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Autore: _Connie    24/03/2014    3 recensioni
There's a boy who fogs his world and now he's getting lazy
There's no motivation and frustration makes him crazy
He makes a plan to take a stand but always ends up sitting
Someone help him up or he's gonna end up quitting.

«Si sentivano un po’ come del vetro rotto, caduto per terra. Poi, un giorno, Rufy entra nelle loro vite senza preavviso, come un vero e proprio ciclone, e in qualche modo raccoglie da terra quei frammenti, li rimette insieme, li salva dall’oblio in cui erano caduti senza chiedere nulla in cambio. Lui è fatto così.»
[...]In quel momento, Zoro si rese improvvisamente conto di essere appena stato raccolto da terra.
Zoro/Sanji, AU,INCOMPLETA
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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{ Capitolo 12: Have I Told You Lately That I Love You? }
 
Zoro stava fissando la lattina di birra che aveva in mano già da un paio di minuti, rimuginando su tutta quella faccenda e sul da farsi. Insomma, aveva portato il damerino al club, ma ora? Che cavolo doveva fare?
Lanciò una veloce occhiata all’altro. Non si vedeva quasi nulla nella stanza del club, immersa nella semi-oscurità, e quel poco che si vedeva era illuminato dalla luce piuttosto fioca di una lampada poggiata per terra, vicino al divano-letto aperto. Sanji era seduto su un’estremità di esso e si stava tranquillamente fumando una sigaretta. Non aveva per niente l’aria di uno che era appena stato trascinato fuori di casa alle quattro di notte per motivi a lui ignoti.
Zoro tornò a concentrarsi sulla sua birra. Cosa doveva dirgli? Quello che veramente pensava e gli passava per la testa?
Già si immaginava il dialogo.
Scusa, cuoco, ti ho portato al club nel bel mezzo della notte e senza dirti niente perché voglio sapere il motivo per cui ti comporti in modo strano.
Ma i cazzi tuoi no?
Ecco. Fine del dialogo.
Si grattò dietro la nuca con nervosismo. Ora basta. Per prima cosa doveva calmarsi.
Bevve tutto d’un sorso il contenuto della lattina – era la quarta della serata e iniziava stranamente già a sentirsi un po’ brillo – e si avvicinò alla libreria piena di CD. Se c’era una cosa in grado di calmarlo, quella era la musica.
Fece scorrere l’indice da un album all’altro.
Misfits? No, avrebbero sortito l’effetto contrario.
Dire Straits? Nemmeno.
Gli Who? No, no, no.
Poi il suo indice indugiò su un album in particolare. Eccolo. Era perfetto.
Afferrò l’album, prese il CD che vi era all’interno e lo inserì nell’impianto stereo. Mise poi la traccia numero 4 con l’impostazione Ripeti.
Il club venne inondato da una dolce melodia di pianoforte, calda e rilassante. Zoro chiuse gli occhi. Ecco, gli ci voleva proprio. Poi una voce iniziò a cantare, riempendo con la sua voce l’intera stanza.
 
«Have I told you lately that I love you?
Have I told you there's no one above you?
Fill my heart with gladness
Take away my sadness
Ease my troubles, that's what you do*…»
 
Van Morrison riusciva a farlo rilassare come nessun altro. Peccato ci fosse qualcuno di sua conoscenza che non la pensava allo stesso modo.
«Siamo sentimentali, marimo?»
Cazzo. Si era scordato del damerino.
Si voltò di scatto, e quello fu un errore. Con ogni probabilità le sue guance si erano colorite a causa dell’imbarazzo dato che, a quella vista, l’altro era scoppiato in una fragorosa risata.
«Hai da ridire su qualcosa, eh?» sbottò Zoro, nel vano tentativo di riprendere un minimo di autocontrollo. In fondo non vi era nulla di cui vergognarsi o imbarazzarsi, eppure quella situazione gli sortiva proprio quegli effetti.
