, qualcuno da immolare alla propria sopravvivenza. Osservò con attenzione i due sfidanti: la lama di Oushas era opaca. « Veleno! » mormorò appena, conoscendo i mezzi del fratello. Gli sarebbe bastato sfiorare la pelle di Gulvelven per vincere quel duello.
    L’altro, dal canto suo, aveva sfoderato le due spade ed era pronto ad attaccare.
    Poi le grida esplosero: i figli della casata, radunati sulla balaustra, facevano il tifo per Gulvelven, lo incitavano e urlavano improperi contro il nika.
    Gulvelven era il migliore degli allievi ed era uno di loro, i suoi movimenti erano così veloci che Elmara Kestal non riusciva nemmeno a vedere le sue lame mentre portava un altro attacco contro Oushas, ma suo fratello era altrettanto abile e svelto ed evitava i suoi colpi, si spostavano per la stanza, girandogli attorno, avanzando e retrocedendo, quasi seguisse i passi di una danza e la jalil non riusciva ad unirsi al coro che spronava Gulvelven a battere l’avversario, quanto detestava quello che insultava il fratello.
Intanto le lame sibilavano sinistre, fendendo l’aria. Per un momento Oushas sembrò incespicare, ma mantenne l’equilibrio, si abbassò e per poco Gulvelven non riuscì a colpirlo. 
Sulla balaustra scoppiò un’ovazione.
    Oushas si protese in avanti, cercando di forzare la guardia di Gulvelven, ma questi riuscì a respingerlo, avanzando a propria volta ed Oushas riuscì di nuovo ad evitare il colpo.
Sembrava che la loro abilità si equivalesse.
Poi Oushas riuscì a sfiorare con la sua lama affilata il braccio di Gulvelven, appena sopra il gomito.
    Il Mizz’rinturl impiegò un paio di istanti a sentire le forze venirgli meno e cadde in ginocchio, il respiro pesante, la vista che si andava velando.
Sul braccio aveva un segno rosso non più largo di un capello, ma tanto era bastato per far penetrare il veleno e guardò il suo avversario con occhi carichi d’odio. Dopo una manciata di secondi era a terra, il naso violentemente sbattuto contro il pavimento ed Oushas era su di lui, la spada sollevata, pronto a dargli il colpo il colpo di grazia, in attesa dell’ordine del Maestro d’Armi.
    Nella sala era sceso il gelo: gli allievi non credevano ai loro occhi.
    Elmara Kestal non sapeva se il fratello fosse consapevole della sua presenza lì, in ogni caso non sollevò lo sguardo verso di lei.
    Lo jabbuk Tebryn era rigido al suo posto, una maschera di cera nera sul viso dai tratti marcati per non palesare la tensione che doveva provare. Non avrebbe fatto nulla per evitare la morte di Gulvelven se questa fosse stata la volontà del suo superiore.
    Ringraziando Lloth, il  Qu’el Saruk si avvicinò ad Oushas e, mettendogli una mano sulla spalla, gli ordinò di non ucciderlo. Il figlio adottivo di Mizz’rinturl, cambiò posizione, raddrizzandosi e pulendo rapidamente la spada col mantello, prima di infilarla nel fodero, mettendosi subito sull’attenti.
    « Il tuo allievo è abile, Tebryn, ma non è scaltro come crede! » il Maestro d’Armi ghignò minaccioso. « Fossi in te, starei più attento a dove mette i piedi ». Fece cenno ad Oushas di seguirlo ed, insieme, lasciarono la sala d’addestramento.
    Subito, lo jabbuk raggiunse Gulvelven, ancora a terra, prelevando dalla propria cinta una fiala per fargliene ingurgitare il contenuto.
    Elmara Kestal fece appena in tempo a raggiungerlo per sentirgli sibilare tra i denti: « Siete due idioti! Vi siete fatti scoprire! » ed essere scoperti era più grave di essere morti. 
    Gli altri cadetti, ormai, si stavano riversando nella sala, facendo un cerchio intorno a loro. 
    « Jalil! Porta questo imbecille nel suo alloggio e assicurati che non renda l’anima all’Unica! »
    Elmara Kestal, mortificata dal richiamo, si sbrigò ad obbedire, mentre il maestro impartiva ordini agli altri: « Tornate ad allenarvi! Avete visto cosa succede agli stupidi che non prevedono ogni eventualità. Non vi servirà a nulla essere abili se il vostro avversario è abile e furbo! »
    Elmara Kestal si piegò su Gulvelven, cercando di capire quale fosse la sua condizione. 
« Puoi levitare? » gli sussurrò, sperando che il maschio fosse in grado di annullare il proprio peso, così che lei non dovesse faticare più di tanto per trasportarlo, ma Gulvelven fece un cenno di diniego, ancora troppo indolenzito.
La giovane sbuffò e lo osservò meglio. « Credo che dovrai aiutarti da solo, jaluk: hai l’aria di essere pesante, oltre ad essere appena stato sconfitto! »
    Il maschio la fulminò con lo sguardo, cercando di mettersi in piedi da solo. Aiutare era un concetto estraneo ad entrambi e l’essere coinvolti assieme in quella vicenda era il massimo dell’aiuto che fossero in grado di darsi.
    Lentamente lasciarono la sala d’armi e, appena Gulvelven fu certo che nessuno li seguisse, le fece cenno di prendere un corridoio laterale. Non era quello che conduceva agli alloggi dei cadetti, ma Elmara Kestal lo seguì senza fare domande.
Presto raggiunsero un piccolo deposito quasi vuoto, in cui Gulvelven si infilò con la grazia di un’ombra, prima di appoggiarsi alla parete, tendendo gli orecchi, cercando di mascherare la fatica.
    « Cosa facciamo qui? » chiese la giovane, non capendo ed iniziando a temere una trappola.
    « Aspetta e capirai ».
    L’attesa non fu molto lunga: lo jabbuk Tebrin spalancò rapidamente la porta, entrando nello stanzino e guardò i due con fare arrabbiato: « Come ha fatto a scoprirvi?! » sibilò immediatamente.
    « Forse qualcuno ci ha visti mentre affrontavamo quei due nei bassifondi » ipotizzò torvo Gulvelven.
    Il maestro parve ringhiare. « È una fortuna che vi sottovaluti, altrimenti, a quest’ora saremmo tutti morti! » guardò Elmara Kestal, forse cercando di capire se la jalil aveva compreso l’intrinseca minaccia nello scegliere suo fratello per sfidare Gulvelven, ma poi aggiunse: « Oushas combatte bene, mi aspetto qualcosa di meglio da voi, jalil ».
    « Sì, malla jabbuk! » rispose serrando le labbra con determinazione.
    « In quanto a te, mi auguro che questa lezione ti abbia insegnato qualcosa! E ora sparite e non mettetevi nei guai. Vi farò chiamare io! »
    « Sì, malla jabbuk. Aluvè. » Gulvelven era scuro in volto: la sconfitta, causata dal veleno di cui era cosparsa la spada, non gli andava giù e, prima o poi, avrebbe trovato il modo di vendicarsi, ma per ora, si affrettò ad eseguire gli ordini, facendo segno ad Elmara Kestal di non fiatare, mentre si allontanavano nel corridoio, senza farsi vedere da nessuno.
 
___________________________________
 
Un grazie a Elex__ per aver commentato il capitolo precedente e, naturalmente, anche a chi legge soltanto.
Siamo quasi alla fine, non disperate
! ^^
     Nuel
 
   
 
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