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Autore: Sery_24    08/04/2014    5 recensioni
Katniss è una giovane donna, con un ottimo lavoro, ma pochi amici. Un passato difficile che stenta a superare. La sua vita sembra incentrata solo sulla carriera. Eppure tutto è destinato a cambiare. Modern AU.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Odiava la metro.
Una scatola di ferro, stipata di persone, che correva sottoterra a velocità assurda. Ogni volta le si stringeva la gola. Odiava la folla ed il contatto fisico che era costretta a subire ogni qual volta il treno si fermava.
37 minuti.
37 minuti era il tempo che ogni giorno trascorreva in metro per arrivare a lavoro.
Katniss Everdeen era una donna in carriera, ormai. Subito dopo il college, era stata assunta come stagista in una società di consulenza, e adesso, dopo quattro anni, era riuscita a farsi strada in quell’ambiente. Il lavoro le piaceva. Spesso era costretta a viaggiare per incontrare i vari partner con cui doveva contrarre. Ma la mancanza di routine non le pesava. In fondo, aveva 25 anni. Non aveva una famiglia, non aveva figli, non aveva nemmeno un fidanzato. Poteva permettersi di lavorare quanto voleva. Sua madre era infermiera, lavorava in un piccolo paesino della California. Sua sorella Prim, invece, era stata ammessa in un’importante college del Connecticut, in New Heaven. Ancora non riusciva a crederci: la sua sorellina studiava medicina a Yale. Tra il lavoro della madre e la borsa di studio parziale che Prim aveva ottenuto, potevano permettersi la retta tranquillamente. Spesso si sentiva in colpa per non contribuire. Eppure ricordava ancora le parole della madre quando le aveva offerto dei soldi: “Katniss, vivi a New York, lì la vita è molto più costosa. Sei giovane, inizia a spendere ciò che guadagni per te. Fa’ shopping, va’ al cinema, fatti un viaggio.”
Era facile parlare per la madre. Ma lei non era esattamente una persona socievole. Non aveva esattamente tanti amici. Ne aveva. Alcuni, ma gli impegni di lavoro li aveva allontanati. Da quando si era trasferita a New York aveva solo colleghi.
Quella mattina era così persa nei suoi ricordi e nella musica che ascoltava dal lettore mp3, che non si era accorta di aver raggiunto la sua fermata. Purtroppo il vagone era completamente pieno. I vari passeggeri non riuscivano a spostarsi, o almeno non erano riusciti a spostarsi abbastanza velocemente da permetterle di raggiungere l’uscita. Con un sibilo, le porte si chiusero davanti al suo viso e vide la stazione scomparirle davanti velocemente. Non riuscì a soffocare un grugnito di insoddisfazione. Sapeva che la colpa era completamente sua per essersi distratta a pensare, ma non riusciva a non riservare occhiate truci ai poveri e innocenti viaggiatori.
Alla fermata successiva, Katniss non perse nemmeno un secondo e si fiondò fuori dal treno. Infondo, quanto potrà mai essere lunga la distanza tra due stazioni della metro? Mentre valutava la direzione da prendere, si fiondò per strada. Era una mattinata di maggio. Il cielo era sereno. La giornata era fresca e ventilata. Era il clima perfetto per andare a lavoro. La giacca grigia del completo la difendeva egregiamente dalla tiepida temperatura mattutina. Maggio era perfetto: né freddo da farle maledire mentalmente la neve che ricopriva le strade newyorchesi, né caldo da farle incollare i capelli alla fronte. Era davvero una bella giornata. Guardò l’orologio. Erano le 08:45. Aveva solo un quarto d’ora per raggiungere l’ufficio. Si guardò velocemente in giro per orientarsi e subito si incamminò verso la strada che portava all’ ufficio. Dopo pochi minuti subito scorse il suo grattacielo. Era un palazzo interamente di vetro. Correndo, entrò nell’androne. Velocemente fece un cenno di saluto all’addetto della sicurezza all’ingresso e si diresse verso l’ascensore. Velocemente tentò di sistemarsi dietro un orecchio una ciocca ribelle di capelli neri che le era scivolata dal suo classico chignon. I suoi occhi grigi erano aperti e vigili. Era una persona mattiniera. Abitudine che aveva acquisito durante l’infanzia trascorsa nel Montana, tra i boschi e la caccia. Al quindicesimo piano si trovava la sede della sua società. Passò il badge. Il display dell’apparecchio mostrava le ore 09:05. Venti minuti aveva impiegato dalla metro per arrivare a lavoro. Per fortuna avrebbe dovuto recuperare solo 5 minuti. Con un sospiro di sollievo si diresse verso la segretaria per un veloce saluto. Era una donna sulla quarantina, con una voce squillante ed un abbigliamento troppo colorato per i suoi gusti.
