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Autore: Love01    23/03/2014    0 recensioni
L'uomo,esce dalla mia cella.
Mi stendo immediatamente nel letto.
Stanca,delusa,affamata,assetata.
Decido di placare tutto ciò con del sonno,se solo me lo permettessero.
Un'altra tortura.Non ci permettono di dormire,qui.
Ad una certa ora,incominciano a fracassarci i timpani con suoni acuti,acutissimi.Ultrasuoni,forse.
Sento le mie orecchie pulsare,il sangue.Prima o poi sgorgherà via dalle mie orecchie.
Cerco di attutire il rumore con il cuscino,e ci riesco.
Lentamente distendo i muscoli rilassandomi,sono stanca.Tanto stanca.
Ho freddo.
Solo poche ore fa sono uscita dalla stanza del freddo.
Un'altra tortura che non funziona con me,a quanto pare.
Sempre lentamente incomincio a prendere sonno.
D'un tratto sento la porta della mia cella spalancarsi.
Non mi alzo.Due uomini in uniforme portano via il mio cuscino e richiudono la porta della mia cella.
Resto seduta sul letto cercando di assimilare l'accaduto.
Pochi secondi dopo,i rumori aumentano,si intensificano.
Tappo le orecchie con le mani,ma non serve a niente.
Le lacrime prendono il sopravvento ed i singhiozzi riecheggiano nella stanza buia e sudicia.
«Qualcuno mi aiuti.Per favore.»ripeto supplicando a me stessa.
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Libro O2,Parte 4.


«Guardami negli occhi e ripetilo.»
Mi scaraventa sotto di lui.
Le sue gambe si trovano ai lati del mio corpo,si regge sui bracci che posa ai lati della mia testa.
I capelli con sfumature ramate ricadono un poco disordinatamente sulla sua fronte,mentre il suo viso si trova ad una minima distanza dal mio.
«Oh,cazzo.Come ci sono arrivata qui?»penso tra me e me.
Decido di guardarlo negli occhi.
«Sto.Bene.»scandì per bene le parole.
Stavo mentendo,e ciò era certo.
Avevo imparato a mentire,me lo avevano insegnato.
Solo che,con lui,mi sentì in colpa per aver mentito.
E ciò non mi è mai capitato.Lo lasciai stranamente perplesso.
Non sapeva se credermi o no.
Decisi di prendere in mano la situazione.
Posai i palmi sul suo petto e,con quella poco forza che avevo in quel momento,e lo rivoltai contro.
Ora lui era sotto di me.Gli occhi sgranati.
Lentamente mi accostai su un suo orecchio.
«Nessuna donna ti ha mai trattato così,giusto?»lo stuzzicai.
Morsi un lobo dell'orecchio.Non rispose.
«Non rispondi?Per caso il gatto di ha tagliato la lingua?»ironizzo per poi iniziare a lasciare una scia di piccoli ed umidi baci sul suo collo.
Con la coda dell'occhio notai le sue dita fremere dalla voglia di toccarmi,ma non si azzardava a farlo.
«Siamo sicuri sia William Johnson questo?Non assomiglia affatto al padre.»penso tra me e me.
«Come sta tuo padre?»azzardai poi stendendomi sopra di lui.
La mia testa poggiava sul suo petto.Non staccavo gli occhi dai suoi.
Lui aprì la bocca,incerto.Poi richiuse.Riaprì nuovamente.
«Conosci mio padre?»mi chiede perplesso.
Si alza,ed io con lui.
«Sì,certo.»rispondo poi alzandomi dal letto.
Mi passo le dita tra i capelli,cercando di sistemarli il meglio possibile.
Solo ora noto di indossare solo una camicia da uomo.Ma non è di William,no.Lui la stava indossando ora.Era di un'altra persona.
Il suo ricordo è ancora impresso nel tessuto.E ciò mi crea un gran senso di malinconia,tristezza,nostalgia.
«E come lo conosci?»mi chiede davvero incuriosito.
Si siete sul bordo del letto,dalla mia parte.
Alza di poco la camicia,quel che basta per intravedere le mutandine e posa le mani sui miei fianchi attirandomi a lui.
Mi ritrovo tra le sue gambe,eretta in confronto a lui,che mi guarda dal basso verso l'alto.Io il contrario.
«Chiediglielo.Credo non si sia ancora dimenticato di me.»rispondo con un tocco di malizia,lasciandogli credere male probabilmente.«Non ho fatto niente di sconcio con lui,non ti preoccupare.»puntualizzo poi sorridendo.
