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Autore: ashtonsdimples    21/03/2014    1 recensioni
"Sentì il cuore pompare a ritmo della musica appartenente alla sua playlist preferita e, per quelle poche volte che succedeva, si sentì più vivo che morto."
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vic Fuentes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.
    

     Il vento gli graffiava il viso, ghiacciandogli la pelle e facendogli avere brividi di freddo che velocemente gli solleticavano la schiena. I passi si fecero sempre più incerti, come se al posto delle ginocchia avesse dei macigni che non gli permettevano di alzare le caviglie. Fu come se ad ogni passo commettesse un errore, ma lui non doveva pensarlo, non poteva. Il freddo si faceva sentire nella pelle, nelle ossa e soprattutto nell’anima, che lo accolse come un vecchio amico. Prese fiato, poggiando le mani sulle ginocchia, espirando con la bocca e cercando di catturare più aria possibile. Controllò l’orario, assicurandosi di essere puntuale, per poi asciugarsi la fronte e continuare a salire, sempre più lentamente. Si girò, osservando le nove rampe di scale appena corse con la più nascosta delle sue forze. Sospirò, continuando a salire fino all’ultimo dei piani.
   Aprì la porta e si accorse di tremare, dandosi mentalmente del bambino. Aveva o no diciotto anni? Sentì la brezza fresca corrodergli ciascun sentimento, congelandolo senza pietà. Le narici gli fecero male, talmente vento c’era, ed il suo cappellino con la visiera al contrario ormai non riusciva a tenere fermi quei dannati capelli. Sua madre diceva sempre che erano dei rovi, e che ogni momento era adatto per tagliarli. Pensò al suo sorriso e sentì il suo cuore sempre più pieno, ebbe paura che potesse scoppiare. Non era mai stato su quel palazzo, né tanto meno così tanto in alto a causa della vertigine. La paura delle altezze aveva preso sopravvento in molte sue occasioni, rovinandole. Sorrise, pensando a come fosse bello il cielo durante la notte: amava le stelle, il fatto che brillassero di luce propria e che, durante la loro morte, esplodessero. O anche perché ce n’erano diverse, ma tutte erano speciali e non c’erano distinzioni tra loro: ciascuna aveva un ruolo estremamente importante. Avrebbe voluto essere una stella, lo avrebbe voluto davvero.
    Singhiozzò una sola volta, senza far calare nessuna lacrima dai suoi occhi: ormai quelle erano terminate, ed erano per i bambini. Si tappò la bocca con la mano destra, il movimento veloce fece tentennare i braccialetti che portava al polso, facendogli ricordare il vero motivo per cui fosse andato al decimo piano del palazzo principale, e che prevedeva l’inimmaginabile fuorché le stelle. Chiuse entrambe le mani intorno al manico della balaustra, bagnata e fin troppo fredda, sentendo una sensazione fastidiosa nella bocca dello stomaco. Pensò che, molto probabilmente, gli stessero venendo dei conati, e che se avesse vomitato il tutto di sotto avrebbe potuto prendere sulla testa dei passanti. Gli venne da ridere, pensando alle loro facce.
    Si ritrovò a piangere, le mani nella faccia e la fronte poggiata sulla balaustra. La voglia di urlare incastrata in gola, le parole desiderose di uscire ed i singhiozzi ormai incontrollabili lo fecero sentire ancora peggio, facendogli male. Avrebbe voluto essere capito, sentito, coccolato. Controllò nuovamente l’orario, notando che mancavano solamente tre quarti d’ora al suo compleanno, e che a casa sua, forse, lo cercavano. Altri tre quarti d’ora e avrebbe compiuto diciannove anni. Si sedette con le spalle poggiate sulle sbarre, le mani ciondolanti e la testa rivolta verso l’alto. Le lacrime si asciugavano, e la sua solitudine cresceva. Si chiese se ci si potesse sentire in quel modo a quell’età. Si chiese se avesse ancora l’adolescenza incastrata dentro sé, causa del suo umore. Eppure non gli parve che la fascia d’età c’entrasse poi così tanto in quella situazione.
