Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Swindle    10/04/2014    4 recensioni
Sherlock è sparito e nessuno sa che fine abbia fatto. Quando ricompare, non è più lo stesso di prima, e John, Mycroft e tutte le persone che tengono a lui dovranno inoltrarsi nel suo Mind Palace per ricostruire l'enorme caso degli ultimi cinque mesi, quello che iniziò con Moriarty e il suo "miss me?", per capire cosa gli sia successo, chi ci sia dietro a tutti quei crimini e al redivivo Moriarty, e poter così salvare Sherlock... anche da se stesso.
[Dal cap. 4]: "The truth hurts, my deary, but this truth... Verity will burn you whole."
Post 3^ series.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Eccomi, gente! :)
In questo capitolo, tre nuovi PoV (che spero vi piaceranno), e il solito evergreen (sì, se non si fosse capito John ve lo beccherete praticamente sempre!). E mooolte meno note u.u

Un paio di avvisi:
1. il linguaggio è più volgare del solito (ma non credo vi creerà problemi...)
2. non sono una giallista, quindi non mi lanciate troppa verdura/frutta marcia per i casi, sia qui che in futuro... Insomma, io ho fatto del mio meglio, voi datemela buona ;)

Come dicevo a qualcuno, scrivo per divertimento, e parte di questo è conoscere le ipotesi e le idee che avete su come si evolverà la storia, sui personaggi, su ciò che succede... su qualunque cosa in realtà! (E scommetto che su questo capitolo ne avrete da dire... :P ) Quindi fatevi sentire e non abbiate timore di sparlare, che a me fa piacere! *.*

E ora basta chiacchiere, buona lettura e che il dio della deduzione (DDD) sia con voi! ;)













 

A Case of Identity - IV parte

 

 

 

 

***

 

 

Philip sbuffa. Sbuffa e borbotta. Sbuffa, borbotta e si chiede cosa diavolo ci faccia lì.

Ma ovviamente lo sa bene.

« Il dannato Mycroft "Governo Inglese" Holmes, ecco cosa ci faccio qui! » esclama, seguitando poi a inveire a voce alta contro l'uomo.

Tanto nessuno lo sentirà, non in quel momento - sono tutti a MayFair, ci scommette; non lì - a Baker Street.

« Dio, da quant'è che non entrano in 'sto posto? » si chiede, varcando la soglia dell'appartamento 221B.

Si da una veloce occhiata intorno: il salotto è al culmine della confusione, come è sempre stato ogni volta che il dottore forense vi ha messo piede. Ma bisogna ammettere che la questione sia rovinosamente peggiorata da quando John Watson è andato a vivere lontano da quella casa.

In più, negli ultimi tempi nemmeno Mrs. Hudson deve essere salita a pulire un minimo di quel macello, troppo presa dalla sua anca e da Sherlock e i suoi casini - come tutti d'altronde.

Anche Anderson lo è. Possono pensare quello che vogliono, gli altri - e soprattutto quel pallone gonfiato di un Holmes, ma Philip è preoccupato come tutti loro, per quanto riguarda Sherlock. È vero, ci sono state molte incomprensioni in passato, e ancora rimpiange il suo comportamento durante il caso Moriarty, come colse quell'occasione per vendicarsi di Sherlock e accusarlo di essere un impostore. Tutto era stato colpa sua, era nato da lui e dalle sue illazioni - be', anche da quelle di Donovan.

Ma le cose erano cambiate. Quando Sherlock si era ucciso - sì, era stato per finta, ma allora non lo sapevano - Anderson aveva capito la gravità del suo errore. Sapere di aver portato un uomo - e quale uomo in particolare - al suicidio aveva fatto scattare qualcosa in lui.

Si vergogna profondamente di quello, e anche del suo successivo crollo emotivo e intellettivo - per dirla in modo gentile. Era diventato ossessionato - per dirla in modo più specifico. Ossessionato da Sherlock e dalla sua idea che fosse ancora vivo. Voleva che fosse ancora vivo, perché non riusciva a vivere con quel rimorso addosso. La moglie si era separata da lui, per questo, e anche Donovan si era allontanata. Non che fosse mai stato qualcosa di serio, fra loro.

Philip si era ritrovato senza lavoro, a cercare di convincere tutti di qualcosa che… semplicemente sembrava impossibile. Sherlock si era buttato da quel tetto ed era morto, e nessuno l'avrebbe potuto riportare indietro. Tormentarsi - come aveva detto Lestrade - non sarebbe servito a nulla. Ma Philip l'aveva fatto lo stesso. Non aveva potuto farne a meno.

'Guilt. That's all this is. Do you honestly believe if you have enough stupid theories it's going to change what really happened?'[1] Questo gli aveva chiesto Lestrade, e Philip sapeva che c'era un fondo di verità in quelle parole. Ma non era solo il suo senso di colpa a farlo andare avanti: non aveva creduto in Sherlock quando ne aveva avuto l'opportunità, non avrebbe smesso di farlo nel momento in cui finalmente aveva aperto gli occhi su di lui.

E poi… Sherlock era tornato. Sul serio. E Philip era stato più felice di questo che del sapere di aver avuto ragione - anche del particolare che Molly Hooper ne fosse da sempre a conoscenza. Non aveva rinfacciato a nessuno un "te l'avevo detto", anche se avrebbe potuto. Anzi, era stato ancora ossessionato dal come Sherlock fosse riuscito a sopravvivere, finché lui stesso gli aveva dato una sua versione dei fatti - che ancora Philip non credeva vera, ma… il punto era che Sherlock così facendo l'aveva liberato. L'aveva ringraziato, a modo suo, per aver continuato a credere in lui; forse Philip era l'unica persona che non si fosse arresa. Doveva pur contare qualcosa.

E così Anderson era ritornato se stesso. Aveva riottenuto il proprio lavoro, era ritornato con la moglie, aveva ripreso la sua relazione saltuaria con Donovan - ma allo stesso tempo era cambiato tutto.

Sherlock non l'aveva più sbeffeggiato, e lui non l'aveva più insultato. C'era una specie di accordo silenzioso fra loro, adesso. Certo, non avrebbe potuto dire di essere un suo amico, ma… era una persona che Sherlock sopportava, e non disprezzava più - non più di tanto o più delle altre persone, per lo meno. E questo era già tanto per quel genio di detective.

Lo rispettava, in un certo senso. E a Philip andava bene così.

Per questo gli girano piuttosto i coglioni a vedere come il più grande degli Holmes lo tratti.

In quei mesi, durante il Grande Caso Moriarty, ha cercato di dare una mano come poteva - non avrà certo l'IQ dei fratelli Holmes, ma non è nemmeno così stupido come sembrano tutti pensare. E anche in quegli ultimi giorni, dopo il ritrovamento di Sherlock, si è messo a disposizione. E Holmes l'ha trattato peggio di uno zerbino - con i suoi sorrisetti e le sue minacce velate.

« Fottuto fottuto fottuto di un Holmes! » ripete, facendo qualche passo all'interno del salotto.

Molla le chiavi dell'appartamento sul tavolino, si porta le mani ai fianchi e con sguardo pensieroso osserva intorno a lui.

« Dunque… da dove comincio? » si chiede.

Ha sempre avuto l'abitudine di parlare da solo, pronunciare ad alta voce i propri pensieri lo aiuta a concentrarsi, ovviamente quando non c'è nessun'altro in vista - soprattutto un certo Sherlock Holmes, o la cosa potrebbe ritorcerglisi contro. Dopo i due anni della morte apparente di Sherlock, oltretutto, la mania si è fatta più pressante.

« Vada a Baker Street, Anderson. » esclama girando gli occhi, la voce bassa e melliflua nell'imitazione di Mycroft Holmes, « Cerchi il suo cellulare, Anderson. Questo è un ordine, Anderson! Non vorrà mica sapere cosa potrebbe succedere, Anderson?! »

Philip sbuffa, imprecando di nuovo a denti stretti.

Mycroft Holmes l'aveva chiamato il giorno prima, ordinandogli di andare a Baker Street in cerca del cellulare di Sherlock. Philip si era permesso di replicare, dicendo che aveva migliaia di uomini al suo comando, il fottuto Holmes, quindi proprio non vedeva la necessità di spedire lui, che aveva altro da fare: un lavoro, ad esempio. In realtà Philip ci sarebbe andato volentieri - desiderava davvero aiutare Sherlock, possibile che nessuno lo comprendesse? - ma non sopportava il tono saccente che il più grande degli Holmes usava con lui, come fosse una marionetta ai suoi comandi.

In più, era chiaro che quello fosse un compito inutile. L'MI-5 aveva già controllato l'appartamento di Sherlock da cima a fondo, come prima cosa quando il detective era sparito. Quindi era impensabile che Anderson, da solo - gli era stato vietato di portare con sè qualcuno del fan club che aveva fondato - potesse trovare qualcosa.

Il fottuto Holmes lo stava facendo apposta, naturalmente.

E in modo altrettanto ovvio, alla fine Philip aveva dovuto cedere. Così eccolo lì, a cercare di decidere da che parte cominciare in quel casino. Per fortuna conosce bene il 221B di Baker Street, per quante volte si è trovato a farci delle retate - in cerca di droga, soprattutto.

Philip si infila lentamente dei guanti in lattice - « Veda di fare un lavoro pulito, dottor Anderson. Baker Street potrebbe ancora essere sorvegliata. » gli aveva detto Holmes. Si guarda intorno.

« Ok, cominciamo dai soliti posti. » dice, dirigendosi verso il camino.

Mezz'ora dopo, il salotto è stato completamente controllato - il camino, il teschio, il poster alla parete, le poltrone, il divano, il tavolino… Philip ha guardato ovunque, non trovando nulla di interessante, a eccezione di qualche sigaretta dimenticata fra i cuscini del divano chissà quanto tempo prima.

« Bene, passiamo alla cucina. » apre bocca solo per abitudine.

La cucina è più lunga da controllare, con tutti gli sportelli dei mobili, gli utensili, le pentole, i contenitori del cibo - anche se nella maggior parte ci sono altre cose, il frigo - quello è un processo disgustoso, Philip storce il naso più volte, e infine tutti gli strumenti che Sherlock usa per i suoi esperimenti.

