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Autore: Akemichan    01/08/2003    2 recensioni
Approdati in un'isola, i nostri vivranno le avventure più disparate. Zoro si perderà nel bosco in dolce compagnia, Rufy incontrerà una studiosa di frutti dle Diavolo, Sanji sarà alle prese con l'unica donna che non ama mentre Robin incontrerà una sua vecchia fiamma alla ricerca di un 'affare importante'...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Rufy/Nami
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Nami non aveva mai visto tanti cibi diversi tutti insieme

 

 

 

Nami non aveva mai visto tanti cibi diversi tutti insieme. Evidentemente la rivalità tra i due fratelli aveva portato a risultati a dir poco sorprendenti. La tavola era imbandita di tutto ciò che al mondo si può sognare, cibi rivenienti da tutti paesi. Dal sushi alle crepes, dagli spaghetti agli hamburger… Sembrava di essere a una sagra invece che a una semplice cena. E la cosa più bella era che sembrava tutto buonissimo!

Lei si sedette a un lato della panca, mentre accanto le si sedettero Sanji e sua sorella. Capotavola c’era Chopper mentre dall’altro lato c’erano Rufy, Nara e Usop.

“Zoro e Robin?” chiese quest’ultimo.

“Non importa…Loro sanno badare a loro stessi…” disse Rufy che aveva la bava alla bocca alla vista di tutto quel ben di Dio.

Nami notò che gli sguardi assassini dei due fratelli non erano affatto diminuiti. “Scommetto che sarà tutto buonissimo… ma, tu come ti chiami?”

La ragazza dai capelli biondi arrossi leggermente. “E’ vero, con la storia della gara mi ero dimenticata di presentarmi… Io sono Sakura, piacere”

Nessuno la stava a sentire. Rufy, Chopper e Usop si erano già gettati sul cibo, fregandoselo a vicenda l’uno dal piatto dell’altro. Nara stava scegliendo minuziosamente solo il cibo preparato da Sanji, cosa che non faceva certo piacere alla sua amica, mentre Sanji era occupato a servire Nami solo con i suoi piatti.

“Vedo che vi interessa molto…” aggiunse con una goccia che le pendeva dal capo. Quindi decise di lasciare perdere e iniziare a mangiare anche lei, prima che si spazzolassero via tutto.

Alla fine della cena, tutti avevano mangiato di tutto. Erano passati dal dolce, al secondo, dal primo all’antipasto, insomma, ne era venuto fuori un casino non indifferente. Nami si era ritrovata a mangiare quello che sembrava un Babà con sopra un calamaro fritto. Sanji aveva scoperto una fetta di pizza cosparsa di cioccolata, mentre Usop era riuscito a mangiare una torta con i funghi dentro. I ragazzi avevano decisamente bisogno di un digestivo, ma per fortuna era stato preparato anche il sorbetto al limone, unica cosa alla quale i fratelli avevano lavorato insieme e della quale tutti gli furono molto grati.

Finita la cena, Sakura e Sanji lavarono i piatti, mentre gli altri, seduti al tavolino, parlavano del più e del meno. Nara si stava concentrando su Chopper e sullo studio dei suoi poteri.

“Ah proposito, ma che vuol dire che il frutto di Gom Gom fa parte della categoria degli Zen-Zen?” chiese Rufy come ricordandoselo improvvisamente.

Nara si alzò da terra e fregò una siringa dal ruck di Chopper. “Posso prenderti un po’ di sangue?” Lui era titubante ma alla fine acconsentì. Mentre lo stava facendo rispose “Vedi, i frutti del diavolo si dividono in quattro categorie principali. Gli Zen-Zen, che sono quelli che danno poteri riferiti alla natura, come il tuo. Ci sono poi quelli di Zoo-Zoo, che trasformano in animali, quelli di Hito-Hito che si riferiscono a cose create dall’uomo e infine quelli di Hen-Hen che comprendono tutti gli altri, come quello di Chopper”

“O quello di Fior Fior” aggiunse Sakura. “La Robin di cui parlavate prima è lei, no? Ha un potere fantastico”

“Allora anche tu te ne intendi di frutti del diavolo” esclamò Sanji sorpreso.

