“Adoro la tua voce,
sai?” dice lei, stringendosi a me. Nessuno mi ha mai detto qualcosa del genere.
“È calda, roca, ma allo stesso tempo forte. Mi fa sentire a casa”
Le sue parole mi
rimbombano in testa. Non so nemmeno cosa rispondere.
“Mi ricorda tanto
quella di mio padre, mi leggeva sempre delle storie prima di andare a dormire,
quando ero piccola”
“Perché ha smesso di
farlo?” chiedo.
“È complicato” non
faccio altre domande, non ne vuole parlare e a me sta bene così.
La sento muoversi, si
alza e volge il suo sguardo a me. Ha gli occhi lucidi, ma dice di essere solo
stanca. Recupera la sua roba, mi saluta e se ne va, lasciandomi solo. Non
capisco cosa sia successo, ma di nuovo, quando la vedo andare verso la porta,
non chiedo altro.
Evidentemente
mi sono fatto un'opinione completamente sbagliata di lei, ma sono intenzionato
a scoprire ogni piccola sfaccettatura, virgola e sfumatura del suo carattere.
Apro gli occhi, devo essermi appisolato, in effetti stanotte
non ho dormito molto. Sento il suo respiro regolare sul mio collo e noto che
gli angoli della sua bocca sono increspati in un sorriso.
Sfioro la sua spalla con la mia mano e la sento
rabbrividire. Non voglio che si svegli, rimarrei a guardarla per ore e ore, ma
la meravigliosa quiete viene interrotta dal suono di un cellulare, il suo.
Lei sobbalza, facendo scivolare la coperta sulla sua pelle.
Il tempo di rendersi conto di cosa sta succedendo ed è già giù dal divano che
cerca di coprirsi con un plaid caduto a terra. La avvolge attorno al suo corpo
a mo’ di asciugamano.
La sento bisbigliare al telefono, intanto mi alzo e mi
rivesto. Lei finisce la chiamata e torna sul divano, dopo aver raccolto i suoi
indumenti dal pavimento. Mi volto mentre li indossa, il che è stupido, dato che
l’ho già vista nuda.
“Chi era?” azzardo. Lei ci mette un po’ a rispondere.
“Mio fratello”
“Pensavo fossi figlia unica” me lo hai detto tu stessa poco tempo fa, vorrei aggiungere, ma
taccio.
“È complicato” dice sedendosi accanto a me. Quelle due
parole mi fanno male, le o sentite troppo spesso, sono segno del fatto che lei
non si fidi ancora completamente di me.
“Sai, sarebbe meno complicato per me capirti se ti aprissi
di più” lascio che le parole escano dalla mia bocca, da troppo tempo voglio
sapere. Da troppo tempo evito di chiedere.
“Vorrei poterlo fare” sussurra lei. Mi volto, ha i gomiti
appoggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani.
“Ma tu puoi farlo” le sfioro la schiena, lei rabbrividisce.
Scuote la testa. Forse ci sono fantasmi del suo passato che non riesce ancora
ad affrontare, posso capirla, probabilmente meglio di chiunque altro.
Probabilmente pensa che mettersi a nudo davanti a me, in modo figurato, possa
in qualche maniera scatenare una serie di reazioni che mi porteranno ad allontanarmi
da lei. Ma, di nuovo, posso capirla.
Mi sento come Pandora davanti al dono che ha ricevuto da
Zeus, la curiosità è enorme, ma non posso commettere il suo stesso errore.
Shirley ha bisogno di tempo e, se vogliamo buttarla sul ridere, siamo ancora
giovani. Obbligarla a dirmi ciò che vuole tenere per sè non scatenerebbe altro che caos.
Mi alzo e vado a recuperare il libro che poche ore fa ho
lasciato cadere sul pavimento, lo apro e torno a leggere, ad alta voce,
scandendo tutte le parole.
“Parlando di quei collerici e capricciosi signori, non ho
potuto non rammentare la mia nobile condotta durante tutta quella giornata. Una
certa strana angoscia aveva cominciato a torturarmi sin dal mattino. Avevo
avuto all’improvviso l’impressione che tutti mi lasciassero solo e che tutti si
allontanassero da me.”