«Potresti venire con me,domani.»
«Dove?»
«A casa dei miei genitori.»risponde sospirando.
«E perché?»
«Compleanno di mia madre.»
«Ed io cosa centro?»
«Beh,hai detto di conoscere mio padre.Voglio vedere la sua reazione quando ti rivede.E poi,mi piace la tua compagnia.»sussurra quasi l'ultima parte.Imbarazzato?
«In un letto.»puntualizzo,un poco acida.
Lui mi fulmina con lo sguardo.
«Se fosse solo in un letto,ora non ti starei chiedendo di venire con me,domani.»puntualizza ora lui acido.
Su questo non ha torto.
«Va bene,verrò.»rispondo allora sorridendo.«Ma solo per rivedere tuo padre.»puntualizzo poi.
Lui sorride,un poco amareggiato.
«Sei così diversa,Helena.»borbotta tra sé e sé.
«Non sei il primo uomo che mi dice una cosa del genere,oggi.»
«C'è qualcun altro oltre a me,quindi?»chiede un poco alterato.
«Sei un gran coglione,Johnson.»penso tra me e me.
«Se per qualcun altro intendi mio fratello,allora si.C'è qualcun altro oltre a te.»
«Vengo a prenderti domani verso le sei.»
«Elegante o casual?»chiedo mentre mi allontano da lui.
Si passa una mano tra i capelli,quasi frustrato,e si alza.
«Se lasciassi stare camicie e jeans,sarebbe meglio.»ironizza lui,ma non è divertente.
«Non puoi chiedere di cambiare.Solo il tempo può cambiarmi.»e non in meglio.
«Non ti sto chiedendo di cambiare,ti sto chiedendo di sperimentare.»quella frase mi innervosì.
Sperimentare?Ho sperimentato molte cose nella mia vita e,certamente,non sono in vena di nuove avventure.
«Vieni a prendermi domani al lavoro.Ora vattene.»rispondo secca,ma concisa.
Lascio la stanza con lui che mi segue un paio di minuti dopo.Si era appena infilato le scarpe e reggeva su un braccio la giacca.
«Non hai voglia di cenare con me?»
«No,ho voglia di tornare a dormire.»rispondo sempre acida.
«Come desideri,principessa.»azzarda lui.
Spalanco la porta di casa e gli faccio cenno di uscire.
«Notte,principessa.Fai sogni d'oro.»e mi bacia sulla fronte.
Esce dalla casa e lo vedo prendere l'ascensore,per poi scomparire.
«Oh,bene.»pensai.
Pillole,pillole.
Ho bisogno delle mie pillole.
Velocemente mi dirigo in bagno ed apro il cassetto dei medicinali.
Frugo,ma niente.
«Dove cazzo sono le mie pillole?»azzardo,la mia voce riecheggia nel bagno.
Rivolto l'intero appartamento,prima di arrivare alla soluzione.
«William.»ed ora era davvero finito nella mia lista nera.
Non doveva azzardarsi.

Sono quasi le cinque del pomeriggio.
Il mio stomaco brontola,ma non ci faccio caso.
Ieri non ho cenato,non ho dormito.
Ho solo pensato a lui,a come si fosse azzardato a prendere qualcosa di cui ho bisogno per sopravvivere.
Oggi,al lavoro,ho cercato di non parlare con nessuno.
Stare alla larga da tutti.
Senza quelle pillole,prima divengo scontrosa,poi mi deprimo.
Due ogni sera.
Sempre.Da quando sono stata riportata nella civiltà mi hanno prescritto questi antidepressivi.
Fanno un buon lavoro,se ne prendi più della dose giornaliera.
Non c'è nessuno nel bancone.Decido di sedermici e riposarmi.
Non ho indossato i jeans.
Fa parte della mia vendetta nei suoi confronti.
Vuole che sperimenti,sperimenterò.Ma ne pagherà amaramente le conseguenze.
«Helena.»annuncia gioiosa come sempre Cecilia.Mi fa rinvenire di malo modo,non doveva proprio farlo.
«Cecilia.»rispondo secca.
«Com'è andata ieri?»mi chiede curiosa.
Ma so che ha letto i giornali.
Stamattina,persino in telegiornale,si è sparsa la voce del mio arresto.Fortunatamente,non sanno ancora per cosa.
Però mi ritrovo sulla prima pagina di quasi tutti i giornali.
«Hai letto i giornali scommetto.Quindi perché farmi questa domanda?»rispondo acida.