“Si” rispose lei. “Il mio sogno è quello di riuscire a riprodurre un frutto del diavolo”

“Sul serio?!” dissero tutti. “Ma è impossibile!”

“No” fece Nara. “Non ci sono cose impossibile a questo mondo. Esiste solo ciò che si vuole fare e ciò che non si vuole fare” Si risedette sulla panca assieme a Rufy, strofinandosi contro di lui. “E in questo momento c’è una cosa che vorrei fare…”

“Eh?” Rufy sembrò un po’ disorientato e si allontanò leggermente.

Lei sbuffò scocciata mentre Nami, alzandosi, la guardò con aria di superiorità. “Vado in camera mia.” Si rivolse alle due ragazze. “Voi dove dormite?”

Prima che Nara potesse dire qualsiasi cosa, intervenne Sakura. “Abbiamo i sacchi a pelo, se per voi va bene potemmo dormire sul ponte”

Sanji si girò con gli occhi a cuore verso la ragazza dai capelli blu. “Non sia mai detto che una leggiadra fanciulla debba dormire all’aperto. Ti cederò volentieri il mio letto, cherie!”

Nara guardò scocciata la sua amica che l’aveva interrotta. “No, grazie” Si alzò anche lei, uscendo. “Puoi venire un attimo, Sakura?”

Lei, finito di asciugare il piatto che aveva in mano, lo appoggiò sul lavandino e la seguì fuori, chiudendo la porta dietro di sé.

“Quelle due mi sembrano un po’ strane…” disse Usop. “Voglio dire, sulla testa di Rufy pende una taglia di 100 milioni… E noi siamo pirati, eppure non hanno la minima paura…”

“Forse ci sono abituate… Per cercare i frutti del diavolo devono entrare in contatto con i pirati… E poi Sakura è mia sorella, quindi…”

“Si, lei si, però… vabbè…”

“Sanji, io ho ancora fame…”

“Ma come può essere??” gridarono tutti.

* * *

Nara prese il suo zaino che era ancora appoggiato in un angolo dalla mattina e ne tirò fuori due coperte. Sakura le si avvicinò e prese quella che la sua amica le porgeva.

“Perché mi hai interrotto?”

“Cosa volevi dire?”

Nara sbuffò. “Era l’occasione giusta per chiedere a Rufy se potevo dormire con lui…”

“Non ti piacerà sul serio cappello di paglia!”

La ragazza dai capelli blu si avvicino a Sakura e le sussurrò qualcosa in un orecchio. Poi si allontanò di nuovo, osservando l’effetto delle sue parole.

La ragazza dai capelli raggi di sole rimase ferma per qualche minuto. “Perché? Allora ti piace sul serio…”

“Non è necessario che tu lo sappia. Ti chiedo solo questo piccolissimo favore…”

Sakura scosse la testa. “Non mi sembra tanto piccolo e poi… Non mi piace fare cose di cui non so il perché!”

Nara le strinse la mano. “Ti prego” piagnucolò. “In nome dei favori che ti ho fatto”

“Quali?”

Si staccò. “Bè, quelli che ti farò!”

“Ahhh” Sakura sorrise. “E va bene… Ma ti avverto, se succede qualcosa che non mi va, ti scoprirò subito”

“Va bene… basta che tu lo faccia. Domani.”

* * *

Niko Robin vide una flebile luce in lontananza. Forse era arrivata. Accelerò il passo, nonostante la stanchezza dei muscoli e finalmente lo stretto corridoio si allargò in una piccola grotta, illuminata soltanto da piccoli buchi che comunicavano con la cima del promontorio, perciò la visibilità era molto scarsa. Di forma rotonda, non sembrava nascondere alcun segreto e neanche quella fantomatica mappa che stava cercando. Si guardò intorno, finché non riuscì a notare un segno rosso dipinto nella parete di fronte a lei. Sembrava antico. Si avvicinò e lo sfiorò con la mano. Quattro linee sistemate a mo’ di quadrato e un quadrato più piccolo in mezzo. Toccò ancora il centro, spingendolo con l’indice. Sentì una specie di tac, come se avesse toccato qualche bottone.  La stanza nella quale si trovava vibrò e poi… Il nulla. E lo scenario cambiò.