Dopo un'ora Philip si arrende. Ha trovato di tutto e di più, cose che ci metterà un po' a dimenticare, ma nessuna traccia di cellulari, o anche sostanze stupefacenti, se è per questo. Non che le trovassero mai - nemmeno quando erano sicuri che il detective si stesse facendo.

Si toglie i guanti sporchi, buttandoli a terra, e sprofonda sul divano, reclinando la testa all'indietro.

« Se continuo così starò qui tutto il pomeriggio, maledizione! »

Si passa una mano fra i capelli. Guarda l'ora, sospira, e si infila un nuovo paio di guanti.

« Tocca al bagno. »

Un'altra mezz'ora è persa tra i sanitari, la doccia, e l'armadietto in cui Anderson trova diverse provette il cui colore e odore tutto indicano meno che siano prodotti per la pulizia personale. Philip rimette tutto a posto con una smorfia di ribrezzo sul volto.

« La camera. » geme Philip, uscendo dal bagno.

Ha lasciato la stanza di Sherlock per ultima, sperando di trovare qualcosa nel frattempo, qualcosa che gli impedisse di dover controllare anche lì dentro ma… seriamente, ancora ha speranza di trovare qualcosa?

« Potrei andarmene e dire al fottuto Holmes che non ho trovato niente. Tanto non troverò nulla nemmeno lì, e Holmes lo sa benissimo. Non saprebbe mai che non sono entrato nella camera di Sherlock. »

Si passa una mano guantata sul volto.

« No, invece. Lo capirebbe di sicuro, lui e il suo dannato cervello ipertrofico da Holmes! »

Philip sbuffa, guardando verso il salotto, verso l'uscita che lo chiama a sé. Sospira.

« E va bene. Andiamo. »

Anderson spende altri tre quarti d'ora nella camera di Sherlock, e odia ogni istante di quella ricerca che sembra quasi un'impresa speleologica. L'armadio è un vero disastro: indumenti buttati a caso, cassetti che si chiudono a malapena per quanto sono pieni, libri, strumenti scientifici e resti vari di cui Philip preferisce non conoscere la provenienza.

« Ma quanto cazzo sei disordinato, Sherlock? » chiede, pensando però al modo di vestirsi sempre perfetto del detective.

Un'altra delle sue numerose magie.

Alla fine torna in salotto, buttandosi sul divano, irritato come non mai.

Non c'erano speranze che trovasse qualcosa, è vero, ma ormai era diventata una sfida tra lui e Holmes, e ora Anderson detesta il fatto di tornare da lui a mani vuote. Tanto per dargli un ulteriore motivo per trattarlo come uno straccio, come un incompetente.

Philip riflette, sdraiato sul divano, le mani abbandonate sullo stomaco, una gamba che dondola oltre l'orlo del sofà, lo sguardo fisso al soffitto.

« Che posso fare? Non posso arrendermi così. » medita.

All'improvviso qualcosa passa nei suoi occhi, si tira su di scatto a sedere, continuando a guardare il soffitto.

« John! » esclama, prima di scapicollarsi al piano di sopra, saltando gli scalini due alla volta.

La ex stanza di John Watson è completamente immacolata, come è probabile che l'abbia lasciata l'inquilino prima di sposarsi.

« Strano, avrei giurato che Sherlock l'avesse trasformata in una specie di laboratorio. » commenta in modo distratto.

E invece è vuota, tranne per il letto, il comodino e l'armadio, che sembrano essere intoccati, come appena usciti dal negozio.

La rivelazione di Anderson è semplice: John se n'è andato da quella casa mesi prima, e se nel tempo in cui ha vissuto lì nessuno ha mai pensato che Sherlock potesse aver nascosto qualcosa in quella stanza, ora che non c'è più la cosa è diversa… Ma Philip è abbastanza sicuro che nessuno vi abbia controllato perché, appunto, troppo sicuri che quella fosse una parte pulita e off-limits della casa.

Ci mette meno di un quarto d'ora a girare tutta la stanza, aprendo comodino, armadio, controllando tutti gli sportelli e il letto. Non trova nulla, è tutto tristemente sgombro. Si accascia sconsolato appoggiandosi sullo stipite della porta.

« Troppo bello per essere vero. » sospira. Sembra si sia illuso per nulla.

I suoi occhi vagano ancora una volta per la stanza, ormai pronto a dare forfait, quando all'altezza del suo sguardo, vicino alla testata del letto, nota qualcosa di strano.

Si avvicina, avanzando in ginocchio, per osservare meglio, e ne ha la conferma: la carta da parati che sparisce dietro alla testata ha una piccola incisione, invisibile a meno di non guardarla da molto vicino.

Philip spinge il letto più in là, incuriosito dalla scoperta, l'eccitazione che già comincia a percorregli le vene.

Quando il letto è rimosso del tutto, si trova davanti a un quadrato di venti centimetri per lato, inciso solo su tre lati, mentre il quarto rimane attaccato al resto della carta da parati. È come se qualcuno avesse sollevato il pezzo di carta, tagliandolo con un cutter, per poi riposizionarlo nello stesso punto, facendo ricombaciare il tutto come se nulla fosse cambiato.

Philip percorre le incisioni con il dito, cercando dove far leva per alzare il quadrato di carta senza rovinarlo. Alla fine trova un punto debole nell'angolo in basso, e con attenzione comincia a sollevarlo, fino a scoprire definitivamente il muro dietro.

Solo che il muro non c'è.

Qualcuno ha asportato il mattone che doveva esserci in quel punto, oppure ha fatto un buco direttamente nel muro, così che ora al suo posto vi è una rientranza.

« Bingo! » esclama Philip, per poi deglutire notando cosa si trovi all'interno.

C'è una piccola scatola di legno, quadrata, tra i dieci e i quindici centimetri per lato, per cinque o sei di spessore. Anderson la afferra con delicatezza, asportandola dal buco come se fosse il più prezioso dei tesori.

Il legno è pregiato, di ebano a giudicare dal colore, laccato con dello smalto protettivo trasparente. Tutta la scatola è percorsa da decori argentati, ghirigori a fantasia che fanno un bel contrasto con il legno scuro. Al centro, sul coperchio, svetta una grossa acca maiuscola, scritta con stile medievale, incisa nel legno e poi ricoperta della stessa vernice argentata delle decorazioni.

« Be', almeno non ci sono dubbi di chi sia il proprietario. »

Anderson si interroga per una frazione di secondo: dovrebbe aprirlo? Forse sarebbe meglio consegnarlo così come l'ha trovato nelle mani di Mycroft Holmes. E Philip già pregusta l'espressione stupita che gli si dipingerà sul volto quando gli dirà che ha effettivamente trovato qualcosa di interessante.

« Ora non mi tratterai più come un cretino, mh, Holmes?! » esclama orgoglioso.

Abbassa di nuovo gli occhi sulla scatola, percorrendo con i polpastrelli la lettera incisa sul coperchio. Deglutisce. Cosa si nasconderà all'interno? Un diario segreto, forse? Per poco non scoppia a ridere al solo pensiero di Sherlock che scrive i suoi pensieri su un quaderno. No, la curiosità è troppa. Afferra il coperchio da un lato e lo solleva.

I suoi occhi si allargano, mentre un'espressione sorpresa gli apre il viso.

« Cazzo! » si lascia sfuggire dalla labbra.

In un solo movimento prende il proprio cellulare dalla tasca dei pantaloni e compone un numero. Quasi non da' il tempo a Lestrade di rispondergli.

« Capo. » dice, « Non ha idea di cosa io abbia appena trovato. »

 

 

***

 

 

« Billy. »

Il ragazzo era in piedi nel salotto del 221B, appoggiato alla parete vicino al divano, stuzzicava i fori di proiettili accanto allo smile giallo, l'aria assente e una sigaretta spenta dietro l'orecchio.

Sherlock era sprofondato nella sua poltrona preferita, le gambe allungate davanti a sé, la testa reclinata in avanti sulle dita unite, e gli occhi chiusi.

Era immerso nel suo Mind Palace, e per questo Billy non aveva fatto cenno di averlo sentito quando il detective aveva pronunciato il suo nome. Avrebbe potuto sussurrare qualunque cosa, in quello stato, e poi sgridarlo infastidito se avesse provato a replicare.

« Billy! »

Questa volta il suo nome venne esclamato con più forza, e allora il ragazzo si voltò, guardando l'uomo con occhi spenti.

« Mh? » mormorò.

Sherlock si mosse con uno scatto repentino, aprendo gli occhi e issandosi sulla poltrona con i piedi nudi sulla seduta, accovacciato in bilico in una posizione che il ragazzo non trovava per niente comoda. "Oh be', questo è Sherlock Holmes."

Il detective gli indicò il tavolino davanti a sé, facendogli cenno di avvicinarsi. Billy obbedì, le mani in tasca, senza tuttavia accomodarsi davanti a Sherlock. Quella era la poltrona di John Watson, Billy lo sapeva bene.

Gli occhi del detective erano concentrati sui vari oggetti sparsi sul tavolino. C'era la scatolina rossa, quella che Moriarty aveva usato per mandare al suo sfidante il primo enigma, e tutto ciò che Sherlock vi aveva trovato all'interno.

"Ecco, gli servo. Per riflettere. Perché non c'è John."

Sherlock aveva bisogno di una platea che ascoltasse i suoi ragionamenti, gli serviva per schiarirsi le idee una volta che queste avessero preso posto nel suo cervello, Billy questo lo sapeva. Come sapeva che lo spettatore preferito del detective era John Watson, lui non era che un mero sostituto, in sua assenza. Non che a Billy dispiacesse. Voleva trattenere come una spugna tutto ciò che usciva dalle labbra del genio che aveva eletto a suo mentore, tutto ciò che potesse servirgli a imparare, a emularlo, a essere come lui.

Sherlock, inconsapevole dei pensieri del ragazzo, stava intanto puntando un paio di foto appoggiate sul tavolino.

« Chi è? » chiese.

Billy lanciò uno sguardo alle fotografie. Ritraevano una giovane donna dai capelli di un castano chiaro e i grandi occhi nocciola. Billy aveva sentito parlare di lei, nelle ore precedenti, da quando Moriarty aveva lanciato la sua sfida. Mancavano poco più di sei ore allo scadere del tempo che era stato concesso al detective.

« Mary Sutherland. » rispose con la sua solita voce strascicata.

Sherlock annuì senza guardarlo. Era proprio vero: gli serviva solo un essere parlante per i propri scopi.