La vedo come rianimarsi, mi rivolge un sorriso e stringe le
mani attorno al mio braccio. Posso anche aspettare.
Passano secondi, minuti, ore e tutto ciò che riempie il
silenzio di quella stanza è la mia voce, poi lei mi ferma. Dice di dover fare
una commissione e ci salutiamo poco dopo.
Negli ultimi tempi è capitato spesso che avesse questi
crolli, insomma, prima che tornassi in Inghilterra a gennaio. Al mio ritorno in
Giappone tutto era cambiato, anche io ero diverso.
Mi guardo intorno, il salotto è parecchio in disordine, la
mia giacca giace ancora sul pavimento, così come l’ombrello che ho lasciato
cadere alcune ore fa. Sorrido, per diverso tempo ho negato a me stesso quanto
quella ragazza fosse importante per me, ma ora anche solo pensare di non
vederla per più di un paio di giorni, di non sentire il suo tocco sulla mia
pelle, di non potermi perdere nei suoi occhi così belli, mi fa impazzire.
Sistemo il salotto alla bell’è meglio e mi avvio verso il
bagno. Accendo l’acqua della doccia e la faccio scorrere, in attesa che diventi
calda.
Al mio arrivo l’anno scorso la casa era completamente
diversa, mi sono permesso di occidentalizzarla solo per comodità, soprattutto
per l’ala bagno, lavarmi in quella specie di vasca mi era sembrato impossibile.
Faccio scorrere la shoji* e vengo investito dal vapore. Mi
svesto, entro nella doccia e ci rimando per venti minuti buoni, fin quando
sento il mio cellulare squillare. Ma la suoneria dura solo qualche secondo
prima che la chiamata venga interrotta. Inizialmente penso sia qualcuno che ha
sbagliato numero, ma, dopo aver recuperato il telefono, scopro che il mittente
è Shirley. Decido di richiamarla, magari ha bisogno di qualcosa, ma una voce
registrata mi informa che il numero è inesistente. Possibile?
Provo altre due volte, ma il risultato è lo stesso. Decido
quindi di chiamarla a casa, la il telefono suona a vuoto.
Analizzo la situazione e cerco di capire cosa fare. Probabilmente le si è solo spento il
telefono, penso, ma questo non spiega il fatto del numero inesistente.
Perché sia effettivamente così, la SIM dell’apparecchio deve essersi rotta o
qualcuno deve averla disattivata. Un pensiero colpisce la mia mente e, pregando
di sbagliarmi, corro in camera, mi infilo una tshirt e un paio di jeans e mi
fiondo fuori di casa con la giacca in mano.
Considerando il tempo che le ci è voluto per chiamarmi deve
aver percorso circa 3km o giù di lì. A piedi è difficile fare più strada in così
poco tempo. Mi avvio verso casa sua, controllando ogni vicolo o stradina fuori
da quella principale. Continuo a camminare, sperando di vederla comparire da
qualche negozio ma purtroppo non accade, non so più che fare, la villetta dove
vive è a pochi metri da me e le luci sembrano tutte spente. Decido comunque di
andare a suonare il campanello, ma niente, nessuna risposta.
La porta però è aperta. Faccio un respiro profondo, tutto
ciò che voglio è vederla lì, con il volto confuso per la mia improvvisata. Ma
sento un urlo che mi fa gelare il sangue nelle vene.
Seguo la voce che chiede incessantemente aiuto con la
speranza di sbagliarmi, ma, arrivato, per così dire, a destinazione, sento le
gambe cedermi.
La camera da letto è piuttosto buia, ma riesco comunque a
distinguere due figure: la prima, in piedi, porta una felpa scura e dei jeans
molto larghi in vita, probabilmente sono appena stati sbottonati; la seconda,
invece, è quella di una ragazza, sdraiata sul letto, intenta a dimenarsi dalla
presa dell’altro. Per terra, abbandonata, c’è una maglietta scura, la stessa
che solo poche ore prima, avevo avuto il piacere di sfilarle, scoprendo la sua
pelle candida tanto simile alla porcellana. Ai miei piedi noto un cellulare,
che probabilmente è stato scaraventato sul pavimento.
