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Autore: Jewels5    11/04/2014    4 recensioni
Lei era drammatica.
Lui era dinamico.
Lei era precisa.
Lui era impulsivo.
Lui era James e lei era Lily, e un giorno condivisero un bacio, ma prima condivisero numerose discussioni, poiché lui era presuntuoso e lei dolce, e le questioni di cuore richiedono tempo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Prima: All’inizio dell’anno, Nicolai Mulciber mette alla prova la lealtà di Piton nei confronti dei Serpeverde costringendolo a disarmare Lily, ma James interviene e lo prende a pugni. Poi, Adam McKinnon e Carlotta Meloni tentano il suicidio. Ma non proprio. Adam dice a Marlene che la ama; lei lo respinge e fallisce del tutto il "Livello Uno di Amore non Corrisposto." Donna e Lily non sono più amiche da quando Donna denigra Lily per la morte del padre. Nel frattempo, Donna se la fa con il Corvonero Charlie Plex, che ha una fidanzata chiamata Cassidy, ma quando Charlie rivela che in realtà ha veri sentimenti per Donna, lei decide di fare la cosa giusta e tagliare tutto. Lui si arrabbia. Luke, l’ex di Lily, rimane devastato quando gli Auror uccidono suo fratello Logan, così Luke decide di lasciare la scuola senza fare i M.A.G.O. James caccia Sirius dai Malandrini e dal dormitorio per lo scherzo del Platano Picchiatore ai danni di Piton. Lily e James hanno un litigio furioso; James dice che Lily l’ha usato per farsi aiutare con Luke perché sapeva di piacergli, e che lo ha rifiutato solo per provare qualcosa a Piton. Lily dice che l’ha rifiutato perché era un cretino. Lily si rende conto che per quanto riguarda la relazione con James, non c’è nient’altro da dire.


 
Capitolo 23- "Per concludere l’anno"
O
"One Love"


 
Nel Dormitorio maschile dei Grifondoro del loro anno, vivevano cinque maghi. Erano James Potter, Sirius Black, Remus Lupin, Peter Minus, e Adam McKinnon.
Fin dal primo giorno, James Potter e Sirius Black erano diventati migliori amici.
Il fato, a volte, opera in maniera strana. Se, il primo giorno di scuola, Sirius Black non si fosse seduto nello Scompartimento B della prima carrozza dell’Espresso per Hogwarts... se, invece, avesse fatto qualche passo in più fino allo Scompartimento C or, o se fosse salito in una carrozza diversa, forse non avrebbe incontrato James Potter quella mattina. Più tardi, forse avrebbe invece chiesto al Cappello Parlante di metterlo a Serpeverde, (perché, dopo tutto, era lì che tutta la sua famiglia era stata smistata), e James Potter e Sirius Black forse non sarebbero mai stati migliori amici.
O forse sì.
Perché il fato, a volte, opera in maniera strana.
Ma, il fatto è che, Sirius Black incontrò James Potter nello Scompartimento B, e fu smistato a Grifondoro, e diventarono migliori amici. E quello fu l’inizio dei Malandrini. Proprio l’inizio.
Non finisce qui, comunque, tutta la storia.
Di nuovo: nel dormitorio maschile dei Grifondoro del loro, vivevano cinque maghi, e, arrivati al secondo aprile che passavano a Hogwarts, James Potter e Sirius Black erano stati migliori amici per ben più di un anno. Peter Minus galleggiava ai bordi di parecchie cerchie, e non apparteneva a nessuna. Adam McKinnon era un tipo abbastanza simpatico—James e Sirius avevano deciso così—ma era piuttosto ligio alle regole, e aveva altri amici fuori dal dormitorio. Le cose erano più o meno le stesse anche con Remus Lupin, solo che lui era molto meno "normale" di Adam... senza dubbio, Remus aveva qualcosa di strano.
Era silenzioso; se ne stava per conto suo. Dov’è che spariva, ogni mese? Perché aveva sempre un’aria così malaticcia, e da dove venivano tutti quei graffi sinistri?
Remus Lupin aveva qualcosa di strano, ma fino all’aprile del loro secondo anno, James e Sirius non seppero cosa.
"È un tipo abbastanza a posto," sussurrò Sirius a James una sera durante Astronomia, mentre il Professor Dawton continuava a blaterare sulle proprietà di questo o quell’ammasso di stelle. "Ma è un po’ strano, non credi? Ho provato ad invitarlo alla partita di Gobbiglie la settimana scorsa, ma mi ha guardato come se avessi avuto intenzione di maledirlo, invece."
"È davvero strano," si disse d’accordo James. "Ma non è così male—ci ha coperto le spalle a Pozioni la settimana scorsa, quando abbiamo fatto esplodere il calderone di Moccy."
Entrambi, al ricordo, fecero una risatina.
"Ehi, Minus," fece a bassa voce Sirius, dando una gomitata al piccolo mago col telescopio accanto al suo. "Tu che dici, sul fatto di Lupin? Ha saltato un’altra lezione di Astronomia."
Peter scrollò le spalle. "Sembra proprio che ne salti un sacco, eh? La McGranitt dice che torna a casa per andare a trovare sua madre."
Sirius sbuffò dal naso. "Sta così male, ogni volta che torna, che sembra più che sia andato a trovare mia madre."
"Beh, ecco qua," ridacchiò James. "Abbiamo trovato la risposta."
Prima che Sirius potesse rispondere, il Professor Dawton interruppe la conversazione. "Potter, Black, Minus—silenzio," li avvertì facendo finta, in maniera poco convincente, di essere severo. Il Professor Dawton era davvero troppo buono, per essere un professore. Ritornò alla sua lezione, indicando vari oggetti di interesse nel cielo notturno. I tre ragazzi del secondo annuirono obbedienti, e James notò Lily Evans alzare gli occhi, non molto lontano. Il suo telescopio era proprio accanto a quello scemo di Mocciosus. E cosa ci trovava in quell’idiota untuoso, comunque?
"Smettila di mangiare Evans con gli occhi," sussurrò Sirius, e James si accigliò.
"Quando mai," insisté, e Sirius ghignò.
Peter soppresse uno sbadiglio. "Odio Astronomia," borbottò sottovoce. "Perché dobbiamo andare a lezione di notte?"
"Perché è allora che si vedono le stelle, genio," controbatté Sirius. "E poi, non è così tardi. James ed io la scorsa notte abbiamo fatto ancora più tardi... abbiamo trovato le Cucine."
Gli occhi di Peter si fecero larghi e grandi come la fame. "Le Cucine?" sussurrò, in maniera quasi reverenziale. "Avete usato di nuovo quel mantello, non è vero?"
James e Sirius si scambiarono un’occhiata compiaciuta, e il primo annuì. "Magari un giorno ti ci portiamo, sì?"
"Sarebbe fantastico," Peter sussurrò col respiro sospeso.
"Ragazzi," il Professor Dawton richiamò ancora. "Insomma, su. Se devo un’altra volta rimproverarvi di far silenzio, non vi sarà permesso andar via prima insieme al resto della classe." Dawton faceva andare sempre tutti via prima le notti di luna piena, perché, diceva, la luna troppo luminosa rendeva l’osservazione delle stelle difficile.
"Sì, Professore," risposero in coro i tre ragazzi. "Ma ci darà lo stesso le Lune al Marshmallow, non è vero?" aggiunse Sirius, con un gran sorriso. Dawton—un fanatico degli eventi celesti—distribuiva ai suoi studenti delle caramelle, le notti di luna piena e nuova. In questo caso, si trattava della prima.
"Per favore, prestate attenzione," disse il professore, e ricominciò ancora una volta a spiegare. I tre Grifondoro rimasero in silenzio per un po’, poi Peter parlò di nuovo.
"Che peccato che Dawton distribuisca solo Lune al Marshmallow. Mi hanno stufato."
"Non ti lamentare," mormorò James. "Se non le vuoi, dalle a Lupin. Le adora, e non ne becca mai, visto che deve andare a casa."
"Ora," Dawton continuò, "Se per volete rivolgere i vostri telescopi a Nord..."
"Sai," disse Sirius, osservando attraverso la lente del telescopio così come gli era stato detto, "non credo che vada davvero a casa. Il mese scorso, è scomparso come fa sempre, e il giorno dopo che è tornato, a colazione ha ricevuto una lettera da sua madre... perché avrebbe dovuto scrivergli se l’aveva appena visto?"
Né James né Peter risposero, comunque, poiché il Professor Dawton stava guardando nella loro direzione e furono costretti a rimanere in silenzio. Poco dopo, la classe fu congedata e—con parecchi pacchetti di Marshmallow tra le mani (James e Sirius avevano, ovviamente, ignorato la regola del "Soltanto una, prego") —i ragazzi di Grifondoro fecero ritorno al loro dormitorio.
Adam McKinnon andò direttamente a dormire, e Peter si mise a letto con la stessa intenzione. Comunque, pochissimo tempo dopo fu svegliato da delle voci. James e Sirius erano seduti vicino alla finestra, masticando le Lune al Marshmallow e immersi in conversazione—probabilmente tramando qualcosa—in mormorii poco sommessi.
"Minus," lo salutò Sirius, notando Peter che sbirciava dalle tende del suo letto a baldacchino cercando la fonte del rumore molesto. "Forza, su. Prendi una Luna al Marshmallow. Ne abbiamo a sufficienza."
Assonnato, ma deciso a non rifiutare un invito di James Potter e Sirius Black, Peter barcollò fino al davanzale della finestra. Scartò uno dei dolci ammassati in un mucchio tra James e Sirius e si sedette sul pavimento. James stesso ne prese un paio e li lanciò sula scrivania lì vicino. "Per Lupin," spiegò. "Sembra sempre così allegro, quando gliene dai un paio. È come regalare le caramelle a un bambino."
Sirius ridacchiò. "Se li vuole, dovrebbe venire a lezione una volta tanto."
James semplicemente scrollò le spalle. Appoggiò la testa al muro e fissò svogliatamente fuori dalla finestra. "Strano, no?" rifletté vago, "Sembra che Lupin si perda sempre le lezioni in cui Dawton regala caramelle..."
Ci fu un lungo momento di silenzio, e poi—
"Oh, mio Merlino," dissero Sirius e James esattamente nello stesso istante. Peter li guardò con aria attonita.
"Cosa?"
Ma venne ignorato.
"Oh, mio Merlino!"
"Porca miseria!"
"Non pensi che...?"
"Ha senso, no?"
"Ma Silente non avrebbe mai..."
"Forse Silente non lo sa..."
"Ovvio che Silente lo sa! Silente sa tutto!"
"Ma come fa a...?"
"Certo i professori...?"
"Ma dov’è che...?"
"Non lo so—ma scommetto che potremmo..."
"Scoprirlo. Se usiamo..."
"Il Mantello, esatto."
"Oh mio Merlino."
"Oh mio Merlino."
Peter li fissò. "Ma di che state parlando, voi due?"
Ma ancora una volta, nessuno gli rispose—almeno non subito. Alla fine, James e Sirius smisero di auto-congratularsi abbastanza a lungo da rendere partecipe il loro terzo compagno di stanza. Nel frattempo, un enorme sorriso si era aperto sul volto di Sirius, immediatamente seguito da quello sul volto di James.
"Che cosa fichissima."

 
(Presente)
 
E così il tempo passò, come è sua solita abitudine. In un vortice di eventi poco importanti e letargo, i giorni scivolarono via. Lily non aveva mai immaginato che l’umore di una singola persona potesse influenzare una scuola intera, eppure, fu così che la languidezza di James Potter verso tutto e tutti diventò all’improvviso pandemica. Mai un maggio era passato con così poca eccitazione—anche il pensiero degli esami imminenti aveva avuto poco effetto sui più. Anche se erano tutti occupati, a nessuno sembrò davvero di star facendo granché.
Sirius smise di dormire in Sala Comune, ma non fece ritorno al suo dormitorio. Invece, si trasferì in qualche altro posto, di cui non volle rivelare l'ubicazione a Lily, nonostante le varie rassicurazioni sul fatto che non fosse costretto a dormire su un freddo pavimento di pietra—a meno che non fosse quello che voleva. Lily non aveva la più pallida idea di quello che volesse dire con questo, ma Sirius rimaneva risolutamente enigmatico.
Luke Harper, ovvio, se ne era andato, e un paio di righe su Logan sul giornale informarono che Luke avrebbe passato del tempo all’estero con sua madre e un altro dei suoi fratelli. Comunque, alcuni giorni dopo, apparve un nuovo articolo che riguardava gli Harper. Erano ritornati a Londra con l’intenzione di chiedere un’indagine sugli Auror coinvolti nell’attacco a Hogsmeade. Lathe, a quanto pare, aveva avuto ragione anche su questo.
La Finale di Quidditch arrivò, l’ultimo fine settimana di maggio—Grifondoro contro Serpeverde. A Sirius non fu permesso di giocare, ovviamente, e Lily si sentì un po’ dispiaciuta per il Cacciatore di riserva: non aveva alcuna possibilità. Forse era il malumore contagioso del loro Capitano, o forse erano i loro problemi personali a dar loro fastidio, ma la squadra di Grifondoro giocò con quella che sembrò motivazione a vincere zero. Tutti nella squadra, a quanto pare, avevano una ragione per essere scontenti, e questo, combinato con un Cacciatore di riserva che riceveva istruzioni tutt’al più apatiche, ebbe come conseguenza la sconfitta più brutta di Grifondoro a opera di Serpeverde nella storia recente. Fu un brutto giorno nella Sala Comune di Grifondoro. L’umore di James peggiorò, e Grifondoro iniziò a riferirsi al Quidditch semplicemente come a "Q-uello."
Gli esami sembravano un concetto lontano e incerto, eppure, all’improvviso, la prima settimana di giugno si era avvicinata, e ormai mancavano pochi giorni. Gli studenti G.U.F.O. e   M.A.G.O. erano diventati schiavi dei libri, e Lily fece del suo meglio per impegnarsi a sua volta nei propri esami, ma aveva problemi d’attenzione. Non riusciva a concentrarsi. L’aria iniziava a farsi più tiepida, e si ritrovò col pensiero diretto ai propri G.U.F.O.—cosa era successo vicino al lago quel  giorno di giugno, quasi un anno esatto prima—e altri pensieri infelici, che spesso coinvolgevano Luke Harper, Logan Harper, o James Potter.
Era tutto molto confuso, e, cosa strana, l’unico amico che non era coinvolto nel melodramma che di recente era la sua vita, era allora Severus Piton. Fu così che la maggior parte dello studio per l'impedente esame di Pozioni lo fece con il Serpeverde, il che procurò alla strega ancora più occhiatacce da parte di James.
"Non stai prestando attenzione," Piton accusò indifferente, quando lo sguardo di Lily scivolò ancora una volta oltre i vetri della finestra della biblioteca. Era venerdì sera, e l’esame sarebbe stato lunedì.
"No," si disse d’accordo Lily. "Fa tutto schifo. E poi..." Chiudendo il libro di Pozioni Avanzate, Livello 6, "So tutto." Questo—anche se non proprio esatto—era approssimativamente vero, e, sul serio, non aveva voglia di studiare. Aveva voglia di parlare, e fu per sua grande sventura che di ogni argomento di cui valeva la pena discutere era strettamente vietato alle orecchie di Piton.
Quando era diventato così?
"Vuoi provare Difesa, allora?" si offrì il Serpeverde, un po’ annoiato.
Lily scosse la testa. "Non voglio studiare. Non voglio pensare."
"E questo che dovrebbe significare?"
"Non lo so. Voglio solo stendermi e scomparire."
Severus sospirò. "Non so cosa diamine debba dirti quando fai così, Lily." Sembrava esausto... e non era mai sembrato esausto quando era con Lily. Lo guardò. "Possiamo almeno finire Pozioni?"
La rossa scrollò le spalle. "Bene. Pozioni." Aprì il libro, ma ad una pagina a caso, e non lesse le parole.
"Non stai prestando attenzione," disse Piton di nuovo.
"No," si disse d’accordo Lily.
(Cassidy, Parte Uno)

Cassidy Gamp aveva una montagna di riccioli splendenti, quasi il colore dei maccheroni al formaggio. Era minuta, gentile, e femminile, con grandi occhi da cerbiatta, un mento delicato, e un nasino a patata. Era esattamente il tipo di ragazza che piaceva ai ragazzi della sua età: dolce, virginea, fragile, con un intelletto nella media, e piuttosto capace di far sentire un esponente del sesso opposto parecchio macho. Era, e non c’era margine di incertezza, l’esatto opposto di Donna Shacklebolt.
Consapevolezza per niente nuova a Donna, che non poté fare a meno di notare dall’altra parte della Sala Grande come Cassidy Gamp si sforzasse senza successo di attirare l’attenzione del proprio ragazzo. Charlie Plex era davvero troppo impegnato a rimuginare sulla propria cena da prestare attenzione al chiacchiericcio disperato di Cassidy.
In un certo senso, il fatto che Cassidy esistesse provocava a Donna un certo disgusto. Era carina, e nonostante non fosse precisamente stupida, non era, con esattezza, nemmeno acuta. In più, non era il tipo di ragazza che la notte rimaneva sveglia al pensiero dei Mangiamorte. Non era il tipo di ragazza che aveva gli incubi (veri incubi) o preoccupazioni fondate o problemi gravi. Non era complicata. Avrebbe lasciato Hogwarts con dei voti accettabili e forse, o forse no, avrebbe potuto intraprendere qualche tipo di carriera, abbandonandola dopo pochi anni nel momento in cui avrebbe trovato un mago che avrebbe acconsentito a sposarla. Niente di complicato.
In un altro senso, Donna sapeva di non avere assolutamente alcun diritto di criticare Cassidy, perché nonostante fosse stata sciocca e ingenua, era stata anche trattata in maniera assolutamente abominevole—da Charlie e da Donna stessa, e tutto questo non faceva di Cassidy una ragazza spregevole. La rendeva degna di compassione.
Seduta al tavolo di Tavolo di Grifondoro, cenando da sola, Donna si chiese cosa esattamente avrebbe fatto Cassidy se avesse mai scoperto di Charlie. Probabilmente avrebbe fatto un bel casino; probabilmente avrebbe dimenticato il proprio orgoglio e si sarebbe messa al centro dell’attenzione; probabilmente avrebbe lanciato una maledizione a Charlie, o ci avrebbe provato, almeno, e quasi sicuramente avrebbe messo ogni ragazza nella scuola contro Donna. Ecco come Donna faceva a sapere che Charlie non l’aveva detto alla sua fidanzata; perché se l’avesse fatto, lei l’avrebbe saputo molto presto.
Charlie distolse lo sguardo dalla propria cena abbastanza a lungo da lanciare un’occhiata in direzione di Donna, e la beccò mente fissava. Distolse lo sguardo in fretta, ma non prima di aver visto gli occhi di Charlie lampeggiare di rabbia. Dopo, evitò il tavolo di Corvonero del tutto.
(Quinto anno, Parte Uno)
 