“Buongiorno Katniss. Davvero una bella, bella, bella giornata oggi, non trovi?” la salutò con il suo tono davvero troppo squillante per quell’ora.
“Certo Effie, buongiorno anche a te.”
Era davvero una donna troppo appariscente. I suoi capelli biondo platino erano un pugno nell’occhio. Le labbra colorate di rosa erano davvero troppo carnose per essere naturali ed il suo tailleur color rosa shocking era talmente attillato da lasciare poco all’immaginazione. Eppure, lei sapeva bene che sotto quel look provocante si nascondeva una donna che definire stacanovista era riduttivo. Amava il suo lavoro e lo dimostrava. Mai un giorno di assenza, se non per malattia. Mai un minuto di ritardo. E di questo ne era contenta. Senza l’aiuto di Effie, non avrebbe mai saputo organizzare alla perfezione i mille impegni della sua carriera.
“Cara, prima di entrare in ufficio, il capo ti vorrebbe parlare. Ci sono delle grandi novità.” la sorprese facendole un occhiolino.
“Ah, si? Vado subito allora.”
Senza nemmeno posare la sua ventiquattrore nera, logora agli angoli dopo anni di lavoro, si diresse verso l’ultimo ufficio del grande corridoio. L’insegna della porta indicava solo un nome: Plutarch Heavensbee. Bussò un paio di volte e attese l’invito ad entrare del capo. Quando ricevette risposta, abbassò la maniglia ed entro nel più grande ufficio del piano. L’uomo, verso l’ultima metà dei suoi cinquant’anni, era vestito con un costoso completo marrone. Prima di prendere posto sulla comoda poltrona davanti alla scrivania, si perse per un attimo ad ammirare il grande panorama che si stagliava al di sotto dalle ampie vetrate che componevano i tre quarti della mura.
“Signorina Everdeen. Si sieda pure.”
Con un sorriso accennato, Katniss fece come le aveva detto. Non era una donna di molto parole e col suo capo, dopo quattro anni di lavoro, non sentiva il bisogno di fingersi più amichevole di quanto davvero fosse. Era stata la sua bravura, la sua capacità, a farle guadagnare quella posizione, non certo il suo buon carattere.
“Oggi ci ha appena raggiunto un suo collega dalla filiale di Sacramento. Speravo che potessi mostrargli la sede, il suo ufficio e magari metterlo un po’ a suo agio.”
La sua proposta la lasciò di sasso. Davvero non amava fare amicizia, e per lo più, non amava essere costretta ad intrattenere qualche belloccio californiano tutto muscoli e abbronzatura.
“Ma… non potrebbe farlo la Mason?” senza pensare aveva sollevato la prima obiezione che le era passata per la mente. Mentalmente si diede della stupida. La Mason… Tra tutti i nomi perché proprio quello di Johanna?
“Sa, meglio di me, Everdeen, che la Mason non è esattamente la persona migliore a cui affidare un incarico del genere.”
Certo che lo sapeva. Johanna era, se possibile, ancora più dura e antisociale di lei. Una forza della natura, certo. Bravissima nel suo lavoro e determinata come pochi. Eppure, con le persone, davvero non ci sapeva fare. Forse anche per questo, Johanna era una delle poche persone che apprezzava in quell’ufficio. Un’anima grigia come la sua. Poche parole, mai dolci. Ma una persona su cui sapeva di poter contare quando aveva un problema.
“Va bene, ho capito. Quando arriverà questa persona?”
“Oh, ma è già qui.”
Velocemente il capo alzò il telefono e compose il numero interno che lo avrebbe messo in contatto con la segreteria: “Effie, sì, mandami Odair.”
Dopo pochi secondi, entrò in ufficio uno degli uomini più belli che Katniss avesse mai visto. Doveva ammetterlo: i capelli ramati, la pelle baciata dal sole e gli occhi verde mare, facevano di Odair davvero un bellissimo uomo. Sui trent’anni probabilmente.
Il capo e Katniss si alzarono in piedi per permettere le opportune presentazioni.
“Katniss Everdeen, Finnick Odair. Odair per oggi lei sarà la tua accompagnatrice. Ti mostrerà gli uffici, il lavoro, come ci divertiamo qui alla District 12!” esclamò con un finto tono gioviale il capo, battendo le mani pesanti sulla schiena di entrambi.
“Ora andate pure. Everdeen per oggi sei libera dalle tue normali mansioni. Recupererai il lavoro perso domani, non preoccuparti!”