«Tu senti certa roba?» disse Sanji, tra una risata e l’altra. «Tu, con quella faccia e quella cresta mostruosa?»
«Hai qualche problema, cuoco? Dimmelo, così lo risolviamo con un cazzotto in faccia.» Ora tutto l’imbarazzo era svanito per far posto alla rabbia – oppure, semplicemente, la rabbia era arrivata giusto in tempo per dissimulare il suo imbarazzo. «E non chiamarla roba!» sbraitò, afferrandolo per la collottola della camicia.
Sanji si riprese un po’ e, asciugandosi le lacrime – era arrivato a piangere dalle risate –, disse semplicemente: «Non avrei mai pensato che nascondessi un lato del genere dentro di te, marimo.» E non l’aveva detto per farlo arrabbiare, lo pensava davvero. Non avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato, infatti, che quel deficiente insensibile con cui si prendeva a calci e pugni un giorno sì e l’altro pure in realtà fosse anche la persona che quella notte l’aveva portato di nascosto al club e si fosse messo ad ascoltare musica così sdolcinata.
Zoro lo lasciò andare, anche se un po’ riluttante, e si sedette al suo fianco. Rimase qualche secondo immobile e con gli occhi chiusi, lasciandosi scivolare addosso la musica come un toccasana benefico. L’aria era invasa da una nuvoletta di fumo azzurrognola che aleggiava sulle loro teste, ma nonostante Zoro odiasse a morte il puzzo di sigaretta, in quel momento tutta la sua voglia di litigare con il cuoco era sparita. «Perché non ti sei fatto vedere questa settimana?» domandò improvvisamente, facendo sussultare Sanji. Quest’ultimo lo guardò sorpreso, e per un attimo Zoro ebbe l’impressione di vedere un guizzo di paura passare nei suoi occhi.
«Perché me lo chiedi?» replicò l’altro, tentennando un po’.
Zoro scrollò le spalle. «Così, giusto per curiosità.»
«L’ho già detto stamattina: ho avuto molto da fare ultimamente e…»
Le ultime parole gli morirono in gola.
Zoro lo stava fissando: il suo, però, non era uno dei soliti sguardi indifferenti o corrucciati; era uno sguardo così profondo che per un attimo Sanji credette di perdersi al suo interno. Quei due occhi color nocciola sembravano voler leggergli l’animo, scavarvi a fondo, e fu con un brivido che Sanji puntò lo sguardo altrove, continuando però a sentire quei due occhi scrutarlo senza sosta.
 Zoro, di tutta risposta, gli afferrò le spalle e lo costrinse a voltarsi. «Non dire stronzate, cuoco. Dimmi perché diavolo ti comporti sempre così.»
Sanji deglutì. Sentì di star iniziando a sudare freddo, ma cercò ugualmente di salvare le apparenze. «Senti, marimo, se mi hai trascinato fin quaggiù solo per una stronzata del genere…»
«Be’, in effetti è così.»
Zoro vide Sanji strabuzzare gli occhi per un secondo, come se non potesse credere alle proprie orecchie, per poi sbuffare divertito e ricominciare a ridere di gusto. Che gli era preso? La birra gli era per caso entrata in circolo?
 «Cuoco, giuro che se non la smetti di prendermi per il culo, ti ammazzo.»
Di tutta risposta l’altro continuò a ridacchiare, senza dar segni di voler smettere. «Sei davvero strano tu, sai?» disse dopo un po’, quasi senza pensarci.
«Senti chi parla» sbuffò Zoro, alzandosi e avviandosi verso il frigorifero della cucina. Visto che quel deficiente ancora non si decideva a parlare, tanto valeva scolarsi qualche altra birretta per ammazzare il tempo. Prese le ultime due lattine rimaste – o cavolo, davvero avevano bevuto così tanto per il nervosismo? – e fece dietro front. Al suo ritorno, però, Sanji era ritornato serio ed era intento a fissare un punto non meglio precisato del pavimento. Si sedette di nuovo al suo fianco e gli porse la birra, senza dire una parola. L’altro la guardò svogliatamente, ma poi la aprì e la bevve tutta d’un sorso. Lo stesso fece anche Zoro.