"Mi bocceranno," affermò Donna. "Ho sbagliato tutto. Lo so. Ho sbagliato ogni domanda. Non sono passata. Dovranno inventare una nuova lettera per dare un voto allo schifo che ho appena fatto."
Mary, Marlene, e Lily alzarono gli occhi al cielo. "Non hai sbagliato tutto," la rassicurò Lily, mentre le ragazze si spostavano attraverso un’affollata Sala d’Ingresso. "Lo dici sempre, ma in realtà non sei mai stata bocciata ancora in niente."
"Questa volta dico davvero!" Donna protestò. "Ho appena sbagliato tutto al mio G.U.F.O. di Difesa Contro le Arti Oscure!"
"Invece no," insisté Marlene. "E smettila di andare in cerca di complimenti. Sai già di essere bravissima a scuola, anche se un po’ fessa nella vita di tutti i giorni. Andiamo fuori?"
"Fa troppo caldo per stare dentro," disse Lily. "E adesso non riesco assolutamente a studiare per Trasfigurazione."
"Sono d’accordo," disse Mary, che adesso, finito finalmente l’esame, era allegra. "Andiamo fuori. Possiamo sederci in riva al lago."
E così, il destino—sotto forma di una Mary Macdonald accaldata—spinse le ragazze ad andar fuori con la maggior parte degli alunni del quinto anno. Seduta su una riva del lago Nero, Lily scalciò via le scarpe, si tolse i calzini, e dondolò i piedi nell’acqua; Mary e Marlene la imitarono, nonostante le proteste di Donna sulla base di "Agrippa solo sa cosa c’è in quell’acqua."
"Liam Lyle mi ha chiesto di uscire la settimana scorsa," annunciò Mary, mentre si godevano il sole. "Al prossimo fine settimana a Hogsmeade," spiegò. "Forse gli dico 'sì,' ma non ho ancora deciso."
"Non giocare con i sentimenti di Liam Lyle," la sgridò Lily quasi in automatico, mentre rivolgeva veloce lo sguardo al di là del prato, a una figura solitaria, che leggeva sotto un albero. "È un bravo ragazzo."
"Io non gioco con i sentimenti dei ragazzi..."
Marlene sbuffò col naso. "Mary, tesoro, sei la mia migliore amica, ma ho due parole per te: Devang Patel."
"Okay, ho giocato un po’ con i sentimenti di Devang," Mary concesse. "Ma solo perché era così convinto che fossi una totalmente facile."
"Non lo sei?" disse Donna secca, guadagnandosi una gomitata dalla piccola bruna.
"No."
"A proposito di ragazzi che sono pazzi di una certa strega..." disse Marlene, seguendo le occhiate fugaci di Lily.
"Chi?" chiese Donna, prima di notare la persona a cui si riferiva la bionda. "Oh. Piton."
Lily sobbalzò all’udire il suo nome. "Piantatela," controbatté con dignità. "Non è pazzo di me; in realtà, abbiamo litigato."
"Ma certo," disse Mary. "ecco perché sei seduta qui con le tue adorabili amiche, invece che laggiù a morire di noia con un libro di Trasfigurazione."
"Certo," fece a bassa voce Marlene un po’ cupa; "Sono sicura che quello è solo un semplice libro di Trasfigurazione."
"Zitte," Lily ordinò. "È ancora mio amico."
"Merlino solo sa il perché," aggiunse Donna.
Lily lanciò a tutte un’occhiata di avvertimento, e capirono che era meglio lasciar perdere il discorso. "Beh," disse Mary, vagando con lo sguardo fino a un altro albero, dove altri maghi si divertivano. "Che ne dici di James Potter? A lui piaci, Lily."
"Spero che sia uno scherzo," replicò il prefetto, lanciando un’occhiata ai Malandrini. James Potter, Sirius Black, Remus Lupin, e Peter Minus sedevano all’ombra di un grosso albero; Sirius e Peter sembravano ridere per qualcosa, Remus leggeva, e James giocava con un Boccino che aveva senza dubbio sgraffignato a scuola.
"Ma è carino," canticchiò Mary; ecco, quella era una conversazione familiare. Mary ricordava ogni volta a Lily l’innegabile (anche se Lily negava ostinatamente) bell’aspetto di James. Donna sarebbe stata la prossima.
"Ed è un Capitano di Quidditch dannatamente bravo," contribuì Donna prevedibilmente. Marlene avrebbe seguito.
"E gli piaci da matti," continuò Marlene. "Quante volte ti ha chiesto di uscire questa settimana?"
"Due," Lily replicò. "Che piacevole e leggera settimana."
Marlene e Mary fecero una risata d’apprezzamento. "Shelley Mumps ucciderebbe per essere nei tuoi panni," l’ultima sottolineò.
"Se darle i miei panni mi aiutasse a sbarazzarmi di Potter, andrei volentieri in giro nuda," disse Lily. "Sfortunatamente, nemmeno maledizioni inciampanti e rifiuti costanti hanno funzionato, quindi ho poca fiducia nella nudità."
"Oh, come soffre," fece Donna sarcastica.
"Povero Potter," borbottò Marlene. "Non ha una possibilità, eh? Non è il tipo di Lily."
"Per niente," si disse d’accordo Lily. "Voglio dire, ma guardalo, che fa il buffone con quel Boccino..."
"Beh, non possiamo avere Jay Gatsby o Paul Newman," disse Mary, "Quindi ti dovrai accontentare dei ragazzi di Hogwarts."
"Ci sono ragazzi di Hogwarts e ragazzi di Hogwarts," Lily fece notare. "Ed è così terribilmente sbagliato desiderare un ragazzo che sia romantico e passionale, e magari giusto un po’ poetico?"
"Oh no," mormorò Donna, con gli occhi rivolti verso il prato.
"Che c’è?" chiese Lily.
"Niente." Donna spostò il peso, a disagio. "Proprio niente. Che stavi dicendo? Passionale?"
Ma Lily non si era lasciata distrarre. Si voltò e vide la scena che si svolgeva a poca distanza. James Potter e Sirius Black in piedi con le bacchette sguainate, e il loro obiettivo era, ovviamente, Severus Piton.
Rabbia e furore affiorarono sul volto di Lily; quasi automaticamente, si alzò, infilando i piedi nelle ballerine della scuola senza mettere i calzini, e si mosse in direzione del gruppo.
"Ecco che si comincia..." fece a bassa voce Marlene.
"Lascialo STARE!"
La mano di James Potter che non era impegnata a reggere la bacchetta—occupata a far eruttare bolle rosa dalla bocca di Piton—volò subito ai suoi capelli, scompigliandoli anche se non era necessario. "Tutto bene, Evans?"
"Lascialo stare," Lily fece velenosa. "Che cosa ti ha fatto?"
"Bè... è più il fatto che esiste, non so se mi spiego..."
Gli altri risero; il sangue di Lily ribollì. Deficiente montato...
"Ti credi divertente," disse gelida. "Ma sei solo un bullo arrogante e prepotente, Potter. Lascialo stare."
James sembrava del tutto imperturbato dai suoi insulti; senza la minima indicazione che riconoscesse la furia, la pura antipatia, nel tono di voce e negli occhi, il mago scherzò, senza perdere un secondo: "Solo se esci con me, Evans."
Lily sarebbe potuta rimanere sorpresa, ma a quanto pare l’arroganza di James non conosceva limiti.
"Andiamo..." continuò, " Esci con me, e non alzerò mai più la bacchetta sul vecchio Mocciosus."
Disgustata: "Non accetterei nemmeno se dovessi scegliere tra te e la piovra gigante."
E poi, forse per mezzo secondo, James finalmente sembrò registrare il fatto che Lily Evans, in quel momento, detestava la sua esistenza, tanto quanto lui detestava quella di Piton.
"Ti è andata male, Prongs," fece lì vicino Sirius, ovviamente non infastidito dal rifiuto quanto James. E comunque, aveva problemi più grossi: "EHI!"
L’avvertimento di Sirius arrivò comunque troppo tardi; un lampo di luce, ed ecco che James sanguinava—un grosso, profondo taglio era comparso su un lato della faccia. Un istante dopo, Piton era appeso in aria a testa in giù. Parecchie persone acclamarono incoraggianti.
Lily richiamò a sé tutte le energie che aveva. Non era divertente. "Mettilo giù!"
L’emozione—emozione vera, onesta—che era comparsa brevemente sul volto di James se ne era andata... dimenticata del tutto. Fece un sorrisetto e piegò la testa. "Ai tuoi ordini."
Piton si schiantò al suolo, ma prima che potesse riprendersi del tutto, Sirius lanciò un incantesimo in direzione del Serpeverde, che si accasciò di nuovo, rigido.
"LASCIATELO STARE!" urlò Lily, tirando fuori la bacchetta. I suoi due compagni di Casa la guardarono incerti; apparentemente, la prospettiva di duellare contro una Lily Evans armata era molto meno piacevole di quella di tormentare Piton.
"Dai, Evans," la pregò quasi James, "Non costringermi a farti un incantesimo."
E lo farebbe pure, pensò lei.
"Allora liberalo!"
James sospirò. Liberò Piton dal Locomotor Mortis che Sirius aveva lanciato. "Ecco fatto," disse James infastidito; Piton si alzò in piedi barcollante. "Ti è andata bene che ci fosse Evans, Mocciosus..."
E poi accadde. Gli occhi neri di Piton lampeggiarono, spostandosi da James a Lily agli studenti tutt’intorno. C’era ancora del sapone sulla veste, e il suo viso di solito pallido era tutto rosso. E poi accadde.
"Non mi serve l’aiuto di una piccola schifosa Sanguesporco come lei!"
Passarono pochi secondi infiniti; con la coda dell’occhio, Lily notò Marlene, Mary, e Donna che si avvicinavano. Il pubblico si era ammutolito. James sembrava quasi più confuso che altro. Remus questa volta alzò lo sguardo dal libro. Il mondo aspettava la reazione di Lily, che non era proprio pronta a dare, ancora.
Sanguesporco come lei.
"Molto bene," riuscì a dire, gelida; Piton era impallidito di nuovo; "Vuol dire che in futuro non mi prenderò la briga di aiutarti."
Schifosa Sanguesporco come lei.
"E se fossi in te mi laverei le mutande, Mocciosus."
James si era arrabbiato di nuovo. "Chiedi scusa a Evans!"
Arrogante, odioso, stupido montato...
Lily si rivolse a lui. "Non voglio che mi chieda scusa perché l’hai costretto tu! Siete uguali, voi due...!"
"Cosa? Io non ti avrei MAI chiamata una..." Esitò imbarazzato: "Tu-sai-cosa!"
Ma Lily era così furiosa, che le mani praticamente le tremavano, quando le strinse a pugno e scattò: " Sempre a spettinarti i capelli perché ti sembra affascinante avere l’aria di uno che è appena sceso dalla scopa, sempre ad esibirti con quello stupido Boccino e a camminare tronfio nei corridoi e lanciare incantesimi su chiunque ti infastidisca solo perché sei capace… sei così pieno di te che non so come fa la tua scopa a staccarsi da terra! Mi dai la NAUSEA!"
Si voltò, andando via alla cieca il più velocemente possibile.
Sanguesporco, sanguesporco, sanguesporco, sanguesporco…
"Evans! ehi, EVANS!"
Ma Potter era lontano anni luce; lo sentiva a malapena, il sangue le pulsava nelle orecchie, la rabbia e il dolore nelle vene, quella parola che riecheggiava nella mente... James Potter sarebbe anche potuto non esistere...
Sanguesporco, sanguesporco, sanguesporco, sanguesporco, sanguesporco, sanguesporco...
"Lily."
Aveva raggiunto le porte del castello, quando qualcuno le afferrò il braccio. Marlene.
"Lily," ripeté la bionda, a voce più bassa. Donna e Mary si tenevano a poca distanza.
Ma Lily non poteva rimanere. "Non qui," mormorò. "Il dormitorio..."
Marlene annuì. "Lily, mi dispiace così, così tanto..."
Aveva voglia di piangere. No, aveva voglia di tirare qualcosa. Voleva colpire qualcuno con tutta la forza che aveva. Voleva...
"Tutto ok."
Si voltò e oltrepassò le porte del castello... i piedi si muovevano sotto di lei, portandola attraverso corridoi e su per scalinate, e solo un pensiero risuonava.
Sanguesporco.
(Presente)

C’era stato un numero sorprendente di momenti significativi in quella biblioteca, considerò Severus Piton, mentre aspettava Lily al solito tavolo, in fondo all’angolo posteriore. Il più recente, e meno piacevole dei quali, si era verificato il giorno prima...
Ma non poteva sapere che Lily era in biblioteca, e forse non aveva sentito troppo di quello che avevano detto...
Eppure, dallo sguardo che aveva mentre se n'era andata via infuriata, Severus capì che aveva sentito abbastanza. Non era sicuro nemmeno che si sarebbe presentata all’incontro di studio che avevano fissato prima.
Lily comunque era vrnuta, e sembrava frustrata. "Non posso restare," lo informò. "Madama Chips ha chiesto agli studenti più grandi di aiutare in Infermeria, per tutto lo stress dovuto agli esami, e ho promesso che avrei aiutato un paio di ore..."
"Lily," interruppe Sev, frustrato. "Sei arrabbiata, non è così?"
"No," Lily insisté. "Sono solo in ritardo."
"So che hai sentito me e Mulciber ieri," continuò il Serpeverde, alzandosi dalla sedia. "Non serve negarlo."
"Non lo sto negando," controbatté lei. "Lo sto evitando, perché francamente, non so ancora cosa pensare—tranne che sono davvero, davvero incazzata, e se ne parlo ora, probabilmente inizierò a urlare a qualcuno. Ma non è per questo che devo andarmene... devo andarmene ora perché ho promesso a Madama Chips che sarei stata in Infermeria trenta secondi fa."
"Lily," pregò Severus, mentre l'altra stava di nuovo per andarsene. Lily si fermò, le spalle abbassate come se avesse fatto un grosso sospiro.
"Sì?" chiese, voltandosi lentamente.
Aveva un’espressione esausta, un broncio sulle labbra rosee e gli occhi fissi su Severus come se aspettasse qualcosa. Aspettava, e lo sapeva. Aspettava che dicesse qualcosa che gli garantisse l’assoluzione, che avesse alleviato i suoi dubbi e avesse sistemato tutto.
"Non ho detto quella parola," fece a bassa voce. "Mulciber sì, ma io no..."
Lily lo fissò, quasi incredula, per un momento in più. Poi, scuotendo la testa, sorrise senza allegria. Era delusa. "Proprio non capisci, eh, Sev?"
Aveva fallito, Severus realizzò, mentre Lily cercava ancora una volta di andarsene dalla biblioteca. Aveva vanificato completamente tutte le speranze che la ragazza aveva per lui di guadagnarsi il perdono, e ora—solo perché Lily—il perdono doveva essere concesso senza giustificazioni. Severus le bloccò la strada.
"Non te ne andare arrabbiata," le chiese.
"Non sono..." Ma Lily si interruppe; si passò una mano tra i capelli folti, gli occhi alzati al cielo, come se stesse decidendo qualcosa. "Non sono arrabbiata, Sev," disse alla fine. "Possiamo—possiamo vederci mercoledì, okay? Qui, dopo l’esame di Difesa. Studieremo... Incantesimi, o quello che è. Okay?" Sev annuì. "Adesso devo proprio andare."
Lo superò in fretta e uscì dalla biblioteca. Severus si sedette di nuovo al suo tavolo, scontento ma rassegnato al fatto che per ora avrebbe ottenuto solo quello.

 
(Corsa)

La prima volta in cui si era trasformato, James l’aveva odiata. Certo, aveva letto che la prima volta che un mago diventava un Animagus era sempre la più dolorosa, ma non si era aspettato fosse così straziante. Si era sentito come se i muscoli si stessero strappando e lacerando, le ossa spezzando ed il cuore scoppiando. E, a pensarci, non era troppo lontano dalla verità.
Ma dopo la prima Trasfigurazione, i muscoli, gli organi e le ossa avevano ricordato come riformarsi, e James riuscì a prestare attenzione ai dettagli—ad esempio come cambiava il battito del cuore, e come sembrava diverso il vento sulla pelle, e come sembrava, sorprendentemente, naturale coordinare quattro zampe invece di due gambe. La parte migliore dell’essere Prongs era il galoppo, comunque. James amava la corsa quando era in forma umana, e adorava volare, ma nessuna delle due era remotamente vicina al galoppo.
Quelle stesse cose che amava del volo (l’aperto, il vuoto del cielo) lo facevano fremere quando erano assenti quando si muoveva a velocità inumana nella foresta. Era un gioco di riflessi, evitare alberi e saltare massi. La velocità, l’istinto, la concentrazione, il vento che gli riempiva le orecchie—assomigliava un po’ al volo, a volte, ma era anche molto diverso. Per esempio, si stancava molto più in fretta.
Come aveva imparato molto presto, Prongs poteva sopportare parecchia più stanchezza di quanto potesse il vecchio, solito James, e di solito era attento a non stancare completamente il primo, perché il risultato avrebbe reso, solitamente, inerte il secondo. Comunque, Padfoot e Wormtail non sarebbero riusciti a stargli dietro. Stanotte, però, era diverso.
James atterrò da un salto con uno schianto, gli zoccoli che scivolavano contro il sentiero di terra sconnesso tanto addentrato nella foresta che forse persino la conoscenza di Hagrid dell’area, nella migliore delle ipotesi, era vaga. Era buio—più nero della mezzanotte, visto che la luna crescente era ancora sottile, e i rami degli alberi nascondevano le stelle.
Scivolando, James chiuse gli occhi e si concentrò. Una forza invincibile lo travolse, tirandolo in direzioni diverse, e—come predetto e auspicato—l’adrenalina fu fenomenale. Il fiotto di sangue alla testa... il formicolio alle punte delle dita... la leggerezza di tutto il suo essere, così grande che superava anche il dolore che avrebbe dovuto sentire, adesso che il suo corpo umano rotolava nella polvere, battendo il collo contro una roccia e una gamba contro un ceppo, prima che di fermarsi, steso sulla schiena tra la terra e le felci.
James si sarebbe potuto addormentare anche lì. Ebbe a malapena la forza di tirare giù la maglietta che si era arrotolata sullo stomaco. Riuscì a malapena a voltare la testa di lato. Uno scarabeo arrancava sul suolo, vicino al suo viso, e fece un mezzo sorrisetto.
"Deve essere molto semplice essere te," mormorò, quasi invidioso. "Tra gli insetti la vita di uno va più a puttane di quella di un altro?" Lo scarabeo, come prevedibile, rimase in silenzio. "Come pensavo."
Sarebbe stato così, così dolorante la mattina dopo, ed era già tanto debole che la possibilità che sarebbe crollato prima di riuscire a tornare al castello era parecchio grossa, eppure, James attinse la forza da una sorgente a lui sconosciuta e si tirò su. Barcollò incerto per alcuni momenti e si dovette togliere i capelli sudati dalla fronte, ma lo sfinimento... non era una brutta cosa. Per Agrippa, era proprio la ragione della sua uscita, quella notte.
Diventare un Animagus aveva insegnato a James parecchie cose; l’aveva reso di gran lunga più consapevole dei propri movimenti, di cosa si provava a sentire il sangue pulsare nelle vene, o a vedere le cose attraverso i propri occhi, anche se imperfetti. E poi gli aveva insegnato anche due cose importanti. Una: che non importa quanto fosse esausto, si riscopriva sempre un po’ più forte di quanto credesse. Non importa quanto una notte di luna piena potesse togliere le energie fino all’ultima goccia, se si impegnava davvero, sarebbe stato capace di trovare la forza per alzarsi la mattina dopo e comportarsi come se tutto fosse normale.
La seconda cosa era che questa stanchezza andava a suo favore. Se ti stanchi abbastanza, l’essere esausti diventava inebriante. Rallentava il cervello, ottundeva i sensi, sfocava il mondo. E anche se ogni trasformazione fosse stata l’agonia che era stata la prima (e non lo erano), quell’effetto inebriante lo avrebbe reso . Oltre al fatto che quella notte gli avrebbe quasi garantito il sonno (e da come stavano le cose ultimamente, era già un incentivo sufficiente), una mente sgombra, pensò James mentre costringeva i propri piedi sul sentiero, era un dono raro, e che non durava mai abbastanza a lungo.

(Torre di Astronomia)
 
La biblioteca e la Sala Comune erano fuori questione per gli incontri che rischiava di fare lì, e Mary era nel dormitorio, il che rendeva impossibile studiarci. Perciò, si sentì
 senza scampo e senza tetto, mentre vagava per i corridoi in compagnia di una borsa pesante piena di libri alla ricerca di un posto dove stare sola e studiare.
Forse la Torre di Astronomia non era la scelta migliore, considerata la sua reputazione da posto "sociale", ma Marlene quella sera fu fortunata. A quanto pare il solito numero di coppiette amoreggianti che la frequentavano avevano deciso di dedicarsi ai libri, dati gli esami imminenti, e la torre era deserta.
Si sedette sul pavimento, facendosi cadere lo zaino a fianco e appoggiandosi al muro di pietra. L’unico soffitto che aveva era il cielo notturno, e forse il posto era un po’ scomodo—pavimento di pietra e aria estiva umida—ma almeno era da sola.
Aprì il libro di Pozioni alla pagina delle istruzioni di una delle cose che Lumacorno aveva promesso sarebbe uscita all’esame (la Pozione Calmante) e iniziò a leggere. Già dopo trenta secondi, pensava ad Adam. Avevano lavorato al tema sulla Pozione Calmante assieme.
"Dannazione," imprecò Marlene ad alta voce e a nessuno in particolare.
Ovvio, mentre guardava male le stelle, si rese conto che quasi in assoluto questo era il posto peggiore dove andare, se voleva evitare di pensare ad Adam. Non fu senza una fitta di dolore pensò a quello che era quasi successo lì nove mesi prima.
Spinse i libri sul pavimento e si alzò in piedi. Camminò fino al bordo e guardò il parco—la capanna di Hagrid in lontananza, la foresta proibita, le torri e i tetti del castello... Chiuse gli occhi e provò a immaginare cosa—Adam—avesse visto quella notte quando era quasi caduto. Aveva usato il termine "caduto," perché non valeva come salto, no?
Era sempre stata brava con le altezze; probabilmente perché le piaceva tanto volare, e adesso, appoggiata al muro che fissava giù, mentre gli altri avrebbero potuto soffrire di vertigini, Marlene si godeva la sensazione della brezza fredda sul viso e la vaga sensazione di leggerezza dovuta all’altezza. Senza sapere perché (e rendendosi pienamente conto che era una cosa stupida da fare), Marlene sollevò una gamba sul cornicione e vi si arrampicò.
Ed eccola lì, le braccia all’infuori per mantenere l’equilibrio, preda della gravità, mentre il vento le gonfiava piano la veste e l’uniforme. Se fosse stata un po’ più sana di mente, pensò, sarebbe stata parecchio più spaventata, eppure...
"Marlene?"
Spaventata, Marlene aprì gli occhi voltandosi, perse leggermente l’equilibrio e oscillò.
"Marlene!"
Si era a malapena accorta che era stato Adam McKinnon a chiamarla prima che lui le prendesse la mano e la trascinasse giù.
"Ma che diavolo stai facendo?" Adam domandò.
"Stavo solo..." Marlene si interruppe, perché non aveva un vero motivo... "Niente," liquidò. "Che ci fai qui, comunque?"
"Oh, sai... rivivo ricordi felici legati alla Torre di Astronomia."
"Non scherzarci su."
"Dice la donna che stava preparando un tuffo a pesce."
"Non stavo preparando un tuffo a pesce. Stavo—ehm—mi godevo il panorama."
Poi, sia Adam che Marlene si accorsero che erano ancora, più o meno, uno nelle braccia dell’altra, e improvvisamente, imbarazzati, si separarono.
Adam si schiarì la gola. "C’è—c’è una ragione per cui hai sentito il bisogno di arrampicarti lassù?" le chiese, grattandosi la nuca e senza guardarla negli occhi.
"Non lo so," replicò Marlene; anche lei distolse lo sguardo determinata. "L-l’ho solo... fatto. Volevo vedere cosa si provava."
Lui inarcò le sopracciglia. "E cosa hai provato?"
Dopo aver riflettuto un po’: "Libertà."
Adam sbuffò col naso. "Certo."
"Che ci fai qui, comunque?" Marlene continuò, in qualche modo accusatoria. "Vieni un sacco quassù? Non penso ti faccia bene. Dopo tutto, ti sei quasi...beh, sai, e..."
"Sono venuto quassù per pensare, tutto qui," interruppe Adam. Notò i libri. "Fai i compiti?"
"Provo a studiare. Senza successo."
"Ed è stato questo che ha fatto nascere il tentato suicidio?"
"Non era un tentato suicidio!"
"Sì, se fossi arrivato un minuto in ritardo, sarebbe stato un suicidio riuscito."
"Ho un equilibrio eccellente, veramente."
"Sei quasi caduta!"
"Solo perché mi hai spaventata!"
Rimasero tutti e due in silenzio per alcuni secondi; alla fine, Adam scosse la testa e parlò. "Bene. Ti—ti lascio al tuo studio. Solo... non arrampicarti più sui ballatoi, ti prego?"
Fece per andarsene.
"Aspetta. Adam." Il mago si fermò e la guardò, e Marlene sapeva che non aveva il diritto di dirlo, ma, Merlino, ne aveva bisogno. "Mi manchi."

