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Autore: Pandora86    25/03/2014    6 recensioni
Hanamichi ha finito la riabilitazione ma una nuova sfida lo attende: quella con il suo vero volto.
Ma non sarà solo; ad accompagnarlo ci sarà l’onnipresente Yohei che, nel frattempo, si troverà alle prese con la domanda più importante: cos’è l’amore?
Ultima parte de “Il tuo vero volto”.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Un ringraziamento speciale va a hikaru83, che mi ha suggerito il titolo per questo capitolo, risolvendomi un grosso problema! (non avevo idee)
Grazie!
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 2. Attesa
 
Rukawa sedeva pensieroso sul divano del salotto.

Aveva mostrato la sua nuova camera a Hanamichi e aveva preferito lasciarlo da solo con i suoi pensieri. Allo stesso modo, anche lui stesso aveva bisogno di un minuto per riflettere.

Aveva atteso quel momento per molto tempo e niente di quello che aveva immaginato, poteva avvicinarsi lontanamente alle sensazioni che provava in quegli istanti.

Emozione, trepidazione, attesa… queste erano solo alcuni dei sentimenti che sentiva agitare dentro di sé.

Inoltre, aveva anche capito quanto il momento fosse difficile per Hanamichi; d’atro canto, non bisognava essere un genio per intuire una cosa del genere.

Un momento difficile per Hanamichi ma anche per Mito, a quanto sembrava.

Mito che, per la prima volta, affidava il suo migliore amico a qualcun altro scegliendo di separarsi da lui.

Non che avesse cambiato continente, ma comunque una separazione c’era stata.

Una separazione mentale più che fisica, in effetti.

Ed era con questo cui Rukawa doveva confrontarsi.

Il distacco mentale fra Hanamichi e Yohei.

Mito non ne aveva parlato molto. Rukawa sospettava che non ne avesse fatto parola con nessuno, neanche con Sendoh, eppure sicuramente doveva essere preoccupato a dispetto di tutta la sicurezza che ostentava.

E anche Hanamichi doveva essersi reso conto di quello che aveva significato realmente andare a stabilirsi da lui; sicuramente, la sua testa era satura di dubbi.

Mito aveva cercato di aggiornarlo su tutte le abitudini di Hanamichi e Rukawa era stato ben lieto di conoscerle, perché non voleva che il numero dieci si sentisse un ospite.

Il problema, per l’appunto, era cercare di farlo capire a Hanamichi stesso.

Perché quella separazione, secondo Mito, poteva solo portare a qualcosa di buono.

Per troppo tempo, infatti, Hanamichi si era chiuso nel suo mondo, circondato dalla sua fidata armata, non permettendo a nessuno di entrare.

Ora, era come se si stesse muovendo in una nuova dimensione che non escludeva niente della vita precedente ma che comunque apportava dei cambiamenti.

Cambiamenti che potevano solo essere migliori, secondo Mito.

Cambiamenti che non avrebbero escluso niente di quello che c’era stato in precedenza.

Perché Hanamichi non avrebbe perso Mito, né la sua armata, né le sue abitudini.

Al contrario, le avrebbe sempre avute aggiungendoci però qualcos’altro.

Aggiungendo Kaede Rukawa, per l’appunto.

Il problema però, era sempre farlo capire a Hanamichi.

Ci sarà tempo! Si consolò Rukawa.

Non era da lui, d’altro canto, perdersi d’animo per così poco.
 

***
 

Hanamichi decise di abbandonare la sua camera quando si accorse che era stato venti minuti buoni seduto sul letto, in silenzio, a fissare la parete.

Aprì la porta con l’aria baldanzosa che sempre lo contraddistingueva, decidendo di rimandare la parte dello svuotamento valige.

Aveva osservato fin troppo quella camera, tanto da accorgersi che Yohei aveva provveduto a far recapitare i libri di scuola, l’uniforme e tutto quello che c’era nella sua vecchia casa (o vecchia catapecchia, se si voleva essere precisi).

Tutto, ovviamente, in attesa di essere sistemato dal legittimo proprietario.

Proprietario che, guarda caso, non aveva nessuna voglia di mettersi a sistemare la sua roba.

Un po’ per noia (o per amor del sacro disordine!), un po’ perché voleva ancora cercare di capire cosa diamine ci facesse lì.

Motivo per cui, la soluzione migliore era rimandare a non si sapeva quando.

Con questi pensieri, e con una faccia da schiaffi che non portava nessuna traccia di tutti i sentimenti di preoccupazione che in quel momento provava, Hanamichi decise di scendere al piano di sotto sperando di incontrare Rukawa da qualche parte.