Sento la mente annebbiarsi e faccio fatica a rispondere
delle mie azioni.
“Chi sei tu? Vattene via!” urlo prendendo il colletto della
felpa dello sconosciuto. Shirley mi fissa, poi si raggomitola su se stessa, portando
le ginocchia al petto. Sta singhiozzando.
Sono sul punto di centrare in faccia il ragazzo quando una
voce mi ferma.
“Smettetela!” Shirley scoppia a piangere e io rivolgo la mia
attenzione a lei. Bastano due secondi di distrazione a farmi perdere la presa
sulla felpa di lui, che corre fuori dalla stanza. Faccio per seguirlo ma, di
nuovo, la voce flebile della ragazza mi blocca.
“Lascialo andare” questa volta è poco più di un sussurro. Io
sbarro gli occhi, come può dire una cosa del genere?
Vado a sedermi accanto a lei, anche se vorrei prendere a
sberle quell’essere schifoso.
Le porgo una coperta che vedo piegata su una sedia. Lei la
prende e se la avvolge attorno. Noto la gonna sgualcita e diversi graffi sulle
sue gambe nude.
“Perché?” chiedo, rivolgendole lo sguardo. È ancora nella
stessa posizione, sembra un cucciolo spaventato. “Perché hai voluto che se
andasse? Dovremmo denunciarlo” insisto. Silenzio.
“Non posso” dice con voce flebile. Non l’ho mai vista in
quelle condizioni. “Lui è.. lo conosco”
“Lo conosci? Quindi voi..” inorridisco. Non riesco nemmeno a
finire la frase.
Lei scuote la testa. Mi tiene all'oscuro di qualcosa ma non voglio forzarla, non deve parlare se
non si sente pronta, eppure la curiosità mi sta divorando. Forse perché so che le
sue labbra hanno baciato quelle di qualcuno che non sono io. E il solo pensiero
mi fa sentire estremamente egoista. Continui a pensare a te stesso anche in un momento del genere.
“Hey, non devi dirmelo per forza” sussurro sfiorandole la
guancia. Allenta un po’ la presa sulle sue gambe e sospira.
“No, è la cosa giusta da fare” rimango sorpreso da
quell’affermazione. “Ma l'opinione che hai di me potrebbe cambiare”
“Non sarà così” cerco di rassicurarla, non sapendo a cosa
sto andando incontro. Lei sospira di nuovo e si stringe di più nella coperta.
“Quel ragazzo..” fa una pausa, che sembra durare ore
“insomma, lo conosco perché ha fatto parte della mia famiglia per anni” il mio
cuore si ferma per un attimo.
“Cosa vuoi dire?” chiedo, cercando di mantenere un certo
autocontrollo, ma so bene che la mia voce trema. Di certo una rivelazione del
genere era inaspettata.
Lei lascia che le parole le escano di bocca e viene fuori
che Thomas, è questo il nome del ragazzo, è stato
adottato dalla sua famiglia
dieci anni fa, quando i suoi genitori sono rimasti coinvolti in un
orribile
incidente stradale, morendo sul colpo. Per diverso tempo è
rimasto a vivere a casa di Shirley, fin quando,
a diciotto anni, ha deciso di trasferirsi all'estero. Nessuno ha avuto
più sue notizie per parecchio, almeno fino a qualche mese fa,
quando si è presentato a
Tokyo.
“Non sai come ti ha trovata?” chiedo. Lei scuote la testa.
“Ha solo detto di aver sentito dire che ero in Giappone. Non
so nemmeno perché sia venuto proprio da me, non abbiamo mai avuto un
buon rapporto”
“Mmh..” mugugno, cercando di elaborare un’ipotesi “e cos’è
successo quando vi siete rivisti?”
Ha smesso improvvisamente di parlare. Mi volto verso di lei
e noto che si è portata le mani al volto.
“Ti senti bene?” sta piangendo. “Non importa se non vuoi
dirmelo, non c’è problema” le rivolgo un sorriso, ma continua a non guardarmi.
Mi chiedo quale possa essere il motivo di quella reazione, ho alcune ipotesi,
ma mi auguro che nessuna di queste sia corretta.