"Forse nemmeno pensante." si disse Billy.

« Mary Sutherland, classe 1960, a ventiquattro anni assassinò sua sorella Cassie e per questo venne condannata all'ergastolo. Sotto un'unghia della vittima fu rinvenuto un campione di pelle che il coroner attribuì proprio a Mary, e l'anatomo patologo successivamente confermò, ritrovando anche sul corpo di Cassie evidenti segni di una colluttazione. » Sherlock si interruppe per un secondo, mostrando un frammento di pelle immerso nel liquido di formalina in una piccola provetta, « L'epidermide in questione dovrebbe proprio essere questa che Moriarty mi ha così gentilmente fornito, e a giudicare dagli esami del sangue che sono riuscito a recuperare, il DNA combacia con quello di Mary. »

Sherlock si leccò le labbra, lo sguardo perso per un secondo. Billy avrebbe potuto chiedere qualcosa, ma non era ancora il momento, il detective non aveva finito, avrebbe dovuto solo aspettare. E infatti ricominciò a parlare velocemente pochi istanti dopo.

« La morte sopraggiunse per un colpo dietro alla nuca, piuttosto forte dato il decesso sul colpo, ma i segni intorno al collo, così come lo stato delle vie respiratorie, indicavano un tentato omicidio per soffocamento. Riassumendo: Mary e Cassie devono aver lottato, Cassie ha graffiato la sorella, ma Mary deve aver preso il sopravvento a un certo punto, sovrastandola e stringendole le mani alla gola. La colluttazione deve essere stata piuttosto feroce, Mary deve aver scaraventato la testa della sorella a terra o contro la parete, uccidendola. E questa è stata la ricostruzione dei fatti a opera della polizia prima e dell'avvocato d'accusa poi. Le prove contro di lei erano schiaccianti. Nessun alibi al momento del delitto, venne ritrovata ore dopo l'ora del decesso della sorella in stato confusionale. »

« Sembra semplice. » si lasciò sfuggire Billy.

Sherlock fissò gli occhi nei suoi.

« Esatto. L'opinione pubblica si rivoltò per questo evento e nessuno, delle persone in alto, voleva scatenare una rivolta mediatica. La ragazza, per tutto il processo e, da quanto mi è dato di sapere, anche per tutto il periodo che trascorse in prigione fino alla morte avvenuta solo sei anni più tardi, continuò a professarsi non colpevole. Ma, forti delle prove, dichiararono colpevole Mary di omicidio volontario e la rinchiusero in prigione. Non è raro che il colpevole affermi di essere innocente anche di fronte a prove lampanti, e così il caso venne chiuso molto il fretta. Hai ragione Billy, sembra tutto fin troppo semplice. E non solo per il fatto che Moriarty mi ha sottoposto questo enigma… »

Sherlock prese in mano le due foto e le osservò per qualche secondo, una mano che andava a scompigliarsi i capelli.

« Mary soffriva di depressione. O almeno così è riportato sui referti medici. In ogni caso, era in cura da uno psichiatra già da un anno, quando avvenne il delitto. Uno psichiatra per una semplice depressione, vedi? Non sembra strano anche a te? Non ho trovato nulla di più specifico però. Poi c'è anche da considerare che oltre a professarsi innocente, affermò di non ricordare nulla dell'ora in cui era avvenuto l'omicidio, come se avesse subito un'amnesia. Ovviamente nessuno le credette. E tuttavia, che motivo aveva di uccidere la propria sorella? Il movente è inesistente. »

Sherlock si accomodò di nuovo sulla poltrona, i piedi nudi ancorati a terra, le punte delle dita che cominciavano a toccarsi.

"E ora di nuovo chiuso nel Mind Palace. Fantastico." pensò con ironia, "Ciao ciao Sherlock."

« Che cosa pensi? » chiese allora, per farlo rimanere lì con lui.

Sherlock gli lanciò un'occhiata speculativa, una strana luce che gli passava negli occhi. Con un elegante movimento prese le due foto dal tavolino per poi posargliele in mano.

« Chi è? » chiese di nuovo.

Billy lo guardò confuso. « Mary Sutherland. » rispose esitante, con lo stesso tono di qualche minuto prima.

« È la stessa donna in entrambe le foto? »

Billy guardò le immagini nelle sue mani. Le foto erano a mezzo busto, i vestiti erano diversi ma lo stile lo stesso: camicetta e maglioncino, un pendente d'oro al collo. Il volto era magro, leggermente tondo, i capelli lisci a incorniciarlo, una corta frangetta, gli occhi grandi e le ciglia lunghe.

« Sì che è la stessa donna. » replicò, senza capire dove il detective volesse andare a parare.

« E allora dimmi: ti sembra la stessa donna? »

Billy alzò un sopracciglio, interdetto dalla strana domanda. "Che?!" si chiese.

Tornò a osservare le due foto, questa volta con più attenzione. "Dedurre, dedurre, devo dedurre. Cosa posso dedurre?"

La ragazza non sorrideva in nessuna delle due foto. Nella prima aveva uno sguardo spaventato sul fondo degli occhi spalancati, e si torturava le labbra con i denti, le sopracciglia increspate, un pallore diffuso su tutto il volto.

Nella seconda era completamente diversa: gli occhi erano più stretti, come se stesse affilando lo sguardo e fissando con disprezzo chi le stava davanti, le guance erano percorse da un lieve rossore, i capelli erano spettinati, la frangetta non perfetta come nell'altra foto. Ma l'elemento più disturbante erano le labbra, aperte in un piccolo ghigno, e la luce inquietante a illuminare gli occhi.

Tutte cose che a uno sguardo poco attento sarebbero sfuggite, ma ora che Sherlock gli aveva indicato la via, gli aveva fatto dedurre oltre che guardare, la differenza era lampante.

Era sicuramente la stessa donna in entrambe le foto. Ma non sembrava affatto la stessa persona.

Alzò lo sguardo su Sherlock, per chiedergli spiegazioni, ma quello aveva chiuso gli occhi e si era inabissato nel suo Mind Palace.

 

« Billy. »

Il ragazzo alza appena la testa dalla sua posizione, seduto per terra, la schiena appoggiata al muro, le gambe piegate e larghe, i gomiti appoggiati alle ginocchia, le mani unite davanti a lui. Fissava il terreno fino a pochi secondi prima, senza vederlo, perso nei suoi ricordi.

Ricordi che potrebbero essere essenziali per la ricostruzione dei fatti che stanno tutti facendo per aiutare Sherlock, ma a cui lui non può partecipare. In parte perché, andiamo, cosa potrebbe avere un ragazzetto spostato come lui d'importante da dire?

E anche se fosse, come gli ha spiegato Mycroft Holmes, siccome lui è l'unico di cui Sherlock conserva un ricordo intatto, è bene che non si schieri nella faccenda, ma che rimanga in disparte, magari provando a ottenere quella fiducia che Sherlock ha tolto a tutti i propri amici.

"Come se si sia mai fidato di me." aveva pensato con un pizzico di amarezza, quando Holmes gli aveva detto quelle parole, "Sono solo il suo cagnolino." Mentre aveva solo scrollato le spalle e bofonchiato un « Okay. »

E invece qualcosa da dire ce l'avrebbe, come quando Sherlock gli aveva presentato le sue deduzioni, per quanto in maniera sibillina fossero state poste.

« Billy? »

Il ragazzo solleva del tutto la testa, incrociando finalmente lo sguardo di Sherlock Holmes.

Sherlock Holmes, che stava dormendo fino a poco prima, e di cui Billy aveva cercato la silente compagnia, senza accorgersi poi del suo risveglio. Sono soli nella stanza, e forse anche nell'intera casa, Sherlock nel letto e lui attaccato alla parete di lato.

« Che ci fai qui? » chiede il detective, trapassandolo con occhi cristallini.

Billy alza le spalle. "Tanto non ho altro dove andare."

Gli occhi del detective si assottigliano.

« Non dovresti fumare qua dentro, sai? Il mio caro fratello non te l'ha spiegato? »

Billy sposta lo sguardo sulla sigaretta abbandonata fra le sue dita. "Quando l'ho accesa?" Non lo rammenta. Non che sia importante.

In un gesto accennato sporge dita e sigaretta incriminata verso il detective.

Sherlock annuisce, cogliendo al volo l'invito.

Billy si alza lentamente, si avvicina a lui con calma, per poi allungargli la sigaretta. Rimane al fianco del detective finché questo non afferra la sigaretta dalle sue dita, se la porta alla bocca e prende un lungo respiro.

« Dio. » lo sente gemere, mentre reclina la testa all'indietro e soffia fuori dalle labbra una lunga nuvola di fumo grigiastro.

Billy è sempre stato affascinato dal fumo, e forse è più per questo che per altro che ha imboccato quella strada.

Arretra senza staccare gli occhi da Sherlock, fino a raggiungere con la schiena la parete. Si lascia scivolare per terra, riprendendo la stessa posizione di pochi minuti prima.

Sherlock gli rivolge di nuovo lo sguardo, e questa volta c'è un luccichio divertito nei suoi occhi.

« Solo tabacco, eh? » commenta.

Billy scrolla le spalle. È un qualcosa che fa spesso.

« Niente di peggio della roba che ti stai inniettando tu. » si difende per nulla preoccupato, strascicando le parole, e gesticolando verso i tubicini attaccati al braccio del detective.

Non è difficile capire che si riferisca alla morfina.

Sherlock ride, una bassa risata gutturale, e prende un'altra boccata.

« Non che la cosa ti dispiace, mi pare. »

« No, infatti. » replica, alzando un sopracciglio, « Ma non parlare così. »

« Come? »

« Sgrammaticato. Sei intelligente, lo sai. »

« Allora… » Billy inclina la testa, un sorrisetto che gli appare sul volto per il complimento indiretto del detective, « 'Non ce la cosa ti dispiaccia, mi pare'? » ripete.

« Meglio. » annuisce Sherlock, asciutto.

Poi si abbandona all'indietro sul cuscino, respirando un'altra boccata di sigaretta.

« Mmm. » commenta « Come mi è mancato fumare. »

Billy lo osserva respirare lentamente la sigaretta, tiro dopo tiro, mentre il fumo rotola su se stesso e s'innalza al soffitto.