    Sentì i brividi solleticargli la pelle, rendendola d’oca, si passò le braccia l’una sull’altra continuamente, in modo da farsi caldo. Pensò che, probabilmente, uscire a febbraio con una sola felpa addosso non fosse stata una poi così grandiosa idea. Si morse il labbro, sentendo il sapore del sangue e il contatto della lingua con la carne. Gli diede fastidio, essendo tutta completamente tagliata, ma ormai era un vizio che non poteva più togliersi. Contrasse ogni muscolo del suo corpo, cercando di avere più caldo. Pensò di prendersi a sberle e portarsi a casa, smettendola di fare il coglione ed usando il cervello. Sorrise, pensando a quanto il gelo gli facesse male alla testa. Pensò di prendere le cuffie e drogarsi un po’ di tutta quella musica che il suo cellulare aveva. Volendo avrebbe potuto restarsene lì seduto tutta la notta che nessuno se ne sarebbe accorto, se non suo fratello. Sentì il cuore pompare a ritmo della musica appartenente alla sua playlist preferita e, per quelle poche volte che succedeva, si sentì più vivo che morto.
   Controllò nuovamente l’orario, notando quanto il tempo passi in fretta quando si ascoltano le proprie canzoni preferite. Pensò fosse troppo presto per mettere via le cuffie e smettere di prendere quell’aria fresca che, nonostante tutto, non era male. Si stava abituando al freddo, all’aria che gli faceva bruciare la pelle delle mani e del viso. Mancavano cinque minuti alle 00.00 e si sentì meglio. Per la prima volta si soffermò ad osservare il paesaggio visto da quel palazzo: le luci di San Diego ebbero una sfumatura particolare, quel giorno, o meglio quella notte, viste da quell’altezza. Cercò di non guardare la strada o i vari negozi in modo che il capogiro non lo uccidesse prima del tempo. Respirò aria pulita, eliminando ogni parte lurida e apparentemente felice della sua anima.
    Si arrampicò con facilità sulla balaustra, ripercorrendo con la mente tutte le volte in cui lui e Mike andavano a rubare le mele dall’albero della vicina, la signora Manson. Gli venne da piangere, immaginandolo in quel momento, e chiedendosi cosa diavolo stesse facendo. Scosse la testa, come dimenticando quei pensieri, e tornò al suo presente. Si tenne con le mani al manico, aspettando che fosse il momento adatto per mollarlo e lasciar andare via non solo i pensieri, finalmente. Quegli stessi pensieri non sarebbero più esistiti dopo quel momento. Avrebbe dimenticato tutto e tutti, fregandosene come gli altri lo facevano di lui, senza nemmeno accorgersene. Si diede dello sciocco per l’ennesima volta, dicendosi che molto probabilmente avrebbe dovuto dire quando stava male, piuttosto che aiutare gli altri mentre quelli stessi altri uccidevano lui stesso.
    Le sue labbra si alzarono verso l’alto formando un ampio ed autentico sorriso alla vista delle 23.59. Rise, pensando che quando avrebbe mollato la presa avrebbe urlato a squarciagola, abbandonando qualsiasi cosa e godendosi solo il suo momento. Sarebbe stato l’ultimo, e quella volta nessuno gliel’avrebbe rovinato: era solo, accompagnato da sé stesso. Si sentì sicuro di quello che stava per fare, era pronto da tempo, ed aspettava quel giorno da tanto, troppo. Ancora con le cuffie nelle orecchie diede un’occhiata al display del telefono, vedendo quattro zeri susseguirsi. Era il dieci febbraio, finalmente quel giorno era arrivato: aveva diciannove anni ed era libero, privo di alcuna preoccupazione.
    Si sentì felice, felice da morire. « Buon compleanno, Vic » sussurrò, mentre una lacrima scorreva nel suo viso. Allentò la presa delle mani lentamente, i piedi si sporgevano leggermente verso il vuoto, la paura di guardare verso il basso aumentava e si accorse di star cominciando a sudare. La mano destra lasciò completamente la balaustra, facendolo ridere. Era in bilico, mancava poco ormai. Non avrebbe mai più avuto rimpianti. Singhiozzò una seconda volta, la mano destra tappò immediatamente le labbra, facendolo sporgere ancora di più. Si immaginò Mike urlargli un: « Io l’ho sempre detto che non hai le palle! », ed altre lacrime fecero soccorso alla prima. Sentì uno strattone, e poi due braccia circondarlo. Una luce bianca lo accecò; si chiese se avesse perso la vista o se fosse finito in paradiso. Un dolore lancinante al petto lo trafisse, facendolo gemere dal dolore. Si aspettò di vedere chissà quale angelo di passaggio, con i boccoli d’oro e due occhi azzurri, più brillanti del sole stesso. Pensò a com’era conciato male per far parte di quel corteo di esseri perfetti in qualsiasi cosa, e pensò anche che “perfetto” era l’esatto opposto di “Victor Fentues”. Gli venne da ridere, ma il dolore gli fece fare semplicemente una smorfia. Aprì gli occhi, accorgendosi solo dopo di averli tenuti chiusi per chissà quanto tempo, vedendo poi che tutto era tornato buio, scuro, e che l’unica luce era quella delle stelle e dei lampioni.