Quella casa era un labirinto: camere al piano di sotto, camere al piano di sopra… fortuna che aveva il bagno in camera o avrebbe fatto prima ad attrezzarsi con qualcosa, se gli fosse scappata veramente!

Rifece il percorso al contrario riuscendo a raggiungere il salotto; la kitsune non era lì.

Si soffermò sul tavolino da caffè al centro fra il divano e le due poltrone, richiamando alla mente la volta in cui Rukawa aveva svuotato il suo zaino, riempiendo il salotto di fogli sparsi.

La volta in cui gli aveva fatto i compiti!

Sorrise a quel ricordo; quanto si era divertito, allora!

Si chiese, in quel momento, se ci sarebbero stati altri momenti del genere, così spensierati e spontanei.

La risposta poteva essere semplice per un osservatore esterno, ma non per Hanamichi che, con la mente satura di dubbi, non riusciva a vedere giorni vissuti con allegria in quella che sembrava una convivenza forzata.

Un rumore proveniente dalla stanza accanto, lo distrasse dai suoi pensieri.

Si diresse verso quel rumore, aprendo la porta scorrevole che separava la stanza dal salotto.

Si accorse di trovarsi in cucina.

In effetti, non era mai stato nella cucina di quella casa pazzesca.

Non ebbe il tempo, tuttavia, di osservare l’arredamento nei dettagli, dato che qualcosa attirò la sua attenzione.

Qualcuno, per l’esattezza.

Rukawa, per l’appunto, che faceva non si sapeva bene cosa, sull’isola che troneggiava al centro della stanza.

Ebbe solo modo di osservare che una strana sostanza marrone era sparsa dappertutto, creando un forte contrasto con il bianco dell’isola.

Passarono alcuni istanti in silenzio, dove da un lato c’era Rukawa che, accortosi della sua presenza gli aveva rivolto solo un lieve cenno con il capo, continuava a fare ancora qualcosa che il numero dieci non seppe classificare.

Dall’altro lato invece, c’era Hanamichi che voleva sì spezzare il silenzio prendendo un po’ in giro la kitsune, tanto per tenersi in allenamento.

Il problema però era come prenderla in giro.

O meglio, su cosa, dato che non aveva ancora capito che diamine stesse cercando di fare (a parte sporcare tutte le superfici che meno di un minuto prima dovevano essere state candide!).

“Ehm” balbettò il numero dieci, cercando di avere l’illuminazione divina che gli avrebbe chiarito tutto.

“Nh!” mugugnò Rukawa continuando a fare non si sapeva cosa.

“Ti hanno assegnato un compito in economia domestica?” domandò allora Hanamichi con noncuranza.

In fondo, se si trovava in cucina, Rukawa doveva per forza cucinare qualcosa.

Era ovvio, no?

Anche se, da quello che sapeva, nella sua scuola erano le ragazze che frequentavano quella materia.

“Cazzo dici, do’aho?” fu l’elegante risposta di Rukawa, che sembrava abbastanza irritato.

Ecco Kaede Rukawa in tutta la sua finezza!

Fu questo il pensiero di Hanamichi che si avvicinò titubante.

Osservò meglio la sostanza sparsa sull’isola e, finalmente, l’illuminazione divina sembrò arrivare.

Annusò la strana polverina ed ebbe la conferma di quello che la kitsune stava facendo (o stava provando a fare, dipendeva dai punti di vista).

In ogni caso, vista l’espressione del numero undici, sembrava che la cosa non stesse dando i risultati sperati.

“Caffè!” esclamò, guardando Rukawa con un sopracciglio alzato.

“Nh!” confermò Rukawa, afferrando quello che sembrava un batticarne.

“Stai preparando il caffè!” esclamò ancora Hanamichi, osservando il numero undici come se lo avessero sostituito gli alieni.

“Nh!” confermò ancora Rukawa afferrando una manciata di – erano chicchi quelli? – qualcosa da una busta e poggiandoli sull’isola in un piccolo mucchietto.

Hanamichi lo osservò puntare quello che aveva in mano – possibile che si trattasse realmente di un batticarne? – verso il mucchietto.

Quando la mano di Rukawa si abbatté sul mucchietto, spargendo chicchi dappertutto, Hanamichi ritenne opportuno intervenire.

Visto e considerato che Rukawa, non contento, stava per dare un secondo colpo ai pochi chicchi rimasti sull’isola.

“Ehm” disse afferrando la mano di Rukawa giusto in tempo.