La verità è che non importa a nessun'altro, tranne che a lui. Mycroft Holmes è fin troppo geniale, volendo ci arriverebbe prima del fratello; Lestrade è interessato solo ai risultati, ad acciuffare il colpevole; John Watson si limita a stupirsi e a complimentarsi entusiasta con lui, cosa che comunque al detective piace moltissimo. "E a chi non piacerebbe?" sbuffa fra sé e sé.

Quindi, rimane lui. Solo a Billy interessa conoscere tutti i procedimenti, il modo in cui funziona la mente di Sherlock Holmes, come arrivi da un particolare a un'idea, da un'osservazione a una deduzione. Solo lui vorrebbe imparare, apprendere, diventare come Sherlock Holmes.

Forse per questo nessuno è attirato dal sapere esattamente come Sherlock sia arrivato alla conclusione di quel primo enigma di Moriarty, a nessuno importa sentire il racconto di Billy.

« A cosa pensi? » gli chiede all'improvviso Sherlock, e per poco Billy non sobbalza, per quanto sia simile alla domanda che lui stesso gli aveva posto quel giorno di diversi mesi prima.

Billy scuote la testa. « Niente di importante. » commenta.

Billy osserva lo sguardo del detective farsi lontano, fino a che è sicuro che non lo stia vedendo nemmeno più, nonostante i suoi occhi siano ancora puntati sul ragazzo.

« Secondo te dovrei crederci? » chiede.

« A cosa? » risponde Billy, un brivido che gli scorre lungo la schiena.

« A questa cosa… del lavaggio del cervello. » ribatte.

"Ecco, ci siamo." Billy si stringe nelle spalle.

« Non saprei. »

Sherlock lo fissa intensamente, e non c'è alcuna possibilità, ora, che non lo stia vedendo.

« Io mi ricordo tutto di te, giusto? »

Billy annuisce.

« Nulla di strano? »

« No. »

« Mettiamoci alla prova, vuoi? »

« Come preferisci. »

« Chi sei? »

« Il tuo protetto. » Billy non esita, « Quando morirai, mi prenderò le tue cose. E il tuo lavoro. »

Sherlock lo guarda, divertito.

« Mh. Nope. »

« Be'… ti do una mano. »

« Ci sei quasi. »

« E se vieni ucciso o qualcosa di simile… » [2]

« Mi pare che sia già successo qualcosa di simile, e tu sei ancora qui. »

Billy fa una smorfia, Sherlock sorride. Ma torna subito serio.

« Allora dovrei potermi fidare di te. »

Billy si lecca un labbro. "E mo' che gli dico?"

« Ti sei mai fidato di me? » chiede alla fine, scegliendo un approccio aggressivo-passivo.

Un sorrisetto spunta a un angolo della bocca del detective, e Billy tira un sospiro di sollievo. Forse è riuscito a evitare la domanda, anche se è sicuro che l'altro abbia capito la sua strategia.

« Cosa ti sta facendo cambiare idea? » chiede però, incapace di contenere la propria curiosità.

« Non sto cambiando idea. » replica lentamente il detective, « È solo… »

Billy osserva, e vede il detective tormentarsi le mani, sente la sua voce affievolirsi. Quello non è lo Sherlock di quei giorni, terribile, velenoso, beffardo, e non è nemmeno il vecchio Sherlock, il genio sempre con tutto sotto controllo. È uno Sherlock diverso, solo, spezzato, combattuto. È strano pensare che sia proprio Billy l'unico che possa vederlo così fragile.

C'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto ciò.

« I miei ricordi sono confusi. » ammette alla fine Sherlock, « Sia quelli del mio rapimento che i precedenti. Su questi ultimi non c'è bisogno che io mi spieghi, ma quelli della mia prigionia… c'è un dettaglio interessante da considerare. »

Billy deglutisce, sapendo che il detective è in procinto di svelargli qualcosa di importante.

« Cioè? » chiede, esortandolo a continuare.

« Perché la mia memoria è nebbiosa anche in quel caso? Se sono stato torturato e seviziato, che motivo hanno potuto avere i miei aguzzini per farmelo dimenticare? »

"Forse perché non volevano che ricordassi la verità? Che capissi quanto a fondo ti hanno fottuto il cervello?" questo Billy sarebbe tentato di dirgli, ma avrebbe un effetto devastante, così si morde le labbra per impedire a quelle parole di uscirgli dalla bocca.

"Che cazzo. Se decidessi io qui, le cose sarebbero diverse!" pensa però con stizza.

« Non ricordi proprio nulla? » chiede invece, tentando di calmarsi.

Sherlock fa un sorriso triste, un'espressione assente negli occhi.

« Qualcosa. Ma sono più parole, sensazioni, immagini… cose che, più che altro, rivivo nei sogni. »

Gli occhi del detective si allontanano da lui, e Billy capisce che la conversazione è finita. Sherlock teme di essersi esposto troppo.

Billy lo guarda, le mani strette in grembo, il mozzicone di sigaretta ancora tra le labbra, lo sguardo perso, la schiena curva.

Osserva e deduce: la verità è che Sherlock Holmes ha bisogno di qualcuno con cui parlare, di qualcuno di amico accanto a sé. Ed è triste pensare che fuori da quella stanza ci siano diverse persone ad esserlo davvero, senza che Sherlock lo ricordi.

Billy vorrebbe essere quella persona, solo che non lo è.

 

Quando Billy svicola fuori dalla stanza di Sherlock, il detective si è appena riaddormentato. Sembra deciso, in quei giorni, a recuperare tutto il sonno di cui si è privato nel corso della sua vita, "O forse durante la prigionia."

La sua intenzione è uscire in silenzio dall'appartamento, così come ci è entrato, ma una mano cala sulla sua spalla, e il ragazzo chiude gli occhi. "Beccato." sospira.

« Wiggins. » lo apostrofa una nota voce melliflua.

Billy si volta con calma ad affrontarlo.

« Mr. Holmes. » dice con voce piatta, a mo' di saluto.

Mycroft sorride affabile.

« Ragazzo, è da ieri pomeriggio che ti cerco. Possibile che tu non sia rintracciabile? »

Billy fa spallucce.

« Nessuno mi ha detto di doverlo essere. » ribatte insolente.

« Attento… » lo avverte Holmes, gli occhi che lo scrutano a fondo.

Poi fa schiocchiare la lingua, e quando torna a parlare il suo tono di voce è di nuovo gentile.

« Ho un lavoretto per te. »

« Che tipo di lavoretto? » chiede, curioso suo malgrado.

« Oh, niente di preoccupante. Vorrei che tornassi in quella vostra casa là » e dal modo in cui pronuncia la parola 'casa' Billy capisce che tutto vuole dire tranne quello, « dove hai trovato Sherlock, per intenderci, e cerchi il suo cellulare. »

« Il suo cellulare? »

« Sì. Non lo troviamo più, e può essere importante per il caso. È possibile che sia finito… da qualche parte, laggiù. »

Mycroft fa una smorfia, come se già Billy non avesse compreso quanto disprezzi la casa di quartiere dove si ritrovano i drogati.

"Vediamo di divertirci un po'." sorride.

« Intende dire nel luogo dove io e suo fratello ci sparavamo in vena qualsiasi schifezza ci passasse davanti? Per caso vuole le porti un souvenir? »

Mycroft lo fulmina con gli occhi, ma evidentemente non vuole stare al suo gioco, visto come replica.

« No, grazie. Mi basta il cellulare di Sherlock. »

"Cambiamo metodo, allora."

« E a me che me ne viene? »

« Prego? » Mycroft solleva un sopracciglio.

« Voglio qualcosa in cambio, per questo… lavoretto. »

Entrambe le sopracciglia di Mycroft si levano sulla fronte. Poi si schiarisce la gola, ricomponendosi.

« Molto bene, allora. Avrai una casa tua. »

Billy spalanca agli occhi. "Ma che cazzo…" Non credeva che il vecchio potesse cascarci sul serio.

Mycroft sorride furbo, sapendo di averlo sorpreso.

« Dice davvero? » non può impedirsi di domandare il ragazzo.

« Penso tu preferisca dormire con un tetto sulla testa, mh? »

Billy annuisce, tentando di riprendersi, ancora esterrefatto.

« Siamo d'accordo? » chiede Holmes, tendendogli una mano.

Billy si affretta a stringerla nella sua. Sta per suggellare l'affare anche a parole, quando il suono di un telefono li interrompe.

Mycroft estrae dalla tasca un cellulare e pigia il tasto verde per ricevere la chiamata.

« Lestrade? » chiede subito, leggermente stupito.

Billy non riesce a sentire cosa il DI dica dall'altra parte della cornetta, ma il volto di Holmes si fa via via più scuro, mentre gli lascia la mano. Si allontana, l'ombrello che batte a terra alcune volte in modo frenetico, dicendo qualcosa che sembra molto un « Fallo venire qui immediatamente. », fino a chiudersi dietro le spalle la porta di una stanza, sparendo dalla vista di Billy.

Il ragazzo sospira, si mette le mani in tasca e esce dalla casa.

 

Sono diverse settimane che non mette più piede nella casa di quartiere. A parte quando ci era andato per cercare il detective.

Sherlock l'aveva obbligato a stare lontano dalle droghe, quelle pesanti se non altro, e negli ultimi tempi si era risolto a dormire quasi sempre sul divano in Baker Street. Alla fine Sherlock Holmes aveva mantenuto la sua promessa di toglierlo dalla strada. Bastava che non desse fastidio al detective, e se c'è una cosa che Billy ha imparato nel corso della sua giovane vita è proprio fare come se nemmeno esistesse. In ogni caso, una parte di lui riconosce ancora quel posto mezzo distrutto e puzzolente come casa.

Billy alza lo sguardo sulle finestre malandate. "Andiamo. Non ci vorrà molto."

Butta a terra la cicca della sigaretta senza averla terminata, per poi schiacciarla con la punta della scarpa destra, ed entra.

Il piano terreno è, come al solito, per lo più deserto. I tossici si radunano al piano superiore, dove i muri sono meglio conservati e delle brandine e delle coperte sono buttate a terra. Quel pomeriggio ci sono una decina di loro, volti che Billy conosce, facce devastate e poco coscienti.

Per prima cosa si dirige nell'angolo della stanza dove appena una settimana prima aveva trovato Sherlock. Ispeziona con cura il pavimento, guarda tra le coperte, sposta assi del pavimento instabile, tentando di ignorare l'odore, senza tuttavia riuscire a reprimere una smorfia disgustata.