Si guardò intorno, stupita. Era una giornata nuvolosa, nella quale il sole giocava a nascondino con alcuni nuvoloni neri. Una grande piazza familiare. Persone. Molte persone. Tutte lì per vedere un’esecuzione. Robin si girò verso il centro. L’uomo baffuto che stava per essere ucciso sorrise.

“Se volete il mio tesoro, prendetevelo. Ho lasciato tutto in un certo posto…” Poi le spade degli esecutori si chinarono su di lui. Sangue e la gente esultò. Ma il sole scomparve definitivamente e la pioggia cominciava a cadere, prima lenta, poi inesorabilmente sempre più forte. Pensare che proprio in quella giornata uggiosa iniziò l’era dei pirati.

Le gente correva da tutte le parti, ignorando Robin che rimaneva ferma in mezzo. Sembrava che nessuno la vedesse.

“Gold D. Roger…”

Aprì la mano davanti a lei. La pioggia che scendeva non l’aveva ancora bagnata. Com’era possibile? Vide le gocce attraversare il suo palmo e cadere a terra. Era diventata impalpabile e invisibile, come un fantasma. Che razza di incantesimo era? Poi la sua attenzione venne attirata da due persone. Un ragazzo e una ragazza. Si erano trattenuti lì fino a quando il corpo del condannato non era stato rimosso. Lei cercava di trattenere i singhiozzi, mentre le lacrime si confondevano con le gocce di pioggia, mentre i lunghi capelli corvini, zuppi, le si appiccicavano alle guance. Il ragazzo le aveva messo uno delle sue grosse braccia attorno alle spalle e cercava di farle coraggio.

Una folata di vento, come se qualcosa, o qualcuno, invitasse Robin a seguire quella strana coppia. Lei lo fece. Non sapeva il perché, ma ci doveva essere un motivo a tutto quello.

I due si diressero verso una barca leggermente nascosta dietro un promontorio. Il mare era in burrasca, ma l’equipaggio era intenzionato a partire comunque. Robin salì a bordo. Il ragazzo si staccò e osservò tutti gli altri membri.

“E ora che si fa?”

“Niente” rispose un uomo che portava i capelli come petali di un fiore. “La nostra epoca è finita. D’ora in poi ognuno farà ciò che vuole”

“Ma come?” Il ragazzo si risentì. “Noi-”

“Teach, tu sei giovane, puoi riprendere il mare e continuare la vita del pirata. Ma per noi…”

Lui non sembrò convinto, benché potesse vedere il segno di assenso da parte di tutti, finché non intervenne la ragazza. “Hanno ragione loro. Tu continua il tuo sogno, io… Io ora devo pensare a qualcos’altro…” Si mise una mano sulla pancia.

“Hai fame?”

“Ma no, cretino!” gli rispose lei. “Sono incinta!”

“Cosa?!”

Da quella marmaglia emerse un altro ragazzo. Familiare, troppo familiare. Quel viso da ragazzino… A Robin sembrava di averlo già visto.

“E’ meraviglioso” La baciò appassionatamente, stringendo la mano ancora posata sul ventre. Poi si girò e si rivolse al ragazzo di nome Teach. “Anch’io non voglio abbandonare la vita del pirata. Sono con te, capitano”

Lui scosse il capo. “Non devi sentirti in obbligo solo perché hai messo incinta mia sorella”

“Non è affatto un obbligo! Io voglio essere un pirata!”

Alla fine Teach accettò. Robin osservò il viso della ragazza. Sorrideva, un sorriso che risplendeva come il sole in quella triste tempesta, mentre le lentiggini le coloravano le guance. Le lentiggini. Prima non le aveva notate. Così familiari. Ancora troppo familiari.

* * *

Tashigi aprì leggermente gli occhi. Il sole non era ancora troppo alto, ma la accecava lo stesso. Aveva un po’ di mal di testa. La rugiada del mattino aveva bagnato anche i suoi capelli blu, ma allo stesso tempo aveva pulito la foresta, che ora emanava un odore di fiori primaverili.

Lei era ancora stretta al corpo di lui, senza rendersi ancora conto di ciò che era successo. Solo che lo desiderava ancora, e, se fosse possibile, ancora più di quanto lo aveva desiderata la notte prima. Voleva sentire ancora le sue labbra. Abbracciò più forte quel corpo muscoloso e si avvicinò alle labbra carnose, premendoci sopra le sue. Dolcemente. Lui ricambiò il bacio, come in trance.