    Vide una forma indefinita osservarlo, e si chiese se al posto del paradiso fosse finito all’inferno. Si diede nuovamente dello stupido, poiché era ovvio che un’anima morsa e sudicia come la sua dovesse ad ogni costo finire tra le fiamme ed il fuoco. Sentì voci ovattate, vide forme sempre più scure, doppie, triple, quadruple. Venne scosso energicamente, sbattè la testa nel pavimento duro ed oltre al dolore del petto dovette sopportare anche quello del capo. Per non parlare della sua anima che, molto probabilmente, ormai se n’era andata. Imprecò, cercando di mettersi in piedi e di vedere dov’era finito, sebbene non capisse un granché.
    « Ma dove cavolo credi di andare in queste condizioni? » sentì finalmente una voce, e ringraziò qualsiasi persona governasse negli inferi di non avergli privato l’udito. Rimase seduto, incapace di alzarsi. Si sfregò gli occhi, cercando di vedere in modo nitido tutto ciò che lo circondava.
La voce gli morì in gola, le labbra si muovevano ma nessun suono ne usciva fuori. Una ragazza con i capelli apparentemente verdi lo fissava, mentre respirava a pieni polmoni, come dopo una corsa. « E tu saresti un diavolo? » riuscì a dire con un filo di voce, tra l’altro roca. La vide scoppiare a ridere, sedergli davanti e continuare a guardarlo. « Che cazzo ridi? Dove sono? » si guardò intorno, e solo dopo aver perlustrato la zona sentì il cuore smettergli di battere nel petto. Provò a rimanere in silenzio per qualche secondo, scosso dai suoi accelerati sospiri, ma pensò di averlo perso per sempre. Si alzò nonostante il dolore lancinante, si mise ad urlare, inciampando su sé stesso e cadendo nuovamente sul freddo pavimento. Urlò sempre più forte, mentre piangeva, non lasciando tregua al tempo. Coprì il suo viso con le mani, sdraiato, infreddolito e dolorante. Un dolore più mentale che fisico e che non gli lasciava alcuna tregua. Sentì la sua anima fatta a brandelli senza alcuna pietà, scosso dai singhiozzi e dalla tristezza, dal senso di colpa e da quel dannato dolore che ormai era palpabile, si poteva quasi prendere tra le mani.
    Batté i pugni contro il suolo, facendosi male, inconscio se gli stesse uscendo sangue o meno. Tirò fuori la voce come desiderava fare da tempo ma come mai avrebbe voluto in quel momento. « Ti prego, basta » sussurrò la ragazza, facendolo sedere mentre ancora aveva le mani in faccia e tremava senza sosta. Pensò che fosse colpa sua, che l’avesse salvato quando invece meritava di morire schiantando il viso contro il marciapiede a dieci piani sotto i loro piedi. Lei lo abbracciò, come se volesse circondare con le sue braccine esili e fini quella tristezza incontrollabile. Victor si fermò per qualche secondo, respirando a pieni polmoni, cercando di prendere più aria possibile, ansimando ed ingoiando saliva irrefrenabilmente.
    « Perché? Dovevi lasciarmi cadere. Perché mi hai fermato? » disse, sommerso dai tremiti, incapace di parlare normalmente ed usando un filo sottile di voce. « Sono qui per il tuo stesso motivo. Pensavo che potevamo buttarci insieme, almeno non siamo soli » la ragazza mosse le labbra, ma sembrò che da esse non fosse uscito nulla se non un sospiro. Per un primo momento pensò di essersi immaginato le sue parole, per poi vedere i suoi occhi scontrarsi con i suoi, quasi facendosi male. Vedendo i suoi lineamenti pensò a quanti anni potesse avere, e dedusse dai quindici in giù. Notò la paura nei suoi occhi, lo sguardo che vagava in qualsiasi luogo, non restando su un punto per più di due secondi, tanto che incominciò a contarli. Gli venne da ridere. Il freddo gli pungeva le costole, il cuore, i polmoni. Faceva fatica a respirare, il petto gli doleva e pensò di aver perso sangue dalla testa. Prese per mano la ragazza che, a parer suo, era una ragazzina, per poi farla avvicinare alla balaustra. « Non sei troppo piccola per voler morire? » le chiese poi, cercando di non balbettare. Lei alzò le spalle, mettendosi un ciuffo ribelle di capelli dietro l’orecchio. « Potrei farti la stessa domanda » rispose lei, guardandolo ed accennando un sorriso. « Buon compleanno, comunque » continuò, mettendosi in punta di piedi ed allungando le braccia verso il suo collo. Solo dopo qualche istante capì l’azione che stava compiendo. Lo voleva davvero abbracciare? Si lasciò circondare, sentendo la stretta che due braccia così piccole potessero dare, e gli venne da sorridere.