A un certo punto il tizio più vicino si lamenta, rivoltandosi nel suo sporco giaciglio, infastidito dai lievi rumori prodotti dalla ricerca di Billy.

"Cazzo. Davvero vivevo così?"

Billy scrolla le spalle, e riprende a cercare il cellulare.

« Ehi, amico. » gracchia una voce dietro di lui.

Billy si volta, individuando un ragazzo che non conosce, un cappello calato in testa e una giacca logora buttata sulle spalle.

"Bianco, diciasette anni." deduce, mentre il suo sguardo percorre tutta la sua figura, "Completamente fatto."

Si sta per girare, deciso a ignorarlo, quando quello tira fuori un oggetto piatto dalla tasca della giacca.

« Per caso cerchi questo, amico? » sorride sghembo il ragazzino, sventolandogli davanti un cellulare.

Billy lo riconosce immediatamente.

« Dove l'hai trovato? » domanda.

« Un po' qua, un po' là… Sai, come trovo di solito le cose. » alza le spalle, « Forse me l'ha dato qualcuno. »

Billy studia il ragazzino, poi alza la mano verso di lui.

« Dammelo. » dice con calma.

« Non ci penso proprio. » sputa l'altro, « È un gran bel cellulare. L'ultimo modello di I-Phone, se non sbaglio. »

Billy scatta, afferrandolo per il colletto della giacca e sbattendolo al muro.

« Uoh uoh uoh! » esclama quello, tossendo, « Stai calmo, amico. »

« Tu non sai chi sono. »

« Certo che lo so. » ride quello, « Sei quella testa di cazzo di Wig, che sta attaccato al culo di Shezza e per questo si crede un grand'uomo. »

Il ragazzino si lecca le labbra, guardandolo con uno sguardo pieno di derisione.

« Puoi dire quello che vuoi, Wiggy, ma non sei diverso da noialtri fattoni qua. »

Billy ringhia, allungando una mano verso il cellulare. Il ragazzino lo allontana subito, portandosi la mano alla tasca dei pantaloni.

« Non così in fretta, amico. Che mi dai in cambio? »

Gli occhi del ragazzino sono enormi e lucenti. Billy ci mette due secondi a capire cosa vuole.

"Che cazzo me ne frega di che fa sto tipo?" si chiede, "Che si fotta il cervello, per quel che me ne importa."

Si allontana leggermente, mollando la presa sul ragazzino, che si accascia al suolo tossicchiando. Poi infila una mano in una delle tasche del pantalone e ne tira fuori un piccolo sacchetto, pieno di una sostanza biancastra. Lo guarda per un secondo, quindi lo tira con disprezzo in grembo al ragazzino.

« Che roba è? » chiede quello.

« Se sai chi sono, sai anche che sono un ottimo chimico. È roba buona, fidati. » tende una mano in sua direzione, « Il cellulare, ora. »

Il ragazzino glielo lancia, e Billy lo afferra al volo. Lo controlla: è proprio quello di Sherlock.

"Che culo."

Se lo rigira fra le mani per qualche secondo, ma non nota graffi o altri particolari fuori posto. Sembra in buono stato. È spento, ma è passata una settimana, e gli I-Phone si scaricano nel giro di poche ore.

Rialza gli occhi sul ragazzino, con l'intenzione di rivolgergli un'ultima battuta sarcastica, ma quello è riverso sulla brandina, il sacchetto aperto nella mano, e il bianco degli occhi fra le palpebre semichiuse.

Billy fa una smorfia, e non saprebbe dire se più per il disgusto o la compassione, e si affretta a uscire da lì, chiedendosi come abbia potuto considerarla casa.

 

 

***

 

 

John fissa Sherlock e Sherlock fissa la tazza di tè.

John fissa Sherlock e Sherlock fissa il soffitto.

John fissa Sherlock e Sherlock fissa le proprie unghie.

La cosa continua su questa linea da più di mezz'ora: John che lo scruta intensamente, senza lasciare cadere lo sguardo, e Sherlock che guarda ovunque tranne che il medico.

La loro è una sfida, anche se John non l'aveva pensata proprio così, un'ora prima quando, dopo essere uscito da lavoro, si era recato nella Casa Bianca di MayFair con l'intenzione di parlare faccia a faccia con Sherlock, una volta per tutte.

Così gli aveva preparato il tè, come aveva fatto milioni di volte, e gliel'aveva portato, sedendosi poi vicino al letto. Aveva preso a sorseggiare dalla sua tazza, fissandolo, mentre Sherlock non faceva nessuna di queste due cose: non aveva bevuto, non aveva ricambiato il suo sguardo. E non aveva nemmeno aperto bocca.

Perciò ora la sfida era a chi avrebbe ceduto per primo, chi avrebbe parlato o distolto lo sguardo dal suo proposito.

Entrambi sapevano che sarebbe stato John.

Infatti il medico non ce la fa più, ha ormai finito il tè e quasi gli bruciano gli occhi per averli mantenuti tanto a lungo fissi sull'amico.

« Continuerai così per molto? » sbuffa alla fine.

Un sorrisetto feroce appare sul volto di Sherlock.

« Ha perso. » annuncia, vittorioso.

John alza gli occhi al cielo e sospira.

« Non hai nemmeno assaggiato il tè. »

« Ci vuole ben altro per corrompermi. »

Lo sguardo di John si incupisce.

« Non era un tentativo di corromperti. Era una gentilezza. È il tuo tè preferito. »

« Come fa a saperlo? » chiede, e John pensa che potrebbe essere positiva questa curiosità

« Siamo stati coinquilini per molto tempo, Sherlock. Dicevi che faccio il miglior tè del mondo. »

« Ho detto davvero qualcosa del genere? » chiede, scettico, un sopracciglio che vola in alto.

« Naturalmente no. Non mi avresti mai fatto un complimento diretto. »

John, nonostante la situazione sia tutt'altro che serena, ridacchia. L'espressione di Sherlock si fa ancora più allibito, ma non dice nulla. John prende la sua incapacità di ribattere come una piccola vittoria.

« Me lo facevi capire in altri modi, Sherlock. Non sei mai stato bravo a esprimerti, ma io ti ho sempre capito. »

John quasi si commuove al ricordo, mentre sente il cuore stretto in una morsa asfissiante. Fissa gli occhi in quelli confusi dell'amico, l'ha lasciato senza parole. Forse persino lui inizia a essere stanco di essere sempre sulla difensiva, sempre pronto a rispondere con battute sarcastiche.

"O forse, più semplicemente, non ha più voglia di ribadire il concetto che tanto non mi crede."

Il detective distoglie lo sguardo e appoggia la tazza di tè, intoccata, sul vicino comodino. John segue il movimento con aria triste.

« Perché è qui? » schiocca le labbra.

« Voglio parlare con te. »

« Non ho nulla da dirle. »

« Io sì. »

Quest'uscita fa scattare gli occhi di Sherlock sul suo volto. John sa che lo sta studiando, che sta cercando di dedurre le sue prossime mosse, di capire cosa gli nasconda, di far collimare l'idea che ha del dottore con la figura placida e sorridente che ora ha davanti.

Nonostante il volto impassibile dell'amico, John lo conosce, e può sentire la sua confusione come un'onda che lo sovrasta. Prende un respiro profondo.

« Volevo dirti che… » le parole gli muoiono in bocca, pur con tutta la preparazione mentale che John ha fatto per affrontare quella discussione.

"No, non posso mollare ora."

John si obbliga ad alzare gli occhi nei suoi, ad assumere uno sguardo diretto e limpido.

« Volevo dirti che non sono stato io. Sei il mio migliore amico, una delle persone più importanti della mia vita. Non ti farei mai del male. Lo giuro. »

Sherlock si immobilizza, le palpebre che si chiudono e riaprono velocemente, perplesso.

"Andiamo, Sherlock. Guardami. Fidati del tuo istinto, piuttosto che dei tuoi ricordi. Non ti sto mentendo."

« Che cosa deduci? » prova a stimolarlo.

Sherlock sembra riprendersi dall'attimo di defaillance.

« Che lei è un abile mentitore, John Watson. » sbotta, la voce fredda.

John sospira, passandosi una mano sul volto. Per un attimo appena, solo per un attimo, ha creduto di esser riuscito a scalfire quella corazza… "Perché deve essere così difficile?"

« Sai, Molly non mi aveva mai raccontato quelle cose. » dice all'improvviso.

Sherlock inclina la testa, interdetto.

« Mi dispiace di non aver capito quanto ti sentissi solo. »

John si azzarda ad appoggiare una mano sulla coscia dell'amico, proprio sopra al ginocchio, dove finisce il gesso e cominciano le fasciature. È un contatto accennato, il tocco di pelle su pelle separato da diversi strati di tessuto, ma è pur sempre un punto d'unione.

Sherlock fissa la mano di John come se stesse prendendo fuoco davanti a lui, e apre la bocca deciso a riprendere il medico per aver osato tanto, ma John ritrae la mano, dopo aver intensificato appena la pressione.

"Meglio non esagerare."

Sherlock lo guarda in volto, e John può vedere con chiarezza parole e immagini passargli negli occhi, nel cervello, nel suo Mind Palace. Ma può solo ipotizzare quello che l'amico stia effettivamente passando.

La porta della stanza, alle spalle di John, si apre. Il medico si volta, seguendo l'entrata di Lestrade.

« Ehi, Greg. » lo saluta, « È già ora? »

« Mi hanno ricordato che c'è una tabella da rispettare. » sbuffa il DI, e John ridacchia.

"Si sta riferendo ad Anthea, ci scommetto."

« Mary? » chiede Lestrade.

« È a casa con Emily. La baby sitter è ammalata. » spiega.

« Ah. » commenta Greg.

« Mycroft? » chiede invece John.

Lestrade fa cenno di no con la testa.

Le sopracciglia di John s'increspano. "Come mai non viene?" si chiede, ma non è il momento di porre ad alta voce questa domanda, non con Sherlock che li studia a due passi, pronto a divorare qualunque loro momento di debolezza.

« Allora siamo soli? » chiede John, per avere conferma. Non ci sono nemmeno Molly e gli altri, infatti.

« Siamo soli. » conferma l'ispettore.