Per almeno un minuto non osò parlare. Sapeva che il cuoco – ora visibilmente brillo – stava cercando le parole giuste per incominciare a farlo. Alla fine, per l’appunto, Sanji parlò.
«Avrai notato come la mia famiglia sia ricca, no? Quartiere altolocato, villetta, automobili e tutto. Mio padre è un avvocato, precisamente un socio, di un’importante studio legale – sai, uno di quelli dove lavorano almeno quattrocento avvocati che sgobbano dalla mattina alla sera per difendere clienti importanti che con ogni probabilità sono colpevoli, ma che li pagano anche migliaia di berry l’ora a testa pur di insabbiare tutto. Da piccolo mi portava spesso nel suo studio per cercare di spingermi a seguire le sue orme, ma in realtà io lo odiavo. Per quei corridoi immacolati e lussuosi non vedevo camminare persone: vedevo solo zombie che lavoravano anche venti ore al giorno, senza mai passare un po’ di tempo con la propria famiglia, pur di ottenere un posto migliore in quello studio, pur di guadagnare ancora più soldi di quel che avevano. E mio padre, ovviamente, non faceva eccezione. Non ricordo di averlo mai visto senza la sua divisa da avvocato o senza qualche scartoffia in mano anche quelle poche volte che tornava a casa, quando non era in viaggio per lavoro.
«Mia madre, invece – e non ho problemi ad ammetterlo – è una moglie-trofeo, una di quelle che ogni avvocato importante deve avere: bella, attenta al proprio aspetto e alle proprie amicizie e attenta a non far capire che il suo personal trainer non è altro che il suo amante. Probabilmente è anche una forma di vendetta nei confronti di mio padre: figurati se anche lui, durante tutti quei lunghi viaggi di lavoro, qualche sveltina non se l’è fatta.»
Sanji fece una breve pausa. Un sorriso beffardo gli attraversava il volto, quasi come se quel che aveva appena detto fosse una cosa da nulla, normalissima per la sua routine quotidiana.
«Fin da quando ero piccolo, ha sempre controllato tutte le amicizie che avevo: non permetteva a nessuno sotto un certo reddito annuo di avvicinarsi a me.
«Ricordo che, una volta, aveva assunto come cuoco di casa un uomo piuttosto vecchio e baffuto. Aveva una gamba di legno ed un aspetto minaccioso, ma mia madre stranamente non si fece troppi problemi – forse all’epoca ne aveva sentito parlare bene, chissà. Io ero piuttosto piccolo, perciò all’inizio non osavo avvicinarmi, avevo troppa paura: però, allo stesso tempo, quell’uomo mi incuriosiva, così poco prima dell’ora di pranzo e della cena sbirciavo all’interno della cucina per poterlo osservare di nascosto.»
«È stato grazie a lui se ho iniziato ad appassionarmi alla cucina, forse perché quando stava davanti ai fornelli assumeva un’aria così seria e concentrata da spingermi in qualche modo ad ammirarlo. In ogni caso, mia madre se ne liberò in poco meno di un mese – credo che i suoi modi troppo scorbutici e grezzi non le fossero andati a genio più di tanto.
«Iniziai a cucinare. Adoravo passare pomeriggi interi davanti ai fornelli, magari anche sperimentando qualche piatto con scarsi risultati; seguivo anche qualche corso di cucina in modo da migliorarmi e affinare le mie conoscenze culinarie. I miei sembravano aver preso abbastanza bene questa mia passione ed io ero felice. Il tutto però è durato fino all’età di tredici anni.