“Kuina…” mormorò, mentre gli occhi si aprivano lentamente alla chiara luce del mattino.

Lei si alzò di scatto, quasi disgustata. Come se tutto fosse svanito, la ragione riprese a funzionare, mostrandole la realtà com’era, realtà alla quale non aveva potuto resistere. Aveva fatto l’amore con lui. Osservò il suo corpo ancora nudo, mentre le gocce di rugiada brillavano al tiepido solo, rendendolo ancora più bello. Trattenne un moto di disgusto. Quella vista glielo faceva desiderare ancora di più, ma la ragione glielo faceva odiare. Si alzò di scatto per non vederlo e iniziò a rivestirsi.

Lui intanto era ancora intontito e quando i suoi occhi non furono più appannati, la vide mentre si infilava la camicetta. Anche la sua coscienza si riaprì, rendendolo consapevole di ciò che era successo. Come aveva potuto farlo? Ma la domanda più assurda era come poteva averne provato tanto piacere da volerlo rifare? Non l’avrebbe più toccata, era ovvio, ma si sentiva di desiderarla ancora, forse più intensamente di prima.

“Senti…” provò a dire, ma non c’erano parole per spiegare.

Lei si voltò verso di lui, cercando di concentrasi solo sul suo viso e non sul resto del corpo ancora nudo. Ma pure il viso le trasmetteva sensazioni che non voleva. Cercò di non pensarci. “Hai fatto l’amore con me solo perché sono come lei!” l’accusò.

“Come chi?” disse alzandosi e cominciando a vestirsi.

“Kuina. L’hai chiamata nel sonno!” La sua voce, benché volesse sembrare arrabbiata, non trasmetteva odio ma malinconia. Non appena ebbe finito, afferrò il suo zainetto e la sua Shigure e se ne andò. Doveva combattere con lui, sconfiggerlo, si ricordava. Lui era un pirata e lei un marine. Ma l’unica cosa che pensava in quel momento è che andasse tutto al diavolo.

Zoro non si era ancora infilato la maglietta, quando la vide allontanarsi. Ancora spinto da quella forza che non riusciva a controllare, la seguì – non prima di aver recuperato le sue spade, naturalmente – e riuscì a raggiungerà. La afferrò per un braccio, lo stesso che lo aveva stretto quella notte. “Ascoltami!”

Lei lo fissò con odio. Lui deglutì. Era ancora fuori di sé, benché ora ci fosse un barlume di ragione in più. Si chinò e la baciò con vigore. Tashigi non lo respinse neanche, perché in fondo lo desiderava. Le loro lingue si unirono ancora, finché non mancò loro l’aria e si divisero.

Lui respirò profondamente e le parole gli uscirono di getto, dette non dallo spirito presuntuoso e un po’ antipatico di spadaccino, comunque troppo serio per quella situazione, ma dallo spirito di ventunenne innamorato. “Ho fatto sesso con te perché mi piaci.”

* * *

La scena era cambiata ancora. Una stanza spoglia, illuminata solo dalla luce di una candela, che rifletteva flebilmente le ombre sulle pareti di legno. Teach e il ragazzo di prima erano seduti al tavolino, l’uno di fianco all’altro. Robin li osservava, appoggiata contro il muro.

Teach prese un ago e si punse l’indice, premendoselo un po’ per fa uscire il sangue. Il ragazzo fece la stessa cosa. Poi misero le due dita l’una sull’altra, mischiando i rispettivi liquidi rossi.

“Io, Marshall D. Teach, giuro su questo patto di sangue di prenderti nella mia ciurma quando mio nipote sarà sufficientemente grande”

“Io, Luffy, giuro su questo patto di sangue che entrerò nella tua ciurma dopo essermi preso cura di mio figlio”

La ragazza dai capelli corvini seduta sul letto si alzò e anche lei, come aveva fatto suo fratello e suo marito, prese l’ago e si punse, dopodiché unì il suo indice con gli altri due. “Io, Neku D. Iole, giuro di non fermare mai mio marito e di prendermi cura di mio figlio durante la sua assenza” Il patto si concludeva qui.