John annuisce, voltandosi di nuovo verso Sherlock, che sembra aver riconquistato la sua aria apatica e distaccata. Il medico fa per alzarsi, ma poi ci ripensa.

"Se devo ristabilire un punto di contatto fra noi, tanto vale che lo faccia in tutto."

Racconterà da lì, dalla sedia accanto al letto di Sherlock.

« Questo ti piacerà. » commenta in un sorriso, cercando gli occhi di Sherlock.

 

Quando John era arrivato, trafelato, in Baker Street, aveva trovato Sherlock comodamente seduto sulla sua poltrona, il pc sulle ginocchia e un bicchiere di vino in mano.

« Sherlock! » aveva chiamato John, allarmato dalla calma del detective, che aveva alzato gli occhi su di lui.

« Oh, John, ciao. » aveva fatto roteare il vino del bicchiere, « Ne vuoi un po'? »

« Sherlock, che diavolo… » John si era passato una mano fra i capelli, « Lo sai che mancano meno di due ore, vero? »

« Mh mh. » aveva solo commentato l'altro, lo sguardo che tornava a concentrarsi sullo schermo del computer.

John notò il pacchettino rosso appoggiato sul tavolino in mezzo alle poltrone.

« Hai già risolto l'enigma? » chiese.

« Ovvio che sì, John. Ora zitto, che sto cercando di concentrarmi. »

John sospirò, cominciando a togliersi la giacca. Un rumore proveniva dalle casse, Sherlock stava guardando un video.

"Un momento… questa voce la conosco."

In pochi passi percorse il salotto e raggiunse le spalle di Sherlock, chinandosi a lato di una sua spalla per controllare cosa stesse guardando.

Era il video di Moriarty. Quello andato in onda il giorno prima a Trafalgar Square e su tutte le reti nazionali.

« Come fai a…? » boccheggiò John, gli occhi spalancati.

« Ad averlo? È una registrazione, ovviamente. »

« Sei riuscito a salvare il file andato in onda? » chiese, avvicinandosi di più al computer, senza riuscire a reprimere un brivido nel vedere nuovamente quel volto e quella figura sullo schermo.

« No. Moriarty si è assicurato di non lasciare alcuna traccia. È come se non fosse mai andato in onda. Nemmeno Mycroft e l'MI-5 sono riusciti a recuperarlo. »

« E allora come? »

« Te l'ho detto, è una registrazione. » Sherlock voltò il capo leggermente verso di lui e un sorrisetto furbo gli andò a illuminare il viso.

« Sospettavo che non saremmo riusciti ad avere il video. Così ho messo un mio uomo sull'elicottero, e quello ha ripreso il mega-schermo con una telecamera. »

« Quindi… » scandì John, mentre una certa consapevolezza gli strisciava nel cervello, « L'idea di usare uno schermo enorme è stata tua! »

« Certo. » annuì, « Così come per l'elicottero. Non potevo farmi sfuggire alcun particolare. »

« Hai lasciato che dessi la colpa a tuo fratello, che lo chiamassi Regina! »

« Ma lui è una Regina. » ribatté alzando un sopracciglio, come fosse la cosa più ovvia del mondo.

"Ci manca solo che faccia la linguaccia." pensò John, senza impedirsi di seguire Sherlock nelle risate.

John si abbassò nuovamente a lato del detective, fissando il video di Moriarty, che era arrivato al momento in cui il pazzo omicida stava minacciando le alte sfere inglesi. Erano vicinissimi, ora. Ma nessuno dei due sembrava curarsene.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, mentre Sherlock univa le dita davanti alla bocca, e John deglutiva. Quando il video ricominciò, John fece per parlare, ma, con sua gran sorpresa, venne preceduto da Sherlock.

« Allora? Cosa ne pensi? » gli chiese il detective.

John si alzò dalla sua posizione, circumnavigando la poltrona per guardare Sherlock negli occhi.

« Stai davvero chiedendo la mia opinione? » si accigliò, sospettoso.

« Ma certo. » sorrise Sherlock con un'espressione angelica che non ingannò il dottore nemmeno per un secondo.

John lo scrutò ancora per un secondo.

« È Moriarty. Più di questo non saprei proprio cosa dirti. Non ho idea di cosa possa passare per quella testa da pazzo psicopatico. »

« In un certo senso hai ragione. » gli rispose Sherlock.

« Davvero? »

« È Moriarty… ma allo stesso tempo non lo è. »

John sospirò esasperato.

« Sherlock, seriamente, non credi sia ora di smetterla con quest'aria teatralmente enigmatica? »

Il detective sorrise, poi saltò in piedi e con un solo fluido movimento si pose alle spalle del dottore.

« Siediti, John. » disse, spingendo contro la sua schiena perché obeddisse, « E osserva attentamente. »

John si accomodò sulla poltrona, mentre Sherlock faceva ripartire il video.

Ed ecco di nuovo i pixel grigi, la voce ironica che prendeva a parlare. John non era sicuro di volerlo rivivere ancora.

All'improvviso il braccio di Sherlock si materializzò vicino al suo volto, mentre il detective andava a bloccare il video.

« Ecco! L'hai visto? » chiese, la voce febbrilmente eccitata.

John non aveva bisogno di vederlo in volto per sapere l'espressione che avrebbe avuto. Guardò lo schermo, osservando la figura di Moriarty immobilizzata, la bocca aperta mentre formulava una frase e le mani bloccate a mezz'aria.

« Ehm… cosa avrei dovuto vedere? »

Sherlock gli sbuffò contro l'orecchio, e portò indietro il video.

« Ecco, guarda ancora. »

Il video ripartì: era il punto in cui Sherlock si era lamentato perché non giocavano con le stesse armi, e Moriarty aveva risposto che fosse lui a decidere le regole del gioco.

Sherlock bloccò di nuovo la registrazione. John increspò le sopracciglia.

"Cosa vuole che veda?!"

Senza commentare, spostò la mano di Sherlock dal mouse e fece ripartire il video, guardando gli stessi secondi che gli aveva già fatto vedere l'amico. Poi si lasciò andare con la schiena sulla poltrona.

« No, mi spiace, qualunque cosa tu stia cercando di farmi notare… non la vedo. »

Stranamente, Sherlock non commentò la sua straordinaria stupidità, limitandosi a far tornare indietro il video per l'ennesima volta. Questa volta, lo interruppe dopo un paio di secondi: Moriarty aveva appena avuto il tempo di dire "E chi l'aveva deciso…"

« La voce è ritardata rispetto al video. » annunciò Sherlock in tono solenne.

John fissò lo schermo, confuso.

« E cosa vorrebbe dire questo? » chiese, « Insomma, potrebbe semplicemente essere per un ritardo nelle onde radio nella trasmissione, oppure un errore nella registrazione che ha fatto il cameraman dall'elicottero, no? »

Si voltò verso Sherlock che, in piedi dietro di lui, stava scuotendo la testa.

« Potrebbe. Ma sono abbastanza sicuro che i mezzi usati da Moriarty siano stati piuttosto potenti, e per quanto riguarda il mio uomo, mi sono assicurato che facesse un lavoro di alto livello. »

« Non puoi basarti su una cosa come questa, però. Mi sembra troppo persino per te. »

« Hai ragione. Se non fosse anche per un altro particolare: se osservi molto bene, il labiale di Moriarty non coincide esattamente con la frase pronunciata dalla sua voce. »

John si mosse a disagio sulla sedia.

« Come fai a dirlo? Parla così veloce, e poi siccome il video è fuori tempo… »

« Esatto! » esclamò Sherlock, « E proprio qui sta la genialità: con un audio di qualche frazione di secondo spostato rispetto all'immagine, nessuno si sarebbe preoccupato di leggere il labiale. Sempre se qualcuno se ne fosse dato la pena, s'intende. »

« Ma tu l'hai fatto. » sottolineò il dottore.

« Ovviamente. »

Sherlock si abbassò di nuovo sulla spalla dell'amico, andando ad afferrare il mouse.

« Ma se sincronizzi l'audio con il video… »

Sherlock toccò qualche pulsante nel programma di lettura del video, e lo fece ripartire. Questa volta John si concentrò sulle labbra.

« Incredibile. » disse quando finì, gli occhi pieni di ammirato stupore.

Sherlock sorrise.

« Lo so, grazie. »

John lo ignorò.

« E te ne sei accorto solo per questo? »

« Quello è stato il primo punto discordante, ma ce ne sono altri, sparsi, per quanto siano difficili da identificare. »

« Fammi vedere. » chiese il dottore, e Sherlock fece ripartire da capo tutta la registrazione, fermando e indicando i momenti giusti.

« In pratica, ogni volta che commentavo o chiedevo qualcosa di leggermente imprevisto, abbiamo quel piccolo errore. » aveva commentato Sherlock alla fine.

« Cosa vorresti dire? »

« Voglio dire che Moriarty aveva preparato già in precedenza il video, deducendo e prevedendo le mie reazioni, e quindi il modo per ribattervi, e quando sviavo un po' da quel che aveva pensato, è stato costretto a correggere velocemente il tiro. Da qui quegli errori minimi. »

« Ma questa cosa è possibile? È stato davvero in grado di farlo? »

« Gli è bastato fare il video in precedenza e poi aggiungerci la voce in diretta quando qualcosa non andava secondo i suoi piani. »

« Stupefacente. » riuscì solo a dire John, senza sapere se il complimento fosse diretto alle capacità di quel Moriarty o all'incredibile deduzione di Sherlock.

Ci pensò per qualche secondo.

« Quindi il fatto che proprio all'inizio abbia detto "questa non è una registrazione"… »

« Un bluff. Triplo bluff, a dire il vero. Per sviare l'attenzione. »

« E il passaggio finale? Quello senza video? »

« Ah, quello supporta ancora di più la mia idea: non aveva preventivato la domanda che ho fatto alla fine, probabilmente il video che aveva girato a quel punto era già finito, perciò non aveva più immagini da mandare in onda. Ma non poteva di certo tradirsi in quel modo. Ed ecco spiegata la risposta solo vocale. »

"Sembra tutto così complicato…"

« Ma perché? Voglio dire, per quale motivo l'avrebbe fatto? Non era molto più semplice fare esattamente quello che sembra, mettersi davanti a una videocamera e interagire in diretta con te? »

Sherlock recuperò il bicchiere di vino e si sedette sul divano, lo sguardo vacuo.