«Un bel giorno i miei hanno deciso che tutta quella storia doveva finire e mi fecero una lavata di capo incredibile. Dissero che continuando a trascurare lo studio per una sciocchezza del genere non sarei mai andato da nessuna parte, che quello del cuoco era un lavoro adatto per gli altri – i non ricchi, insomma – e che da quel momento avrei dovuto concentrarmi solo sull’obbiettivo di diventare avvocato e prendere il posto di mio padre. Inutile dire che mi arrabbiai tantissimo e che risposi loro con parole pesanti. Loro, però, furono irremovibili. Mi vietarono di avvicinarmi alla cucina e non mi diedero più la possibilità di seguire i miei corsi. Mi sentivo frustrato, rassegnato, calpestato.
«Poi, però, a un certo punto, un paio di anni fa ho incontrato casualmente Rufy ad una delle cene altolocate a cui la mia famiglia ogni tanto partecipa.» Le labbra di Sanji si incresparono per un breve attimo in un sorriso. 
«Eravamo entrambi annoiati a morte di quell’atmosfera così finta e artificiosa, così iniziammo a parlare del più e del meno. Non so come, ma ad un certo punto siamo arrivati a parlare di me e della mia passione per la cucina: inutile dire che quasi mi saltò addosso. Mi parlò del club e della piccola cucina annessa; disse che dovevo assolutamente andarci, perché aveva sempre desiderato conoscere un cuoco.
«Iniziai quindi a frequentare assiduamente il club, raccontando vagamente ai miei genitori di star frequentando certi miei amici di scuola per studio.
«In sostanza, il motivo per cui non mi sono fatto vedere in tutti questi giorni è proprio questo: ad un certo punto, i miei hanno iniziato ad insospettirsi e sono entrati in contatto con i genitori di questi miei presunti amici, e hanno scoperto tutte le balle che ho raccontato. Si sono incazzati come non mai e, per evitare che la situazione peggiorasse, ho deciso di non farmi sentire per un po’. Soddisfatto, ora?»
Sanji si voltò verso Zoro, il quale aveva la bocca leggermente aperta dallo stupore e continuava a fissarlo sbalordito. In realtà neanche Sanji sapeva perché avesse detto tutte quelle cose proprio a Zoro dopo aver cercato di tenere all’oscuro tutti gli altri – colpa dell’alcol che gli stava entrando in circolo, decisamente –, però, effettivamente, ora che l’aveva fatto si sentiva più leggero, come se un enorme peso che avesse tenuto sulle spalle per anni all’improvviso fosse completamente sparito. Si sentiva decisamente più libero, ecco.
Vide Zoro esitare ancora un po’, prima di prendere la parola. «Io non… io non lo sapevo.» Aveva improvvisamente assunto un’espressione quasi colpevole, cosa che fece sbuffare Sanji. «È ovvio che non lo sapessi, idiota. Non l’ho mai detto a nessuno. E non fare quella faccia, mi fai solo venir voglia di prenderla a calci.»
Zoro, di tutta risposta, continuò a fissarlo in quel modo – così diverso dal solito –, iniziando, anzi, anche a grattarsi dietro la nuca. Oh, niente di buono in vista.
«Io… io ho sempre creduto che tu, fondamentalmente, fossi uno di quei figli di papà sempre con la puzza sotto il naso, che non ha nessun problema di sorta, se non quello di voler sentirsi sempre al centro dell’attenzione e di voler essere ancora più viziati di quel che si è.» Puntò gli occhi sul pavimento, in evidente stato di agitazione. Sospirò forte per darsi una calmata. «Mi dispiace
Il cuore di Sanji mancò un battito.
Dopo un breve attimo di smarrimento, strabuzzò gli occhi. Zoro, l’essere più orgoglioso e insensibile sulla faccia della Terra, aveva appena detto «mi dispiace»? A lui?
«Marimo, sicuro di sentirti bene? Non è che in quelle birre c’era qualcosa di anomalo, vero?»
Di tutta risposta l’altro emise uno strano grugnito, voltandosi dall’altro lato con fare imbarazzato. Sanji non poté evitare di sbuffare divertito di fronte a quell’atteggiamento così diverso da quello che di solito il marimo gli riservava. Rimase per un attimo in silenzio, prima di fare un profondo respiro. «Grazie» disse, semplicemente.