Robin osservò il pancione della donna, ormai in stato avanzato. Chiuse gli occhi, fissandosi nella mente il volto di Teach. Familiare anche quello, ma in modo diverso. Li riaprì, sentendo le urla di Iole. Le doglie. Abbassò la tesa del cappello davanti a sé, per non vedere. Una ragazza entrò nella stanza, per aiutarla a partorire. Era giovanissima, non avrà avuto nemmeno sedici anni, coi lunghi capelli verdi. Si avvicinò al letto dove la donna si era coricata. “Respira. Andrà tutto bene”

Quando il piccolo nacque, era uno scricciolo. Veramente piccolino. Suo zio lo prese in braccio e tra le sue grandi braccia sembrava persino più piccolo. “Allora, come lo chiamiamo?”

“Sei tu il suo padrino, spetta a te” bisbigliò stancamente la donna.

“Il suo nome sarà…” Robin rimase in attesa, aspettando che fosse Teach a rivelarle quello che in cuor suo già aveva capito. “…Portuguese D. Ace” E l’immagine svanì di nuovo.

* * *

Zoro fece un altro respiro profondo. Si faceva schifo da solo per averla ferita in quel modo. Come aveva potuto toccarla in quel modo, quella notte? Non era un comportamento degno di uno spadaccino. Ora si, che si era reso conto dei suoi sentimenti, troppo importanti per essere rovinati così. ma lui era troppo orgoglioso per dirle veramente quanto tenesse a lei. Era già abbastanza che lo avesse ammesso a sé stesso. L’unica cosa che riuscì a bisbigliare ancora fu “scusami”. Le lasciò il braccio.

Né lui né lei sapevano più cosa dire ormai, perciò proseguirono la strada ognuno immerso nei suoi pensieri. Un rumore. Foglie che cadono. Zoro mise la mano sulla spada, ascoltando il rumore del vento. Qualcosa si stava muovendo sopra gli alberi, verso di loro. Qualcosa di molto veloce. Poi, finalmente, questo qualcosa apparve, delineando la sua figura. Un ragazzo. Saltava di ramo in ramo con l’agilità di uno scoiattolo. Non sembrava interessarsi a loro.

“Ehi, tu!” Tashigi lo chiamò e solo allora si accorse di non essere solo. Passò ancora per qualche ramo, poi, esattamente sopra di loro, si lasciò cadere, atterrando in piedi davanti alla ragazza che lo aveva chiamato.

Era un ragazzo che non superava i venticinque anni. Lei poteva notare i suoi muscoli al di sotto della maglietta leggera. Sia quella che i bermuda che portavano erano leggermente sporchi di terra, come se si fosse strusciato a lungo contro il terreno e poi si fosse pulito con le mani. Anche quelle erano sporche, notò, mentre lui si risistemava la faretra e l’arco che portava sulle spalle. “Buongiorno” li salutò lui, ma era un saluto asciutto.

“Noi ci siamo persi. Lei sa per caso qual è la direzione che dobbiamo prendere?”

Lui alzò il braccio e indicò il nord. “Se proseguite dritti troverete un fiume. Seguendolo in direzione della foce, arriverete al sentiero che riporta in città”

“Grazie mille” lo ringraziò. “Meno male che ti abbiamo incontrato”

Quel ragazzo misterioso non rispose, ma spiccò un salto, aggrappandosi al ramo più vicino. Quindi proseguì la sua strada, mentre Tashigi lo osservava andarsene, agitando il codino di capelli neri.