Fantastico, si ritrovò a pensare la giovane, cercando in tutti i modi di nascondere lo sguardo truce che di sicuro, normalmente, gli avrebbe rivolto. Ma era pur sempre il suo datore di lavoro. Quindi, si dipinse in faccia il sorriso più falso che poteva ed uscì dall’ufficio assieme al giovane.
Appena si chiusero la porta alle spalle, Odair le sorrise, sinceramente divertito.
“Bene, bene, Katniss.” si rivolse a lei come se fossero stati amici da tanti anni. Con tono cospiratorio continuò: “Che ne dici di svelarmi qualche segreto?”
La mora non riuscì a controllare il brivido che attraversò la sua spina dorsale. Non riusciva a capire cosa diavolo volesse quel tipo.
“Io… Io non ho segreti.” si trovò a balbettare, colta alla sprovvista e realmente a disagio. Quest’uomo, davvero, la inquietava nel peggior modo possibile.
Lui la guardò con una strana luce divertita negli occhi: “Ma certo, sono certo che tu non ne abbia. Io parlavo dell’ufficio. Come ci si diverte, qui?”
E proprio mentre il giovane distrattamente riposizionò la sua tracolla da lavoro da una spalla all’altra, notò un particolare che le fece tirare un sospiro di sollievo. Un cerchio dorato attorno all’anulare sinistro. Una fede. Dandosi mentalmente della stupida, gli porse forse il primo sorriso sincero di tutta la mattinata, o forse della settimana.
“Vieni Finnick, abbiamo la giornata libera, sentito? In ufficio c’è poco da vedere, è ora che ti mostri la città.”
Stupì anche se stessa per l’audacia della sua proposta, ma era forse il clima mite di maggio, o forse la sicurezza che quella fede le aveva trasmesso, o forse solo il fatto che il suo capo, distogliendole dai suoi compiti del giorno, le aveva reso possibile una fuga del genere. Non sapeva il motivo, ma sapeva cosa voleva fare quel giorno.
Il ragazzo, con un veloce occhiolino, fece un cenno verso l’ingresso. Velocemente schizzarono fuori, comunicando ad Effie che avrebbero solo fatto un veloce tour del palazzo.
“Odair, ti presento la grande mela, la città che non dorme mai: New York!”
 
Trascorrere il pomeriggio con Finnick non si rivelò assolutamente una cattiva idea. Katniss, si ritrovò più volte a pensare che davvero quell’uomo aveva una personalità complessa. All’apparenza era il tipo ragazzo da spiaggia: bello e poco furbo. Era, però, sufficiente che abbassasse la guardia solo per un po’, e si poteva scorgere la profondità della sua personalità.
“Sai, Katniss, non pensavo che il mio primo giorno di lavoro, sarebbe stato così interessante.” le disse porgendole un caffè che aveva appena preso da un chiosco all’angolo della strada. Erano su un panchina. I loro telefoni puntavano le ore 17.30. La giornata di lavoro era quasi finita, ben presto sarebbero dovuti tornare a lavoro, timbrare nuovamente per segnalare l’orario d’uscita, e tornare a casa.
“Vuoi una zolletta di zucchero?” interruppe con voce sexy il pensiero della giovane. Lei fissava quegli occhi verdi senza avere la forza di distogliere lo sguardo. Era davvero combattuta tra il prenderlo a calci e scoppiare clamorosamente a ridere. Aveva capito, ormai, che questo era solo il suo modo di scherzare. Non poté trattenersi più a lungo: scoppiò in una fragorosa risata. Non ricordava da quanti giorni non rideva così sinceramente e così tanto. Forse dall’ultima volta in cui Prim era venuta a trovarla. Forse.
“Odair, per favore! Se ti avesse sentito qualche bambino. Sei pregato di non sconvolgere la mente di poveri minori!”
Il biondo le rispose con uno sbuffo veloce, roteando la mano in cielo con fare noncurante: “Forza andiamo in ufficio! Stasera mi aspetta una triste serata solitaria, non vorrei arrivare in ritardo.”
“Tua moglie? Non è in città?” si maledisse lentamente per la sua stupida curiosità. Non erano affari suoi di sua moglie. Lui non gliene aveva parlato e magari sarebbe stato giusto non mettere l’argomento in mezzo. Ma questi suoi pensieri vennero interrotti da un sorriso sincero e da uno sguardo, per la prima volta, davvero stupendo di Finnick. Ora Katniss vedeva la vera bellezza del ragazzo. Era nel suo sguardo, nel suo sorriso, nella sua risata. Nella sincerità delle sue espressioni. Non era, tra le sue bellezze, quella che per prima ti colpiva. Ma era davvero la più potente.