(Tre settimane e mezzo Prima)
 
Il sole era basso nel cielo, colorando il Campo di Quidditch di luce arancio e rosa. Eppure, c’era una luce strana negli occhi verde-blu di Adam che non poteva essere collegata al tramonto.
E poi lo disse.
"Marlene, Ti amo."
Compulsiva: "Adam, aspetta..."
"No, non posso," si affrettò. "Non capisci—aspetto da una vita. Non ce la faccio più. Ti amo. Voglio dire, sono innamorato di te sul serio. Sono innamorato di te dal quarto anno, e... e so che siamo amici, ma, Marlene, è... impossibile per me continuare a comportarmi come se mi bastasse. Non ci riesco più... Voglio stare con te."
Parecchi secondi, o forse parecchi minuti, erano passati. La sua voce non funzionava più, perché parecchie volte cercò di costringersi a parlare, ma scoprì che le parole le morivano in gola. Nel frattempo, il cervello correva così in fretta, che era come se si fosse bloccato del tutto, perché tutti i pensieri, le emozioni, e gli impulsi che aveva, si confusero assieme nel panico.
Sentì il calore invaderle il volto. Era vagamente consapevole di avere paura. Era più che vagamente consapevole della maniera frenetica in cui le batteva il cuore. Non aveva idea di come avrebbe dovuto (o come avrebbe voluto) rispondere.
"Ti prego dì qualcosa, Marlene."
Ma non ci riusciva, perché se non poteva dirgli di amarlo a sua volta, avrebbe preferito non dirgli niente affatto. E non poteva nemmeno dirgli che lo amava. Proprio non poteva.
Oh, Dio, doveva dire qualcosa...
"Io—Mi dispiace, è che..." Più esitazione, poi, "Non so che dire, Adam. Io non—io  non lo sapevo."
Ma questo, capì orribilmente, all’improvviso, era una bugia. Certo che lo sapeva. Certo che si era resa conto che la amava! L’ aveva negato, e soppresso, e inventato piccole belle scuse per Mary e se stessa, ma lo sapeva. Una ragazza—pensò—lo sa sempre.
"Adam," cominciò, ancora scossa dalla realizzazione infelice. "Non posso. Senti, s-s-s-sei uno dei miei migliori amici..."
Non sembrò sorpreso da quella frase fatta (ed era una frase fatta); non sembrava nemmeno ferito, o scioccato; ma qualcosa di indefinibile cambiò nella sua espressione, e Marlene sapeva che aveva capito esattamente quello che volesse dire.
"E tutto qui," Adam la interruppe, e il suo tono non era una domanda. "Amici."
Senza fiato, e con uno strano e orribile dolore nel petto: "Non ti basta?"
"Che vuoi dire?"
"Voglio dire, non—l’amicizia non è abbastanza?"
"Non lo so," disse Adam. "Ma non—non penso di poterlo fare più. Non riesco a tornare come eravamo prima... mi fa troppo male, Marlene."
"Che intendi con 'poterlo fare' più?" chiese, allarmata. "Non puoi—non puoi essere mio amico?"
"Mar, ti ho appena detto che ti amo. Non credi che cambi le cose?"
Il cuore le batté nel petto. Sapeva cosa stava per succedere; stava per perdere Adam... No, l’aveva già perso. Aveva ragione; era cambiato tutto. Lui aveva cambiato tutto.
"Senti," disse Adam, dopo che era rimasta in silenzio per un po’, "Dimentichiamocelo. Dimentichiamo tutto. Se tutti e due facciamo finta che non sia mai successo, non è successo, no? E tutto..."
"Non possiamo," Marlene interruppe all’improvviso. Si alzò in piedi barcollando, e Adam la imitò. "Non possiamo tornare normali! Non posso dimenticarmi una cosa del genere! Ormai è successa—ormai è allo scoperto!" Gli occhi si riempirono di lacrime e la testa le pulsò dal dolore; si massaggiò le tempie con i polpastrelli, cercando di calmarsi. "Come possiamo essere amici, ora?"
Adam la guardò, scioccato.
"Perché l’hai fatto?" lei disse, e poi si augurò di non averlo mai fatto. Oh, Dio, ti prego, fa che potesse rimangiarsi tutto. Ti prego, fa che non dovesse più vedere Adam con un’espressione del genere. Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego...
"Mi—Mi dispiace," disse piano.
No, no, no, no, no, no, no, no...
C’era un milione di cose che avrebbe voluto dire—qualunque cosa per sistemare tutto, qualunque cosa per rimangiarsi tutto. Ma, Dio, non sapeva cosa dire, e non poteva vederlo così; non riusciva a sopportare quell’espressione un minuto di più.
"D-devo andare," balbettò. Le lacrime le scivolavano dagli occhi mentre si voltava e scappava via, stringendosi addosso la veste. Adam non la fermò.
Adam mi ama, pensò, e si accorse, davvero afferrò il concetto, per la prima volta, che lei aveva bisogno di lui.
(Presente)
"Mi manchi."
Adam la fissò. "Cosa?"
"Eri il mio migliore amico. Sei il mio migliore amico... assieme a Mary," si corresse, alzando gli occhi al cielo, "Ma... non ci parliamo più? Se è colpa mia, mi dispiace..."
"Non è colpa tua," sospirò Adam. "E’ mia."
"No, non dire così. Non è colpa tua. Non dovevo dire quello che ho detto."
"Io non dovevo dire quello che ho detto."
Marlene si prese un minuto per esaminare. Cosa aveva detto lui? Non aveva detto niente di scortese... quindi significava che... si rimangiava tutto? Non era innamorato di lei, dopotutto? Ma perché no? Marlene si rimproverò per quel pensiero e incalzò:
"Quindi... che vuoi dire?"
"Io non dico niente," Adam sottolineò. "Me ne stavo andando, ricordi?"
"Non voglio che non siamo amici." Lo stava praticamente pregando, adesso.
"Sei stata tu a dire che non potevamo esserlo. E credo che avessi ragione."
"No!" Fece un passo avanti. "No, non è vero. Se vuoi ancora che siamo amici..."
"Marlene..."
"Cosa?"
Adam fece un grosso sospiro; si ricacciò indietro dagli occhi i capelli castano chiaro, che gli cascavano sul viso, e spostò il peso sull’altra gamba. "Mi piacerebbe ti decidessi una volta per tutte."
"Anche a me," si disse d’accordo Marlene mogia, e lui sorrise un poco, come se stesse cercando di trattenersi.
"Nemmeno io voglio che non siamo più amici," concesse, dopo un po’.
"Sul serio?"
"Pensi che possiamo dimenticarci quello che è successo e basta?"
"E tu?" Aspettò ansiosa una risposta. Alla fine, Adam annuì.
"Penso di sì."
"Sei sincero?"
"Già."
Si guardarono. "Okay," disse Marlene alla fine. "Quindi—amici?"
Con pochissima esitazione: "Amici," Adam acconsentì. Ma c’era qualcosa nei suoi occhi—qualcosa nell’espressione e nel modo in cui l’aveva guardata mentre pronunciava quella parola—qualcosa che le diceva che era cambiato tutto.
Amici.
La cosa tragica, Marlene pensò mentre si salutavano con un po’ di imbarazzo, era che tutti e due sapevano che era una bugia.

 
(E Remus)

"Ehi—che esame quello di Erbologia, eh?"
Remus Lupin alzò gli occhi dal libro di Difesa Contro le Arti Oscure and sorrise debolmente quando Lily si sedette sulla sedia libera di fronte a lui al tavolo in biblioteca.
"Come pensi di essere andato?"
Remus scrollò semplicemente le spalle. "Tutto ok, suppongo. Tu?"
"Lo stesso, credo." Stettero seduti un momento, e poi Lily continuò: "è un po’ che non ti vedo. È un secolo che voglio parlarti, ma—non sei mai da solo. Non ti vedo mai in Sala Comune e nemmeno a mangiare... trovarti qui è stato puramente il risultato di uno stalking diligente."
"Sto mangiando quasi tutte le volte nelle Cucine," disse Remus piano. "E in Sala Comune c’è sempre il rischio di incontrare Sirius, quindi..." Abbassò gli occhi sul libro. "E, per essere onesti, ti stavo evitando, più o meno."
Lily annuì. "Eh... più o meno lo pensavo."
"Solo, è che non sono... non sono molto sicuro di cosa dirti," Remus continuò. "A parte gli altri—James, Peter, Sirius, sai no—nessuno... voglio dire, non mi è mai capitato che qualcuno ‘scoprisse' di me. Con il fatto che Piton lo sa, ci sono problemi, ma non è che me ne freghi molto della sua opinione su di me, sai? Ma—con te, è un po’ diverso."
Lily annuì di nuovo. "Sono contenta che non lo sapevo," gli disse. "Intendo, prima. Sarebbe stato molto complicato con Sev, e capisco perché non volessi dirmelo... visto che era il mio migliore amico e il tuo peggiore nemico..." sospirò.
"Già."
"Ma non è questo il motivo per cui volevo parlare con te." Remus si mosse, a disagio. "Ti senti bene? Voglio dire, non posso dire di essere un’esperta in..." Abbassò la voce: "...licantropia, ma sicuramente non è molto piacevole. Ho letto che gli eventi lunari possono pesare orribilmente, e la luna piena si avvicina, e... beh... già sai tutto, ovvio."
"Sto bene," disse Remus. "E, Lily, credimi, lo capisco."
"Capisci? Capisci cosa?"
"Non mi devi niente, Lily."
"Remus, non ho idea di cosa tu stia parlando."
Remus sospirò. "Ti ho mentito, e—non era proprio qualcosa di stupido o insignificante. È il tipo di segreto che avresti dovuto sapere... che tutte le persone che considerano l’ipotesi di essere miei amici e di passare tempo con me—che hanno diritto di sapere."
"Beh, volendo essere corretti, non mi hai mai detto di non essere un lupo mannaro," Lily scherzò, ma poiché il sorriso di Remus era—volendo esagerare—un sorriso a metà, continuò più seria: "Remus, non devi scusarti per non avermelo detto. E di sicuro non devi scusarti per... per essere quello."
"Che ne dici del fatto che ho provato a farti a pezzi?"
"Eh. Ho avuto notti peggiori." Remus continuò a non aver l’aria di divertirsi. "Oh, eddai, non ridi a nessuna delle mie battute," Lily si lamentò. "Sei arrabbiato con me?"
"No, non sono arrabbiato con te," sospirò, reclinandosi sulla sedia. "Mi sento solo—mi sento solo colpevole quando mi sei attorno."
"Beh, non farlo. Non hai niente per cui sentirti colpevole. Niente di questo è colpa tua."
"Questo non cambia niente."
"Che vuoi dire?"
"Voglio dire..." Si fermò a riflettere, poi continuò: "Voglio dire, non cambia il fatto che sono il tipo di... creatura... che le persone rispettabili evitano."
"'Creatura,' Remus? Sul serio?"
"Lily, la mia razza viene studiata a Cura delle Creature Magiche. Ho dovuto rispondere a delle domande su di me ai G.U.F.O. di Difesa Contro le Arti Oscure. Non sono un amico ideale. Non lo sono proprio."
"Che mi dici di James e Sirius e Peter?"
Remus le lanciò un’occhiata significativa.
"Beh James e Peter, allora?" si corresse sincera. "Che mi dici di loro? Sono tuoi amici."
"è diverso. Lo sanno dal secondo anno."
"E tra quattro anni, lo avrò saputo tanto quanto lo sanno loro!"
"Lo so, è solo che..."
"Solo cosa?"
Esitò. "Se l’avessi scoperto in un altro modo... se Sirius non l’avesse detto—detto a Piton, persino—allora le cose sarebbero state diverse. Sarebbe stato abbastanza per me sentirti dire che non ti dava problemi. Probabilmente sarei stato persino sollevato dal fatto che lo facevi."
"Ma?"
"Ma Sirius l’ha detto," replicò Remus con una scrollata di spalle. "Il mio miglior amico mi ha usato in un qualche piano per vendicarsi, e ora come ora, non mi fido di nessuno che sappia il mio segreto. Nemmeno James e Peter, ed è orribile, ma non posso farci niente. Per la prima volta dopo anni, vorrei che non lo sapessero. Vorrei che nessuno lo sapesse. Prima che Sirius l’avesse fatto, non mi ero accorto di come morivo dalla voglia di alzarmi, davanti a tutti, e di dirlo, perché  odiavo mantenere questo stupido segreto, e amavo il fatto che ci fosse qualcuno—tre qualcuno, per essere precisi—che sapeva la verità. Ma adesso capisco perché non posso dirlo a nessuno. Preferisco tenere per me il tormento di questo segreto che... che l’alternativa."
Lily annuì lentamente, e dopo un po’ propose mezzo scherzando: "Vuoi obliviarmi?"
Remus sbuffò col naso. "Già mi sento abbastanza in colpa per il fatto che non mi fido di te... fare una cosa del genere mi farebbe stare peggio."
"Puoi fidarti di me, Remus."
"Lo so... è solo... difficile."
"Okay." Lily si alzò. "Siamo ancora amici, comunque... giusto?"
"Mi—mi farebbe piacere," replicò Remus. "Se lo vuoi tu..."
"Ma certo." Lily si morse il labbro, prima di aggiungere: "Per qualunque cosa, sono qui."
"Grazie." La strega fece per andarsene. "Lily," Remus la chiamò piano, e si fermò. Per evitare che qualcuno sentisse, si alzò e andò da lei, avvicinandosi per parlare. "So che stai passando del tempo con Sirius..."
"Remus, non ha amici..."
"No, non è questo," interruppe l’altro. "Voglio solo—voglio avvertirti. So che pensi di poterti fidare di lui—che il suo cuore stia dalla parte giusta. Questo è quello che ho sempre pensato. Ma non devi. Non devi fidarti di Sirius Black."
Lily lo guardò negli occhi. "Eppure, lo faccio."
Remus si accigliò, il dolore evidente sulla sua faccia bianca, pallida. "Stai attenta, Lily."
Sapeva che quelle volevano essere ultime parole, ma Lily fece un passo avanti, chiudendo la distanza che li separava e abbracciando Remus stretto. Quando lo lasciò andare, disse: "Andrà tutto bene, sai. Sirius, Potter... tutto. Te lo prometto."
E poi, poiché Ms. Sevoy li guardava in maniera strana, Lily strinse un’ultima volta, per confortarlo, la mano di Remus, e se ne andò.


 
(Con assoluta Certezza)

 
Anche l’euforia dello stare con Frank non era abbastanza per sollevare del tutto l’umore di Alice alla luce del primo giorno degli esami M.A.G.O. Il lunedì mattina, la strega giaceva spaparanzata sul letto di Frank, circondata da libri e appunti, nessuno dei quali voleva o aveva l’energia di rivedere ancora.
"Verrò bocciata al M.A.G.O. di incantesimi," informò il suo ragazzo. "Lo so. Spero che ti divertirai con gli auror, Frank, perché finirò col fare la cameriera."
Il Caposcuola, che stava seduto, un po’ accasciato, alla scrivania mentre cercava invano di leggere un altro capitolo sugli incantesimi di Crescita delle piante, scosse la testa. "Andrai bene. Sei brava in Incantesimi."
"No, non lo sono. Sono solo una falsa convincente."
"Oh, ho seri dubbi." Sorridendo, Frank si alzò dalla scrivania e accese la radio, prima di avvicinarsi al letto e stendersi accanto ad Alice. Rimasero fermi e in silenzio per un po’ di tempo, mentre una vecchia canzone si diffondeva per la stanza con promesse di amore eterno e profonda devozione.
"Ally," mormorò Frank immediatamente; "E se—e se non fossimo auror?"
Alice lo guardò. "Che vuoi dire?"
"Voglio dire, e se non riusciamo a essere ammessi al programma? O se—se decidiamo di fare qualcos’altro?"
"Perché dovremmo decidere di fare qualcos’altro?" incalzò Alice. "Stai pensando a qualcos’altro?"
"No," ammise. "No, non lo so."
"Frank, ma di che stai parlando?"
Il Caposcuola sospirò. Si strinse ad Alice, considerando la risposta con attenzione prima di dirla. "Ho sempre voluto essere un auror," iniziò lentamente. "Non ho mai pensato a fare altro in vita mia. Ma questo—questo era quando avevo te."
"Mi hai ancora," Alice gli fece notare. "E io ho te."
"Sì, lo so. Ma non... non ti ho avuta ora; so com’è. Non voglio provarlo più, e se—se non fossimo auror, se in qualche modo potessimo solo andarcene..."
"Frank," Alice lo interruppe piano; "Lo so. Ci ho pensato anche io."
"E...?"
"E non ho una risposta. Non ho una ragione per cui dobbiamo stare qui, tranne il fatto che io so che dobbiamo restare—che devo essere un auror... che devo combattere. E non posso essere certa, ma credo che scoprirai che senti le stesse cose."
Frank non rispose. La canzone che davano per radio terminò, e l’annunciatore lesse un breve aggiornamento sulle ultime notizie: un attacco dei mangiamorte in Galles, due streghe nate babbane morte, una breve pubblicità del Solvente magico di Nonna Acetonella per ogni tipo di sporcizia, e poi, di nuovo musica...
"Frank?"
Il mago si destò dalla trance e sorrise ad Alice prima di tirarsi su a sedere. "Immagino che faremmo meglio a studiare."
Alice sorrise a sua volta e annuì. "Immagino di sì."
Frank si sporse, baciandola piano sulle labbra. "Ti amo, Alice Griffiths."
"Ti amo anch’io."

