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Autore: missimissisipi    30/03/2014    5 recensioni
“Elena”
Il suono della sua voce mentre pronuncia quel nome che non sembra appartenermi del tutto non fa altro che testimoniare il voler allontanarsi da me. Eppure è qui, così vicino. E’ distante con le parole ma a qualche decina di centimetri con le promesse.
“M’importa.” Esclama non sbottonandosi troppo con i suoi pensieri.
“Lo hai già detto.”
Le sue nocche diventano quasi bianche. “Ma tu non sembri capirlo”

Elena, Damon, Katherine, Caroline: l'importanza di avere un qualcuno al proprio fianco anche mentre le certezze si frantumano in un crescendo di eventi capaci di far traballare ogni convinzione.
Genere: Romantico, Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline\Klaus, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Katherine Pierce, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine, Elena/Stefan
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo quindicesimo

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You don’t, you can’t
Elena
Se qualcuno mi avesse visto, in quello stato pietoso e conciata in quel modo affatto ordinato ed elegante, mi avrebbe con facilità scambiata per una pazza. I capelli scompigliati, un vecchio maglione di Caroline largo e in grado di elettrizzare tutti i miei capelli, calzini ai piedi e gli occhi contornati dal trucco sciolto, sia perché avevo dimenticato di struccarmi, sia perché, stropicciandoli continuamente con una mano, il risultato non sarebbe potuto essere differente.
“Buongiorno, fiorellino” esordisce Caroline addentando un croissant vuoto, con quel suo sorriso sincero stampato sulle labbra, e con quel suo alone di energia che la accompagna costantemente, entrando in me e facendomi quasi disgustare.
Tanta positività da farmi male. Tanta vitalità. Troppo tutto.
“Mhm”
“Andrai da Damon, ricordi?”
Agito una mano: “Come dimenticarlo”
Stringo le labbra mentre sbatto le palpebre per abituarmi a quella luce, lei sembra comunque soddisfatta della mia risposta –forse perché non ho cambiato idea- e continua la sua colazione tutta contenta.
Io sono… stanca, svuotata da ogni sentimento, nessun accenno di felicità, solo una strana e particolare apatia che mi avvolge e mi fa rabbrividire. Mi stringo nel maglione, spostando i capelli all’indietro con una mano prima di afferrare qualche biscotto.
***
Quando busso alla porta del suo appartamento, quasi desidero scappar via e volatilizzarmi prima che possa aprire e notare la mia figura. Sono fifona, lo so, ma sono anche imbarazzata e lievemente orgogliosa per parlargli. Insomma, cosa si aspetta? Ho avuto paura, lo ammetto, anzi, è stato così palese che qu-
“Katherine?”
Improvvisamente la sua voce mi sveglia dai miei pensieri, deglutisco e apro bocca, mentre constato che si è appena svegliato. I capelli arruffati, la barba incolta, gli occhi socchiusi e le labbra dischiuse ne sono la prova, accompagnati dal suo abbigliamento: una semplice t-shirt chiara (fra l’altro è autunno e si gela, quindi come riesce a indossarla?) e dei pantaloncini blu.
“Disturbo?” domando sorridente, osservando il suo volto e tutte le emozioni che rilascia muovendo i muscoli facciali. Alza un angolo della bocca all’insù, poi si fa indietro e mi lascia entrare.
Mormora un ‘prego’, che mi fa sorridere per cortesia. Siamo così distanti eppure così vicini, mentre tentiamo di salvare un rapporto che non c’è mai stato, mentre abbassiamo le difese e corriamo via, impauriti.
“Oggi non vai a lavoro?”
Si passa una mano fra i capelli, mentre sbuffa, quasi infastidito.
“No” risponde, arricciando il naso “ho chiesto a Klaus qualche giorno di ferie”
Aggrotto la fronte. “Problemi?” e mi mordo la lingua subito dopo, perché sì, di problemi ce ne ha ed anche uno di fronte a lui, a dire il vero. Più stupida non potrei essere.