“Abbiamo cenato insieme” riprende lei “sembrava più gentile
di come mi ricordassi, continuava a farmi complimenti sulla casa, sul modo in
cui avevo cucinato e su quanto fossi diventata carina” le sue guance pallide si
tingono di un rosa tenue.
“Mi ha chiesto se poteva fermarsi da me per un paio di
giorni, finchè un suo amico non sarebbe tornato da Osaka. Io ho
acconsentito. Poi,
quella sera, mentre lui guardava la tv io ho deciso di farmi una
doccia” il
cambiamento del suo tono è quasi impercettibile, ma riesco
comunque a notarlo. Sta
arrivando al punto. E ora che sono ad un passo dalla verità,
farei volentieri
dietrofront. “Senza farsi sentire è entrato in bagno e,
voltandomi mi sono trovata davanti a lui, nuda come un verme. I suoi
occhi erano completamente diversi da
poco prima, sembrava un animale davanti alla sua preda. Nel giro di
pochi secondi ha
iniziato a baciarmi, e nonostante cercassi di togliermelo di dosso, lui
continuava imperterrito. Sono riuscita a graffiarlo in faccia e sulle
braccia, ma nulla. Ogni mio
gesto era inutile” la sua voce è sempre più debole.
Mi sento male solo a
pensare che qualcuno possa fare una cosa del genere.
Come si può deturpare un fiore così bello e candido senza
alcun pudore?
Il mio desiderio di prenderlo a pugni aumenta mentre sento
Shirley singhiozzare col volto nascosto tra le mani. Non so cosa fare per
alleviare il suo dolore, quindi semplicemente la abbraccio. Lascio che si
tranquillizzi, poi la adagio sul letto, dove si addormenta, esausta. Vorrei poter
fare qualcosa di più, ma tutto sembra così inutile e insignificante. Gliel’avrei
fatta pagare prima o poi.
Il respiro della ragazza è ormai regolare, sul viso ancora i
segni del pianto liberatorio. Le passo una mano tra i capelli e la bacio sulla
fronte.
Lascio un biglietto sul tavolo con scritto di chiamarmi
appena si fosse svegliata l’indomani.
Guardo le ore, sono quasi le 22 e non ho nemmeno mangiato. Il
solo pensiero del cibo mi da la nausea. Chiamo un taxi, mi scoppia la testa e
non mi va di tornare a piedi.
Giunto davanti a casa mia, porgo i soldi al tassista
e scendo dalla macchina. Sto per salire il vialetto che conduce a casa mia
quando sento un dolore atroce alla tempia destra che mi fa cadere sull’asfalto duro e freddo.
La vista mi si appanna in pochi secondi, i colori si fondono tra loro e tutto
diventa nero.
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Precisazioni:
*le shoji sono un particolare tipo di porta scorrevole.
Konbanwa!
Allora, questo capitolo, tra l'altro, è stato un parto, è pronto da circa una settimana
ma potrei essermi dimenticata di pubblicarlo, ops. Ho sudato sette camicie per ricreare quello che avevo in testa
e spero di averlo espresso al meglio.
Inizia a farsi un po' di chiarezza sul passato di Shirley, ma quello di Harry è ancora tutto da scoprire
(potrei fare da assistente a Giorgio Mastrota, non credete?)
Cooomunque, spero vi sia piaciuto, sto mettendo l'anima in questa storia, vorrei davvero venisse bene,
ma la scuola mi lascia ben poco tempo per lavorarci come dovrei.
Cosa pensate del nuovo personaggio, Thomas? Cosa sarà successo al nostro eroe, invece?
Povero, mi è dispiaciuto farlo spiaccicare a terra, ma poi capirete tutto, compreso cosa l'ha fatto spiaccicare per terra.
Nel caso ve lo steste chiedendo, la ragazza del banner è Zoey Deutch, boh magari non vi interessa ma pace (y)
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, messo tra le seguite/preferite e anche i lettori silenziosi,
continuate a farmi sapere cosa ne pensate, ci tengo un sacco.
Chiudo il poema con un saluto,
hasta la vista,
Gaia