“Cosa – diamine – stai – facendo?” scandì lentamente, certo che il numero undici fosse ormai letteralmente impazzito.

“Levati dai piedi, do’hao!” rispose l’altro che, a quanto sembrava, non ammetteva repliche ne voleva interruzioni.

“Mi spieghi a che ti servono i chicchi?” chiese Hanamichi, sentendo l’irresistibile voglia di rifilare una testata all’altro.

“Forse a fare il caffè, do’hao!” non si perse d’animo Rukawa, guardando l’altro con lo stesso sguardo che si rivolgeva a bambino un po’ lento.

“E pensi sul serio di schiacciarli con un batticarne?” chiese Hanamichi perplesso.

“Vedi altro modo, do’aho?” non rinunciò all’immancabile insulto il numero undici.

“Sì!” si spazientì il numero dieci.

“Usare il bollitore, che non so perché non è stato ancora toccato, e il caffè solubile. A meno che tu non voglia continuare a distruggere l’isola cercando di macinare i chicchi!” rispose ironico l’altro.

Rukawa sbuffò facendo ondeggiare la lunga frangia e posò l’attrezzo.

Eppure, gli era sembrato facile.

Mito era stato chiaro ma lui, non contento, aveva cercato di documentarsi il più possibile ottenendo come risultato, quello di confondere tutte le informazioni ricevute e combinare solo un gran casino.

Hanamichi si intenerì di fronte a quella versione inedita di Rukawa.

In fondo, l’altro stava solo cercando di fargli un’accortezza.

Voleva fare qualcosa per lui, facendola come avrebbe fatto lui.

Fu per questo che addolcì il tono quando si decise a parlare.

“O forse, e dico forse, potevi chiedere a me!” gli sorrise sincero.

“Nh!” annuì Rukawa.

“Sono un Tensai, in fondo! Ah, ah, ah!” esclamò Hanamichi portandosi le mani ai fianchi.

“Tzè… do’hao!”.

“Baka kitsune!” strillò Hanamichi isterico.

“Vuoi forse negare che ho salvato la tua cucina dalla distruzione?” lo provocò, puntandogli l’indice contro.

“Non avevo ancora finito” s’impuntò Rukawa saccente.

Hanamichi prese un panno e cominciò a togliere tutte i vari tipi di caffè, in tutte le forme e di tutte le marche, dalla penisola, borbottando come una pentola a pressione.

“I chicchi non servono a niente, a meno che tu non abbia qualcosa per macinarli. Che non è il batticarne!” si sentì in dovere di specificare all’altro.

“Nh!” annuì ancora Rukawa.

Adesso che ci pensava, Mito non gli aveva detto niente riguardo ai chicchi di caffè. Doveva essere una cosa che aveva letto.

Siti del cazzo! Pensò, maledicendo tutte le informazioni sbagliate che aveva letto su internet.

“Per curiosità, quanto hai speso in caffè?” si sentì in dovere di domandare il numero dieci osservando tutti i tipi di caffè sparsi per la cucina.

“Nh… 10.000 yen!” rispose con noncuranza Rukawa.

(N.d.A. 10.000 yen corrispondono a 100,00 euro circa).

Hanamichi lo guardò allibito.

“ 10.000 yen!” ripeté lentamente non riuscendo a credere a quell’informazione.

“Nh” non rinunciò al suo monosillabo preferito il numero undici.

“E come pensi di prepararlo questo caffè?” gli chiese sarcastico Sakuragi, portandosi le mani ai fianchi.

Era vero, il caffè era l’ingrediente fondamentale per preparare, per l’appunto, il caffè.

Ma come pensava di riuscirci Rukawa con un bollitore?

Rukawa d’altro canto, a quella domanda, lo guardò saccente.

Possibile che Hanamichi credeva che lui fosse così sprovveduto?

Con una studiata lentezza, degna di una scena madre, Rukawa si avvicinò a uno dei mobili pregustandosi la faccia di Hanamichi di lì a breve.

Aprì l’anta, non rinunciando alla sua immancabile espressione supponente e ne mostrò il contenuto al compagno di squadra.

Hanamichi seguì quei movimenti, rimanendo sbigottito un istante dopo.

“Ma… quella…” balbettò lentamente avvicinandosi all’oggetto.

Non poteva essere quella cosa.

E, infatti, uno sguardo più attento gli rivelò che non era quell’oggetto.

“Dove te ne sei procurata una?” domandò lentamente Hanamichi, osservando ora Rukawa ora la macchinetta del caffè nuova fiammante che troneggiava sul ripiano del mobile.