 
(Fine)

 
La cosa più strana di tutta la faccenda fu l’assoluta mancanza di convenevoli. Era il Mercoledì della settimana degli esami, e Lily terminò il proprio esame di Difesa alcuni minuti prima di Severus Piton. Si sarebbero dovuti incontrare in biblioteca per studiare un po’ per l’esame di Incantesimi, che era quel pomeriggio, ma Sev si fece attendere.
Alla fine, arrivò e si sedette a uno dei pochi tavoli rimasti liberi, ma non era il solito, quello nascosto nell’angolo, bensì uno di quelli centrali, circondato da dozzine di studenti che sgobbavano affaccendati.
"Non ci possiamo sedere da un’altra parte?" chiese Severus, e Lily non si fece sfuggire l’occhiata circospetta a un tavolo occupato dai Serpeverde del quinto anno.
"Perché?"
"Troppo rumore, qui," mormorò l’altro. Ovviamente era un bugia—ognuno era di gran lunga troppo impegnato a ripassare per gli ultimi esami da disturbarsi a chiacchierare.
Lily sembrava infastidita; no, peggio che infastidita. Sembrava arrabbiata. "No," disse semplicemente, e continuò a ripassare gli appunti di Incantesimi.
Frustrato per la testardaggine della strega, Severus incalzò: "Perché no?"
"Perché."
"Perché cosa?"
"Perché."
Piton la guardò truce. "Non è un vero motivo."
Lily incrociò le braccia sui fogli e guardò gli occhi neri di Piton con aria di sfida. "Perché a parte un gruppo di persone in questa stanza che in questo momento stanno probabilmente pensando la parola 'sanguesporco', non vedo alcuna altra ragione per spostarci."
"Capisco," fece il mago, velenoso. "Quindi mi stai mettendo alla prova."
Non lo negò. "Come pensi di essere andato?"
"Lily," cominciò il Serpeverde, "dovremmo essere amici..."
"Ma non lo siamo," interruppe lei all’improvviso. "Non lo siamo, non è così?"
Alla fine, scosso: "C-che vuoi dire?"
"Prima ci confidavamo le cose," Lily continuò. La voce vuota—non senza sentimento, ma nuda, in qualche modo. "Prima sapevamo cosa ci succedeva. Prima non mi nascondevi, e non usavi la nostra amicizia per ottenere quello che volevi—come un bambino petulante di cinque anni... o forse prima lo sapevi solo fare meglio, quindi non me ne sono accorta." Adesso c’era una punta di rabbia nella sua voce che tremava appena. "Non siamo amici, Sev—quando è stata l’ultima volta che siamo stati veramente, sinceramente amici?"
"Lily..."
"Non so che hai detto a Mulciber l’altro giorno," continuò. "Non so se sei d’accordo sullo stato di sangue e sui mangiamorte con lui... ma non mi fido di te, Sev, e tu non ti fidi di me."
"Ma io mi fi..."
"Non mi dici più le cose. Non so che succede nella tua vita... che succede quando non ci sono, e tu di sicuro non sai che succede nella mia—e questo dipende da me quanto da te, perché nemmeno io dico a te le cose. A volte parliamo, ma non ci diciamo niente. Evitiamo le cose, giriamo intorno ai problemi... ci mentiamo..." Pensò all’incidente della luna piena e alla versione di Severus dell’attacco di Mulciber a Mary. "Non siamo amici," finì con un sussurro. "Non siamo amici da un sacco di tempo." Una singola lacrima le scivolò sulla guancia, e infilò libri e pergamene nella borsa.
Era già fuori in corridoio prima che Severus la inseguisse.
"Quindi è così?" scattò, raggiungendola. "Tutto qui, non siamo amici?"
"Tutto qui?" fece eco Lily ironica. "Non è ‘ all’improvviso,' Sev. Una anno fa, mi hai chiamata una 'sanguesporco' davanti a tutto il nostro anno..."
"è stato un incidente, e hai detto che mi avevi perdonato..."
"Certo che è stato un incidente!" Lily lo bloccò a voce alta. "Ti è solo scappato, lo so, perché avevamo litigato, e perché eri in imbarazzo, e perché eri arrabbiato, e ti è scappato! E ho detto di averti perdonato, è vero, ma non l’ho fatto! Ci ho provato—a volte ho pensato anche di esserci riuscita... Ma c’è una ragione per cui non ti ho affrontato per i tuoi malcelati tentativi di nascondere la nostra amicizia prima d’ora, ed è perché lo sapevo... lo so fin da quel giorno dopo i G.U.F.O. che non avresti scelto me! E quella sera nella Sala d’Ingresso—il primo giorno dell’anno, quando Mulciber ti ha costretto a scegliere... se James non l’avesse colpito, ti saresti schierato con loro, non è vero? Avresti preso la mia bacchetta..."
Ma Piton sembrava essere diventato sordo dopo un certo punto. "Quindi è diventato James adesso?"
"Oh, Dio, stai zitto!" quasi urlò. "Ma come la pensate su di me, voi due? Che sia disperatamente scema? Che non possa essere arrabbiata con uno senza che l’altro mi pianti in testa delle idee? Perché diavolo pensi che tutto quello che James Potter fa giustifichi qualunque cosa tu faccia?"
" si arriva sempre a lui quando parlo con te..."
"Perché tu vai sempre a parare lì!"
Gli occhi di Piton lampeggiarono di rabbia. "Non sono costretto a tollerare queste cose..." mormorò, voltandosi per andarsene. Tutto quello che Lily registrò fu quanto era cambiato... Quanto diverso era dal ragazzino al parco del vicinato che le aveva detto che era magica...
"Avevo ragione, vero?" disse piano quando era poco lontano, e Severus si fermò per sentire quello che pensava. "Ho detto che tutti e due avevamo scelto la nostra strada, e avevo ragione. Avevamo già scelto; non potevamo tornare indietro..."
Senza guardarla o dirle una parola, Piton ricominciò a camminare in fretta. Lily lo guardò andar via; poi, issandosi la borsa in spalla, si voltò e si incamminò lentamente nella direzione opposta.

 
(Quinto anno, Parte Due)
 
Sanguesporco.
La parola faceva eco nella sua testa come aveva fatto ore prima.
Tu hai scelto la tua strada e io ho scelto la mia.
Lily si strinse la vestaglia attorno al corpo. La faccia segnata dal terrore, e i capelli erano un disastro.
Sev era perduto. Perduto, perduto, perduto. Sev l’aveva chiamata una "sanguesporco." Sev aveva scelto loro. Sev era perduto.
Lily annaspò e tossì, grata almeno del fatto che era uscita dal dormitorio. Non riusciva a sopportare la compassione di Mary e Marlene, o le minacce di Donna di strangolare "quell’inutile feccia Serpeverde." Ora come ora, voleva solo stare sola, e, sebbene lo star seduta in un angolo del corridoio del quinto piano alle nove di sera le avrebbe con tutta probabilità potuto procurare una punizione, Lily scoprì che era un rischio che era disposta a correre.
Sanguesporco, disse il Severus nella sua testa ancora una volta, e il cuore le si spezzò di nuovo.
"Lily Evans?"
Lily quasi sobbalzò al suono del suo nome. Un Corvonero del sesto anno era in piedi lì vicino (come aveva fatto a non vederlo?) e guardava la ragazza del quinto con la faccia rigata di lacrime davanti a lui. Il mago era proprio un bel ragazzo, con capelli castano-dorati pettinati ordinatamente, profondi occhi scuri, e un’aria seria e intelligente. Lily a malapena lo conosceva—il suo nome era Luke, e pensò che forse il suo cognome avrebbe potuto essere "Harper."
"Non andrai a spifferare a Gazza che sono qui, vero?” chiese, la voce roca per il pianto. Luke sembrò scandalizzato anche dalla sola ipotesi.
"Certo che no. Stai bene?"
"Sto—sto bene?" balbettò. "Ti sembra che stia bene?"
Un altro ragazzo si sarebbe offeso, o l’avrebbe interpretato come un segnale di pazzia e si sarebbe tenuto alla larga; James Potter avrebbe probabilmente commentato che era carina in ogni caso, ma Luke Harper sembrava solo dispiaciuto. "Mi dispiace." Poi, con grande sorpresa di Lily, il Corvonero si sedette accanto a lei. "Ma è—è morto qualcuno?"
"Che? Oh, no." Lily scosse la testa. "Niente del genere. Il mio amico Severus... lui..."
"Oh, sì, ne ho sentito parlare. James Potter e gli altri del quinto anno..."
"Già."
"Vuoi—vuoi parlarne?"
"Per niente," sospirò la rossa. Con un’espressione compassionevole negli occhi castani, Luke le mise una mano sulla spalla. Poi, senza volerlo, Lily si ritrovò a parlare: "Doveva essere il mio migliore amico," iniziò disperata. "Doveva essere—avevamo litigato un paio d’ore prima, ed era frustrato con me... era arrabbiato per colpa dei Malandrini, imbarazzato per colpa di Potter, e lui l’ha... l’ha proprio... l’ha detto... doveva essere il mio migliore amico, e non—non importa quanto sei arrabbiato, ci sono certe cose che non puoi fare... non al tuo migliore amico... non a qualcuno a cui tieni veramente, sul serio. Cosa fa capire di lui? Cosa fa capire di me?" Tirò su col naso e continuò: "Siamo stati amici da—da prima di Hogwarts... è stato lui a dirmi che ero una strega... Era lì quando mia sorella ha iniziato a odiarmi—è stato il mio primo amico, a parte lei... il mio primo amico a Hogwarts... Avrei fatto qualunque cosa per lui, ma non può—non vuole... non vuole fare lo stesso per me. Ma siamo stati migliori amici da quando avevo nove anni... cosa... cosa si suppone che io faccia, adesso che non c’è più...?"
Lily sobbalzò, come ricordandosi all’improvviso che non era sola, a parlare con sé stessa. "Mi dispiace. Non dovrei—non dovrei romperti le scatole così’. Non ti conosco nemmeno."
Luke sorrise comprensivo; aveva un bel sorriso—un bellissimo classico sorriso regolare. "Lucas Xavier Harper," si presentò, tendendo la mano.
Lily restituì il sorriso (anche se il suo era piuttosto traballante), stringendogliela. "Lily Marie Evans."
Scossero le mani. "Allora," Luke continuò, "Cos’altro c’è?"
"Che intendi dire?"
Il Corvonero infilò una mano in tasca ed estrasse un pezzo di stoffa bianca ripiegato. Un fazzoletto. Lo porse a Lily. "Cos’altro c’è, con cui non vuoi rompere le scatole alle persone?"
Lily fissò incredula prima il fazzoletto e poi Luke.
"Sono molto bravo ad ascoltare," le disse.
"Davvero?"
"Sì."
Si asciugò le lacrime dalle guance, ma tenne stretto il fazzoletto mentre continuava con la sua storia (così com’era). Con Luke era facile parlare; non aveva un’idea precisa su Severus Piton, nessuna predilezione particolare per James Potter... ascoltava con attenzione. Raccontò di nuovo, pianse, si sfogò, e—pensò—c’era qualcosa in Luke Harper... qualcosa in lui per cui valeva la pena guardarlo una seconda volta.
(Presente)
"Che tristezza," brontolò Alice di cattivo umore. "Sono stata a Hogwarts sette anni, e scopro questo posto solo la mia ultima settimana qui?"
Stava seduta su un largo, comodo divano, assieme a Lily, mentre Sirius Black ravvivava il fuoco. I tre Grifondoro erano in una stanza abbastanza grande, i muri bianchi spogli, alcuni mobili di stile diverso, e un letto che sembrava proprio comodo. Sirius alla fine aveva ceduto e aveva acconsentito a mostrare a Lily dove aveva dormito nelle ultime settimane, e Lily si era portata Alice per una pausa dallo studio di cui aveva proprio bisogno.
"Gli elfi domestici la chiamano la Stanza Va e Vieni," Sirius spiegò. "James e io l’abbiamo trovata al quarto anno. Stavamo cercando un posto in cui nascondere Mrs. Purr, e puff, è apparsa... badate, ci abbiamo messo tre ore a ritrovarla, il che è stato meno piacevole."
"Avresti potuto dirmelo prima," mormorò Alice, guardandosi attorno meravigliata. "Di certo mi avrebbe fatto comodo in un paio di occasioni..."
"Davvero non voglio sapere a cosa tu stia pensando adesso, Alice Griffiths," Sirius interruppe. "Specialmente perché immagino che il tuo ragazzo sia coinvolto."
"Mi spaventa il fatto che la mia mente sia andata esattamente dove è andata la tua, Sirius Black," disse Alice. Sirius ghignò e si mosse verso uno dei tavoli in fondo, afferrando un sacchetto di carta.
"Zuccotto di zucca?"
"Oh, sì ti prego."
Sirius le lanciò la busta, prima di sedersi su un’imponente sedia marrone.
"Ne vuoi uno, Lily?" offrì Alice, porgendo il sacchetto alla rossa. Lily, comunque, stava fissando il fuoco e non sembrò accorgersene. "Pronto? Lily?"
Sobbalzò, come se si fosse appena svegliata. "Che? Oh, no grazie."
"Tutto apposto, Evans?" chiese Sirius. "Sei silenziosa stasera."
Lily sorrise debolmente e scosse la testa. "No, sto bene. E tu? Come vanno gli esami?"
Sirius scrollò le spalle. "Ho più tempo a disposizione per studiare, ma non ho attorno Lupin che mi costringe a farlo... quindi più o meno come al solito."
"Vorrei tanto che me lo dicessi," Alice si lamentò, mordendo uno zuccotto di zucca risentita. "è sconcertante vedere gli altri Malandrini arrabbiati con te, Sirius. Quale, esattamente, è stata la malefatta che ha fatto tanto arrabbiare gli altri?"
"Fidati," Sirius divagò facilmente; "è meglio se non lo sai."
"Ci riesci tu a farglielo dire, Lily?" chiese Alice speranzosa, ma Lily scosse solamente la testa.
"Suppongo che non ci riesca nessuno."
"Beh, allora dovrai estorcerlo a James," la ragazza più grande incalzò. "O Remus."
Sirius osservò intensamente Lily trovare una scusa poco credibile. "Comunque," aggiunse, "Potter e io non andiamo esattamente d’amore e d’accordo."
"Beh, lo siete mai?" Alice fece notare. "è quello che fate, comunque. Bisticciate, segue un litigio enorme, tutto esplode, poi per un po’ non vi fate sentire, poi iniziate ad andare d’accordo, e poi bisticciate di nuovo, e così via. Circolo vizioso."
"Forse non stavolta," disse Lily. "Penso che Potter e io abbiamo definitivamente chiuso il circolo." C’era qualcosa nel suo tono che fece capire ad Alice che la conversazione era diventata seria. Un’idea strana venne in mente alla ragazza del settimo, notando l’intesa silenziosa dei suoi compagni. Alice si alzò in piedi praticamente all’improvviso.
"Dovrei incontrarmi con Frank tra qualche minuto—Devo proprio andare."
Con un sorriso incoraggiante a Sirius e una promessa di incontrarsi dopo a Lily, Alice lasciò la  Stanza Va-e-Vieni, e gli altri due rimasero soli.
"Okay, Evans," disse Sirius, accendendo una sigaretta. "Sentiamo. Cosa c’è che non va?"
"Quasi tutto," Lily replicò. "Sono quasi certa di aver incasinato l’esame di Incantesimi."
"Scemenze—sei la migliore del nostro anno a Incantesimi."
"Se non contiamo Potter," Lily aggiunse, quasi risentita. "Vi siete scambiati almeno una parola?"
"Tu che dici?"
"Hai ragione." Osservò il filo di fumo che si alzava dalla sigaretta di Sirius e si ricordò di una cosa che le aveva detto una volta James. "Devi ammetterlo, c’è qualcosa di impressionante nel fumo."
Sembrava una vita fa, che si era seduta in Sala Grande assieme a James Potter, mentre fumava, e avevano parlato dei loro padri. Avrebbero provato a essere amici; James le dava consigli su Frank e Alice e Carlotta...
"...Se questi due sono destinati a stare insieme come sembri affermare, sopravvivranno..."
Aveva appena fatto pace con Sev allora... stava ancora con Luke... ancora felice con Luke... e Donna: aveva ancora Donna...
"A che pensi?" Sirius interruppe i suoi ricordi, facendo un lungo tiro.
Lily non rispose. Si piegò in avanti e fissò il fuoco. "Pensi che riuscirai mai a far pace con loro?"
Sirius fece un sorrisetto amaro. "Sei stata tu a dirmi che ci sarei riuscito," le fece notare. "Hai perso l’ottimismo, eh?"
"No. Non lo so.” Si morse un labbro, pensosa. "Sai, credo che sentano la tua mancanza."
Sirius scosse la testa. "No, non credo."
"Solo perché non lo danno a vedere, non significa che non lo facciano," Lily asserì convinta. "Solo che è difficile, tutto qui."
“Non stiamo più parlando di me, vero?" chiese Sirius, sinceramente più divertito. Lily lo guardò negli occhi per un istante, e poi distolse lo sguardo. "Si tratta di Piton, non è così? Ho sentito che avete litigato."
"Come lo sai?" chiese, sorpresa.
"Mezza biblioteca vi ha sentiti, e sai come viaggiano i pettegolezzi qui."
"Già." Lily sospirò. "Già."
"Già ti manca l’idiota, eh?" fece a bassa voce Sirius cupo.
Lily appoggiò la schiena al divano. "Poco," replicò. "MA non quanto l’ultima volta. Mi manca il vecchio Severus... non conosco nemmeno quello che c’è adesso qui. Ma in realtà, adesso non stavo pensando a lui..."
"Chi allora? Non Harper, di sicuro..."
"No, non Luke."
Sirius inarcò le sopracciglia. "E allora a chi stavi pensando?"

(Cassidy, Parte Due)
 
Donna Shacklebolt si muoveva come in letargo tra i corridoi affollati (sola come al solito, in questi giorni), dopo aver appena finito l’esame di Antiche Rune. Non sapeva come era andata al test... si ricordava a malapena una delle domande a cui aveva risposto, in realtà, e stranamente si sentiva apatica riguardo tutta la questione.
"Voglio dire, perché siamo diventate amiche tanto per cominciare? Riesci a ricordartelo?"
Anche Lily c’era, all’esame, del tutto concentrata sul test, pensò, senza notare la sua ex amica un paio di banchi più in là mentre si sforzava di tenere gli occhi d’ambra e i pensieri incoerenti sui fogli. Donna si chiedeva se Lily si fosse accorta, o immaginava, che non vedeva più Charlie Plex. Mary se ne era accorta e aveva brevemente tentato di consolarla, prima che le dicesse "Vai a farti fottere da un manico di scopa." Così, se Mary lo sapeva allora anche Lily, quasi sicuramente, e visto che non c’era stato sforzo di comunicare con lei da parte della rossa, Donna poteva solo trarre a conclusione che a Lily non importava, e tutto qui.
"Sei completamente senza cuore, Donna Shacklebolt. Non mi parlare."
E non poteva incolparla.
Raggiunse la scalinata che portava al terzo piano e a momenti stava per scendere, quando una voce si levò dal chiacchiericcio diffuso della dozzina, o poco più, che stava nel corridoio, e Donna si fermò.
"Donna Shacklebolt!" qualcuno—una ragazza—urlò. Donna si voltò a guardare chiunque l’avesse chiamata, ma ancora non era riuscita a farlo del tutto, a registrare la massa di ricci biondi o le guance arrossate dalla furia, in realtà non era riuscita ancora a rispondere del tutto, quando un lampo di luce riempì il corridoio, il dolore la colpì allo stomaco come uno sparo, e tutto diventò decisamente nero.

 
(Terzo Anno)
 