    La ringraziò, aiutandola a scavalcare la balaustra dopo aver notato la sua poca abilità. Mentre lui, con un balzo, la raggiunse, lasciandola senza parole. La vide tremare quasi quanto lui, mentre si reggeva saldamente al manico. Guardava il fondo della strada con uno sguardo completamente diverso da quelli che le aveva visto fare fino a quel momento. Si sentì stupido, poiché lei non soffriva di vertigini mentre lui, solamente stando lì aggrappato alla balaustra, sudava freddo. « Mi ero promessa di non tirarmi indietro, questa volta » commentò lei a voce alta, continuando a guardare la strada quasi con disprezzo, come fosse un nemico. « Hai già provato a suicidarti? » le chiese lui, cercando i suoi occhi. Lei gli sorrise, annuendo. « Tre volte, e in modi diversi. La prima attraverso delle pillole, la seconda drogandomi e la terza volta mi sono buttata fuori dall’auto di mia madre » disse quelle parole con naturalezza, come se comportarsi in quel modo fosse la cosa più naturale di questo mondo.
    I brividi di Vic aumentarono, sentì le gambe quasi cedergli, le mani erano avvinghiate al manico e sudavano. Pensò che una ragazzina come quella al suo fianco, impaurita e non desiderosa di morire realmente quale era non dovesse avere quella fine. Avrebbe potuto rimanere e combattere per le sue priorità, ed eccola lì a salvare un povero stronzo qualunque da una morte dolorosa e, sebbene non volesse ammetterlo, non voluta a pieno. « Questa volta devo riuscirci » singhiozzò lei, asciugandosi una lacrima con la mano sinistra, e rimanendo in bilico, tenuta alla balaustra solamente dalla mano destra. Avrebbe potuto saltare in qualsiasi momento e sarebbe morta all’istante. La prese per mano, girandosi  e dando la schiena alla strada, al mondo che probabilmente l’avrebbe visto morto.  « Ti butti al contrario? » gli chiese lei, guardandolo incuriosita. Lui le sorrise, i tremiti incessanti, le dita delle mani intrecciate, fredde e tremanti. Si aggrappò con le gambe alla balaustra, facendo attenzione a non cadere, per poi prenderla per il bacino e metterla al sicuro nel pavimento.
     Lei non si mosse nemmeno un secondo, chiedendogli solamente dopo che anche lui fosse al sicuro il motivo di quel suo gesto. « Credo che tu abbia fallito anche questa volta » disse lui, cercando di smettere di agitarsi, inviando un messaggio a Mike scrivendogli quanto facesse freddo e che a momenti sarebbe tornato a casa.
« N-no, io devo farlo. Lasciami andare, io devo farlo » la voce della ragazzina s’incrinò, allontanandosi da lui, che la prese per le braccia, facendola scoppiare a piangere sul suo petto. « Non siamo soli, no? » le sussurrò all’orecchio, abbracciandola.

 
 

Angolo autrice:
eccomi qui, con la mia prima fan fiction sui Pierce the veil. E' piuttosto strano scrivere in questa sezione a dir la verità, ma non credo che questo sia così rilevante. Non ho mai scritto una cosa simile, questo prologo è stata come una rivoluzione del mio modo di scrivere.
Non so se esserne compiaciuta o meno, ma comunque ho messo tanto di me in questa fan fiction e spero che possa essere di vostro gradimento. Accetto ovviamente critiche poichè mi aiuteranno a migliorare.
Probabilmente molti non pensano a Vic come questo tipo di persona, ma non penso che far vedere un lato diverso di lui che magari nemmeno gli appartiene non sia così sbagliato. Sto farneticando.
Bene, prima che possa dire altre cazzate mi dileguo, spero che questo angolo autrice non vi faccia pensare quanto possa essere stupida. Perdonatemi se ci sono degli errori, non vi ho fatto caso.
Vi sarei grata se mi lasciaste una recensione, in modo da sapere cosa ne pensate.
Un bacio,

ashtonsdimples.
  
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