“Scusa, intendevo… di salute”
Mi correggo un attimo dopo chiudendo gli occhi, poi li riapro vedendolo sorridere appena. Ma è un attimo perché quell’accenno scompare con la stessa facilità con cui è apparso, quasi non dovesse esserci, quasi non potesse permettersi tanto in mia presenza.
E fa male, realizzo, fa male non poterlo far felice.
“Mhm” replica solamente, aggiungendo una smorfia con le labbra secche e carnose su cui il mio sguardo si posa.
Scuoto appena il capo, puntando lo sguardo sul resto del suo appartamento.
“Bene”
E’ vagamente ironica la mia presenza qui, contando che per lui non ha assolutamente senso, e, ad essere sincera, non sono neanche io così tanto sicura di questa e degli argomenti da affrontare.
“non sono innamorata di te, scusa per essere scappata. A proposito, vuoi che ti misuri la febbre?”: troppo da soap opera e troppo surreale, non da me e inadatto per mettere quelle tanto fastidiose fondamenta per questo legame di cui ho bisogno.
Damon continua a guardarmi, ed io continuo a spostare il mio sguardo sui primi oggetti che incontro nell’ambiente di sua proprietà che ho invaso con il mio corpo ed i miei troppi pensieri, i miei rimorsi e le parole che non riesco a pronunciare.
“Per quale motivo sei qui, Katherine?” e queste parole sono come delle pugnalate lente ed inaspettate, alle spalle ed in grado di ucciderti lentamente. Lo guardo come si guarda il nemico che ha procurato il dolore, con gli occhi traboccanti di domande e il dolore appiccicato sulla pelle, nell’aria e sulle mie labbra, tant’è che rispondergli fa così male.
“Per scusarmi, Damon” scrollo le spalle “per scusarmi”
Ride di una risata amara e che temo, “tu sei Katherine Petrova: non ti scusi mai”.
Il suo sguardo si fa più serio, mentre rispondo con una punta di acidità nel tono di voce, cosa che non posso permettermi: non voglio, semplicemente, allontanarci ancora di più, se possibile.
“Eppure lo sto facendo. Ma sai, sembra che Katherine Petrova non facesse un bel niente”
Alza i sopraccigli e mostra i palmi delle mani, alzando queste e socchiudendo gli occhi.
“Scusi, mademoiselle”
Schiocco la lingua sul palato. “Non ti chiedo di dimenticare la Katherine di prima… ti chiedo di accantonarla e basta. La qui presente si scusa, ha delle amiche e indossa abiti diversi”
“Lo sei tu” pronuncia con nostalgia “sei diversa, vero. Ma non ti ho chiesto nulla, dovresti capirlo. Non ti ho chiesto di amarmi, di essere mia amica. Hai esagito risposte. E ti ho accontentata”
Sbatto le ciglia.
“Fine della storia?”
“Sei scappata, e adesso sì, fine della storia”
Poggio le mani sui fianchi. “Sei ferito, io capisco, solo che-“
“Capisci? Ferito? Dio, Katherine, non puoi… non puoi proprio presentarti qui e pensare cose e…” deglutisce “Forse dovresti andare”
“Non volevo scappare, avrei dovuto capirlo. Ma io non mi aspettavo-“
“Che potessi amarti?” ride amaramente.
Scrollo le spalle: “Non si tratta di te… ma di me. Non pensavo qualcuno potesse farlo, Damon. Non sei come cerchi di dipingerti”
Il tono è duro adesso, “Il sentimento non è ricambiato, ho afferrato il concetto. Ho solo risposto ai tuoi dubbi, Katherine, sta a te decidere se continuare questa… cosa che abbiamo”
“Non ho mai voluto mettere un punto a nulla”
Schiocca la lingua sul palato. “Come vuoi”
Sbatto le ciglia, perplessa. “Cosa posso fare, Damon?”