“Annie per adesso è ancora in California. Arriverà venerdì. Doveva ancora concludere la sua ultima settimana di lavoro. E’ insegnante, sai? Lavora con i bambini.”
“Sembra fantastico.” e gli sorrise davvero con sincerità.
“Appena arriverà in città te la farò conoscere, sono sicuro che l’adorerai. Sono meno certo del fatto che lei possa piacerti più di me… ma infondo, questo è il rischio di sposare un adone come me.”
Katniss davvero non si fece scrupoli, questa volta, a sbattergli la sua ventiquattrore dietro la testa.
 
“Dai! Non voglio tornare a casa. Odio la solitudine, poi quell’appartamento è tutto in disordine, è tutto impolverato, davvero non ho voglia di tornarci!”
Era la decima volta che Finnick si lamentava del fatto di dover tornare a casa. Per essere un uomo di trent’anni, aveva la maturità di un quindicenne.
“Sarebbe l’occasione giusta per pulire casa, no?”
“Ti prego! Te l’ho già detto: offro io! Tutto io! Non amo nemmeno guardare la televisione! E poi, non dovresti essere gentile e aperta coi nuovi colleghi? Sai no, per socializzare?”
Sbuffò mentalmente un paio di volte. Puntò lo sguardo al cielo supplicando le forze misteriose che reggevano il mondo di aiutarla a superare anche quella nuova prova di resistenza.
“Odair! Ok. Andiamo, ma paghi tu e il posto lo decido io!”
“Signor sì, signora!”
 
Oggi davvero il destino era contro di lei. Non c’erano altre spiegazioni. Il suo ristorantino cinese preferito, che la sfamava coi suoi takeaway quasi tre sere a settimana, era eccezionalmente chiuso. Guardò con aria truce l’insegna e sbuffò mentalmente per la milionesima volta.
“Eh dai, Katniss, non fa niente. Guarda ci sono tanti altri locali in questa strada, scegline semplicemente un altro.” Concluse mettendole una mano sulla spalla con fare rassicurante. Odiava le persone troppo fisiche. E di certo Odair rientrava nel gruppo. Con un’alzata di spalle si allontanò dalla presa dell’uomo, sperando in modo poco scortese. Ma lui, al suo gesto, semplicemente ridacchiò.
“Va bene. Andiamo in quel locale lì.” E si diresse verso una panetteria. Era un locale piccolo, con tavolini e divanetti. L’insegna diceva “Mellark’s Bakery”. Non c’era mai entrata. Dopo solo qualche passo oltre l’ingresso, un profumo piacevole di pane le sciolse lo stomaco. Di fronte c’era un lungo bancone con varie vetrine che mostravano tutti prodotti appena sfornati e caldi. Alle pareti diversi quadri. Raffiguravano tutti dei paesaggi. C’era un lungo prato verde, un ruscello, una spiaggia, un paesaggio innevato. Erano stupendi.
Non riuscì a trattenersi, nonostante lo stomaco la spingesse verso il bancone, si avvicinò al quadro raffigurante il prato. In un angolo c’erano diversi alberi. Un bosco. Doveva essere un prato in un bosco. Iniziò a chiedersi dove si trovasse a New York un posto del genere. Ma forse, più probabilmente, non era a New York.
“Ti piace questo quadro?”
Una voce sconosciuta la fece sobbalzare e interrompere i suoi pensieri. Si voltò e vide che era un ragazzo. Alto poco più di lei, con delle spalle larghe, capelli mossi e biondi, gli occhi azzurri. Non poté far altro che fissare per diversi secondi quegli occhi. Non erano l’azzurro degli occhi di sua madre e Prim. Questi erano più scuri, di un blu più intenso. Come quello del mare aperto, non l’azzurro del cielo.
Annuì leggermente. “Sono molto belli.” gli rispose a voce bassa. Non amava conversare con gli sconosciuti, eppure si ritrovò a rispondere a quel ragazzo.
Lo vide arrossire leggermente alla sua risposta e aprire la bocca, stava per aggiungere qualcosa, quando una mano sulla spalla sorprese entrambi.
“Katniss, muoio di fame, perché non ci sediamo? Siamo stati tutta la giornata in giro e c’è un bel divanetto che ci sta aspettando.” Finnick, con la coda dell’occhio fece cenno ad un divano piccolo all’angolo della sala.
“Certo, andiamo.”
Dopo aver fatto un cenno di saluto al giovane sconosciuto si diressero verso il divano.
