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Autore: Francesco Coterpa    16/04/2014    2 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Il sole si stagliava oramai alto nel cielo. La mattina stava terminando e sia il timore sia il fremito della battaglia si erano insinuati nei cuori di tutti. Il cielo risultava stranamente limpido, forse perché anche esso voleva ammirare attentamente ciò che sarebbe accaduto nel giro di qualche ora. Il vento fresco delle colline coperte dal verde smeraldo accarezzavano le vesti stracciate che ci portavamo dietro da tempo, ci spostava la barba ed i capelli oramai incolti, smuoveva le tende montate in fretta e furia la notte precedente e riproduceva già il suono delle armi, facendo talvolta spostare o cadere una spada o una scudo o altro. Non eravamo ancora pronti, non lo eravamo mai stati. Eravamo giunti fin qui per il volere degli dei, non per nostra forza, né per strategia. Da uno che ero siamo divenuti due poi tre e così via fino a divenire un consistente battaglione. Avevamo passato il caldo torrido, la furia degli iberici, dei caledoni, dei galli, fino ad arrivare qui in questo preciso giorno, con questi precisi uomini. Cosa avremmo mai potuto fare noi branco di insulsi schiavi o mercanti o altro contro lei. Nessuno avrebbe potuto sapere cosa sarebbe successo. Nessuno sapeva nulla. Ma la nostra memoria spero rimanga nel futuro per decenni, millenni, per sempre. Mentre affogavo nei miei pensieri si piazzò davanti a me il Mercante, mi salutò e io ricambiai.

“Siamo pronti a partire, il Generale chiede come muoverci” disse con tono deciso.

“ Dobbiamo muovere ad est, dove i colli si fanno più alti. Di' al Generale di porre arcieri e frombolieri in cima, protetti da una fila unica di fanti, tutti coloro invece che brandiscono armi a breve gittata si devono posizionare ai piedi del colle, spade a destra, lance, mazze ed asce a sinistra, in questo modo saranno chiusi in una morsa. Speriamo che gli dei ci aiutino.” risposi scrutando l'orizzonte.

“La cavalleria? Dove dovrà attendere il segnale?” chiese.

“Dietro il colle, nascosta. Deve intervenire solo a tre quarti della battaglia per eliminare i superstiti, o nel caso in cui le cose si mettano male.” risposi.

“Bene, riferirò tutto al Generale.” salutò e tornò da dove era arrivato.

Il sole aveva quasi raggiunto la sua altezza massima. Non era caldo, ero abituato a peggio. Il riflesso dei suoi raggi rendeva le armature, le poche che avevamo, e le armi, offensive e difensive, più belle e lucenti di quanto erano. Alcune erano sporche ancora di sangue che non era stato pulito dalla scorsa battaglia. Il vento soffiava sempre più forte. Aria di pioggia, si avvertiva. Non era un buon presagio. Se il tempo fosse realmente cambiato così rapidamente i nostri piani saltavano. Scostai lo sguardo dalle mie riflessioni e dal cielo, la mia carta, e mi diressi verso la tenda del Generale.

La sua tenda era abbastanza grande, ma non molto, vi stavano solo cinque persone al massimo. E per quello di cui disponevamo era già parecchio. Mi fermai davanti all'entrata. Ascoltai. C'era qualcuno dentro. Entrai.

“Oh! Finalmente ti sei fatto vivo! Devo per forza mandare qualcuno a chiedere di te per avere informazioni?” esclamò.

“Il tempo sta cambiando rapidamente, dobbiamo muoverci.” risposi io con tono secco.

“Come, di già? Ma come!? Non vedi il sole, è il volto di Giove che ci sorride, vuol dire che è con noi! Non preoccuparti.” rispose con tono allegro. Forse troppo. Aveva sempre questo sfrenato eccessivo ottimismo.

Non credevo negli dei romani. Erano una falsa copia di quelli veri. Fasulli. E poi, erano venerati da loro.

“Credo che il sole lo vedano anche loro Generale, e anche loro potrebbero interpretare questo come un segnale positivo, quindi non vedo il motivo di prenderla con così tanta leggerezza. Dobbiamo fidarci solo di ciò che vediamo e possiamo prevedere con la nostra mente da uomini, il resto lasciamolo ai sacerdoti, saranno loro a darci i giusti responsi.” risposi.

Pensò un momento tra sé e sé con il bisbiglio di fondo dei presenti.

“Va bene, mi fido e mi sono sempre fidato del tuo giudizio, se siamo qui è anche e soprattutto grazie a te, quindi cosa consigli.” rispose lui riprendendo un minimo di serietà, ma con ancora un sorrisetto beffardo sul viso.