La tredicenne Donna Shacklebolt si sedette in un banco vuoto in prima fila della classe di Antiche Rune. Era più di dieci minuti in anticipo per la lezione, ma le piaceva essere pronta, e un bravo professore, pensò, avrebbe riconosciuto e apprezzato il fatto.
Tirando fuori l’orario dallo zaino, Donna lisciò la pergamena sul banco e la rilesse. Aveva scelto di prendere Antiche Rune, Aritmanzia, e Cura delle Creature Magiche, escludendo Divinazione perché nel suo orario proprio non era rimasto spazio, e perché suo fratello Kingsley le aveva detto che erano tutte cretinate.
Sfortunatamente, Erbologia coi Tassorosso veniva dopo, e Donna detestava sia Erbologia che Tassorosso. In realtà, detestava la maggior parte delle case, pensandoci. I Serpeverde erano idioti, i Grifondoro immaturi, e i Tassorosso tutti mezze calzette. Corvonero era a posto—sarebbe dovuta stare a Corvonero. Lei lo sapeva, e anche tutti gli altri lo sapevano, e si chiedeva vagamente se ci fosse qualche modo di essere ri-smistata.
Non c’era niente di davvero sbagliato nella casa di Grifondoro, ovvio, ma di certo non era stata all’altezza delle aspettative di Donne Shacklebolt, che erano, ovviamente, principalmente basate sul suo fratello maggiore, un recente ex allievo di Hogwarts anche lui Grifondoro. Non c’era niente di davvero sbagliato nemmeno trai i suoi compagni di casa—James Potter e Sirius Black erano stronzetti immaturi, ma fastidiosamente brillanti in tutte le materie. Remus Lupin e Adam McKinnon erano decenti, ma Donna non era sicura di averci mai parlato, a parte "Passami il sale," a cena e "Hai preso appunti a quella lezione di Incantesimi?" in Sala Comune. Peter Minus aveva un po’ paura di lei (come la maggior parte della gente, comunque), così la loro interazione era stata anche più limitata.
Per quanto riguardava le sue compagne di dormitorio, Carlotta Meloni era un’hippie svampita, Shelley Mumps sembrava un cucciolo smarrito (considerato il modo in cui seguiva Carlotta ovunque), Mary Macdonald e Marlene Price erano inseparabili (e fastidiose), e Lily Evans, anche se abbastanza intelligente, se la faceva con quel tizio inquietante, Piton, il che dimostrava poca capacità di giudizio. Per quanto la riguardava, lei sola era l’unica sensata tra tutte quante.
Una paio di Corvonero entrarono in classe, e Donna ancora una volta desiderò aver chiesto di essere messa in quella casa. Sarebbe stata davvero sorpresa se qualche altro Grifondoro del suo anno si fosse dato la pena di prendere una materia tanto complicata quanto Antiche Rune.
Non aveva precisamente amici a Hogwarts. Era troppo rude, e tendeva a spaventare le persone (specialmente le ragazze) con l’essere quello che lei definiva "onesta" e la maggior parte della gente "cattiva." Ma nessuno era scortese con lei; nessuno le faceva i dispetti, e più o meno la rispettavano, pensò. Comunque, non la tormentavano.
"Ehi, Donna, posso sedermi qui?"
Sorpresa, Donna guardò in su e vide Lily Evans lì vicino esitante, lo zaino in spalla e un’aria d’attesa sul viso lentigginoso.
"Uhm—che?"
"Posso sedermi qui?" Lily ripeté.
"Oh. Già. Certo."
"Non sapevo se lo stessi conservando a qualcuno," disse Lily, sedendosi nell’altra metà del banco. "Sai, siamo le uniche Grifondoro di questa materia, escluso Remus Lupin, ma p dovuto andare a casa... a visitare la sua madre malata, o una cosa del genere. Strano, considerato che è la prima settimana, ma questo è."
Ecco un’altra cosa che Donna odiava (o non le piaceva, comunque) di Lily: era una dannata chiacchierona.
"Già," fu l’unica risposta della strega, e qualsiasi altra persona sarebbe stata scoraggiata dalla sua mancanza d’interesse.
"Comunque, per me, la scelta era tra Antiche Rune e Divinazione, e Divinazione mi sembra un po’ fuori di testa, se me lo chiedi. Voglio dire, o hai l’occhio o non ce l’hai, da quello che ho letto, e fissare le foglie del tè non serve a molto se non ce l’hai. E di sicuro certamente non ce l’ho; Merlino, a stento mi ricordo in quale cassetto ho messo i calzini; prevedere il futuro è fuori questione. E tu? A che lezioni ti sei iscritta?"
Donna glielo disse.
"Sarai occupata," Lily notò. Donna non rispose, e la rossa rimase in silenzio per un po’. "Posso chiederti una cosa, Donna?" chiese alla fine.
"Ho scelta?" brontolò l’altra.
"Certo, ce l’hai," replicò Lily. "Si ha sempre una scelta, no?" Donna la fissò. "Allora posso?"
"Va bene."
"Perfetto. Allora... perché sei sempre così... beh, così stronza?"
Donna la guardò, con gli occhi spalancati. "Scusami?"
"Beh, lo sei," disse Lily, scrollando le spalle. "Oh, eddai, non puoi sentirti insultata. È chiaro che lo fai apposta."
"C-cosa?" Donna biascicò.
"Voglio dire, ti impegni tanto a far sì che tutti abbiano paura di te, e ci riesci abbastanza, ma mi chiedevo solo, perché?" Lily la guardò con gli occhi grandi e curiosi, e Donna non avrebbe potuto essere più sorpresa se la rossa allampanata le avesse appena chiesto di alzarsi sul banco e fare un balletto.
"Le persone non hanno p-paura di me," Donna riuscì a dire alla fine, sapendo che era una bugia.
"Certo che sì," disse Lily. "Hai maledetto Billy Betwy perché ti guardava in modo strano. Le persone sono assolutamente terrorizzate da te."
"Billy Betwy è uno stupido."
"Irrilevante."
Donna ci mise un momento a darsi un contegno. "Beh, tu chiaramente non hai paura di me."
Lily sorrise malandrina. "Non ho paura di nessuno."
E, stranamente, Donna le credette. "Non lo so," disse dopo un po’. "Penso solo di esserci abituata."
"Che peccato, allora," replicò la rossa con leggerezza, tirando fuori il libro di Antiche Rune. "Hai bei gusti in fatto di libri, ho notato."
Donna si sentiva stordita a sufficienza, e fece finta di concentrarsi sul proprio libro di Antiche Rune che confrontarsi sull’argomento. La professoressa Babbling—l’insegnante—non era ancora arrivata quando gli ultimi banche della prima fila furono occupati da una coppia di Serpeverde, Zabini e Mulciber.
Quest’ultimo si sedette all’immediata destra di Donna, e notando la Grifondoro, diede di gomito al suo amico e disse qualcosa a bassa voce. Sia Lily che Donna se ne accorsero, ma tutte e due fecero finta di non accorgersene il più a lungo possibile. Poi, Mulciber si sporse nello stretto passaggio tra i banchi e parlò.
"Starei attenta se fossi in te, Shacklebolt," fece a bassa voce. "Ho sentito parlare del tuo vecchio."
"Congratulazioni," controbatté a voce bassa e ferma. "Anche io."
"Farebbe meglio a stare attento alle cose che va blaterando," Mulciber continuò. "Dire cose del genere sul conto di... sul conto beh di, tu sai chi. Lui non le prende bene queste cose.
O non hai sentito quello che è successo a Jonah McKinnon?"
"Zitto, Mulciber," scattò Lily. "E sul serio, ma chi pensi di prendere in giro presentandoti ad Antiche Rune? La lascerai prima di Natale, non sei capace."
Mulciber la guardò male. "Schifosa sanguesporco," fece a bassa voce, prima di scivolar via col suo compagno verso un banco più lontano.
Donna guardò male Lily. "Non ho bisogno che mi difendi," disse. "Non sono come Piton, quell’amico tuo."
Lily sbuffò col naso. "Siete più simili di quanto immagini," rispose. "Comunque, non difendevo te. Ho letto quello che tuo padre ha detto su—su quel mago, Voldemort, e sono d’accordo. Quindi, tecnicamente, difendevo tuo padre." Fece un sorrisetto per il fastidio evidente di Donna, e poi la professoressa Babbling entrò, e le due ragazze furono costrette a stare in silenzio.
Un’ora dopo, la campanella suonò, e i ragazzi del terzo iniziarono a raccogliere le proprie cose. "Vado a pranzo con Marlene Price e Mary Macdonald," Lily disse a Donna, infilando i tre fogli di appunti nella cartellina. "So che più o meno odi la gente, ma se vuoi... puoi venire anche tu."
Donna non sapeva minimamente perché l’offerta risultasse allettante, ma la sua risposta mancava del tipico distacco: "Marlene Price non mi sopporta."
Lily si accigliò. "No," si disse d’accordo a disagio. "Anche se penso che potrebbe dipendere dal fatto che dici sempre che è una svampita. Certo, non so come la convincerai mai che non sei una stronza completa se non vieni."
"Non mi interessa cosa pensa di me," disse Donna in tono di sfida.
"No? Apposto." Lily iniziò ad andarsene, ma si fermò all’altezza della porta. Si voltò e incrociò le braccia. "Vieni o no?"
Donna prese l’idea in considerazione. Poi, raccogliendo lo zaino e issandoselo in spalla, attraversò la stanza e si unì a Lily. "Beh, se devi tormentarmi, non credo di avere tanta scelta..."
Divertita, Lily roteò gli occhi ma non la contraddisse, e le due streghe scesero in Sala Grande

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(Presente)
 
Shelley Mumps spalancò la porta del dormitorio delle ragazze del sesto anno di Grifondoro con parecchio entusiasmo, prendendo Lily del tutto di sorpresa.
"Shelley?" chiese Lily, sedendo sul letto, dove era sepolta dagli appunti di Trasfigurazione. "Che è successo?"
"M-M-Marlene mi ha mandata a p-p-prenderti," si affannò Shelley. Il sudore le luccicava sul viso, e aveva i capelli biondo sporco appiccicati alla fronte. Lily si alzò, andando in fretta incontro alla compagna di stanza.
"Cosa c’è che non va? Sta bene?"
Shelley si prese un momento per ricomporsi. "Scusa," respirò; "Me la sono fatta di corsa fin qui, sai."
"Ma Marlene sta bene?" incalzò Lily.
"Marlene? Oh, Marlene sì. È Donna."
"Donna?"
Shelley annuì. "Marlene e Mary sono lì ora..."
"Marlene e Mary sono dove ora?"
"Oh. Già. Infermeria. Donna è in Infermeria. Lei..." Ma Shelley non aveva ancora finito la frase che Lily era già fuori dalla porta.
 
Gli occhi di Donna si aprirono piano, e si lamentò ad alta voce. "Che cazzo è successo?"
"E si è svegliata," disse una voce che sembrava quella di Marlene Price. Donna gemette di nuovo mentre si guardava attorno per capire dov’era (il collo le faceva malissimo). Era in una brandina in Infermeria; Marlene e Mary sedute ai piedi del letto, l’espressione divertita mentre la guardavano. Lily era lì vicino, le braccia piegate, e l’espressione caustica.
"Che è successo?" Donna mugolò, sedendosi; sembrava una domanda ‘con più tatto' (come avrebbe detto Lily) da chiedere, piuttosto di "Che ci fate qui?"
Mary e Marlene si scambiarono un sorriso. "Cassidy Gamp ti ha maledetta," fece la seconda. "Sembra che abbia scoperto che ti scopavi il suo ragazzo."
"E dicendo ‘ scoperto,' Marlene intende che Charlie Plex gliel’ha confessato," aggiunse Mary. "Penso che volesse essere una maniera per vendicarsi di te, tesoro, ma si è beccato un paio di amabili tentacoli viola... Madama Chips l’ha mandato via solo ora."
Donna si sforzò di capire tutto mentre si massaggiava la testa dolorante. "Inizio a ricordare... Ero al quarto piano che camminavo..." Ricordò più distintamente: "Quella puttana mi ha attaccata alle spalle!"
Lily sembrò sopprimere una risata, ma Marlene e Mary non furono così cortesi, e scoppiarono tutte e due in un attacco di risatine.
"Che diavolo c’è da ridere?" Donna scattò. Poi, preoccupata, aggiunse—"Non ho tentacoli, vero?"
"No, no," ridacchiò Marlene. "Ma è così divertente! Voglio dire—Cassidy Gamp! Cassidy Gamp, quella minuscola, piccola svampita Tassorosso ha fatto finire una fottuta Donna Shacklebolt in Infermeria!"
"Davvero—chi lo sapeva che Cassidy Gamp fosse un tale mortaretto?"
"Beh, è carino vedervi così preoccupate," fece a bassa voce Donna sarcastica.
"Calma," disse Mary. "Eravamo spaventate sul serio... finchè non abbiamo sentito tutta la storia. Poi abbiamo riso. Madama Chips non sa esattamente cosa Cassidy abbia provato a usare su di te... a quanto pare si trattava di uno strano miscuglio di Petrificus Totalus, una maledizione Gambemolli, e uno schiantesimo... la combinazione di cui non ha fatto altro che metterti a tappeto per più o meno un’ora."
"E darmi un mal di testa dannatamente enorme," Donna aggiunse. "Quell’imbecille di una Tassorosso non mi ha saputo nemmeno fare una maledizione come si deve."
"Dalle tregua," disse Marlene. "Ti scopavi il suo ragazzo..."
"Ma ho chiuso settimane fa," controbatté la paziente con dignità.
"Oh, beh, in questo caso... è stato assolutamente irragionevole da parte di Cassidy essere arrabbiata."
"Fanculo, Price." Donna fece una smorfia alla bionda, poi lanciò un’occhiata incerta a Lily. "Ciao..."
"Ciao," replicò Lily, ugualmente imbarazzata.
Mary fece un sorrisetto. "Lily era così preoccupata quando ha sentito che eri finita in Infermeria," disse, guadagnandosi un’occhiataccia dalla rossa.
"Non ero così preoccupata..."
"'Frenetica' sarebbe una descrizione appropriata," Marlene si intromise.
"Finchè non ho sentito che hai perso a duello contro Cassidy Gamp," tagliò corto Lily. "Da qui ho capito che probabilmente te lo sei meritata."
"Non ho perso in un duello... Oh, Merlino, è questo che dice la gente?"
"Non ti preoccupare," la consolò Mary. "C’erano una dozzina di persone che hanno testimoniato che Cassidy ti ha assalita. Ha fatto perdere a Tassorosso la metà dei loro punti, il che non è molto. Ovvio che..." Mary per la prima volta sembrò un po’ nervosa, "adesso tutti a scuola sanno che scopavi con Charlie Plex."
Donna ricadde sui cuscini. "Fantastico. Proprio fantastico."
Marlene e Mary si scambiarono un altro sguardo. "Vado a dire a Madama Chips che sei sveglia," disse la bruna, alzandosi. "Vieni, Marlene?"
Le due se ne andarono, lasciando Lily e Donna da sole. Il prefetto si avvicinò esitante alla brandina di Donna.
"Tutto okay?" chiese con nonchalance.
"Beh—ho un mal di testa allucinante, la mia reputazione da donna con cui fare i conti è completamente andata, e ogni ragazza nella scuola mi parlerà dietro le spalle, quindi—no, non così bene."
Lily sorrise, e le avrebbe dato fastidio, se Donna non fosse stata così grata della sua presenza. "Se ne scorderanno. Lo fanno sempre. Comunque... pensavo non ti interessasse di quello che la gente pensa di te."
"Infatti. Solo—sai, vorrei evitare le sceneggiate."
"Già."
"Già."
Lily scosse la testa e si sedette sul bordo del letto di Donna. "Lo sai," cominciò lentamente, "di recente, mi hai fatto una domanda—mi hai chiesto come siamo diventate amiche, e non avevo una risposta. Ma adesso mi ricordo."
"Anche io," fece a bassa voce Donna. "Il primo giorno di Antiche Rune."
Lily annuì. "Pensai che avessi acconsentito a pranzare con noi solo perché ti avevo fatto un complimento sui gusti di lettura."
Donna sbuffò col naso e si guardò le mani. "No," disse. "Fu perché non avevi paura di dirmi che ero una stronza... e perché lo dicesti senza volerlo rendere un insulto."
"Davvero?"
"Davvero." Silenzio, poi: "Perché decidesti di invitarmi a pranzo, comunque?"
Lily rifletté prima di rispondere. "Tendo a diventare chiacchierona quando non conosco qualcuno... e anche se avevamo condiviso il dormitorio per due anni, eravamo praticamente estranee. Ho continuato a parlare e tu... tu non mi hai detto di chiudere il becco, come mi aspettavo."
"Volevo farlo," Donna confessò.
"Lo so."
Si guardarono per un minuto, e poi Donna continuò piano: "Mi dispiace per quello che ho detto. Sul serio."
"Lo so," fece ancora Lily.
C’era un groppo sempre più grosso nella gola di Donna, ma—assieme all’orgoglio—lo ingoiò. "Mi manca essere tua amica."
Lily annuì. "Anche tu mi manchi."
"Quindi... non vuoi più che ti stia alla larga?"
La rossa sorrise di nuovo. "Com’è che si dice? La vita è breve?"
"Suppongo... anche se c’è questo tizio... Nicolas Flamel... ha quasi seicento anni, e sai, se un mago o una strega sono in buona salute, possono facilmente arrivare a..."
"Donna."
"Giusto. Metafora. Ho capito."
Mary e Marlene fecero ritorno, Mary portava una fiala di qualche liquido sconosciuto dall’aspetto piuttosto disgustoso. "Madama Chips è impegnata con gli studenti G.U.F.O. in preda al panico," disse Marlene. "Dobbiamo farti prendere questa per scongiurare spiacevoli effetti collaterali dell’attacco di Cassidy."
Mary passò la bottiglia a Donna. "Allora avete fatto pace? O dobbiamo dileguarci con molto tatto per un altro paio di minuti?"
"Non so di cosa stiate parlando," disse Donna con tutta la dignità di cui era capace. Ingoiò la Pozione e assunse tutta l’aria di una che stava per vomitare.
"Potete rimanere," Lily disse alle altre due. "Tutto è di nuovo normale."
"Perfetto," disse Marlene allegra. "Perché non sarei stata capace di evitare Donna quando ho tutte queste opportunità per prenderla in giro."
"Oh, non prenderla troppo a male, Donna," Mary la confortò seria. "Dopotutto, sono sicura che c’è qualche Tassorosso del primo o del secondo che non sarebbe capace di batterti."
"Forse se l’anno prossimo riusciamo a beccare qualche primino," suggerì Marlene. "Sai—a Diagon Alley, prima che comprino le bacchette..."
"Forse un babbano disarmato..." aggiunse Mary.
"Un babbano disarmato e cieco, forse..."
"Oh, sì, siete così divertenti," scattò Donna, ma anche Lily ridacchiava. "Nel nome di Agrippa... Cassidy Gamp. Non me lo faranno mai dimenticare, vero?"
"Oh, Donna," sospirò Marlene. "No. Per niente. Ma che cosa carina aver pensato di poterlo fare."
(Da parte)
"Mary?"
Mary Macdonald si voltò e vide il Tassorosso Reginald Cattermole avanzare verso di lei. Aveva lo stesso aspetto del solito—magro e minuto, con anonimi capelli castani, tagliati come la maggior parte dei ragazzi di quell’età (con vari gradi di inferiorità a, e imitazione di, David Cassidy).
"Ciao," lo salutò, sinceramente contenta di vedere il Tassorosso. Rimaneva solo un giorno di esami, dopotutto, e poco dopo sarebbero tornati tutti a casa: le sarebbe piaciuto dirgli ciao. "Che ci fai qui?"
"Ero qui per vedermi con il Professor Dawton per l’esame di Astronomia."
Mary aspettò che Reginald la raggiungesse prima di rispondere. "E come è andata?"
"Abbastanza bene. Sono bravo in Astronomia."
"io ho sempre fatto schifo," replicò il Grifondoro. "Troppa aritmetica."
"Che ci fai tu qui, comunque?" Reginald chiese, gli occhi verdi che si facevano più scuri, stranamente. "Pensavo che non vagassi più da sola nei corridoi..."
Mary sospirò, sollevando indicativamente la bacchetta già sfoderata. "Piccoli passi, suppongo."
"Oh. Certo."
Rimasero in silenzio per un momento, e poi Mary aggiunse: "Certo, se tu volessi accompagnarmi alla Torre di Grifondoro, non obietterei..."
"No?"
"Nah."
"Beh, okay."
Continuarono in direzione della Torre di Grifondoro, parlando svogliatamente di niente in particolare. "Stebbins mi porta a una partita di parola-Q a luglio," disse Mary allegra. "Non che mi interessi il gioco, tranne per quando giocano le squadre delle Case, ma sembra eccitato, ed è un bel gesto, vero?"
"Suppongo," si disse d’accordo Reginald. "Ma, Mary, è un po’ strano che chiami il tuo ragazzo 'Stebbins.'"
"Sarebbe più strano se lo chiamassi per nome."
"Perché?"
"Perché è Umbert." Mary sobbalzò, e così fece Reginald.
"Umbert?"
"Umbert."
"Okay, 'Stebbins' non fa così schifo."
Mary rise. "Disse il mago che si chiama Reginald."
"Il nome di mio padre."
"Nessuna differenza."
Reginald scrollò le spalle, le mani in tasca. "Ancora non hai deciso come vuoi chiamarmi, sai."
"Lo so," sospirò Mary. "è una cosa molto difficile... mi piaceva abbastanza 'Cat,' ma a quanto pare Potter ne ha preso possesso. Dammi tempo; alla fine mi deciderò. Sono il tipo piuttosto indeciso, ma alla fine arrivo sempre alla conclusione." Batté una palpebra pesantemente truccata, e poi continuò: "Che mi dici di te, Reginald Cattermole? Nessuno sviluppo romantico recente?"
Reginald sbuffò col naso. "No," replicò, arrossendo.
"Le ragazze di Hogwarts sono stupide," Mary lo consolò con l’aria di chi la sa lunga. "Ma mi piacerebbe tanto mi dicessi il nome della ragazza che ti piace... Non capisco perché non vuoi. So mantenere un segreto se voglio."
"Non credo."
"Invece è vero! Ho custodito un grosso segreto di Donna Shacklebolt per secoli... finchè Cassidy Gamp l’ha detto a tutta la scuola..." Reginald continuò ad avere un’aria dubbiosa, e Mary lo guardò male. "Eddai—devi dirmelo. Non è giusto!"
Mise il broncio come una bambina, e Reginald si arrese. "Lily Evans," borbottò, e anche se era poco più forte di un colpo di tosse, Mary riuscì ad afferrare il nome.
Stranamente, le dava un sacco fastidio. Si prese un momento per analizzare il fatto, arrivando alla conclusione che le dispiaceva per Reginald Cattermole, visto che certamente non era fatto per stare con Lily Evans. No, per niente.
"So che è stupido," Reg continuò a voce bassa, veloce e infelice; "Non ho alcuna possibilità, eh? Lei è Lily Evans, dopo tutto."
"Oh, non è questo," disse Mary in fretta. "Ma Lily è.. beh... è molto complicata, sai."
"Mi piace solo un po’," il Tassorosso giurò.
"Beh—cosa... cosa ti piace di lei, esattamente?"
Reginald sembrò sorpreso dalla domanda. "è perfetta, non è così? Bella, intelligente, brillante... è sempre stata anche molto carina con me. Sempre molto gentile, anche al quarto e al quinto anno..."
Io sono bella, Mary non poté fare a meno di pensare. Non sorprendentemente intelligente, però, lo sapeva... almeno, non a scuola. Era brava a fare le cose, però, e brava a prendersi cura delle persone, e... beh, non quanto Lily, certo. Reginald aveva ragione. Lily era perfetta. E lei, Mary, non era stata sempre particolarmente carina con Reginald... non prima di quell’anno. Mary si accorse che era stato parecchio sensato da parte sua non non mettersi mai a confronto con Lily (o con nessuno, in realtà) negli ultimi sei anni... Perché mai se ne rendeva conto solo ora?
"Beh, non avresti potuto scegliere meglio," Mary cinguettò alla fine. "Lily è fantastica, non è così?" E la strega cambiò argomento in fretta. "Stavo pensando di farmi i capelli biondi."
La maggior parte della strada che restava fino al ritratto della Signora Grassa fu occupata da Reginald che cercava di convincere Mary a non tingersi i capelli di biondo, o qualsiasi altro colore.
"Eccomi qui," sospirò Mary, quando arrivarono all’entrata della torre di Grifondoro. "Grazie per avermi accompagnata."
"Prego."
"Dormi bene."
"Anche tu."
Sorrisero entrambi, e poi Mary abbracciò brevemente il Tassorosso. "Passa una bella estate, Reg."
"Anche tu. Mi scriverai?"
"Certo." Aspettò un attimo prima di dare la parola d’ordine alla Signora Grassa. "Reg," ripeté premurosa. "Suppongo che ti chiamerò così."
Reginald sorrise. "Ti ci è voluto tutto l’anno per decidere Reg?"
Mary scrollò solamente le spalle. "Mi piace essere scrupolosa con le cose importanti," dichiarò. "Buonanotte, Reg."
"Buonanotte, Mary."
Si ritirò nella direzione da cui erano venuti, e Mary si voltò verso la Signora Grassa e diede la parola d’ordine: "Amathia."
Non pensava più, entrando in Sala Comune, alla conversazione con Reg; pensava già ad altro, ma non dimenticò. Invece, come con tutte le cose che riguardavano Reginald Cattermole, Mary la mise da parte, conservandola per il futuro.