Subito, lo stesso ragazzo di prima si avvicinò a loro. “Se volete ordinare, potete chiedere a me.” disse loro con un sorriso educato.
“Ah, lavori qui?” si ritrovò Katniss a chiedersi, dopo poi maledirsi mentalmente per l’ennesima volta. Ovvio che lavorasse lì.
Il ragazzo si voltò verso di lei con un sorriso divertito, il sorriso raggiungeva i suoi occhi. Si ritrovò di nuovo a fissare quei bellissimi occhi. Erano limpidi, sinceri.
“Sì, certo. Questo locale appartiene alla mia famiglia e quando serve do spesso una mano.”
“Forza Katniss.” interruppe Finnick impaziente. “Ordina quello che vuoi, come ti ho detto prima offro io! Devo sdebitarmi per la bellissima giornata di oggi.”
“Non so se ti conviene, ho un leggero appetito al momento.” rispose ironica, per poi prendere il menù e ordinare più di quanto avesse in mente. In questo modo sperava che Finnick davvero avrebbe smesso di invitarla a cena fuori fino all’arrivo di sua moglie.
Eppure, la cena fu davvero piacevole. Il ragazzo era davvero divertente. La metteva a suo agio. La prendeva spesso in giro, ma aveva quasi capito il suo gioco. Più lei si ritraeva al suo tocco, più lui si spingeva vicino a lei. Più si innervosiva alle sue parole, più lui esagerava nel prenderla in giro. Così, di fronte al loro caffè, dopo la lauta cena, quando con voce sexy prese un zolletta di zucchero e con voce sensuale le chiese: “Vuoi una zolletta di zucchero?”
Non poté far altro che ridergli in faccia, prendere la zolletta ed immergerla nel caffè. Il giovane le offrì uno sguardo di approvazione: “Everdeen, credo che questo sia l’inizio di una lunga e duratura amicizia.”
“Chiudi il becco, Odair!”
 
Al momento del conto, entrambi si avvicinarono alla cassa. Dietro c’era il giovane riccio di prima.
“Finnick, non c’è bisogno! Davvero, dividiamo!”
L’altro sbuffò: “Ancora Katniss? Davvero non ci farei una bella figura!” e a quel punto si rivolse al giovane del quadro: “Se si invita una donna fuori a cena, si suppone che sia l’uomo a pagare, o sbaglio?”
L’altro gli offrì un sorriso di cortesia: “Solitamente è così che si fa agli appuntamenti.” Il suo sguardo azzurro incrociò per un attimo quello della ragazza.
“Esatto!” concluse Finnick.
“Ma questo non è un appuntamento!” si ritrovò ad obiettare, arrossendo, la mora.
“Particolari. Io ti ho invitato fuori, tu hai accettato, io pago! Puoi chiamarlo come vuoi, ma la sostanza non cambia.” la zittì Odair con un’occhiataccia.
La ragazza sbuffò rumorosamente e lasciò perdere. Che pagasse pure a questo punto.
Quando Finnick ricevette il resto e la ricevuta, il giovane della panetteria li fermò un attimo. “Scusatemi, se vi piacciono i quadri appesi alla panetteria, venerdì sera c’è una mostra alla New York Middle Academy School, se vi interessa…”
Finnick subito lo interruppe meravigliato: “Davvero?!” e dopo uno sguardo veloce a Katniss aggiunse: “A mia moglie piacerebbe tantissimo.” E così prese un depliant che il giovane gli offriva.
“A venerdì allora, li salutò.”
“Ci puoi contare!” salutò Finnick con un occhiolino.
Katniss lo salutò con un cenno del capo e mentre usciva dal locale si fermò a guardare ancora il giovane. Il suo voltò per un secondo mostrò la stanchezza che doveva provare in quel momento, ma fu solo un attimo. Sorridendo ricominciò a servire i clienti e a tornare al suo lavoro.
“Allora è andata? Venerdì torna anche Annie! Così te la potrò presentare per bene.” Improvvisamente il giovane si fermò a guardarla. Fino a quel momento non si era resa conto di guardare ancora il ragazzo del quadro attraverso le vetrate del locale.
“Oh, oh… Qui qualcuno ha una cotta!” la stuzzicò.
“Assolutamente, no!” negò lei indignata. “Non ho tempo per queste cose, l’amore è sopravvalutato. Torniamo a casa, su. Domani dobbiamo andare  a lavoro.”
Il giovane la guardò per un attimo, ma, per la fortuna di Katniss, lasciò cadere il discorso. Chiamarono un taxi e velocemente tornarono ognuno verso la propria abitazione.
 

 
   
 
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