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Autore: Claudine Delacroix    18/04/2014    6 recensioni
Elizabeth Woolridge Grant aveva quattordici anni e viveva con suo padre a Lake Placid, quando venne invitata ad esibirsi in un locale newyorkese.
E quando la sua innocenza venne distrutta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Premessa: gli avvenimenti sotto descritti sono di mia invenzione, creati per puro diletto, basandomi sulle informazioni fornitemi da wikipedia per l'età, i luoghi, il nome del padre e quello reale di Lana. Il resto è frutto della mia fantasia; l'opera è volta a raccontare una storia come un'altra e nulla di più.

 

L O L I T A

 

 

 





«Benvenuta nella mia umile dimora, piccola.»

Elizabeth, appoggiando la valigia dopo aver fatto due passi nell'ingresso del piccolo appartamento, si guardò intorno compiaciuta. C'erano tre stanze, un salotto-cucina e due bagni. Il colore dominante, un piacevole grigio chiaro, conferiva all'abitazione uno stile minimale e contenuto. Le piacque molto.

«Camera tua è questa, mentre quella accanto – per qualsiasi cosa, non esitare a venirci – è la mia. L'altra la utilizzo principalmente come studio e puoi starci anche tu, se vuoi.»

Lizzy sondò con occhi curiosi quella che sarebbe stata la sua cameretta per i prossimi mesi. C'erano un letto singolo con le coperte e la federa del cuscino bianche, un armadio spazioso color panna e una scrivania nera, opaca. La stanza era completamente vuota, eccetto il tappeto nero e peloso per terra, ma non dava l'impressione di essere spoglia.

Le piacque all'istante e sorrise, ringraziando John. Si piegò per aprire la valigia, chinandosi in avanti col corpo, e John fissò le sue curve insistentemente.

Sempre fissandola, disse « svuota con calma la tua valigia e sistemati come più ti aggrada; se vuoi fare una doccia utilizza il bagno che vuoi. E... se hai fame chiamami, ti mostrerò la dispensa e dove sono collocate le cose; ma posso anche prepararti qualcosa io. »

Elizabeth, sempre girata di spalle a John, sorrise intenerita. John era sempre così premuroso, pensò, proprio una fortuna per loro averlo incontrato.

Proprio una fortuna.

«Va bene John, grazie mille. Ma tu mi vizi troppo, lo sai?» concluse ridendo. L'uomo rise ed uscì dalla stanza, chiudendo la porta con delicatezza – non senza prima essersi concesso un ultimo sguardo al corpo chinato della ragazza.

 

Elizabeth uscì dal bagno in una nuvola di vapore, avvolta da asciugamano rosa – certo non concepito per essere un accappatoio; non era abbastanza lungo da arrivarle al ginocchio. Non si era portata i vestiti di ricambio perciò uscì con quelli che aveva indossato durante il viaggio in mano, cercando di correre verso la sua stanza.

Proprio in quel momento John uscì dalla sua stanza; si fermò guardarla. Goccioline di acqua ribelli, non ancora asciugate, scorrevano sulla pelle liscia della ragazza, che spalancò gli occhi imbarazzatissima.

Ma dopotutto è quasi come se fosse mio zio, disse poi tra sé cercando di assumere un'espressione più disinvolta.

John si ricompose e sorrise. «Tutto bene, allora? Nessun problema, ti pare tutto comodo?» domandò lui con fare gentile mentre dentro, in realtà, ardeva.

«Sì, certamente. Grazie.» rispose in fretta lei, fuggendo nella sua stanza. Si chiuse a chiave, dandosi poi una pacca sulla fronte. Rise nervosamente del suo vano timore; di cosa avrebbe dovuto aver paura?

Ma sì, pensò, sono solo troppo pudica. Ecco tutto.

Quando Elizabeth si fu rivestita andò nella cucina-salotto, dove John stava mangiando un pacchetto di patatine seduto su una sedia, i gomiti appoggiati al bancone che faceva anche da tavolo. Stava guardando un programma sportivo alla televisione; quando arrivò la ragazza distolse immediatamente lo sguardo dallo schermo per concentrarsi su di lei. Il maglioncino rosa cipria che stava indossando era piuttosto corto e stretto; intravide la pelle pallida del ventre che spuntava dal bordo.

«Fame?» disse lui, allungando il pacchetto nella sua direzione. «Posso prepararti altro, però, se non ti vanno le patatine.»

Elizabeth per tutta risposta affondò la manina nel pacchetto, afferrando con delicatezza due dischetti croccanti. Li sgranocchiò felice e, golosa, ne prese altre. John le lasciò la confezione e si pulì le mani sui pantaloni.