 
(Secondo anno, Parte Due)

 
Il dodicenne Remus Lupin aveva proprio un buon motivo per guardare i suoi tre compagni di stanza come se fossero matti, perché—francamente—si stavano comportando come se mancasse loro qualche rotella.
"Lupin," lo salutò Sirius in tono misterioso.
"Ehm... ciao." Remus mostrò il pazzo di pergamena che aveva trovato appeso al proprio letto quel pomeriggio. "L’avete scritto voi tre, questo?"
"Dipende," disse Peter, imitando il tono enigmatico di Sirius. "Cosa dice?"
Remus si accigliò. "Quanti biglietti credete che trovi appesi al mio cuscino ogni giorno? Dice... 'Lupine,' scritto L-U-P-I-N-E inoltre... 'Lupine, se sai agire per il tuo bene, sarai nella classe in disuso al primo piano proprio vicino alla Sala Grande alle nove stasera. Se non sai dov’è, chiedi indicazioni. P.S. Se chiedi indicazioni, non dire perché alla persona a cui lo chiedi. Anzi, non dirlo a nessuno. Nove. Classe in disuso. Primo piano.' E poi c’è il disegno di una cosa che potrebbe essere un unicorno." Incrociò le braccia.
"Okay, si vede che è un drago!" Peter protestò, e Sirius e James lo guardarono male.
"'Se sai agire per il tuo bene’?'" fece eco l’ultimo. "Sul serio, Pete?"
"Non stavamo cercando di minacciarlo!" rincarò Sirius.
"E hai sbagliato a scrivere il mio nome," Remus aggiunse.
"E sul serio, Pete, un unicorno?"
"Ma si vede benissimo che è un drago! Guarda! Guardalo—è un drago!"
"Wow, okay." Sirius incrociò le braccia. "Peter non sarà mai più incaricato di scrivere un biglietto, è ufficiale."
"Non mi avete detto cosa scrivere! Ho dovuto inventare!"
"Un unicorno, Peter?"
Remus roteò gli occhi. "Okay, bene, se non volete minacciarmi o rubarmi i soldi, perché avete voluto che vi incontrassi qui?"
Sirius e James sembrarono ricordarsi della loro missione, mentre un Peter imbronciato stava seduto in un banco lì vicino. "Bene, Remus Lupin," ricominciò James serio, "Ti abbiamo chiesto di venire qui perché volevamo..." Guardò Sirius in cerca d’aiuto.
"Volevamo dirti che..." Sirius guardò James.
Remus piegò la testa di lato, aspettando altre informazioni. Nessuno dei suoi compagni di stanza parlò. "Beh?"
"Scusa," James si scusò, sospirando. "Nella vita reale è un sacco più difficile, sai? Okay, il fatto è questo, Lupin." Mandò a Sirius un’altra occhiata penetrante, e i due fecero in coro: "Noi sappiamo."
"Sapete... sapete cosa?" Ma la sicurezza di Remus era evidentemente scossa.
"Sappiamo dove vai ogni mese," elaborò Sirius. "Sappiamo che sei... che sei un lupo mannaro."
Remus diventò pallido come un cencio. Gli occhi grigi si spalancarono dal terrore, e dovette fare un paio di grossi respiri per calmarsi prima di poter parlare di nuovo. "C-come... come lo s-s-s-sapete?"
"Ti abbiamo seguito," disse Sirius, splendente d’orgoglio.
"Non è vero," James lo interruppe.
"Sì, invece!"
"No! Beh, sì, ma non è così che l’abbiamo scoperto. Non l’abbiamo seguito se non questo mese. Ce ne siamo accorti per la cosa di Astronomia."
"L’abbiamo seguito comunque."
"Solo fino al Platano Picchiatore," Peter aggiunse, unendosi agli altri. "Non siamo riusciti ad andare oltre, però."
"L’albero ha rotto il braccio di Sirius," James si offrì volontario, e Sirius lo guardò male.
“Era una piccola slogatura."
"Piangevi."
"Non è vero!"
"C’erano lacrime."
"Non è piangere se non ti escono le lacrime dagli occhi, Potter."
"Quindi lo ammetti che c’erano lacrime?"
"No."
"Ragazzi," interruppe Remus, e i tre improvvisamente si ricordarono dov’erano. Il giovane lupo mannaro sembrava del tutto terrorizzato. "Cosa avete intenzione di fare?" chiese tremante. Sirius si accigliò.
"Fare?"
". Avete appena scoperto che vivete con un lupo mannaro... avete intenzione di... di scrivere ai vostri genitori? Per farmi cacciare?"
Gli altri tre stettero in silenzio per un po’. "Si può fare una cosa del genere?" Peter volle sapere, e James gli lanciò uno sguardo sdegnoso. "Cosa? Me lo chiedevo solo..."
"Ma certo che non ti facciamo cacciare!" disse Sirius. "Perché mai dovremmo farlo?"
"Perché—perché sono un mostro!"
James roteò gli occhi. "Non essere drammatico. Ti pieghi i calzini, Remus. Perdonami se non tremo al tuo cospetto."
Remus li guardò tutti, incredulo. "Quindi non—non avete paura di me?"
"Ma ti pieghi i calzini," si disse d’accordo Sirius. "E perché dovremmo avere paura? Non c’è motivo per cui ci mangi, no?"
Remus fece un grosso sospiro. Attraversò la classe e si sedette in un banco. "Non funziona così. Quando mi—quando mi trasformo, non sono più io. Non riesco a controllare niente."
"Quindi è per questo che ti graffi?" chiese Peter, sedendosi. James e Sirius li imitarono.
"Sono solo," replicò Remus piano. "Quando mi trasformo, vado nella Stamberga Strillante... no, non è infestata. I rumori che gli abitanti del villaggio sentono sono io... una volta al mese. Con la luna piena. Non c’è nient’altro da attaccare nella casa, quindi mi—mi graffio e mi mordo da solo."
Ci fu una lunga pausa pregnante. Poi—
"E’ così figo!" esclamò Sirius, e Remus lo guardò come se fosse pazzo. "Non il fatto che ti graffi e ti mordi," Sirius si corresse in fretta. "Ovviamente quello è... piuttosto non figo. Ma, amico, diventi un lupo. Un dannato lupo! E sei il nostro compagno di stanza!"
"E’ proprio una figata," James si disse d’accordo. "Quindi, ascolta, quando ti trasformi, succede che...?"
"Aspettate un minuto," Remus interruppe, alzandosi di scatto. "Voi tre—non vi importa che sia un lupo mannaro?" Scossero la testa. "Non... ma... ma, voglio dire... i lupi mannari, non sono esattamente... popolari... E, per quello che ne sapete, potrei essere pericoloso!"
Sirius sospirò esausto. "Sul serio, Lupin, quale parte del 'ti pieghi i calzini?' non ti arriva? Non abbiamo paura di te! Pensiamo che sia... figo."
"Beh non lo è," controbatté Remus. "E’ dannatamente orribile. Trasformarsi fa male, e graffiarsi e mordersi non è una cosa da ridere, nemmeno. Non avrò mai amici, perché sono un mostro, e ho sempre paura che qualcuno lo scopra e mi faccia espellere. È dannatamente orribile essere un lupo mannaro!"
Un altro silenzio, e poi Sirius parlò: "Siamo amici tuoi," gli disse. "Tutti e tre. Siamo tuoi amici. Non lo diremo a nessuno, e in più, ci assicureremo che nessun altro lo scopra."
"Esattamente," si intromise James. "E, ehi, se ti mordi e ti graffi, forse potremmo accompagnarti per farti smettere..."
"Fermi," Remus interruppe di nuovo. "Ma avete perso quel cavolo di cervello? I lupi mannari sono visti male per una ragione, sapete! Non riesco a controllarmi, e, senza offesa, ma nelle notti di luna piena tra me e voi tre non c’è paragone. Morderei uno di voi nell’arco di tre minuti, credetemi."
"Per me va bene," disse James. "Sai che figata trasformarsi in un lupo una volta al mese."
"Sei pazzo!" urlò Remus. "Non è divertente! E comunque, è illegale per lupo mannaro trasformare qualcun altro, anche consenziente. In più, tutta la tua vita, saresti costretto a trasformarti ogni singolo mese... non riusciresti a trovare un vero lavoro una volta finita Hogwarts... So che ti piace il Quidditch, James; secondo te ammetterebbero un lupo mannaro nella squadra nazionale, che dici?" Guardò James con enfasi, e lui sospirò.
"D’accordo. Trasformarci in lupi mannari è fuori questione," il mago concesse, e Peter sembrò estremamente sollevato. "E non ci permetti di venire con te... ma è dannatamente ingiusto che tu debba fare tutto da solo e farti a pezzi a quel modo. Non è una cosa buona. Deve esserci qualcosa che possiamo fare?"
"Non c’è," Remus insisté. "Sentite, è molto carino da parte vostra, ma..."
"Bah, non importa," Sirius si intromise, saltando su e liquidando con nonchalance le proteste di Remus. "Penseremo a qualcosa."
"Ma non c’è niente."
James lo schernì. "Andiamo, Remus. Stai parlando di noi. C’è sempre qualcosa. E fidati, noi la scopriremo."
Remus non sembrava convinto, ma non si oppose. "Sentite,” cominciò immediatamente, "Devo chiedervi una cosa. Capisco se non potete, ma... vi dispiacerebbe tenervi la cosa per voi..."
"Che cazzo, ma certo che non lo diremo a nessuno!" rise James. "Sinceramente, Lupin, non siamo tanto stupidi."
"Mi hai appena chiesto di trasformarti in un lupo mannaro..." Remus sottolineò. Sirius alzò gli occhi al cielo.
"Proprio adesso, faremo un patto," disse, facendo cenno a James e Peter di alzarsi dai banchi e seguirlo. I quattro ragazzi si riunirono al centro della classe vuota e buia. "Nessuno di noi rivelerà mai che Remus è un lupo mannaro. A qualunque costo. Nemmeno se ci torturano con più di mille maledizioni Cruciatus."
"Dovremmo fare un voto infrangibile!" suggerì Peter. James e Sirius accolsero l’idea con entusiasmo, finchè si accorsero che nessuno di loro aveva la minima idea di come si facesse un voto infrangibile.
"Beh, allora dovrà essere un semplice vecchio giuramento normale," fece rassegnato Sirius. "Ma è lo stesso, è dannatamente importante, ok?" Stese il braccio cosicché la mano fosse esattamente al centro del cerchio che formavano. James appoggiò energicamente la sua mano su quella di Sirius, e Peter lo imitò.
"Anche tu, Remus," James istruì. "Ovvio, è il tuo segreto, quindi puoi dirlo a chi vuoi, ma comunque, devi prenderne parte anche tu."
"Assolutamente," Sirius si disse d’accordo. "Forza allora."
Esitante, Remus mise la sua mano su quella di Peter, e i quattro ragazzi rimasero così per un paio di secondi, prima che James parlasse. "Noi quattro maghi di Grifondoro," cominciò solenne, "giuriamo di mantenere il segreto del… problema di Remus Lupin—il suo problema peloso—giuriamo di mantenere il segreto finchè viviamo, tranne Remus, che può dirlo a chi gli pare. Però, deve lasciare che lo aiutiamo in tutti i modi possibili."
"E noialtri," Sirius ricominciò, "giuriamo di fare tutto il possibile per aiutarlo a non graffiarsi e mordersi le notti di luna piena, perché siamo suoi amici..." ghignò in direzione di Remus, "sia quando è umano che quando è lupo."
"Ragazzi, ma non dovete..."
"Shhh, Lupin, stiamo giurando," fece James. "Come chiudiamo, allora?"
"Così giuriamo," disse Peter con gravità. Sirius fece una smorfia.
"Troppo sdolcinato. Che ne dite di... nel nome di Grifondoro..."
"Questo sì che è sdolcinato," fece James.
"Che ne dite di ‘uno per tutti e tutti per uno?'" suggerì Remus. Gli altri lo guardarono. "Viene da un libro babbano."
"E se invece ognuno di noi dice, lo prometto, alla fine, e poi ci separiamo?" disse James. Gli altri tre scrollarono le spalle e annuirono. "Va bene. Chi inizia?"
"Io," disse Remus. "Io, Remus, lo prometto."
"Io, Peter, lo prometto."
"Io, Sirius, lo prometto."
"Io, James, lo prometto." Pausa. "Rompete le righe."
I quattro ragazzi ritirarono le mani un po’ imbarazzati. "Remus, Peter, Sirius, and James," Sirius elencò divertito. "E’ troppo lungo. Ho la sensazione che dovremmo trovarci un nome collettivo."
Remus inarcò le sopracciglia. "Perché? Perché avremo tanta cattiva fama, che le persone parleranno di noi così tanto, da rendere scomodo fare l’elenco di tutti i nomi?"
"Esatto," disse Sirius.
Remus sbuffò col naso. "Certo. Come se una cosa del genere possa mai accadere."

 
(Presente)
 
L’ultimo esame dei malandrini fu Trasfigurazione il venerdì. Dopo la parte scritta dell’esame, ogni studente affrontò anche una parte pratica, e con la Professoressa McGranitt che li chiamava in ordine alfabetico, James si ritrovò ad aspettare quasi fino alla fine. Remus se ne andò a pranzo appena finito, ma Peter rimase ad aspettare fuori dalla classe.
"Bel lavoro, Pete," disse James mentre camminavano. “In Trasfigurazione sei migliorato di sicuro."
"Beh, se riesci a diventare un Animagus, suppongo che puoi fare la maggior parte delle cose in quel campo," replicò Peter. James annuì—non aveva l’aria di uno che ascoltasse con attenzione; teneva le mani nelle tasche e teneva lo sguardo basso sulle scarpe. Peter sospirò esausto. "Prongs, non puoi essere arrabbiato per sempre."
James lo guardò, sorpreso. "Ma di che stai parlando?"
"Le cose devono tornare normali alla fine," Peter continuò. "Ma stai cercando di rimandare tutto, e sta provocando disagio a tutti."
"Davvero non so di che stai parlando," James insisté. "Non sto cercando di..."
Peter si fermò e parlò con inattesa passione: "Moony a malapena parla. Non è più lui. Tu non usi più i soprannomi. Non ti importa di niente—nemmeno la finale di Quid...della parola-Q! Abbiamo perso contro Serpeverde e tutto quello che hai fatto è stato urlare contro Bertram Aubrey!" James lo guardò male. "Devi darti una scossa, Prongs, e sistemare tutto!"
"Non ho intenzione di fare pace con lui…"
"Non sto dicendo questo!" replicò Peter accalorato. “Ma, dai, siamo i Malandrini..."
"Non siamo i Malandrini..."
"Lo siamo!" James lo fissò solamente, e Peter continuò: "Non dire che i Malandrini non sono mai esistiti, perché l’hanno fatto! L’hanno fatto, ed ecco perché fa così schifo che Padfoot l’abbia detto a Piton! Ma veramente siamo stati amici tutto questo tempo... lo siamo stati! Non puoi dire che non è vero, perché prima dei Malandrini... prima dei Malandrini, ero solo un piccolo ragazzetto ossuto che i Serpeverde tormentavano. Tu e Sirius mi avete adottato, e non importa quello che Sirius ha fatto dopo, non puoi cancellarlo! Eravamo migliori amici, e Sirius era tuo fratello, ed è successo, e adesso tu devi sistemare!"
"Continui a dirlo, Pete... bene, Wormtail, quello che è. Continui a dire che devo ‘sistemare.' Cosa esattamente pensi che debba sistemare?"
"Questo! Moony... Remus! Non è più lui. Si sta chiudendo di nuovo, come prima, quando eravamo bambini... tu e Sirius siete stati quelli che sono riusciti a farlo aprire! Devi sistemare Remus, e devi sistemare i Grifondoro, e devi sistemare anche tutti gli altri!"
"Tutti gli altri?" fece eco James. "Vuoi che sistemi tutta la scuola?"
"Sì!"
"E esattamente, cosa mi proponi di fare?"
Per la prima volta, la sicurezza di Peter vacillò. "Non lo sai?"
James stava seriamente iniziando a dubitare la salute mentale dell’amico. "Sapere cosa?"
"Come faccio a saperlo io? Non lo so! Ma sei James Potter! Tutti si ispirano a te—ecco perché abbiamo perso la finale di par... cavolo, di Quidditch quando tu eri depresso... non è riuscito, dannazione, a tenere in mano la situazione se tu non avevi voglia di giocare, no?"
"Ehi, ho segnato più punti io di tutti gli altri cacciatori in quella..."
"Ma non ha aiutato Grifondoro a prendere il boccino, no? Sei uno delle poche persone a cui ognuno in questa scuola fa riferimento... anche i Serpeverde, che gli piaccia o no. Ma non hai fatto altro che piagnucolare e tenere il broncio per settimane, e cazzo, lo odio! Prongs, sei James Potter cazzo,  e voglio che inizi a comportarti da tale, dannazione!"
Si limitarono a fissarsi, più o meno, per un paio di secondi. Poi, Peter concluse: "Vado a pranzo. Qualunque cosa sia che devi fare per tornare di nuovo te... falla." E con questo, se ne andò.
Scioccato, James rimase fermo per quasi un minuto. Peter non parlava così... di sicuro non parlava a lui così. Eppure, era possibile che forse Wormtail avesse ragione—almeno parzialmente.
James entrò in Sala Grande e si sedette tra Remus e Peter, che mangiavano tutti e due in silenzio. Guardò tutti e due, e, invece di servirsi del cibo, si rivolse al primo in tono serio: "Moony."
Remus guardò su, un po’ scosso dall’uso del soprannome taboo.
James esitò, poi—"Di qualunque cosa tu abbia bisogno... per il tuo... piccolo problema peloso... Pete—Wormtail e io siamo qui."
L’incertezza negli occhi grigi, Remus nondimeno annuì. "Grazie."
James fece un mezzo sorriso, e Peter sembrava compiaciuto, mentre si versava il succo di zucca.
"Qualunque cosa sia che devi fare per tornare di nuovo te ... falla."
C’era anche qualcos’altro. James sbirciò lungo il tavolo di Grifondoro, fin dove Lily Evans stava seduta, parlando animatamente con Donna Shacklebolt e Marlene Price. Forse non l’avrebbe perdonato... forse non avrebbe voluto niente a che fare con lui... forse era irrimediabilmente e irrevocabilmente fuori... o forse no.
E doveva provare, giusto? Era, dopotutto, quello che James Potter avrebbe fatto.