“Consiglio di muoverci immediatamente in modo da scegliere la posizione migliore per il conflitto, solo in questo modo potremmo avere maggiori probabilità di vittoria, considerato il nostro numero ed equipaggiamento” risposi.

Il Generale non parlò, si alzò, impugnò la spada con la mano sinistra e con un cenno del capo, accompagnato con un lieve movimento della mano destra fece capire ai presenti la sua approvazione per la mia scelta. Uscimmo dalla tenda. Il sole non era più al suo posto, era passato da non molto mezzogiorno, e in lontananza alcune nubi chiare miste ad altre più cupe iniziavano ad avvicinarsi alla nostra zona, come avevo previsto.

“In marcia! Prendete le vostre armi di argilla e terra cotta! La terra chiama sangue!” gridò il Generale con voce amplificata come in uno dei tanti teatri costruiti in Grecia.

Il tono forte e austero imposero una disciplina ferrea in pochissimi istanti. L'accampamento che poco prima vedeva soldati nudi, ubriachi o buffoni si trasformò in una caserma già pronta alla battaglia. I cavalli erano pronti, i soldati si preparano in poco tempo. Poco dopo le file erano formate, la partenza era alle porte. Il Generale con i quattro comandanti erano davanti a tutti. Fece un lieve cenno e gli uomini iniziarono ad incamminarsi verso il terreno prescelto per lo scontro. Il passo scoordinato delle file non creava timore, sembrava come se una lucertola stesse andando contro un alligatore del Nilo. Le spade erano alcune nei foderi, altre legate come si poteva intorno alla vita o vicino al fianco. Non era una armata, era un insieme di uomini di origine e lingue diverse, uniti da un unico scopo. La disciplina non poteva essere insegnata velocemente, tanto meno la cultura ed il sapere, ma vi era un qualcosa negli occhi di tutti loro, e non so se anche nei miei, che incuteva non paura, ma terrore. Speravo di utilizzare questo a nostro vantaggio nel combattimento. La parte psicologica influisce per una buona percentuale e non andava sottovalutata. Un nemico forte di corpo ma debole di spirito non avrebbe mai potuto vincere nemmeno contro un anziano. La marcia durò diverse ore ed il sole si stava preparando per andare sotto la terra, per poi ricomparire il giorno seguente. Il colle finalmente apparve. Eccolo.

Alla vista del colle decisi di andare più celere a visionare la zona col mio cavallo. Saltai in groppa e dalle file laterali dove ero stato lungo tutta la marcia, mi spinsi avanti a tutti, prima anche dei cinque. Sapevo qual'era il mio compito. Avevo carta bianca e potevo agire e decidere ciò che ritenevo giusto quasi sempre quando ne avevo voglia. Arrivai per primo al punto dove la terra sarebbe divenuta rossa. Lo ispezionai attentamente. Temevo che tra le nostre righe vi fosse una spia, quindi cercai possibili tranelli o soldati nascosti. Intanto mi avevano raggiunto altri tre cavalieri nel caso vi fosse stata la necessità di utilizzare le armi. Girammo intorno al colle per svariate volte ma nessuno di noi notò nulla. Non vi erano tranelli o trappole, né nessuno di loro. Ne ero lieto. Voleva dire che nessuno ci aveva tradito o che qualcuno ci aveva provato ma non aveva fatto in tempo quindi eravamo noi a decidere le sorti della battaglia. Noi decidevamo dove spingere loro. Questo era un grosso punto a favore. L'esercito arrivò poco dopo ed il Generale si avvicinò da solo verso di me col suo cavallo bianco.

“Bene! Non vi è nessuno. Siamo stati fortunati allora.” disse.

“La previsione non è fortuna. È calcolo attento di ciò che può accadere” gli risposi sorridendo “Troppe volte te l'ho detto.”

Rise.

“Già è vero. Che gli dei ci aiutino.” disse socchiudendo gli occhi.

Feci un cenno con il volto per indicare rispetto alle parole e alla sua persona stessa, era un modo augurale che ci scambiavamo spesso prima delle battaglie.

Gli uomini si posizionarono come avevo prestabilito senza grosse difficoltà.

Soldati con armi a lunga gittata sopra il colle in bella vista, mentre gli altri, esclusa la cavalleria che era dietro al colle in attesa, erano ai lati, offuscati dalla fitta vegetazione che circondava il colle.