«Scusami,non volevo.»si pentì lei.
Ero io quella che doveva pentirsi però.
«No,scusami tu Cecilia.Non sto bene,oggi.Non è colpa tua,ho solo bisogno di stare sola.E' tutto il giorno che non parlo con nessuno per rispondergli male,mi spiace davvero.Non è colpa tua.»continuo a ripetere.
Quasi sull'orlo della lacrime.
«Ma tu stai piangendo?»
«No,no.Mi è entrata della polvere negli occhi.»rispondo strofinandomi gli occhi arrossati.
«Sei sicura di star bene,oggi?»mi chiede davvero preoccupata.
Annuisco poggiandomi poi sul bancone,esausta.
Avvolgo la testa tra le braccia per un tempo indeterminato durante il quale rifletto su che cosa fare.
Sto impazzendo.
Senza quelle pillole non vado avanti e non posso andare a comprarne altre.Sennò verrei segnalata e dovrei fare un altro controllo.Non sono in vena di essere visitata da un gruppo di medici,non voglio rivedano le cicatrici.
Ma dopotutto,le cicatrici sulla schiena,oggi,le sfrutterò a mio favore.
Rialzo la testa scontrandomi con gli occhi ancora preoccupati di Cecilia.
«Sto bene,davvero.Sono solo stanca.»le rispondo.
«Allora torna a casa.Esci.
Tom oggi è uscito un'ora prima per un futile motivo.»ironizza lei.
«Ovvero?»le chiedo incuriosita.
«Se non mi sbaglio ha parlato di un compleanno di un suo familiare.»risponde un poco confusa.
«Cristal Johnson.»puntualizzo un poco acida.
«Giusto!Oggi compie gli anni.»
«Ed io sono stata invitata.»mi massaggio una tempia.
«Conosci altri Johnson,oltre a Tom?»
«Si,purtroppo.»bofonchio,prima di alzarmi.
«Beh,comunque rimettiti in sesto.Posso pensare io ai tuoi orari. »
«No.Tu già hai un lunghissimo turno che ti aspetta.Non vorrei rimanessi chiusa in questo edificio per più di ventiquattro ore.»io non ce la farei.
Controllai sul cellulare,il tempo passa così velocemente.
Salutai Cecilia e mi scusai nuovamente con lei,andai nello spogliatoio e lasciai il camice,indossando invece la giacca in pelle nera,stretta sulle spalle ma molto casual.
Sono riuscita a trovare un equilibro tra casual ed elegante con l'abito che indosso oggi.
Esco dall'edificio e lui è già lì.Poggiato su una portiera dell'auto con un abbigliamento piuttosto casual.
Camicia,con i primi tre bottoni sbottonati,jeans scuri ed un paio di scarpe sportive.Questo abbigliamento si intona con i suoi occhi
«Questo abbigliamento si intona con i suoi occhi.»penso tra me e me.Scaccio subito quel pensiero raggiungendolo.
Teneva le mani in tasca,il che gli dava un'aria piuttosto intrigante,misteriosa.Semplicemente,attraente.
Nessuna donna non si sarebbe incuriosita o invaghita di lui,in quel momento.
«Helena.»sussurra felice di vedermi,appena mi avvicino.
Sorrido,nonostante abbia una gran voglia di investirlo con l'auto in quel momento.
«William.»rispondo anch'io in un sussurro prima di non tenergli conto e salire in auto.
Lui ci mette qualche secondo prima di assimilare ciò che era successo,poi fa il giro e sale in auto.
«Stai bene?»mi chiede prima di mettere in moto.
Quest'auto davvero non la sopporto,nonostante abbia una voglia matta di guidarla.Amo la velocità,anche se preferisco nasconderlo a tutti.Apparirei troppo strana,e ciò comporterebbe a troppe domande.Perciò preferisco guidare normalmente e con cautela,anche perché ci sono due bambini di cui devo occuparmi.
Ora che ci penso.Oliver?
«Come sta Oliver?»gli chiedo davvero interessata nel saperlo,nonostante non mi sia nemmeno accorta di aver sviato la sua domanda.
«Bene,è dai nonni ora.»
«Quindi anche un bambino di sette anni sarà costretto a stare con persone più grandi di lui?»azzardo sorridendo.
Scommetto mi avrebbe voluto guardare male,in quel momento.Però non staccava gli occhi dalla strada.Accelerò.
Forse era un modo per non scaricarsi su di me.
«No,ci sono altri bambini.»questo mi fa stare meglio.