 
(Quinto Anno, Parte Tre)
 
Una Lily di sedici anni entrò in Sala Comune, sorpresa di vedere che non si sentiva più assolutamente orribile
Quasi del tutto orribile, sì, ma non assolutamente.
Luke Harper—non era un brutto tipo, davvero.
Sfortunatamente, il sollievo di Lily dall’infelicità era destinato a essere di breve durata, poiché inoltrandosi nella stanza, la ragazza del quinto si accorse di non essere, di fatti, sola. Non appena la vide, James Potter—che stava steso sul divano—saltò su.
"Evans..."
"Va via," scattò Lily, prima che potesse dire altro. "Sono seria, Potter, stasera non è nel tuo miglior interesse darmi fastidio."
"Volevo solo scusarmi," James replicò; scavalcò lo schienale del divano per raggiungerla in fondo alle scale per i dormitori, riuscendo a mettersi tra lei e il dormitorio. "Davvero, Evans..."
"Cosa immagini di potermi dire possibilmente per farti perdonare?"
"Beh, non lo so..." Fece un mezzo sorriso. "Mi dispiace?"
Lily roteò gli occhi. "Sei patetico. Levati."
E davvero si spostò, ma solo per bloccarla di nuovo mentre tentava di passargli di lato. "Eddai, Evans," insisté, "D’accordo—avrei potuto essere più buono..." Lily emise un "Ha!" incredulo prima di riuscire a infilarsi sotto al braccio teso di James e a passare nelle scale dietro di lui. "Ma, sai, ho tante ragioni quanto te di aspettarmi delle scuse!"
Lily, che era già a metà delle scale, si fermò, voltandosi ancora una volta verso James. "Ma stai scherzando."
Soddisfatto con se stesso per aver scatenato una reazione e camminando con baldanza, rilassato: "Beh, Evans... non sei stata molto educata, a rifiutarmi a quel modo. E il commento con la Piovra Gigante era davvero ostile, sul serio."
Per parecchi secondi, Lily non riuscì a fare altro che fissare il mago davanti a lei. James Potter era un’anomalia evolutiva, pensò. Nessuno poteva essere così arrogante; nessuno poteva essere così inconsapevole. E no, il suo stupido sorriso sdolcinato, la mascella definita, e i brillanti occhi nocciola non compensavano il fatto.
"Sei pazzo," lo informò, quando arrivò sulle scale proprio sotto di lei. "Sei maledettamente andato, se pensi che io possa fare mai delle scuse a te. Mi rendo conto che per te sarà difficile afferrare il concetto, Potter, ma provaci: Non mi piaci. E non voglio dire solo che non mi piaci, perché non mi piaci, ma proprio non mi piace nessuna parte di te. Non mi piace il tuo ego enorme, o gli stupidi scherzi che fai, o il tuo cosiddetto “senso dell’umorismo” cretino. Non mi faccio impressionare dal fatto che sei Capitano di Quidditch, o dai tuoi voti, o dal fatto che tu sia un completo e totale idiota." James non sembrava ferito—più infastidito, e continuò: "Ma credi sul serio che me ne possa fregare anche un minimo della tua stupida offerta di uscire insieme? Una cosa... una cosa proprio incredibile, sul serio. Ho perso il mio migliore amico oggi..."
"Mocciosus è un..."
"Zitto, zitto, zitto!" urlò Lily, le mani che volarono ai capelli per l’esasperazione. "Era il mio migliore amico—non che tu abbia alcuna idea di quello che significhi! —e per colpa tua, l’ho perso!"
"Ehi, non sono stato io a costringerlo a chiamarti—chiamarti così!"
"Sanguesporco, vuoi dire?" scattò Lily. "No, non l’hai fatto—ma fai sempre il bullo con lui, e lo tiri e lo spingi... senza lasciarlo mai in pace, e poi provi ad arrivare a me solo per riuscire a entrargli sotto la pelle..."
"Io non..."
"Basta, Potter," lo interruppe furiosa. "Non hai fatto abbastanza danni oggi?" Poi, girò sui tacchi e scomparve su per la scalinata.
James rimase immobile per un minuto; era contento che non ci fossero Sirius, Remus o Peter; era contento di essere da solo nella Sala Comune scarsamente illuminata. Nonostante tutte le sue chiacchiere, alla fine, James Potter era un essere umano, e—sotto molti aspetti—gli esseri umani sono parecchio sensibili.
Si sedette di nuovo sul divano accanto al fuoco, con le braccia incrociate e un qualche sentimento di fastidio e —beh, francamente, dolore.
"E’ solo una ragazza," Sirius avrebbe detto. "Sette per uno scellino, eddai."
"Hai fatto un po’ l’idiota," Remus avrebbe contribuito, seguito dalle parole più incoraggianti di Peter: "Ti andrà meglio la prossima volta, Prongs."
Ma—James rifletté—non ci sarebbe stata una prossima volta. Basta chiedere a Lily Evans di uscire—basta col flirt, le provocazioni, o altro. Basta Lily Evans. Aveva fatto questa promessa una dozzina di volte, prima (e l’avrebbe fatta un’altra dozzina di volte nel corso dell’anno seguente) ma questa volta diceva sul serio. Davvero, sul serio, del tutto.
E da quel momento, James Potter aveva chiuso con Lily Evans.
La rabbia, la colpa, il risentimento, e lo scontento che si fondevano nel suo petto, risultando in un dolore stringente, e assoluto, furono abbastanza per convincere James che era vero... che aveva davvero, definitivamente chiuso. Gli ci sarebbero voluti più di due mesi e un pugno alla mascella di Nicolai Mulciber per farlo rendere conto che non era così.
Ma voi, di certo, conoscete già questa storia.

 
(Presente: Gobbiglie)

 
Tre Malandrini sedevano accanto al caminetto nella Sala comune di Grifondoro. Remus e Peter avevano dei libri che stavano ignorando, e James giocherellava col boccino che aveva sgraffignato un secolo fa, più o meno. Beh, forse "giocherellando" era il termine sbagliato; lo teneva stretto, in ogni caso, tirandogli le ali e guardandolo con la stessa faccia con cui si guarda qualcuno che ti ha offeso.
Questa fu la scena che si presentò a Marlene quando entrò in Sala Comune, venendo dal dormitorio femminile, e si accomodò senza tante cerimonie su una sedia accanto a quella di Remus (James e Peter erano seduti sul divano).
"Ciao," salutò la bionda, e loro le mormorarono un saluto. "Allora... le vacanze estive, non siete eccitati?"
"Chiaro," disse James.
"Sì, immagino," disse Peter.
Remus si limitò a scrollare le spalle.
"Noto che siete tutti di ottimo umore," Marlene continuò, secca. "E comunque, perché siete in rotta con Sirius? Ognuno dice cose diverse, e io non credo nemmeno a una." I Malandrini avevano tutta l’aria di non volerne discutere, ma Marlene ignorò la cosa. "Beh—quando avete intenzione di fare pace con lui, qualunque sia il motivo?"
Altro silenzio.
"Immagino che questo significhi che non avete intenzione, nell’immediato..."
"E tu quando hai intenzione di fare pace con Adam McKinnon?" Remus controbatté, le sopracciglia inarcate.
"Abbiamo fatto pace," lo informò. "Due giorni fa."
"Non potevate farlo prima?" brontolò James. "E’ stato di pessimo umore."
"Sì, perché voi siete tanti piccoli raggi di sole," la bionda controbatté.
Mary entrò in Sala Comune in quel momento. Quasi immediatamente si sistemò sul braccio della sedia di Marlene. "Ciao, gente," disse, abbastanza allegra. "Di che parlate?"
"Marlene è quella loquace, qui", disse James con leggerezza. "Chiedi a lei."
"Sono tutti di cattivo umore," fece Marlene a Mary, indignata.
"Niente di nuovo sotto al sole," replicò la bruna. "Io dico che è colpa della parola-Q."
"Non ci sei lontana," James concesse.
"Beh, non lasciatevi abbattere da una cosa del genere," Mary continuò. "è la nostra penultima notte qui. Speravo proprio in qualche scherzo di fine anno, o qualcosa del genere da parte vostra, prima che ce ne andassimo. Siete i Malandrini, o no?"
"No," disse Remus.
"Sì," disse James.
Mary alzò gli occhi al cielo. "Maschi."
A parte i ragazzi imbronciati del sesto anno accanto al fuoco, la Sala Comune era piena di voci animate, con gli altri Grifondoro che chiacchieravano contenti dei loro programmi estivi e del sollievo per aver finito gli esami. Carlotta Meloni e Shelley Mumps entrarono dal buco del ritratto, discutendo.
"Oh, Shell, non essere così negativa," Carlotta stava dicendo, godendosi l’assenza dell’uniforme con una gonna che lasciava vedere la maggior parte delle sue gambe sottili, inspiegabilmente abbronzate, e una camicetta che faceva la stessa cosa con il suo seno. "Certo che Raphael Walker vuole vederti domani. Andrà bene."
"Ha acconsentito gentilmente a venire all’appuntamento solo perché c’eri anche tu," Shelley replicò depressa. Carlotta roteò gli occhi, poi notò i Malandrini e le due compagne di stanza attorno al fuoco.
"Grazie per l’aiuto con Trasfigurazione, James,” disse, avvicinandosi al gruppo. "Sarei stata sicuramente bocciata, senza di te."
"No problem."
Alla vista di James, Shelley era impallidita, ma Carlotta non le prestò attenzione e si sedette sul sofà accanto a Peter. "Siediti, su," invitò l’amica, la cui goffaggine fisica, paragonata alla grazia ninfea di Carlotta era solo esacerbata dalla sua posizione rigida, in netto contrasto con quella rilassata degli altri.
"Pensavo stessimo salendo," Shelley borbottò, con uno sguardo significativo diretto a James. Il Capitano di Quidditch si era di nuovo incantato col boccino, comunque, e non se ne accorse.
"Abbiamo quasi finito di fare le valigie," Carlotta le fece notare. "Eddai, Shell."
Arrossendo, Shelley prese la sedia di fronte a Mary e fece attenzione a non guardare James Potter.
"Allora, che piani avete per l’estate?" chiese Carlotta. "Io resto a casa fino a Luglio, poi i miei genitori insistono a trascinarci tutti alla casa che abbiamo sulla costa."
"Oh?" disse Marlene, falsamente gentile. "Non è lì che hai provato, e non sei riuscita, a rubare il ragazzo di Alice Griffiths l’anno scorso?"
Carlotta la guardò male, e Peter roteò gli occhi. "Se voi ragazze avete intenzione di bisticciare..."
"Non lo faranno," Mary intervenne. "Ma voi due non avete ancora fatto pace?" aggiunse, dividendo uno sguardo truce tra la sua migliore amica e Carlotta. "Siamo alla fine dell’anno scolastico, sapete, e ne abbiamo uno nuovo tutto davanti a noi. Il minimo che possiate fare è smettere di litigare, per il bene nostro, almeno. Ora—progetti estivi: questo era un bell’argomento. Io aiuterò i miei col negozio. Shelley?"
"Oh, Non lo so," sospirò Shelley. "Credo che mamma voglia andare a Venezia. È italiana, sapete."
"Sarà sicuramente bellissimo," disse Mary, determinata a far procedere la conversazione. "Remus?"
"Nessun progetto," sospirò. Rimasero in silenzio, e poi Peter intervenne per alleviare l’imbarazzo causato dal silenzio.
"Io sto da James un po’ di tempo, non è vero?"
"già," replicò il Capitano di Quidditch. "Certo. Ma penso che per le prime settimane rimaniamo a Godric’s Hollow, quindi mi sa che ti annoierai un po’."
"Cos’è Godric's Hollow?" Marlene volle sapere.
"Dove i miei genitori hanno la casa in campagna," disse James. "Il villaggio non ha molto da offrire, però."
"Hai una casa in campagna?" Mary chiese. "Ma quante case hai?"
James scrollò le spalle. "Tre o quattro. C’è quella principale, l’appartamento a Londra, Godric's Hollow, quella sulla costa..."
"Oh, quella che hai prestato ai Paciock l’estate scorsa?" chiese Carlotta. "Oh, stai zitta, Marlene."
"Ma se non ho detto niente!"
"Ho visto la faccia—lo stavi pensando."
"E adesso pensare è un crimine?" chiese Marlene. "Non mi meraviglia il fatto che tu non sia mai stata arrestata, Car."
"Niente litigi!" Mary ricordò loro. "Santo cielo, voi due." E poi guardò risentita i tre Malandrini, relativamente calmi. "Ma perché sembra che i ragazzi lo facciano meno delle ragazze?"
"Da quello che vedo io, è il contrario," fece a bassa voce Marlene, e Carlotta rise con apprezzamento dal naso.
"Progressi," sospirò Mary felice. Adam McKinnon arrivò di sotto, con indosso il pigiama e in mano una scatoletta di legno.
"Di chi è questo set di Gobbiglie?" chiese. "Perché tutto è stato messo da parte e inscatolato nel dormitorio, e questo è rimasto sulla scrivania. Sono di Sirius?"
"Non ha un set di Gobbiglie," James disse. "Mi sa che l’abbiamo preso in prestito da qualcuno."
"Dovremmo restituirle," Remus fece notare. "Da chi le abbiamo prese?"
"Frank Paciock?" Peter suggerì.
James scosse la testa. Lui ci ha dato la scacchiera."
"Roger Diggory?" Remus tirò a indovinare.
James si accigliò. "Aspetta, chi è Roger Diggory?"
"Lo sai—Tassorosso... prima giocava a Quidditch ma ha smesso per potersi ‘concentrare sugli studi.'" Eppure, il Capitano di Quidditch sembrava ancora poco convinto. Remus alzò gli occhi. "Facciapiatta."
"Oi, Facciapiatta!" disse James, la comprensione negli occhi nocciola. Le ragazze risero. "Sì, mi ricordo. Ma no, non le abbiamo prese in prestito da Facciapiatta. Una volta mi ha prestato del lucido per i manici di scopa... non credo di piacergli molto."
"Forse perché hai usato tutto il lucido," disse Peter.
"Forse perché lo chiami 'Facciapiatta,'" disse Marlene.
Persino James non riuscì a sopprimere il proprio divertimento. "Ma ha dei tratti davvero scialbi!"
"Sei solo geloso dei suoi capelli perfetti," disse Mary. "Sai, credo di averci pomiciato una volta."
"Anche io," disse Carlotta automaticamente. Si guardarono, e un breve silenzio, piuttosto imbarazzante, seguì. Adam appoggiò le Gobbiglie sul tavolino basso tra il sofà e il caminetto, e poi si sedette sul pavimento.
"Beh, è una cosa imbarazzante," sottolineò per fare conversazione. I ragazzi, Marlene, e Shelley sorrisero, ma Carlotta sussultò.
"Nuovo argomento," suggerì Mary.
Lily e Donna, le ultime del sesto anno di Grifondoro a parte Sirius, apparvero sulle scale provenienti dal dormitorio femminile, tutte e due con la vestaglia e tutte e due reggendo vari oggetti. Lily aveva due dischi, mentre Donna parecchi libri, e tutti furono presentati a Remus.
"Tutte cose che abbiamo preso in prestito da te," Lily spiegò.
"Quando ti ho prestato The Wailing Wailers?" chiese il Malandrino, esaminando uno degli album che Lily gli aveva dato. La rossa trasalì.
"Ottobre, forse?"
"Bello."
"Scusa."
"Questi sono tutti i libri che ho preso in prestito per gli esami questa settimana," Donna informò Remus, posizionando la pila sul tavolo. "Credo che non ne troverai di mancanti, ma nel caso ti risulti altrimenti, ho la lista che hai firmato e approvato lunedì." Tirò fuori un foglietto di pergamena dalla tasca della vestaglia e lo porse a Remus. "Quella è la tua firma, ma posso fare un incantesimo di verifica, se…"
"Va bene, Donna," disse Remus. "Ho firmato quella roba solo dietro tua insistenza."
"Mi piace essere precisa," replicò lei sulla difensiva.
Lily si era seduta a terra accanto ad Adam e tamburellava le dita sul misterioso scatolo di Gobbiglie. "Stavate per giocare? Si dà il caso che sia un’esperta di Gobbiglie."
"No, erano nel nostro dormitorio," disse Adam. "Stavamo cercando di capire di chi è questo set."
Lily esaminò lo scatolo, mentre Donna si sedeva vicino a lei.
"Forse le abbiamo prese da Liam Lyle," suggerì Peter. "Penso proprio di sì."
"Chi?" chiese James.
Remus sospirò. "'Belli Capelli,'" disse, rassegnato. James annuì riconoscendolo.
"Buon vecchio Belli Capelli."
Lily guardò gli altri. "Voglio saperlo?"
"No," disse Remus. "Forse l’abbiamo preso da Malcolm Davies. O, se parli il James-ese, Corvoscemo."
"No, non era Corvoscemo," disse Lily.
"Come lo sai?" chiese Peter curioso.
"Lo so e basta. L’ aura dello scatolo non sembra di Corvonero. Sono decisamente Gobbiglie Grifondoro. Infatti..." Chiuse gli occhi per fare scena e tenne le mani sospese sul gioco. "Io dico che appartiene a... Damacus Weasley."
"Oi, è vero!" disse James, ricordandosi. "Sì, l’abbiamo preso in prestito da lui visto che Si... qualcuno per caso ha fatto esplodere il mio set esercitandosi con una nuova maledizione."
"Ma come lo sapevi tu?" Carlotta chiese a Lily.
"Sono molto potente."
La guardarono tutti scetticamente, e Lily rovesciò la scatola sottosopra affinché tutti potessero vedere. "Damacus Weasley" era nettamente inciso nel legno.
"In realtà, so leggere," disse secca. "Beh, allora, su; chi vuole sfidarmi?"
Adam scrollò le spalle. "Io."
"Anche io," acconsentì Mary. Scivolò giù dal braccio della sedia di Mary sul pavimento, avvicinandosi al tavolo.
"Anche io," disse Marlene, e anche Carlotta si sedette dalla sua parte del tavolo.
"Perché no?" disse la bruna con una scrollata di spalle. "Dai, Shelley."
Shelley la seguì obbediente.
"Remus? Peter?" Lily invitò, ignorando di proposito James. Peter si disse d’accordo, ma Remus sembrava riluttante.
"Non sono dell’umore," disse. Sembrava anche piuttosto pallido.
"Eddai. Una partita," lo esortò Carlotta. "James, anche tu."
Donna si avvicinò al tavolo. "Visto che giocano tutti, suppongo che anche io..."
James lanciò un’occhiata imbarazzata a Lily, ma era occupata a preparare il gioco e non sembrò accorgersene. Si spostò sull’bordo del divano, abbastanza vicino da partecipare.
"Sarò io a vincere, sapete," dichiarò Donna con aria pratica. "Sul serio, lo faccio sempre."
"Non è vero," protestò Lily.
"Limitiamoci a sperare che giochi meglio di come hai fatto nella finale di parola-Q," cantilenò Marlene. Donna la guardò male, ma quasi tutti gli altri risero.
"Inizio io," disse Peter. "Nessuno si becca lo spruzzo al primo turno..."
Un’ora, tre partite di Gobbiglie, e due viaggi nel dormitorio dei ragazzi alla ricerca di dolcetti dopo, non c’erano stati incidenti spiacevoli, o quasi. C’erano abbastanza persone a giocare affinché non dovesse parlare direttamente o interagire con James, e anche Marlene e Carlotta riuscirono a non litigare. In realtà, le cose andavano abbastanza bene, finchè, verso le otto e mezza, il buco del ritratto si aprì per lasciar entrare l’ultimo dei Grifondoro del sesto anno.
Sirius guardò il gruppo, ma si diresse velocemente alla scalinata per il dormitorio maschile. Lily guardò prima Remus, poi Peter, poi James, e poi decise che non gliene importava niente.
"Sirius!"
Tutti la guardarono.
"Torneo di Gobbiglie. Vuoi giocare?"
"Lily," fece a bassa voce Remus.
"Non saremmo tutti se non gioca," controbatté Lily sottovoce. Alzandola, rivolta a Sirius, aggiunse: "Siamo a metà di questa partita—puoi stare in squadra con me. Ho già vinto una volta."
Sirius esitò, poi scosse la testa. "No, grazie. Ero solo venuto a prendere un paio di cose che avevo lasciato nel..."
"Sciocchezze, vieni qui," parlò Marlene. "Non stare in squadra con Lily, però. Sta facendo schifo in questo round."
"Non così schifo..."
"Non sei riuscita nemmeno a spingerne una fuori dal cerchio!"
"Forza, Sirius," Carlotta aggiunse. "Vieni a giocare. Per festeggiare la fine degli esami e tutto il resto!"
"Tre ragazze attraenti ti hanno richiesto," Mary continuò. "Sarebbe proprio sospetto se adesso ti rifiutassi."
James mantenne la propria espressione completamente neutra mentre Sirius si sedeva sul pavimento, tra Donna e Lily.
"Fantastico," disse Carlotta. "Se solo avessimo della burrobirra..."
"Vero?" si disse d’accordo Lily. "Ci stavo proprio pensando." Evitò un assalto delle Gobbiglie, ma non prima che un po’ della poltiglia viscida atterrasse nei suoi capelli. "Non credo che valga..."
"Certo che vale," ghignò Remus. "Sei fuori, Evans."
"Ma le ragazze hanno più capelli dei maschi! È un vantaggio ingiusto!"
"Non le piace perdere," disse Marlene. "Turno di Donna. Via..."
 