« Questa è la cosa interessante. Perché disturbarsi così tanto? Di sicuro un motivo è che volesse testare le mie capacità, ancora una volta, e divertirsi. Ma deve esserci di più, e ho due teorie. Una, è che volesse studiarmi, e quindi si stesse nascondendo in qualche luogo in grado di vedermi. In questo caso, parlare con me in tempo reale l'avrebbe distratto troppo dal suo compito. »

« E l'altra teoria? »

« L'altra teoria… è che non sia Moriarty. »

John spalancò la bocca. "Ancora?"

« È per questo che prima hai detto che è Moriarty ma allo stesso tempo non lo è? »

Sherlock annuì, ma non sembrava dell'idea di spiegarsi meglio. John si alzò dall poltrona, andando a mettersi di fronte al detective, le mani sui fianchi e lo sguardo deciso.

« Vorresti per favore spiegarmi? »

Sherlock alzò gli occhi su di lui, posò a terra il bicchiere vuoto e si scompigliò i capelli con le mani.

« Se questo non fosse Moriarty, il vero Moriarty intendo, non avrebbe potuto far niente di diverso per convincerci che invece lo sia: usa tutti i suoi trucchi e conosce il suo modo di agire, ma ci doveva dare una prova più lampante perché fossimo certi della sua identità. Quindi, un video realizzato in precedenza e una voce… contraffatta. »

Le sopracciglia di John scattarono verso l'alto.

« Una voce contraffatta? Cazzo, Sherlock, se fosse vero qui si tratterebbe di molto di più! Quella era la voce di Moriarty, e su questo non si discute. Capisco averlo ripreso quand'era ancora vivo e aver tenuto quel video, cosa che comunque presupporrebbe che questo tizio conosca più che bene Moriarty, ma la sua dannata voce! Come è possibile riprodurre tanto fedelmente la voce di un altro essere umano, e per di più anche in tempo reale, per brevi frasi, come le tue deduzioni ci hanno mostrato! » John riprese fiato per la tirata, e si lasciò cadere sul divano, « Insomma… non è possibile! »

« Se è così » considerò cauto il detective, « Vorrebbe dire che abbiamo a che fare con un mostro, il peggiore che abbiamo mai incontrato: un mostruoso genio. »

« Quasi quasi preferisco credere nella miracolosa resurrezione di Moriarty. » ironizzò John con voce tesa.

Rimasero in silenzio per parecchi secondi.

« C'è anche un'altra cosa che mi da' da pensare. » ruppe alla fine il silenzio, in tono basso.

John gemette, passandosi una mano sugli occhi. "Cosa può esserci ancora?"

« Le parole finali che mi ha rivolto. »

« The truth hurts? » chiese il dottore, cercando di stare dietro ai pensieri dell'amico.

« 'The truth hurts, my deary, but this truth… Verity will burn you whole.' » recitò Sherlock, « Vedi la stranezza, John? »

« Quale delle tante? Che si sia rivolto a te con peggio di 'mio caro'[3], ad esempio? » chiese ironico.

« No, il fatto che abbia esitato, e poi che si sia corretto cambiando termine. »

« E questo va solo a supportare la tua tesi secondo la quale questi pezzi non fossero programmati. »

« Mentre il resto era perfettamente accurato, sì. » annuì il detective, « Ma è proprio il cambiamento in sè che mi incuriosisce. Perché si è corretto? Perché prima ha usato 'truth' e poi 'verity'? »

« Perché è un maledetto megalomane teatrale? » chiese retorico, « Non sarebbe il primo psicopatico del genere che incontriamo. »

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia.

« Invece io credo che ci sia un motivo… Un motivo ben preciso. »

John si voltò a guardarlo, esasperato, e stava per ribattere qualcosa, quando vide il detective assumere la sua posa da pensatore e iniziare a ripetere sottovoce "truth verity thruth verity" in modo ossessivo.

"Oh, lasciamo perdere." pensò, mentre sbuffava.

John si alzò, deciso a prepararsi un tè. Ne aveva decisamente bisogno.

 

John esce dalla Casa Bianca in MayFair un pochino rincuorato. Certo, la sua offerta di pace non è andata secondo i suoi piani, Sherlock non ha bevuto il tè che gli aveva preparato ed è stato scontroso come al solito, ma quando John aveva finito il suo racconto e aveva incrociato lo sguardo di Sherlock, vi aveva potuto scorgere, per una frazione di secondo, uno scintillio eccitato.

Sherlock era sempre Sherlock, d'altronde, e davanti a un caso interessante non avrebbe mai detto di no.

Si stava evidentemente appassionando ai racconti di John e gli altri, al caso Moriarty, e John sperava che fosse un segno positivo.

Per lo meno, potevano sperare di catturare la sua attenzione, in quel modo.

Preso com'è dalle sue elucubrazioni mentali, quasi travolge Bill Wiggins, apparso davanti a lui all'improvviso.

« Ehi, Billy. » gli sorride, « Che ci fai qui? »

« Hm. Una consegna. » fa spallucce, la voce annoiata.

"Com'è che sto ragazzino assomiglia sempre più a Sherlock?" si chiede.

Poi vede guizzare un oggetto in mano al ragazzo, mentre lo nasconde nella tasca posteriore dei jeans sgualciti. John lo riconosce all'istante.

« Quello è il cellulare di Sherlock! » esclama, la voce strozzata, « Dove l'hai trovato? »

"Cazzo, il suo cellulare! Non lo vedevo da… come ho fatto a non pensarci?"

« L'ho detto, una consegna. »

E John intuisce subito cosa, o meglio chi, si nasconda dietro a quella frase.

« È per Mycroft, non è vero? » chiede, « Ti ha ordinato lui di portarglielo. »

Billy si limita a fissarlo con sguardo vuoto.

"Lui e i suoi dannati segreti!" impreca dentro di sè, "Ma ora basta, hanno finito di tenermi fuori."

« Cambio di programma, ragazzo. » digrigna i denti, « Ora lo dai a me. »

John gli porge la mano. Billy la fissa per un secondo, per poi rialzarlo negli occhi del medico.

« No. » sillaba.

« No? » chiede sorpreso, e quasi si soffoca con quelle due semplici lettere.

John viene sopraffatto da un'ondata di furia. Non ci pensa due volte: afferra il braccio del ragazzo, glielo stringe e glielo piega dietro la schiena, in modo che, con un gemito di dolore, Billy sia costretto a voltarsi e a inginocchiarsi davanti a lui. John comprime la stretta, facendo pressione con l'altra mano sulla sua spalla.

« Ti ho già quasi rotto il braccio, una volta. Non vorrai mica che finisca il lavoro? »

« No! » si lamenta.

« Molto bene. Ora sì che questa parola mi piace. Te lo ripeto: dammi quel maledetto cellulare. »

Billy fa scivolare la mano libera nei propri pantaloni, e ne estrae l'I-Phone.

« Avevi proprio ragione. » geme Billy, « Sei un pazzo, un drogato del cazzo! » [4]

John sbuffa e afferra il cellulare, mentre al contempo libera il ragazzo dalla presa costrittiva. Il medico si guarda intorno, allarmato, ma è ormai buio, ora di cena, non si vede nessuno in giro, ed è avvenuto tutto troppo in fretta perché qualcuno possa essersene accorto.

John si lascia sfuggire un sospiro di sollievo, mentre fissa il cellulare, percorso da una strana fitta di adrenalina e eccitazione. Billy si alza, massaggiandosi il polso e fissandolo con uno sguardo aggressivo, ma il medico non ci fa caso: riprende a camminare verso la stazione metropolitana più vicina.

 

Quando arriva a casa, ha il fiatone. Non vede l'ora di poter accendere il cellulare, ma prima deve aspettare che sia carico.

"Cacchio, Mary." capisce all'improvviso, "Cosa posso dirle? No, non deve sapere nulla. Questa è la mia pista, ora. Ma come faccio senza che se ne accorga?"

Decide di tenere quel fatto per sé proprio mentre oltrepassa l'uscio della villetta.

« Sono a casa, amore. »

Mary gli appare subito davanti, con Emily in braccio.

« Oh, finalmente! » sbotta la moglie, posandogli la bambina fra le braccia in un gesto sbrigativo.

John sorride a sua figlia, baciandola sui corti capelli biondi. Emily risponde con un gran sorriso, un versetto felice, e battendogli il pugnetto su una guancia.

Mary nel frattempo si sta infilando sciarpa e giacca. John la guarda confuso.

« Stai uscendo? »

« Sì! Te ne sei dimenticato? Ho la lezione in palestra. E sono pure in ritardo, per colpa tua. » lo fulmina, « Ci vediamo dopo, eh? »

Poi si avvicina alla figlia in braccio al padre, scoccandole un bacio sul nasino.

« Ciao, Emy! » esclama, prima di sparire oltre la porta, il borsone in spalla.

John rimane a fissare l'uscio per diversi secondi. "Che colpo di fortuna!" pensa, realizzando di avere tutta la serata libera per dedicarsi al cellulare di Sherlock, in casa da solo.

Emily emette alcuni gorgoglii infastiditi.

« Hai ragione, piccola. Andiamo a prepararti un biberon, che dici? »

Un urletto di gioia fa capire a John di avere tutta l'approvazione della figlia.

 

 

***

 

 

Mary cammina spedita, stringendosi nel cappotto. È una sera particolarmente ventosa per essere maggio.

In teoria non avrebbe nemmeno tutta quella fretta, ma Mary non è una donna abituata a perdere tempo, in più John l'aspetta a casa massimo in un paio d'ore. Non ci starebbe di più in palestra, non con una figlia neonata e un neo-papà impacciato a tenerla d'occhio. Non che John non sia un buon padre.

Adorabile ingenuo John.

Non ha sospettato nemmeno per un attimo che Mary non gli stesse dicendo la verità.

E lei non ha nessuna intenzione di dargli qualche motivo per dubitarne. Quindi, cammina veloce, visto che non sa quanto durerà il suo incontro.

Il portiere le lancia appena un'occhiata, mentre si dirige a colpo sicuro verso l'ascensore, ormai abituato a vederla passare di lì. Mary sale fino all'ultimo piano, poi suona al campanello.

La porta le viene aperta da uno spossato Gregory Lestrade.

« Mary? » chiede, mentre i suoi occhi si spalancano per la sorpresa.

La donna non replica a quella domanda stupida.