Mi piace stare con i bambini.
«Hai sviato la mia domanda.»puntualizza poi.
«Quale domanda?»non me lo ricordavo.
«Stai bene?»mi chiede nuovamente.
«Oh,si.Sto bene.»rispondo sorridendo nuovamente.
«No,coglione.Sto di merda,senza quelle cazzo di pillole.»penso però tra me e me.
«Mi fa piacere.»si limita a rispondere.
Sospiro e volgo lo sguardo verso i finestrini.
Los Angeles.
Mi viene in mente una canzone.
City of Angels,di un gruppo famoso.
La città degli angeli,chissà se lui è un angelo?
Beh,certo.I suoi modi non lo danno a vedere,ma ho notato che,dopotutto,le azioni che fa sono tutte per il mio bene.
Ma io sono troppo ottusa per capirlo,sono troppo ottusa.
So che mi sto rovinando,ma cosa posso farci.
«Ancora non mi hai detto come conosci mio padre.»borbotta William riportandomi alla realtà.
Mi volto sorridendo.Non so dove trovo tutta questa positività in questo momento.Meno di venti minuti fa,avevo appena aggredito verbalmente Cecilia e poi stavo quasi per piangere.
Con lui,è tutto diverso.
«Non l'hai chiesto a tuo padre?»chiedo con un tocco di malizia.
«Ancora non ho avuto il tempo di chiederglielo.Sono tornati da poco da Londra.»
«Allora tra poco glielo chiederai.»rispondo vaga.
«I tuoi figli invece?»
«Come il tuo.Sono dai nonni.»rispondo secca.
Dal finestrino noto che siamo sul mare.
Una casa vicino il mare?Stupendo.
Ho sempre amato quel tipo di ville davanti il mare.
La brezza marina che ti sveglia.
Dalla terrazza la visuale del Sole che sorge.
Spettacolo unico.
«Vivono in una villa sul mare?»
«Si,ma non so se ti piaceranno gli interni.»mi risponde ora vago.
«Che intendi?»chiedo assottigliando lo sguardo.
«Dico che se a te non piace quest'auto,ho paura a vedere la tua reazione di fronte l'ascensore.»
Ascensore?
Tentai di ricollegare le cose.
«Ti prego,non dirmi che in quella casa,invece o oltre alle scale,c'è anche un'ascensore.»chiedo quasi in una supplica.
«Allora non te lo dico.»mi risponde con un sorriso da bastardo sul volto.
Ritiro ciò che pensavo.Lo odio.
Con lui non si può stare.Non ha preso quasi niente dal padre,se non il fascino ed il fare il donnaiolo.
Ma almeno suo padre ha smesso da giovane,molto giovane.
Al contrario di suo figlio.
«Quanti anni hai?»chiedo di punto in bianco.
«Trenta.Tu?»
«Lu sai quanti anni ho.»rispondo sarcastica.
«Lo so,ma volevo essere galante.»
«Dovresti sapere che non si deve mai chiedere l'età ad una donna.»
«Touche.»risponde.«Siamo quasi arrivati.»risponde poi.
La casa si trova su un altura,un promontorio dinanzi il mare.
Di certo,il paesaggio da qui sarà sublime.
Il grande cancello bianco laccato si apre e noi entriamo.
Sia all'entrata,sia fuori,sono parcheggiate molte auto.
«Molti invitati.»penso tra me e me.
E parcheggia.
«Eccoci qua.»dice voltandosi finalmente da me.
Ora posso rivedere i suoi occhi,grigi intensi.
«Eccoci qua.»ripeto io,quasi con un tono dolce.
«I miei genitori sono persone molto,come dire,libere.Mia madre soprattutto,è molto sfacciata.Ti assomiglia in questo.»mi avvisa.
«Ho conosciuto tuo padre,ho visto quanto è,come dire,libero a modo suo.»
«Si comportano ancora come ventenni.»puntualizza lui,quasi seccato.
«Sono seri,però.Quando vogliono.»penso ad alta voce.
«Si,quando vogliono.»
«E tu,allora,da chi hai preso?»gli chiedo.
Slaccio le cinture di entrambi e mi avvicino a lui.
«Nessuno.»
«Il solo ed unico.»rispondo allora a spregio.
Uscì dall'auto senza preavviso e lui fece lo stesso un paio di secondi più tardi.
«Ah,comunque c'è anche tuo fratello.»mi avvisa,per poi chiudere l'auto.
«Riportami a casa.»dico guardandolo male.