* * *

Ora la nuova scena mostrava Luffy mentre saliva a bordo di una barchetta, alla quale non era nemmeno adatto quel nome, perché era una vera bagnarola. Stava partendo per raggiungere Teach. Ace aveva solo poco meno di tre anni, ma Iole non aveva voluto che lui ritardasse la partenza un attimo di più. Lei se la sarebbe cavata da sola e poi aveva Makino, la ragazza dai capelli verdi che l’aveva aiutata a partorire. Il mare era calmo ma il sole del tramonto sembrava piangere mentre lui se ne andava, come un presagio di sventura. Anzi, sembrava sanguinare, almeno secondo Robin. Poi il suo sguardo si spostò su Ace. Aveva il pollice in bocca e guardava con occhi sgranati suo padre che se ne andava. Le venne da pensare che era dolcissimo e si chinò istintivamente per accarezzargli la guancia. Lui rabbrividì, come se avesse sentito qualcosa, e si girò, ma naturalmente non vide nulla, in quanto Robin aveva ancora le sembianze di un fantasma. Sua madre lo prese per mano e si avviò verso il paese. Mentre camminava, le venne una tosse fortissima, tanto da costringerla a fermarsi e da spaventare suo figlio. Ma si riprese immediatamente, benché sembrasse qualcosa di più grave che una semplice influenza.

La scena cambiò nuovamente. Robin era di nuovo appoggiata alla finestra, mentre osservava il compiere di quello che già sapeva sarebbe successo. Iole era a letto, cercando di partorire il suo secondogenito, mentre fuori infuriava una tempesta. La pioggia cadeva sottile ma forte e il picchiettare si sentiva distintamente. Un lampo e poi un tuono. Ace aveva paura, ma sapeva che non doveva disturbare sua madre, perciò stava nella stanza a fianco, sotto le coperte, cercando di farsi coraggio.

Finalmente, grazie anche alle cure di Makino, il bambino nacque. Era piccolo, ancora di più di suo fratello e senza lentiggini. Assomiglia alla madre comunque, mentre suo fratello, lentiggini a parte, è il ritratto di suo padre. Ma hanno entrambi il colore corvino che li contraddistingue. Robin sorride, osservando Iole che lo stringe al petto e non si accorge che, fuori, è spuntato il sole.

“Come lo chiamerai?” chiese la ragazza dai capelli verdi.

L’altra tossì. “Monkey D. Rufy”

Robin sentì una grande malinconia, ma senza capirne il perché. Poi vide il palmo della donna sporco di sangue e finalmente capì. La scena scomparve ancora e ancora ne comparì una nuova.

Robin era su un colle illuminato dalla prima luce del mattino. Faceva abbastanza freddo. Davanti a sé c’era Makino, con in braccio il piccolo Rufy e con suo fratello al fianco, e singhiozzava. Ace piangeva, invece, cosa che mai gli aveva visto fare, neanche quando si erano lasciati. Ma in fondo aveva solo tre anni. La ragazza dai capelli verdi si chinò verso di lui e lo abbracciò, non riuscendo a frenare le lacrime. Rufy era ancora troppo piccolo per capire e dormiva, borbottando ogni tanto nel sonno.

Robin si avvicinò e vide la terra smossa e la croce di legno che c’era a fianco. Nessun nome, ma capire non era difficile. Lei sospirò. Lo aveva già capito, ma era abbastanza triste. Lei lo sapeva bene, perché aveva avuto lo stesso dolore. Ciò che si chiedette fu dov’erano in quel momento Luffy e Teach. Probabilmente nella rotta maggiore. Si inginocchiò e sfiorò nuovamente la guancia di Ace, stavolta con le labbra. Lui smise di piangere, ma la sensazione che gli fu trasmessa non era gelida, ma dolce e calda. Non lo sapeva, perché non vedeva niente, ma la stava guardando negli occhi.

Poi la scena scomparve, definitivamente, e Robin si ritrovò di nuovo nella grotta scura e fredda. Non aveva trovato ciò che cercava, ma poteva ritenersi comunque soddisfatta, sebbene non capisse perché proprio a lei fosse stato concesso l’onore di sapere questa storia. Forse perché era un’archeologa. Ma, a ben pensarci, era convinta che certi segreti, molte volte, è meglio se restano tali. Questo era uno di quelli… o forse no. Il perché non ce l’aveva ancora ben chiaro, ma sentiva ancora la sensazione di fastidio, come di qualcosa che avesse in mente ma non riuscisse bene a focalizzare. Pensò a tutto ciò che aveva visto e la sua immagine si concentrò su Teach. E finalmente capì.

Certo, era un po’ diverso, ma in fondo erano passati ventidue anni! Ma non c’erano dubbi, era proprio Barbanera, quell’uomo che li aveva attaccati per intascare le loro taglie poco prima che partissero per Skipiea!

 

   
 
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