Semplicemente scuote il capo giocando distrattamente con le mani. “Non so a cosa tu ti riferisca”
“A questo” – ribatto subito dopo – “Come posso far andare le cose per il verso giusto? Come posso eliminare quel tuo tono? Come posso curare le tue ferite?”
Ho così tante domande e tanti propositi, non ho nessuna risposta e sapere che lui non me ne sa dare non mi rincuora affatto.
“Non lo fai”
***
“E mi ha detto ‘non lo fai’, Caroline! Come se potessi davvero riuscirci!”
La barista inclina le labbra in una smorfia, passa lo strofinaccio sui bicchieri lucidi e continua a guardarmi male. E non posso farci nulla!
“Celeste” ribatte aspramente, ed inutilmente, aggiungerei, mentre mi ripassa la bottiglia di bourbon che mi ha accompagnata nell’ultima ora.
“Capito, Celeste?” ripropongo allora la domanda, mentre butto giù in un solo sorso il contenuto dell’ennesimo bicchiere.
“Ha ragione” allora pronuncia quella, la pelle ambrata ed i capelli raccolti in una treccia laterale.
Sospiro e “Non ha ragione!” quasi urlo, guardandola di sbieco per poi stringermi meglio nel giubbotto di pelle che indosso.
Adesso mi sento così nuda e vulnerabile che tutti, con un solo sguardo, potrebbero osservarmi e leggermi dentro, e questo mi causa così tanta ansia e dolore che mi consola il provarmi a nascondere in una giacca ed in una sciarpa.
“Senti Elena…”
“Katherine” – la correggo – “Ho detto di chiamarmi Katherine”
Rotea gli occhi al cielo stringendo le labbra, per poi continuare il discorso guardandomi con sufficienza. “D’accordo, Katherine… Comprendo la tua storia, non hai fatto altro che ripeterla da quando hai varcato la soglia del mio bar, ma adesso è meglio se torni a casa, prima che il tuo stato di dubbia sobrietà mi spinga a cacciarti”
Scrollo le spalle, e se anche fosse? “Non saranno due bicchieri di bourbon a farmi ubriacare, Caroline”
“Celeste” biascica scocciata.
“Quello che è”
Allora sbuffa rumorosamente, andando a servire altri clienti affacciati al bancone.
Il punto è proprio questo: non c’è un punto, ma un’infinita serie di virgole e punti e virgole che non mettono mai una fine a questo strano rapporto fatto di tiri e molla e di liti venutosi a creare fra me e Damon.
Semplicemente siamo entrambi troppo orgogliosi per ammettere le nostre colpe e sofferenze, tendiamo a generalizzare tutto ciò che è successo, ma non riusciamo ad affrontarlo e rimettere le cose a posto. Impensabile è, poi, la possibilità di fingere che nulla sia accaduto. Io non voglio dimenticare, non più, ma non sono neanche in grado di sopportare il dolore che lui mi provoca.
Dolore, dolore, dolore.
Chi avrebbe mai pensato che uno sconosciuto sarebbe stato in grado di mettere il mio intero mondo in discussione per la seconda volta?
“Altro giro?” propone allora Celeste, la bottiglia in mano e uno strano sorrisetto malizioso sulle labbra.
Annuisco con il capo, sicura che i giri non sarebbero finiti lì.
“Stai bene?” Un’improvvisa fitta alla testa mi fa bloccare repentinamente al centro della strada. Poggio una mano sulla fronte e allungo un braccio per acquistare più equilibrio.
Damon, al mio fianco, corruga la fronte e mi pone una domanda stupida quando la risposta è più che evidente.
Scuoto il capo, inspirando profondamente e schiudendo le labbra.
“Katherine, come posso aiutarti?”
“Non puoi” ribatto solamente, prima di gemere per il dolore e di espirare con tranquillità quando non sento più la strada, sotto di me, tremare.
Una sua mano alla base della mia schiena mi distrae e mi fa sgranare gli occhi, ma, quando realizzo che è di lui che si tratta, il mio respiro continua a tranquillizzarsi.
“Lo so” esclama poco dopo.