«Ormai sei qui.»mi risponde,stavolta lui a spregio.
«Questa me la pagherai.»lo minaccio quasi,ma dopotutto,è una minaccia senza senso.
Mi sorride facendo il giro ed attirandomi a lui,mi trascina con sé sino l'uscio.
«Aspetterò con ansia quel giorno.»mi sussurra all'orecchio,mordicchia il lobo.
Poi bussa alla porta.
La porta pochi secondi dopo si apre,lasciando trasparire l'unica persona che non avrebbe dovuto aprire la porta in quel momento.
«Helena?William?»chiede lui,confuso.Tommy.
«Ciao Tommy.»rispondiamo entrambi all'unisolo,senza averlo deciso.Così,a caso.
Entrai con William,mentre Tom chiuse la porta confuso.
«Helena,che ci fai qui?»mi chiede poi lui,affiancandosi a me.
Ciò credo abbia innervosito William,che mi strinse ancora più a se.
«Mi ha invitata lui,ed ho accettato.»rispondo,quasi riassumendo la scorsa sera.
«Ciò ti crea problemi?»chiede poi inacidito a Tom.
Lui scuote la testa stranamente infastidito e ci precede.
Fermo William prima che possiamo raggiungere il salotto.
Dall'esterno sento un brusio indistinto e grida di bambini.
«Forse non sarei dovuto venire,qui.»farfuglio imbarazzata.
Abbasso lo sguardo.Lui me lo rialza,sorride.
«Non preoccuparti,hai fatto benissimo a venire.Probabilmente,se non fosse per te non mi sarei presentato qui.Mia madre non sa che sarei venuto.»accenna quasi amareggiato,l'ultima parte.
Sospiro annuendo.
Lui mi stinge nuovamente a se e lentamente ci avviamo verso l'esterno.Esito ad uscire,fuori è così,così pieno.
Bambini che giocano ed urlano da una parte,giovani che,a poca distanza dagli adulti,giocano a pallavolo in un vero campo di beachvolley e chi più ne ha più ne metta.
«Non mi piacciono i posti affollati.»sussurro quasi spaventata.
Ora si,che avrei bisogno di quelle pillole.
«Nemmeno a me,per questo siamo insieme.»mi risponde prima di aprire la porta a vetro.
Usciamo e richiudo la porta a vetro dietro di noi.Voltandomi però,noto di aver i riflettori puntato addosso.
«Giusto,sono una Caffrey.»mi ripeto tra me e me.
Delle volte dimentico il mio cognome,una persona normale.
Semplicemente una persona normale vorrei essere,non mi piace essere associata al mio cognome.
Che poi è quello dei miei genitori adottivi,e forse quello che avevo prima mi avrebbe solo fatto apparire in un modo orribile agli occhi degli altri.
La gente parla,scherza,ma non toglie gli occhi di dosso da noi.
«Ripeto.Non sopporto i luoghi affollati.»sibilo tra i denti mentre ci avviamo verso la folla.
«Resisterai.»mi risponde prima di sorridere amichevolmente ed incominciare a salutare amici,parenti.
Io mi limito a sorridere.
«William.»una voce femminile lo richiama da dietro.
Lui si volta,ed io con lui.
Lascia la presa per abbracciare poi la donna.
«Ciao,mamma.»risponde lui dolcemente.
Lascia l'abbraccio per poi tornare ad avvolgermi tra le sue braccia.
«Tu sei Helena Caffrey,giusto?»si rivolge la donna a me.
«E lei Cristal Johnson.»rispondo sorridendo.
Mi tende la mano,l'accetto.
«Puoi darmi del tu,sei la nuova compagna di mio figlio.»mi acconsente lei con voce dolce.
«Compagna?»ripeto incredula.«Credo si sia fatta un'idea sbagliata.»continuo poi slegandomi dalla sua presa.
Cosa siamo io e William?Amici,no.
Fidanzati,tanto meno.
Conoscenti,non credo.
Mi voltai verso William,mi stava guardando male,malissimo.Mi fulminava con lo sguardo.Avevo detto qualcosa di sbagliato,per lui.Lui non la pensava allo stesso modo?
«Helena.»una voce roca e maschile interrompe quel momento di silenzio che si era creato tra noi tre.
Ci voltiamo.
«Harry.»rispondo sorridendo.
L'uomo si affianca alla donna.
«E' un piacere rivederti.»mi dice sorridente,fossette sul viso.