“Nh… esistono gli acquisti online, do’hao!” sbuffò Rukawa, attento alle reazioni dell’altro.

Forse, aveva esagerato.

Per un momento, infatti, Hanamichi era impallidito di colpo.

“Credevo…” incominciò il numero dieci senza tuttavia riuscire a completare la frase.

Credevo fosse quella di mia madre.

Questo avrebbe voluto dire, ma non ci riuscì.

Non aveva importanza, però, visto che Rukawa sembrò capirlo comunque.

“Ti decidi a farmi vedere come si usa, do’hao?” chiese, infatti, l’altro spezzando così quel momento parecchio imbarazzante per Hanamichi.

“Fai largo al Tensai, kitsune!” ritrovò, infatti, la sua allegria il numero dieci e Rukawa, dentro di sé, tirò un sospiro di sollievo.

Alla fine, non era andata così male.

Era vero che voleva fare una sorpresa all’altro però anche così andava bene.

Hanamichi sembrava aver riacquistato il suo buon umore e, considerato che la convivenza sarebbe stata tutt’altro che facile, Rukawa non poté fare altro che unirsi all’altro nell’allegria e farsi contagiare nella risata allegra del suo personale uragano rosso.
 

***
 

“Ti fermi un attimo?” domandò Sendoh al limite della sopportazione, afferrando al volo il braccio di Yohei.

“Sto lavorando, se non te ne sei accorto” rispose piccato l’altro.

“Cinque minuti di pausa non faranno certo chiudere il locale” non si perse d’animo il giocatore e
Yohei, a quell’ennesima richiesta, sembrò cedere.

Sendoh lo osservò sedersi notando le occhiaie palesi sul volto dell’altro.

Mito aveva, infatti, preso il posto di Hanamichi in quel locale o almeno questo era riuscito ad afferrare visto che in quei giorni vedere l’altro era utopia.

E, sempre come Sendoh aveva capito, sostituiva Sakuragi non solo negli orari serali ma anche in quelli pomeridiani.

Inoltre, Mito non aveva detto più di tre parole da quando avevano lasciato casa di Rukawa e fin lì nulla di strano.

Il problema era che erano usciti da quella casa dopo mezzogiorno e adesso erano le undici di sera passate.

Lui aveva insistito nello stare con Yohei, quindi avevano pranzato insieme in un bar e poi Mito aveva attaccato con il suo turno alle tre del pomeriggio chiedendo anche un turno extra nella serata.

Era preoccupato, Sendoh lo aveva capito subito.

Preoccupato perché non poteva essere lui stesso a occuparsi di Sakuragi, questo era il motivo
principale e il giocatore sapeva che avrebbe dovuto farci i conti.

“Sei stanco!” disse, per spezzare quel silenzio così carico di tensione e soprattutto per sentire la voce di Mito.

“Naaa… cosa vuoi che sia” minimizzò Yohei e Sendoh, a quella risposta, sbottò.

“Già, che vuoi che sia lavorare per ore quando potresti fare molti più soldi e in molto meno tempo con una matita in mano”.

“Ne abbiamo già parlato” indurì il tono Yohei.

“Veramente, ne hai parlato tu, da solo!” lo corresse Sendoh.

“Forse perché sono affari miei” si alzò Yohei, decidendo di porre fine alla conversazione.

“Ma sì, quando una cosa non ti sta bene, ti alzi e te e vai” si alzò a sua volta Sendoh fornteggiandolo in tutto il suo metro e novanta.

“Perché non ti decidi a parlare, o almeno a provarci?” domandò poi, addolcendo il tono.

“Di cosa?” lo guardò l’altro.

“Di quello che provi!” gli chiarì Sendoh prendendogli la mano.

“Quando ti deciderai a parlarne, sai dove trovarmi” concluse, ben sapendo che da Mito, in quel momento, non avrebbe ottenuto nulla.

“Domani è sabato e i miei non ci sono” gli chiarì ancora Sendoh prima di avviarsi all’uscita.

Ora toccava a Mito decidere se fidarsi oppure no.
 

Continua…

Note:

Piccola precisazione:

In Giappone, per fare il caffè, si usa il bollitore.

Nei bar però è possibile avere un caffè che, come preparazione, assomiglia al nostro.

Nelle case invece è impossibile trovare una moka, anche se negli ultimi anni si sono diffusi gli acquisti online proprio di macchinette del caffè come la nostra.

Le destinazioni più comuni sono alcuni paesi dell’America; io, ai fini della storia, ho fatto finta che tra le destinazioni ci fosse anche il Giappone.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86
  
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