Boccheggio, “No, io… Non è quello che intendevo”
Sorride ma sembra che gli faccia così male, stira le labbra e quasi ci leggo l’amarezza di quel sorriso.
“Non sono mai riuscito ad aiutarti”
Inclino il capo, mentre lo incalzo con lo sguardo, mentre la gente scorre accanto a noi, mentre a Londra è buio e le luci si accendono, mentre la giornata volge al termine e so che una promessa non verrà infranta.
“Tu sei sempre stata indipendente e te la sei sempre cavata da sola: credo che tutto sia accaduto per questo”
“Cosa… non capisco”
Scrolla le spalle: “Non volevi risposte?”
Annuisco.
“Mi sono innamorato di te, Katherine”
Sorseggio altro alcool mentre la gola brucia e gli occhi pizzicano. Potrei quasi affermare con sicurezza che, nonostante tutto ciò che ho ingerito questa sera, la mia gola sia secca e comunque deglutire mi sembra così difficile da fare. Celeste, di fronte a me, sorride come non l’ho vista fare da subito.
Ha dei denti bianchissimi ed è così affascinante che mi gira la testa.
E anche forte, aggiungo.
“Dolcezza” esclama ondeggiando con il bacino a ritmo, seguendo la musica di sottofondo che contribuisce al mio mal di testa. “Quei due lì ti stanno osservando da un po’…”
Allora mi acciglio, corrugo la fronte e mi volto a vedere chi siano le due figure.
Sbatto le ciglia.
“Cosa ci fanno qui?” domando confusa e con un tono di voce infantile.
Katherine
“Sveglia, sorellona! Lena? Lena?”
Mugugno qualcosa in risposta poi una velata di freddo m’investe, facendomi urlare.
Stringo gli occhi, percependo un’industriale quantità di luce nella mia stanza.
“Ma cosa…”
“Sveglia!” urla ancora la voce.
Faccio sprofondare la testa nel cuscino, prima di borbottare ed imprecare contro quella che è – l’ho capito dopo un po’ – la figura di mio fratello Jeremy.
“Cosa vuoi?”
Sbuffa divertito, lo percepisco, poi risponde brevemente: “Le tue amiche sono qui”.
Ed è allora che scatto, lanciando il cuscino dall’altro lato della stanza e precipitando a terra per la fretta e l’assoluta mancanza di equilibrio.
“Aiutami invece di ridere” ribatto divertita, ma con una punta di acidità ad incrinare il mio tono di voce. Jeremy mi da una mano a rialzarmi, ridacchiando e borbottando qualcosa riguardo il mio pigiama.
“L’ho sempre odiato” spiega poi, indicando l’elefante viola sulla maglia bianca.
“E’ l’unico che ho trovato qui che mi andasse”
Scrolla le spalle: “Niente di personale, ma era uno di quei regali che facevano gli amici di mamma e papà in occasioni stile compleanni e Natale. A loro non è mai importato di noi, sono solo… pensieri, come se regalare un maglioncino ad un bambino di cinque anni farà tornare indietro i propri genitori”
Deglutisco, mordendomi il labbro inferiore.
È quello che è successo a lui?A noi?
“Ma… lascia stare, andiamo da Rose e Bonnie”
Sorrido, incrociando le braccia e scendendo al suo fianco, verso il piano terra e l’ingresso.
“Sai che Bon è incinta?” domando trotterellando.
Stringe le labbra. “Mhm”
Mi blocco improvvisamente, lui mi sprona a muovermi con un gesto della mano ma io rimango lì.
Sbuffa.
“Cosa?”
“Cos’era quel mhm?”
“Un normalissimo mhm
“Certo che no” – ribatto sarcastica – “era un mhm non-posso-dirti-quello-che-penso-ed-anzi-non-voglio”
Scoppia a ridere, assottigliando lo sguardo. “Elena, era un normalissimo…”
“…mhm, l’hai già detto e comunque non ti credo”
“Senti” – inizia poggiando le mani sulle mie spalle – “è tutto okay, devi credermi”
“Me lo dirai un’altra volta, d’accordo”
Sospira pesantemente, allontanandosi da me e biascicando qualcosa simile a ‘quando è diventata così persuasiva?’