«Anche per me,mi sono mancate le tue fossette.»rispondo anch'io sorridendo.
«Champagne?»mi chiede immediatamente.
«Champagne.»rispondo e lasciamo gli altri due confusi per poi dirigerci nel banchetto e prendere un bicchiere.
«Sei tornata a Los Angeles,alla fine.»dice lui,quasi amareggiato.
«Lei come sta?»gli chiedo immediatamente.
Sorseggiamo la bevanda,fingendo di parlare allegramente.
In realtà qui sono in ballo cose serie,molto serie.
«Sta bene,ha chiesto di te.»
«E tu che le hai detto.»
«Ciò che sapevo.In giro per il mondo,dopo l'incidente.E' stato impossibile rintracciarti per mesi.»
«Non volevo contatti.La solitudine mi ha fatto bene.»
«E mio figlio?»mi chiede poi prendendo intanto uno stuzzichino.
Sorride ad un paio di invitati e torna a me.
«E' lui che mi cerca,non sono io quella che vuole una relazione.»
«Se ti cerca,ci sarà un motivo.»
«Chiediglielo,Harry.Lui non giova alla mia situazione.»
«Allora rompi subito questa relazione,qualsiasi cosa ci sia fra voi.»
«Cambiamo argomento Harry,non sono qui per discutere di affari.»
«Come vuoi.Suoni ancora?»mi chiede allora cambiando tono.
Ora va meglio.
«Non tocco un piano da mesi,anzi tre anni.»puntualizzo.
«La tua scomparsa l'ha distrutta.»
«La mia scomparsa ha distrutto molte persone.Il mio ritorno potrebbe distruggerne altrettante.»
«Vuoi provare a suonare qualcosa?»
«Si,poi mi vendicherò di tuo figlio.Da chi l'ha presa la stronzaggine?»
«Entrambi.»mi risponde.«Tu intanto entra,io vado a chiamare un paio di persone.»
Mi indica l'interno,rientro e vado in salotto.
Moderno,molto.Un pianoforte nero laccato è posizionato poco distante da poltrone e divani.
Mi siedo sullo sgabello e,con cautela,sfioro i tasti dello strumento.
Così elegante.Così prezioso.
«Eccoti qua.»la voce dell'uomo riecheggia nella stanza.
Con sé vi sono anche la moglie,William ed un'altra ragazza.
L'avevo notata prima quando stava giocando a pallavolo con altri amici.L'unica ragazza in bikini.
«Lei è l'altra mia figlia,Jennifer.»ci presenta lui.
«Ehi.»si limita a dire lei sorridendo.
E' piuttosto nervosa,come se aspettasse qualcuno.
Alla sua età manifestavo questo nervosismo solo quando pensavo a qualcuno in particolare.
«Puoi iniziare.»fosse facile.
William continuava a guardarmi intensamente con i suoi occhi di ghiaccio,ora.
Prendo un respiro profondo e cerco di ricordare tutti gli accordi.
Poi,cercando di lasciarmi andare,incomincio a pigiare tasti l'uno dopo l'altra,creando una melodia.
Suonai e cantai,What Goes Around,Comes Around.
Una volta terminata la canzone,mi voltai,notando che le persone in salotto erano aumentate,e di molto.
Una serie di applausi seguirono al termine della canzone,William era piuttosto sorpreso,ma non so da cosa.
«In tre anni,non mi sembra tu sia cambiata Helena.»lo prendo come complimento,arrossendo.
Mi alzo facendo un inchino imbarazzata.
Scappo fuori respirando un pò d'aria fresca.
Decido di stendermi su una delle sedie a sdraio che accerchiano la grande piscina.
Volgo la testa verso i ragazzi che continuano a giocare a Beachvolley,ho voglia di giocare ora.
«Vuoi giocare?»mi chiede William sdraiandosi accanto a me su un fianco.
«Due squadre diverse.Una scommessa.»lo sfido sorridendo maliziosamente.
«Va bene.»ci sediamo sui due lati opposti della sdraio e ci stringiamo la mano.
«Cosa succede se vinci tu?»gli chiedo.
«Se vinco io mi regali un bacio,una cena domani sera e parleremo.»disse con fare seducente.
«Parlare di cosa?»gli chiedo sorridendo maliziosamente.
«Di te.»dice e si avvicina al mio viso.
«Vabene.»sorrido con fare inquietante.
«E tu cosa desideri?»
«Lo vedrai presto.»mi limito a rispondere.
E ci stringiamo le mani,che la sfida abbia inizio.
  
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