Zoro si voltò di scatto verso di lui con l’espressione di chi ha appena visto un alieno a due teste andarsene in giro per una festa in maschera come se nulla fosse. E probabilmente non doveva essere troppo dissimile da quella che lui aveva assunto fino a qualche momento prima.
Però, in fondo, quel ringraziamento glielo doveva. Nonostante gli costasse molto ammetterlo, quell’idiota era riuscito a capire che c’era qualcosa che non andava, ed era arrivato addirittura al punto di farlo scappare di casa in piena notte solo per cercare di aiutarlo – perché, per quanto l’altro potesse cercare di dissimularlo e per quanto potesse sembrare assurdo, non ci voleva un genio per capire che fosse quello il fine delle sue azioni. In più quello sfogo gli aveva fatto decisamente bene; lo aveva tranquillizzato, in qualche modo.
Sorrise lievemente in direzione dell’altro, il quale, nonostante fosse ancora sorpreso, gli regalò in risposta uno di quei suoi rari mezzi sorrisi che, nonostante fossero appena accennati, erano sinceri.
Intanto, in sottofondo, la canzone inserita da Zoro si era messa in replay per la seconda volta.
 
«Have I told you lately that I love you?
Have I told you there's no one above you?
Fill my heart with gladness
Take away my sadness
Ease my troubles, that's what you do…»
 
E forse fu a causa dell’atmosfera creatasi, forse a causa di quei due occhi nocciola che continuavano a scrutarlo intensamente, forse a causa dell’alcol – , decisamente a causa dell’alcol – che Sanji si sporse verso il viso di Zoro e lo baciò.
Fu appena uno sfiorarsi di labbra, il loro, ma bastò a far sì che il corpo di Sanji fosse attraversato da un fremito di eccitazione. Quel lieve contatto durò solo pochi secondi, però, dato che il cervello di Sanji, entrato momentaneamente in standby, iniziò ad elaborare la situazione. Stava baciando Zoro.
A quella improvvisa realizzazione, Sanji si allontanò di scatto dall’altro, iniziandolo ad osservare preoccupato. Non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe proprio dovuto farlo, continuava a ripetersi. Nonostante sentisse ancora sulle proprie labbra il calore che quel contatto gli aveva provocato – battito cardiaco accelerato connesso –, non riusciva a non pensare a tutte le possibili conseguenze che quella sua azione avventata avrebbe portato.
Zoro era rimasto completamente immobile, rigido come una statua di marmo, e con gli occhi così sgranati che parevano poter uscire dalle orbite da un momento all’altro. Probabilmente stava ancora cercando di riprendersi dallo shock, ma Sanji non aveva dubbi su ciò che ne sarebbe seguito, e questa consapevolezza gli fece venire una morsa allo stomaco. Si sarebbe alzato di scatto, disgustato, magari lo avrebbe anche insultato e se ne sarebbe andato via senza aggiungere un’altra parola. Quel loro rapporto che si era formato in quei mesi, già precario di per sé, sarebbe definitivamente crollato, e Sanji non avrebbe più potuto vedere l’altro in faccia per la rabbia e la vergogna. Dio, che idiota che era stato.
Zoro, però, non dava ancora segni di vita e continuava a rimanere immobile, gli occhi fissi su di lui. La cosa stava iniziando a farsi davvero preoccupante.
«Zoro…?» lo chiamò Sanji, nel tentativo di ridestarlo. Poggiò la mano sulla spalla dell’altro per scuoterlo e sentì il corpo dell’altro fremere a quel tocco.
«Ehi, Zor- mh!»
Non ebbe il tempo di fare nulla. Non ebbe il tempo di capire nulla.
Sentiva solo le labbra di Zoro premere prepotentemente sulle sue, il suo respiro mischiarsi con il proprio, le sue mani dietro la nuca che tentavano di approfondire il contatto. Riuscì appena a realizzare ciò che stava succedendo, prima che il suo cervello decidesse definitivamente di andare in tilt e di sparire dalla circolazione per un po’.