***
“Non credo sia una buona idea” esclamo mentre il sole caldo di Chester illumina i nostri volti. Qualcuno del gruppo sbuffa, ma Bonnie mi riprende.
“Andrà tutto bene, Elena, è solo un gioco”
Già… un gioco. Solo un gioco. Certo, facile, comprensibile. Detto da una donna incinta che non ha perso la memoria e non ha un pennello in mano ed una strana paura dovuta al proprio passato, che è facile, si che è un gioco.
“Dobbiamo solo pitturare questa cosa
“Questa cosa, Rick” – esclama mio fratello gongolando – “E’ una tela.”
Alaric e zia Jenna sbuffano divertiti, stringendosi la mano come una dolce coppia e ridendo come se fossero profondamente innamorati. La festa dell’altra sera è stata un successo, Jeremy non mi ha lasciata sola neanche per un istante e abbiamo incontrato un sacco di persone. I miei zii si sposeranno la prossima estate, credo, o il prossimo autunno. Giù di lì, insomma, ed io non potrei essere più felici per loro.
Non li conosco, okay, ma sono felici e rendono felici Jeremy.
Quindi mi sta bene.
Rose si avvicina a me, poggiando la mano alla base della mia schiena.
“Ce la puoi fare, sei Elena Gilbert” esclama divertita. “Resisti, lo fai sempre”
E non so perché queste parole mi ricordino qualcosa, ma io sorrido rincuorata, con il cuore e la testa che mi pizzicano, quasi stessero suonando un campanello d’allarme, quasi dovessero avvisarmi di qualcosa.
“Può darsi” ribatto fintamente piccata, avvicinando la punta del pennello alla tavolozza dei colori.
Io sono Elena Gilbert. Resisto. Lo faccio sempre.
E sto tornando ad essere me.
bonjour! eccomi dopo più di un mese! spero qualcuno si ricordi ancora di me... e della storia.
comunque sia, questo capitolo è un po' riassuntivo ed un po' movimentato, d'altronde come gli altri a seguire! i prossimi due sono già pronti, mentre il terzo è in fase di stesura:) questa settimana volevo dimostrare a me stessa che potevo terminare una storia, che questa non era così male come credevo e sono tornata a scriverla con la stessa velocità -voracità?- dell'inizio, di quando scrivevo due capitoli al giorno ahah by the way ecco il segreto di damon ed ecco che le vite delle due si stabilizzano! volevo precisare che questa storia si basa su due valori, quello della famiglia e dell'amicizia. sì, l'amore c'è, ma è messo in secondo piano rispetto ai due già citati: quindi se è dovuto a questo il calo di interesse, ci tenevo a dirlo, in quanto è la mia prima long seria (al contrario di IES che ho cancellato, fra l'altro), nonchè l'unica che sto portando a termine. ho deciso appunto di basarla su quello che è una vita un po' contorta, fatta di dilemmi che potrebbero persino fare un baffo a Beautiful.
spero che il capitolo sia piaciuto, e sprono i lettori silenziosi a farsi avanti, perchè la storia sta cambiando e voglio sapere cosa ne pensiate!
grazie comunque a tutti coloro che recensiscono (<3<3) e a coloro che mettono la storia nelle seguite-preferite-ricordate.
Vi lascio due spoiler del prossimo capitolo!
“Sono Elena. Elena Gilbert. E voi i miei genitori.”
__________________________________________
Aggrotto le sopracciglia. Ecco…
“Credo che abbiate sbagliato pianerottolo, i Lockwood sono al piano inferiore, si sono trasferiti poco tempo fa”
L’espressione di quelli muta improvvisamente.
“Oh, no… no! Ehm, Katherine?”
Mi blocco immediatamente. “Dovrei sapere chi voi… siate?”
un bacio e a presto!
  
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