"Due galeoni che Peter è il prossimo che viene colpito," disse James, lanciando le monete sul tavolo.
"Carlotta è stata appena colpita," protestò Adam. "Non è assolutamente possibile..."
"Infatti," si disse d’accordo Mary, ma in quel momento, le biglie emisero il loro acido verde, e Peter Minus non fu abbastanza veloce da evitarlo.
"Dio, Potter," Adam si lamentò bonariamente; "Hai una fortuna esagerata, dannazione." Lanciò a James i suoi soldi.
"Mai scommettere contro di me," fece James con un ghigno. Prese una delle sue Gobbiglie e la lanciò contro un’altra nel cerchio, riuscendo a spingerla fuori.
"Dannazione," imprecò Lily, che—con James e Remus—era tra i pochi rimasti a giocare. "Sono sei per Potter, no?"
"Già," disse Carlotta. Appoggiò tre galeoni su un punto libero del tavolo. "Scommetto sulla vittoria di James."
"Nah, vincerà Lily," protestò Sirius. "E’ sotto solo di una, e Potter arranca sempre alla settima biglia." James fece finta di non aver sentito.
"Sto anche io su Lily" disse Donna, mettendo i soldi sul piatto. "Cinque di fila è un buon cavallo su cui puntare."
"Ti voglio bene, Lily, ma scommetto su James," fece Mary.
"Io invece sto con lo sfavorito—tre per Lupin," disse Adam. Aggiunse i suoi soldi. Era il turno di Lily, e spinse la sua sesta biglia fuori dal ring. Remus la seguì, colpendo anche lui la sua sesta Gobbiglia. Mentre lo faceva, le biglie spararono il loro acido puzzolente, ma Remus riuscì a ripararsi sotto al tavolo prima di essere effettivamente colpito.
"Bravo, amico," disse James. Prese attentamente la mira e poi tirò, e nonostante fosse riuscito a colpirne una, la Gobbiglia però rotolò fino solo al perimetro, senza uscire dal cerchio. "Dannazione."
"Te l’avevo detto," Sirius sussurrò to Carlotta.
Era di nuovo il turno di Lily; strinse la pietra tra le mani come se fosse una coppia di dadi, ma nel momento in cui stava per lanciarla nel ring, le biglie colpirono di nuovo, spruzzando acido verso di lei. Lily si spostò riuscendo a evitare il liquido, ma il suo turno ormai era perso.
Remus si preparò al lancio; prese la mira con attenzione, si rigirò la Gobbiglia tra le dita, e poi—
"Sì!" urlò Adam, alzando in aria un pugno. "Grazie, Remus Lupin!"
Gli altri gemettero, mentre Adam raccoglieva i soldi della vittoria, e Remus ghignò contento della sua piccola vittoria.
"Bel lavoro, amico," James si congratulò, appoggiandosi alla base del divano (si era spostato sul pavimento tre partite prima). "Non avevo ragione sulle biglie blu? Sono le migliori se devi tirare."
Shelley si stiracchiò e sbadigliò, e all’improvviso i ragazzi del sesto anno si accorsero che era tardi. La Sala Comune era buia, a parte la luce del fuoco, e tutti gli altri erano andati a letto.
"Devo andare," disse Sirius, alzandosi. "Ci vediamo domani, ragazzi."
Gli altri—eccetto James e Remus, che guardarono altrove con determinazione—diedero la buonanotte a Sirius, e, con uno sguardo ai suoi ex amici, che non venne ricambiato, si infilò mesto nel buco del ritratto.
"Dovremmo proprio andare a letto," Lily osservò lentamente. "è piuttosto tardi..." Ci fu un momento di silenzio, e poi... "Un’altra partita?"
"Ci sto," disse Mary, raddrizzandosi.
"Anche io," fece Adam.
"Sì, io pure," si unì James.
"Mi tocca difendere il titolo, suppongo," si disse d’accordo Remus.
Tutti si avvicinarono al tavolo, e Lily risistemò il cerchio.
Donna fu la successiva a salire nel dormitorio, andandosene immediatamente dopo la fine della partita. Peter andò a letto un quarto d’ora dopo, poi Mary, Carlotta, e Shelley, e poi Adam. Marlene vinse l’ultimo match, e, sbadigliando, si alzò barcollante.
"Sono distrutta," annunciò. "A domattina, Lily. 'Notte, James." E con questo, la bionda si arrampicò su per la scala diretta al dormitorio. Lily risistemò le Gobbiglie nello scatolo di Damacus Weasley, e lentamente si alzò. Si rigirò, vagamente, in testa l’idea di dire 'Buonanotte' (o forse qualcos’altro) a James, ma poi decise di no, e si avviò in camera sua.
"Ascolta, Lily..." James iniziò all’improvviso. Lei si voltò. "Solo che..." esitò, e Lily lo interruppe.
"Si è fatto tardi," fece a bassa voce. "Devo andare a dormire." Poi si voltò, e andò via.

 
(Come Va con James di Nuovo)

 
Forse straordinariamente, dato l’insano numero di distrazioni che avevano dovuto affrontare, tutti i ragazzo del sesto anno superarono gli esami. Il voto di Lily in Antiche Rune non era proprio quello che avrebbe voluto ottenere, e Donna giurò che la Professoressa McGranitt si era voluta vendicare contro di lei, ma, tutto sommato, l’ultimo giorno a Hogwarts non fu tanto orribile come c’era da aspettarsi.
Il banchetto d’addio fu delizioso, come sempre, e Serpeverde, grazie anche alla vittoria alla Coppa di Quidditch, vinse anche la Coppa delle Case. Grifondoro arrivò terza, ma solo perché l’assalto che Cassidy Gamp aveva fatto a Donna aveva danneggiato il totale di Tassorosso senza possibilità di recupero.
Nonostante avesse rimandato finchè poteva, Lily alla fine terminò di fare i bagagli quella sera stessa, e passò la maggior parte della notte con i suoi amici nel Dormitorio. Essendo rimaste alzate fino a tardi la notte prima, la maggior parte delle ragazze andò a letto presto, ma Lily non era stanca—o forse non riusciva a dormire, in ogni caso—e, prendendo l’unico libro che non aveva ancora messo via, il prefetto si diresse nella – a quell’ora- deserta Sala Comune. Un paio di minuti dopo le undici, comunque, la solitudine di Lily venne interrotta.
"Farebbe qualche differenza se ti porgessi le mie scuse?"
James Potter—con indosso i pantaloni del pigiama di flanella e una t-shirt del Puddlemore United che avrebbe dovuto essere più larga—camminò verso di lei con un’espressione che nello stesso tempo riusciva a essere dispiaciuta e apatica.
"Dipende," replicò Lily, ritornando al suo libro dopo una breve occhiata generale. "Mi dai il permesso di impalarti un piede con un oggetto appuntito? Credo che questo la farebbe sì, la differenza."
Sospirando, James si lasciò cadere sul divano, accanto a lei. "Mi dispiace," disse con abbastanza sincerità da far alzare lo sguardo a Lily. "Non avrei dovuto dire le cose che ho detto."
Stanca com’era—di tutto—Lily non aveva affatto intenzione di accettare quello. "Tutto qui? Dovresti fare delle cartoline. Potresti chiamarle Scuse Ma-Non-Ho-Nessuna-Colpa, da James."
"Ce l’ho la colpa," replicò James fermo. "Le penso davvero le cose che ho detto, ma non avrei dovuto dirle."
"Inefficaci Scuse Ma-Non-Ho-Nessuna-Colpa, da James."
James non rispose. Rimase lì seduto a lungo, guardandosi le mani. Lily stava per chiedergli di andarsene (o pretenderlo, comunque), quando lui le chiese: "Che stai leggendo?"
"Un libro."
"Che libro?"
"Questo."
Sbuffò dal naso. Con il braccio allungato sullo schienale del divano, James si sporse per leggere il titolo, e facendo questo, i suoi capelli—ancora bagnati dopo la doccia—strofinarono la guancia di Lily. Tirò indietro la testa, lontana dal profumo dello shampoo (nonostante fosse fresco e piacevole) e fece una smorfia, come se avesse annusato qualcosa di puzzolente.
"Levati. Mi stai facendo bagnare tutta," lo accusò, e James emise un’altra risata dal naso. "Oh, stai zitto..."
James la accontentò solo in parte; arretrò. "Emma?" chiese, riferendosi al titolo del libro. "Mai sentito."
"Babbano," Lily lo informò. "è l’unico libro che al momento non è ammassato in fondo al mio baule, e avevo voglia di leggere."
"Ovviamente," James fece a bassa voce. "Beh, e di che parla?"
Rassegnata al fatto che James—con la sua stupida t-shirt e i suoi stupidi capelli—non aveva intenzione di andare da nessuna parte, Lily rispose dopo aver riflettuto qualche istante: "Parla di una ragazza che commette un sacco di errori."
"Meglio di una ragazza che non ne commette nemmeno uno, suppongo."
"Beh, chi ha voglia di leggere una cosa del genere?" Ancora silenzio imbarazzante, profumato di shampoo, poi: "Non hai ancora accettato le mie scuse."
"Non mi hai ancora porto delle scuse degne di essere accettate."
"Te lo concedo."
...
"Beh?"
"Beh, cosa?"
"Beh, hai intenzione di scusarti come si deve?"
"No."
Lily lo guardò male. "Hai intenzione di lasciarmi in pace da sola col libro?"
"No."
"Hai intenzione di andare di sopra a prendermi un po’ di quei dolci che so che probabilmente hai conservato da qualche parte, così almeno la tua presenza diventa moderatamente più tollerabile?"
James ghignò. "Torno subito."
"Non c’è fretta."
Il Capitano di Quidditch scomparve su per le scale, e Lily provò senza successo a ritornare al suo romanzo. Poi, il buco del ritratto si aprì, e Shelley Mumps fece il suo ingresso.
"Ehi, Shell," salutò Lily, un po’ confusa dall’arrivo della strega a quell’ora. "Ma dov’ eri?"
"Non mi toglierai dei punti, vero?" chiese Shelley ansiosa. Lily promise di no—non prendendosi il disturbo di farle notare che togliere dei punti sarebbe stato inutile, in quella parte dell’anno. "Mi sono addormentata nella biblioteca," Shelley spiegò, attraversando a passi strascicati la Sala Comune, infelice. "Avrei dovuto incontrare una persona, ma non è venuta."
"Chi?" Lily volle sapere.
"Un ragazzo. Raphael Walker."
"Quel belloccio del settimo anno? Ci dai dentro, Shelley."
Shelley scrollò le spalle. "Non proprio. Come ho detto—non è venuto. Carlotta aveva cercato di organizzare... probabilmente aveva pensato ci fosse anche lei, e quando ha visto che non c’era, si è voltato e se ne è andato."
"Sono sicura che non è questo," disse Lily, scuotendo la testa risoluta. "Sai no, è del settimo anno—è il suo ultimo giorno. Probabilmente è stato trattenuto dagli ultimi preparativi." Shelley scrollò solamente le spalle di nuovo, chiaramente non era convinta. "Non preoccuparti, Shell," Lily la consolò. "I ragazzi di Hogwarts non valgono il tuo tempo."
"Alcuni sì," replicò Shelley un po’ malinconica.
E come per darle ragione, James apparve di nuovo sulla scala, questa volta con un sacchetto di carta marrone con qualcosa dentro che Lily sperava fossero Lumache Gelatinose. Fece gli scalini due alla volta, e Shelley all’improvviso sembrò aver ingoiato una lumaca vera.
"Come tua richiesta," disse James a Lily, lanciando il sacchetto sul tavolino e sedendosi al posto di prima. "Ciao, Michelle. Ne vuoi una? Lumache Gelatinose, sai."
Lily sorrise di nuovo, contenta per il tipo di dolci, e Shelley impallidì. Scosse la testa.
"Perché non rimani con noi?" Lily offrì, grata dell’opportunità di mettere uno schermo tra sé e lo shampoo di James. (Per Agrippa—ma cosa aveva stasera?) " Mi stava proprio dicendo della sua nuova frase fatta da cartolina, e stava rifiutando di lasciare in pace una povera ragazza."
Shelley scosse di nuovo la testa.
"Sicura?" chiese James. "Evans potrebbe essere contenta di avere una persona con cui essere gentile, visto che si sente moralmente obbligata a lanciare solo insulti, a me."
"Sei fortunato che è tutto quello che ti lancio," Lily replicò con leggerezza.
Entrambi fecero una smorfia, e Shelley riuscì a squittire: "No, grazie. Buonanotte," prima di andare a tutta velocità su per le scale del dormitorio femminile. Lily prese il sacchetto e scelse con cura una lumaca blu acceso.
"Michelle?" lo citò, derisiva. "Sul serio, Potter?"
"Che c’è? Così si chiama."
"Solo se hai intenzione di leggere il suo nome allo Smistamento. Tutti la chiamano 'Shelley.'"
"Come sai che 'Michelle' non è il soprannome che le ho dato?"
"Le hai dato come soprannome il suo vero nome? Che fantasia."
"è ironico."
"Non lo è."
"Beh, non è che ci parli con Michelle... er... Shelley, così tanto. Non credo di piacerle... è sempre molto silenziosa e occhiatacci-osa quando ci sono io."
Lily morse un’altra lumaca, a metà. "A volte mi sorprendi davvero, Potter," disse, sospirando e scuotendo la testa. "E non in senso buono."
"Sai, ho appena portato i dolci. Devi fare la brava, con me."
"Dopo tutto quello che mi hai detto l’altra sera, non devo fare la brava. Non sono nemmeno sicura se debba essere umana." Quando da James non venne nessuna risposta spiritosa, Lily alzò gli occhi dal libro e lo guardò. La stava osservando, con aria evidentemente dispiaciuta. "Che c’è?"
"Ti ho ferita davvero, non è così?" le chiese piano.
Sorpresa, Lily pensò a parecchie risposte, e alla fine scelse di avere pietà. "Sopravvivrò," disse. "E le Lumache Gelatinose aiutano." Gli offrì il sacchetto, e James scelse un dolce rosa neon.
"Okay, Evans, non risparmiarmi."
"Non ne avevo alcuna intenzione."
"E hai anche ragione. Le mie scuse facevano schifo. Farebbe differenza se ci provassi di nuovo?"
Ci pensò su. "Provaci. Dubito che possa peggiorare la tua situazione."
"Mi dispiace," disse James di nuovo. "Davvero tanto. E pensavo davvero alcune delle cose che ho detto, ma non avrei dovuto dirle."
Lily inarcò le sopracciglia. "Ma non è esattamente la stessa cosa che mi hai detto prima?"
"Fammi finire."
"Va bene."
"So che non hai—che non hai cercato di manipolarmi per farti aiutare a scendere a Hogsmeade." L’espressione di Lily cambiò (si ammorbidì) all’onestà dell’affermazione. "E so che non hai usato Luke, e non avrei dovuto urlarti contro. Ma pensavo davvero le cose che ho detto su Piton."
La guardò con attenzione, tentando probabilmente di soppesare la sua reazione, ma Lily rimase seduta immobile e non parlò subito. Infine, replicò: "Anche io." Nessuno dei due sapeva cos’altro dire, e per riempire il silenzio, Lily mangiò un’altra Lumaca Gelatinosa.
"Ho sentito che avete litigato di nuovo," James iniziò dopo un po’.
Lily annuì. "Su una cosa avevi ragione—l’ho davvero perso comunque. Sev e io non siamo... non siamo stati veri amici da tanto tempo. Facevamo... facevamo solo finta."
"Mi dispiace."
Lo guardò dubbiosa. "Tu odi Piton."
"Sì, è vero," concesse lui. "Ma tu no, quindi... Mi dispiace."
Lily ci mise parecchio tempo prima di dire quello che sentiva avrebbe dovuto dire subito dopo; "Non ti ho sempre respinto per Piton. Sul serio, davvero, non l’ho fatto." Incrociò il suo sguardo, che era fisso su di lei, determinata. "Ma si è sempre ... si è sempre arrabbiato per il modo in cui mi chiedevi di uscire. In realtà, pensavo che fosse questo il motivo per cui lo facevi."
"Ma..."
"Io ti ho fatto finire, Potter."
"Bene."
"La verità è che—Avrei detto “no” comunque... ma a volte, sono stata—sono stata un po’ più... uhm... veemente di come sarei potuta essere altrimenti..." Esitò, e poi si buttò, perché, dopo tutto, ormai avevano già detto tutto il resto, no? "E questo è stato a causa di Piton. Perché volevo placare i suoi dubbi, suppongo. Comunque, questa era una ragione... l’altra è che più o meno mi facevi diventare matta."
James sorrise abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Lily si morse un labbro.
"Quello che sto cercando di dirti," continuò, "è—scuse accettate."
Alzò lo sguardo su di lei. "Anche se erano scialbe?"
Scrollò le spalle. "Le Lumache Gelatinose aiutano."
James ancora una volta si fece coraggio, e così—giocherellando con l’orlo della maglia del Puddlemore United—incalzò: "Non sono stato molto carino con te quest’anno... la maggior parte del tempo."
"Anche io ho avuto un paio di momenti meno che stellari."
"Sì, ma io sono stato peggio. Voglio dire..." Sbuffò dal naso, "Ho preso Mulciber a pugni, ti ho fatto prendere la colpa, e poi mi sono arrabbiato con te per averlo fatto."
Sembrava così tanto tempo fa; il ricordo non le dava più fastidio, o provocava dispiace. Era quasi divertente, in realtà.
"C’è una ragione," James continuò. "C’è una ragione per cui quest’anno sono stato più idiota del solito." Lily aspettò, ansiosa. "Stavo cercando di dimenticarti."
Lily all’improvviso si sentì come se qualcuno le avesse mozzato il respiro. Merlino, era capace di dire tutto quello che gli passava per la testa, non è vero? Sentì il rossore invaderle le guance, ma riuscì a chiedere: "E ci sei riuscito?"
Un lungo niente carico di tensione, e poi—"Già."
Lily respirò di nuovo. "Okay."
James osservò la rossa accanto a lui con attenzione—con la maglietta verde sottile e i pantaloni del pigiama larghissimi, e i capelli rossi tirati su alla buona dietro la testa, e la pelle colorata dalla luce del caminetto.
"Sei cambiato," gli disse, come se gli avesse letto nel pensiero.
"Anche tu," lui replicò.
Lily annuì lentamente, senza contraddirlo, come si sarebbe aspettato. "è stato un anno lungo,” disse. "Non sempre positivo, però."
"No," lui si disse d’accordo. "Per niente."
Si chiese a cosa stesse pensando—probabilmente Sirius. "L’anno prossimo sarà meglio," gli disse.
"Non puoi saperlo."
"Cosa potrebbe andare peggio?"
James fece un sorrisetto. "Forse hai ragione. Eppure..."
"Eppure? Eppure cosa?"
"Non lo so. Solamente—solamente mi chiedo che senso ci sia, a tornare l’anno prossimo. Non ti servono i M.A.G.O. per giocare a Quidditch, e comunque, sono pieno di soldi, quindi non è che me la vedrò brutta senza un lavoro se non gioco."
"Ma devi tornare l’anno prossimo!" protestò Lily, sconcertata. James inarcò le sopracciglia. "Come puoi pure prendere in considerazione una cosa del genere?" continuò. "E’ Hogwarts. Tu la ami."
Lui scrollò le spalle. "Tutto qui è—Sirius. Cinque letti nel dormitorio... ogni passaggio segreto a scuola, l’abbiamo trovato con Sirius. Anche la mappa—dice Moony, Wormtail, Padfoot, e Prongs. L’ho incontrato il primo giorno, e da allora ogni giorno qui l’abbiamo passato insieme. Solo che—adesso non lo so. Voglio solo starne alla larga."
"Ma devi tornare indietro," Lily ripeté. "Sul serio, Potter, è... è Hogwarts! Ed è stato un anno schifoso, ma... ma... ma Hogwarts deve redimersi!"
"Redimersi?" chiese il Capitano di Quidditch, divertito.
“Sì!" continuò, impassibile. "Quest’anno...il Professor Black morto, Luke, Logan Harper, Roland Urquhart con la propaganda purosangue... Carlotta e Adam all’inizio dell’anno... L’attacco a Marlene, a Mary... la sconfitta nella Coppa di Quidditch contro Serpeverde... il tuo litigio con Sirius, il mio con Donna, Sev... James, è stato un anno dannatamente schifoso! E se molli adesso, allora quest’ anno—da Mulciber a Sirius—sarà l’ultimo per te! E non vuoi questo, no? Se non vieni per il settimo anno, tutti i tuoi ricordi di Hogwarts saranno macchiati; e tutti quelli positivi perderanno importanza! Devi tornare e provare ad avere un anno migliore..." James la guardò con un’espressione strana. Non rispose subito, e Lily si morse un labbro. "Ho ragione, non è vero?"
Lentamente, iniziò a sorridere. "Forse."
Lily imitò la sua espressione. "Certo."
James scosse la testa. "Senti, col rischio di sfidare il destino..."
"Amici?" lo interruppe. Lui annuì.
"Certo."
"Amici," la rossa acconsentì. "Ed era proprio ora."
James si stese sul divano, appoggiando le gambe sul tavolino sul quale avevano giocato a Gobbiglie la sera prima. "Che modo di concludere l’anno, eh?"
"Già."
Un silenzio più breve, meno imbarazzante, e poi James afferrò il libro poggiato sul grembo di Lily. "Allora, raccontami di questa Emma. Carina?"
Lily rise.
Fu solo un paio di ore dopo—quasi le una del mattino—che se ne andarono a letto, in realtà. James salì le scale assieme a Lily, finchè arrivarono al pianerottolo da cui si dipartivano i corridoi che conducevano ai rispettivi dormitori maschili e femminili.
"Buonanotte, allora, immagino," disse James.
"Buonanotte," replicò Lily.
Si guardarono per un momento molto lungo, indugiando. Lily si chiese solo vagamente se l’avrebbe visto, o no, durante le vacanze estive, perché il suo cervello all’improvviso sembrava essere diventato leggero... leggero e silenzioso.
Certo, in alcun modo avrebbe potuto sapere esattamente cosa le avrebbero portato i mesi successivi. Non avrebbe mai potuto sapere della protesta, o di Sam, o che avrebbe partecipato non a uno, ma due matrimoni... Non avrebbe mai potuto sapere che prima di salire di nuovo sull’ Espresso per Hogwarts per il settimo anno, avrebbe trascorso le trentasei ore più strane della sua vita finora, che si sarebbero concluse tra le braccia di James Potter.
No, sul serio, non ne sapeva ancora niente, e così, con un ultimo sorriso, gli disse: "Ci vediamo domani, suppongo."
"Immagino di sì," concordò James. E ognuno se ne andò per la sua strada.
Fu solo mentre si arrampicava a letto con una calda, strana sensazione che le stringeva lo stomaco, che Lily si rese conto di una cosa importante—non era che, come aveva pensato, non era rimasto nient’altro da dire con James, dopo tutto. Non era rimasto nient’altro che non poteva essere detto.
 
A/N: Non ho idea di come si giochi a Gobbiglie—ho preso vaghi ricordi dai libri, ho aggiunto le poche informazioni presa dal Lexicon e dai libri, e inventato il resto. Se è tutto sbagliato, Mi dispiace, ma ho fatto del mio meglio =P.


 
 

 
  
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