Zoro lo stava baciando.
E si sarebbe chiesto solo in secondo momento il perché di tutto ciò – e avrebbe dato la colpa all’alcol, era sempre colpa dell’alcol – e il come avrebbero reagito entrambi dopo che tutto fosse finito, ma in quel momento non importava.
Nulla importava, all’infuori di quelle mani che ora lo stavano spingendo giù, a stendersi sul divano-letto, e che stavano iniziando a spogliarlo con foga ed impazienza; nulla importava, se non quelle labbra che continuavano a baciarlo ovunque, lasciando i segni del loro passaggio – sul viso, sul collo, sulle braccia, sull’addome, ovunque.
Ben presto si ritrovarono entrambi completamente nudi, i vestiti buttati malamente sul pavimento. Sanji poteva sentire il suo cuore martellare nella cassa toracica come se fosse impazzito, il suo respiro totalmente fuori controllo. Zoro si trovava sopra di lui, completamente rosso in viso – per quel poco che riusciva a vedere, per lo meno – e con il fiato corto almeno quanto il suo. Lo sovrastava con quella sua figura possente, con quei suoi muscoli scolpiti dalle numerose ore passate ad allenarsi e con quei suoi occhi nocciola, che mai gli erano parsi così profondi. Quella situazione avrebbe in qualche modo dovuto farlo sentire a disagio o imbarazzato, eppure non sentiva nulla di tutto ciò. Il suo corpo continuava a fremere di desiderio, a desiderare altro contatto fisico. Di più, di più, di più.
Intanto la canzone si era rimessa in replay, ma loro ormai non sentivano più niente che non fossero i loro respiri affannati, i loro battiti accelerati, il calore del corpo dell’altro contro il proprio.
Si protese verso il viso di Zoro e ricominciò a baciarlo con foga.
 
 
*Ti ho detto ultimamente che ti amo? / Ti ho detto che non c'è nessun altro davanti a te? / Sazi il mio cuore di contentezza / Porti via la mia tristezza / Allevi i miei problemi, ecco cosa fai.
 
[Angolo dell’autrice]
Sì, lo so che state pensando.
Tutto qui?!
Sì, tutto qui.
Non vi aspettate un capitolo a rating rosso/arancione, sia perché non voglio cambiare il rating della storia sia perché, soprattutto, non ho esperienza nello scrivere scene di sesso e non vorrei che ne uscisse fuori un abominio. E poi non ne ho neanche voglia, a dirla tutta.
Comunque, torniamo a noi. Non aggiorno da – quanto? Due mesi? Di più?
In realtà c’è una spiegazione perfettamente logica e razionale per questo mio ritardo, e sono sicura che voi mi capirete.
Non avevo voglia di scrivere. u_u *la prendono a mazzate*
No, seriamente. Non avevo né la voglia né l’ispirazione per farlo, quindi ho preferito lasciar perdere per un po’ in modo da ricaricarmi. Ed eccoci qua! :3
…Uhm, però un’altra spiegazione ci sarebbe.
È colpa di Sherlock, il telefilm. E della Johnlock, ovviamente – figuratevi se non li shippavo insieme. Quel fandom prima o poi mi ucciderà, ne sono certa.
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Quando ho iniziato a scrivere questa fanfic, avevo deciso che questo sarebbe dovuto essere il penultimo capitolo, ma ho deciso che ne scriverò altri per focalizzarmi su alcuni aspetti della trama e dei personaggi che altrimenti avrei tralasciato. Quindi don’t worry, mi avrete tra i piedi ancora per un po’.
Fatemi sapere come al solito cosa ne pensate – le critiche sono sempre ben accette!
Alla prossima! :D
 
P.S. La descrizione della vita degli avvocati data da Sanji è pesantemente influenzata dai romanzi di John Grisham, che io adoro con tutta me stessa. Sì, in qualche modo dovevo ficcarlo da qualche parte nella trama.
  
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