Mentre guardavo attentamente dal fronte la mia opera il Generale inviò un esploratore verso la città avversaria per vedere a che punto erano gli avversari tanto attesi. Era tutto perfetto. Ma mancava qualcosa. Non sapevo. Provai a chiudere le palpebre per immaginare una possibile scena di battaglia. A che serviva la fanteria davanti ai tiratori? Si poteva mandare ai piedi del colle a dar man forte? Aprii gli occhi. Pensai. Anche se oramai il sole stava per sparire ed il cielo si tinse di un arancio fortissimo e magnifico, e le nubi prendevano un leggero colorito roseo, io pensavo.

L'esploratore non tornava. Era già passato parecchio tempo. Una idea mi colpì nell'attimo.

“Diamine! Una linea difensiva!” urlai.

Corsi immediatamente dal generale in groppa al mio cavallo, era già quasi tutto pronto, gli uomini non erano ancora in riga ma erano già nelle zone prestabilite. Trovai il Generale dove doveva essere. Lato destro della collina.

“Generale! Generale!” urlai con quanta voce avevo in corpo.

Lui si voltò di scatto con gli occhi sbarrati dall'urlo.

“Ho sbagliato generale! Ho sbagliato!” dissi a lui quando ero già più vicino col fiatone.

“Cosa! Cosa hai sbagliato?” mi urlò lui. “Dimmi! Non abbiamo tempo per modifiche!” rispose lui.

“Dobbiamo sbrigarci, vanno scavati dei fossati verso la cima del colle! Fungerebbero da difesa impenetrabile considerando anche l'altezza, la pendenza e la quantità di colpi che pioveranno. Non servono i fanti sopra! Li ritiri e faccia ciò che le ho detto, veloce! Si fidi di me” dissi io come un isterico.

“Va bene! Ce la faremo! Calma.” disse lui con voce rassicurante.

Mi calmai mentre lui inviò immediatamente due comandanti con alcuni soldati a compiere ciò che gli avevo appena riferito.

“Mi spiace. Non volevo creare questo disturbo. Non volevo creare tensione. Mi spiace.” dissi con tono profondamente dispiaciuto.

“Basta! Non preoccuparti. Non c'è nulla di cui scusarsi. Tu sei la mente della nostra armata, se decidi, anche nel mentre della battaglia, di cambiare strategia, io ti seguirò perché non mi hai mai deluso, e perché sei mio amico.” disse lui con voce pacata e sfoggiando un sorriso brillante.

Fissai il terreno. Ero comunque abbattuto. Avevo fatto un errore di calcolo, un grande errore di calcolo, che avrebbe potuto farci perdere la battaglia o la guerra, oppure sarebbe stato irrisorio.

Non importa, me ne ero accorto appena in tempo. C'era ancora tempo per rimediare, per poter creare la mia opera d'arte. I soldati in cima erano già al lavoro e alcuni pali di legno lavorati al momento erano già stati inseriti nel terreno con la punta aguzza verso l'esterno del colle, nel frattempo un consistente numero di soldati, precedentemente posti a difesa degli altri in cima, scendevano dall'altura ricevuti i nuovi ordini. Alcuni, ma pochi, rimanevano comunque sopra nel caso ve ne fosse stata necessità.

Mi sollevai alla vista del lavoro rapido che compievano i soldati.

Tirai un sospiro profondo e guardai il cielo. Dei corvi svolazzavano qua e là senza senso, mentre il vento, che nel frattempo si era placato, ora ispirava una brezza più morbida e soffice. Il sole era già sparito dietro al colle su cui eravamo posti e della sua presenza rimaneva solamente il colore tenue, quasi sfumato tra le nubi.

Sorrisi. Fissai il volto sereno dei soldati e del Generale che dava gli ultimi ordini. Fissai il termine dei lavori in cima al monte. Socchiusi anch'io gli occhi, come prima aveva fatto il Generale, e pregai. Poi abbassai lo sguardo verso terra. Il sorriso che era prima apparso sul mio volto, sparì. Alcuni sassolini si muovevano, altri era evidente che si spostavano. Poi un forte squillo di tromba in lontananza, e il rullo dei tamburi, e il suono delle armi, ma soprattutto, i passi. La loro marcia faceva letteralmente tramare la terra. Questo era terrore. Questa era paura che iniziava a sorgere nei volti dei soldati, dei comandanti, del Generale, del mio. Mi voltai piano, quasi come sperando che fosse tutto finto e che non ci fosse nessuno in realtà. Mi sbagliavo. Riconobbi il loro stendardo. Riconobbi le loro armature. Riconobbi il loro sguardo.
Erano arrivati. 

  
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