« John è andato via più di mezz'ora fa, non è… » si affretta a dire il DI.

« Lo so, è a casa con Emily. » sbuffa, sorpassandolo e varcando la soglia, senza aspettare che l'altro si sposti per farla passare.

« E allora perché sei qui? » le chiede confuso l'ispettore, mentre Mary si dirige decisa verso una porta.

« Devo parlare con Mycroft. » spiega semplicemente, entrando nella camera senza annunciarsi.

Mycroft Holmes è comodamente seduto dietro una scrivania, nella stanza che ha eletto a proprio studio personale nell'appartamento in MayFair. Quando Mary entra, subito seguita dall'ispettore Lestrade che chiude la porta dietro di lui, Holmes si limita a guardarla, portando alle labbra un largo bicchiere colmo di scotch.

« Mr. Holmes. » dice Mary con un cenno di saluto.

« Signora Watson. » risponde l'altro, alzando il bicchiere verso di lei.

Non le chiede cosa ci faccia lì, nota Mary, niente di meno di quel che si era aspettata. Lo guarda dritto negli occhi.

« Desidero parlare con Sherlock. »

Le labbra di Mycroft si tendono in un mezzo sorriso.

« Dritta al punto, vedo. » commenta, senza dar segni di esserne sorpreso.

« E c'è di più. » continua la donna, « Voglio un incontro privato. Da sola. Nessuno dietro al muro-specchio. E a telecamere chiuse. »

Mycroft si irrigidisce impercettibilmente sulla poltrona, in un modo per cui Mary, se non fosse per il suo spirito d'osservazione e la sua intelligenza, non potrebbe nemmeno accorgersene.

Ma è Lestrade a scattare, dietro di lei.

« Cosa?! » esclama, avanzando fino al fianco della donna, « Questo non è possibile, Mary! È per la sua sicurezza! Perché vorresti fare una cosa del genere? »

Mary continua a tenere gli occhi fissi in quelli di Mycroft. L'uomo non apre bocca, segno che sia interessato ad ascoltare la risposta che la donna ha intenzione di dare al quesito del DI. Risposta che Mary non ha in programma di fornire. Per lo meno non una spiegazione sincera.

« Il perché sono affari miei. » dice alla fine, rispondendo all'ispettore ma continuando a guardare Holmes, « Tu e il signor Holmes avete la vostra indagine, mio marito ha il suo piano per riconquistare la fiducia di Sherlock. Ora tocca a me. »

« Ma che stai dicendo?! » alza la voce Lestrade, « Qui stiamo lavorando tutti insieme. Puoi parlare con Sherlock, anche da sola se vuoi, ma non possiamo permetterti di oscurare le telecamere e mettere in pericolo- »

« Gregory. » la voce calma e profonda di Holmes ferma immediatamente la tirata dell'ispettore, e Mary vede passare un luccichio in quelle sue iridi ghiacciate.

Lestrade ammutolisce, e si passa una mano fra i capelli. Mycroft gli rivolge l'attenzione.

« Ispettore Lestrade, credo che questi giorni siano stati piuttosto affaticanti per lei. Perché non si prende il resto della serata libera e non torna a casa? »

L'uomo strabuzza gli occhi, mentre comprende come l'altro lo stia gentilmente mettendo alla porta.

« Ma…! » prova a replicare, arrestato subito dallo sguardo dell'altro.

« Lestrade. Lo consideri un favore personale. Non mi serve a nulla un ispettore distrutto dalla stanchezza. »

Mary avverte l'ispettore irrigidirsi al suo fianco.

« Molto bene. » dice, secco, senza riuscire a nascondere il tremito di rabbia nella sua voce, « Mr. Holmes. Mary. » si congeda, lanciando uno strano sguardo alla donna.

Mary gli sorride tranquilla.

In un paio di falcate, Lestrade esce dall'ufficio sbattendo la porta.

Poi torna a osservare Holmes, che si è un pochino rilassato sulla poltrona, posando il bicchiere sulla scrivania, gli occhi rivolti alla finestra buia. Mary registra il movimento distratto delle sue dita, i cui polpastrelli stanno sfiorando con riverente attenzione una scatolina di legno scuro, ebano capisce subito, con una vistosa H maiuscola d'argento sul coperchio.

Le sopracciglia della donna si increspano per un secondo, interessata a quell'oggetto, ma subito i suoi pensieri tornano al motivo per cui si trova lì: non ha tempo da perdere.

« Dunque posso andare da Sherlock? »

Holmes riporta il suo sguardo in quello della donna. I due si fissano, i volti impassibili, per interminabili minuti. Alla fine, Holmes annuisce.

« Dirò ai miei uomini di interrompere le registrazioni per venti minuti. » afferma.

Mary capisce al volo che quello è il tempo che l'uomo le ha concesso. Avrebbe creduto che Holmes ci mettesse di più ad accordarglielo, ma è evidentemente preso da altro. Mary non si lamenterà di certo per quello.

« Grazie. » risponde solo, congedandosi.

Fuori dalla porta di Sherlock, prende un profondo respiro. Fino a lì, tutto secondo i piani.

Entra nella stanza. Sherlock è sveglio, nota con piacere. La sua figura calamita subito lo sguardo dell'uomo.

Mary si muove lentamente, con attenzione. Afferra una sedia, e la sistema di fronte a Sherlock, allineata con i piedi del letto, in modo che possano guardarsi negli occhi con facilità, in modo che siano allo stesso livello. Quindi si siede, la postura dritta, le gambe divaricate alla stessa larghezza delle spalle, e con le mani si liscia i pantaloni.

Solo a quel punto, porta lo sguardo dritto negli occhi di Sherlock, sapendo che il detective non si è perso nemmeno il più minimo dei suoi movimenti.

Lascia che si studino a vicenda per qualche secondo, lascia che sia Sherlock a fare la prima mossa.

« Non sei mai venuta qui, prima. » considera il detective.

« Non da sola, no. » conferma Mary.

« Al contrario degli altri. » Sherlock stringe gli occhi, « Sei l'ultima. »

La domanda silenziosa del detective, il "perché?", aleggia fra di loro. Ma Mary non gli renderà le cose così facili.

Deve o no stimolare la sua curiosità?

« Sai chi sono? » chiede allora lentamente, dopo una studiata pausa.

Sherlock la guarda per un attimo, poi comincia a snocciolare informazioni con il suo solito tono.

« Ex agente segreto, di origine slava, ma hai lavorato per diversi governi, cambiato bandiera molte volte, nascondendo spesso la tua provenienza. Il tuo accento inglese è falso. Hai un'ottima memoria fotografica, intelligente, dai riflessi allenati e abilità tattiche sorprendenti, una calcolatrice con una stupefacente mira e attitudine all'uso delle armi. Sei una killer, fuori dal giro da sei anni, quando sei scappata e hai assunto il nome di Mary Morstan, ma il tuo vero nome è- »

Mary alza la mano, interrompendolo. Forse Sherlock ha dedotto tutto, oppure aveva fatto ricerche per conto suo, dopo che Mary gli aveva sparato. O forse ancora ha addirittura letto l'usb A.G.R.A.

A Mary non importa, non è questo l'importante ora. Gli sorride, e Sherlock ricambia con un sorrisetto furbo.

« Io ho cercato di ucciderti. » afferma, lentamente.

Le sopracciglia di Sherlock si increspano.

« Non è vero. Questo non è mai successo. » risponde.

Lo sta dicendo perché non lo ricorda o perché crede sempre che non volesse davvero la sua morte?

In ogni caso, sorride: è ironico come Sherlock sia sicuro che Mycroft, John e gli altri stiano cercando di ucciderlo o gli abbiano fatto del male e l'abbiano ingannato, mentre non lo crede di lei, che l'ha fatto sul serio.

Mary si passa la lingua sulle labbra.

« Ti propongo un patto. »

Gli occhi di Sherlock brillano di sorpresa e un pizzico di curiosità.

« Che tipo di patto? »

« Un'alleanza. »

« Un'alleanza? » ripete Sherlock, la meraviglia ora chiara nel suo tono di voce.

« Sì. » annuisce Mary, « Non desideri avere un alleato in questo gioco, Sherlock? »

Il detective la studia per lunghi secondi, inclinando la testa di lato e unendo le dita.

« E perché mai » inizia a chiede Sherlock, gli occhi che la scrutano ridotti a fessure, « la moglie di John Watson dovrebbe essere interessata a stringere un accordo del genere con me? »

« La moglie di John Watson è Mary Morstan. » risponde lentamente.

Sherlock allarga gli occhi, soppesandola. Poi sorride.

« E tu non sei Mary Morstan. » considera piano.

« No, non lo sono. »

Ora il sorriso che si scambiano Sherlock e Mary è più aperto, sincero. Complice.

Alla fine Mary ha ottenuto la sua attenzione.

 

Quando i venti minuti che Mycroft le ha accordato scadono, Mary sta uscendo dalla camera di Sherlock.

Si appoggia per un attimo alla porta, i palmi aperti contro il legno, e fa tre respiri profondi.

Se lui potesse, gli chiederebbe se sia andato tutto ok, se abbia agito bene.

E Mary risponderebbe: è che a volte la cosa migliore da fare non è la cosa giusta.

 

 

 

***

 

 

 



 

Note:

 

[1] 'Guilt. That's all this is. Do you honestly believe if you have enough stupid theories it's going to change what really happened?' = 'Senso di colpa. È solo questo. Onestamente, credi davvero che se se crei abbastanza teorie stupide queste cambieranno quello che è successo in realtà?' Battuta di Lestrade ad Anderson, all'inizio della 3x01.

 

[2] Tutto questo botta-risposta tra Billy e Sherlock è ripreso dalla 3x03, nella scena a casa dei signori Holmes.

 

[3] Con 'mio caro' John si riferisce al 'my deary' della frase finale di Moriarty, che è leggermente intraducibile in italiano, perché sarebbe un vezzeggiativo di "my dear", una specie di "mio carino", quindi ancora più informale, affettuoso e allo stesso tempo sarcastico.

 

[4] Billy si riferisce a quando John, nella scena nel laboratorio del St. Barts nella 3x03, per nascondere di essere stato lui a slogare il braccio del ragazzo, dice che è stato un drogato in cerca di una dose, e Sherlock, comprendendo cosa sia successo, conferma dicendo che "in un certo senso lo era".

  
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