«Lizzy, mancano ancora quattro giorni al trentuno dicembre; ho pensato comunque di farti passare le serate nel mio locale, così ti ambienterai. Di giorno ti farò fare qualche giretto in città – ti piacciono i vestiti, Liza? Ti porterò a provarne qualcuno, qualcosa che non hai mai indossato, qualcosa di speciale per la serata di capodanno – e le sere le passerai, se vorrai, al locale. Non ti preoccupare, ti starò sempre accanto. Non ti perderò di vista» concluse ammiccandole.

La ragazza abbozzò un sorriso. «Certo John, mi va benissimo.»

 

Il campanello del negozio tintinnò gioioso; un lieve profumo di stoffa pulita li accolse, assieme ad una commessa civettuola vestita di azzurro che masticava vistosamente una chewing-gum.

«Salve, salve, salve, posso esservi utili? Un vestito per la bambina? Una giacca per il padre? Ho anche delle ottime cravatte da farle vedere, signore...»

John e Lizzy si guardarono; lui stava per mettersi a ridere, mentre la bambina era terrorizzata dal piglio della commessa.

«Buongiorno. Dunque, per la mia bambina» a quella frase avvolse il fianco di Elizabeth con un braccio, tirandola verso sé «cerco un bell'abito. Possibilmente non da bambina» concluse sghignazzando. La commessa, sorridendo loro – celando però un'espressione schifata -, si avviò per gli scaffali afferrando qualche vestitino a caso, chiedendo a Lizzy ogni volta se le piacesse questo o quel modello, sentendosi rispondere sempre con un timido sì.

Dopo sei modelli, che la commessa appese ordinatamente nell'ampio camerino, esortò Elizabeth a provare i vestiti. La ragazza entrò e chiuse la tenda davanti a sé, accorgendosi dello sguardo fisso di John.

Scosse la testa e si concentrò sugli abiti.

«Bella, bella, bella, belliiissima!» la commessa approvò l'abito con il quale Elizabeth era appena uscita dal camerino. Le girò intorno esaltata, lisciando le pieghe invisibili del vestito e sistemandole le spalline.

Era un semplicissimo tubino rosso; sopra le stava appena un po' largo, ma fasciava alla perfezione i suoi fianchi. John, cercando di non saltarle addosso, si limitò ad un fischio di apprezzamento prolungato e ad un breve applauso. «Oh, Lizzy. Wow.» disse dopo un po'. «Signora? Consideri l'acquisto concluso. Lo porti alla cassa. Liza, ti farei uscire così se non avessi paura del fatto che ti porterebbero via, dico davvero.»

La ragazza era visibilmente a disagio e non si guardò allo specchio più del necessario. Però si sentiva bella. La stoffa morbida dell'abito, aderente com'era, ad ogni movimento era come una carezza. Sorrise un attimo alla sé riflessa e tornò in camerino, mentre John – che stava andando alla cassa – pensava a come sarebbe stato bello strapparglielo di dosso.

 

«John...» Elizabeth fece capolino dal bagno, vestita di tutto punto. Sotto consiglio di John aveva indossato un vestitino color indaco, le maniche un po' a sbuffo. L'effetto complessivo era quello di un'adulta-bambina; soprattutto quando, superata la timidezza iniziale, si avvicinò a John mettendo un piede davanti all'altro, sorridendo sfacciatamente.

«Piccola!» esclamò. L'uomo si stava spruzzando del profumo sul collo. Si bloccò con la boccetta a mezz'aria, per poi posarla sul bordo del lavabo e girarle intorno.

«Che buon profumo, John» commentò lei annusando l'aria. Le faceva un po' girare la testa, ma aveva un odore buonissimo. L'uomo sorrise e si abbassò; prese tra le mani il viso della ragazza portandoselo verso il collo, in modo che lei potesse sentire meglio la fragranza. La ragazza si appoggiò con una mano sul suo petto per stare più comoda, e l'uomo cercò di non muoversi. Sentiva il naso di Elizabeth sfiorarle la pelle tesa del collo.

Soddisfatta, Lizzy si staccò bruscamente da John e si diresse verso lo specchio per mettersi il rossetto. John rimase accovacciato per terra come ipnotizzato dal tocco della ragazza e sentì che, se fosse rimasto un secondo di più in quella stanza, non sarebbe riuscito a reprimere in alcun modo il desiderio bruciante che sentiva verso Elizabeth.

Non ora, pensò, non ora. Si alzò in fretta e corse via, mentre Lizzy si picchiettava con il pollice le labbra turgide per fissare il rossetto.

 

«... e io gli ho detto; o paghi, o...»

«John» Elizabeth tirò un lembo della maglietta dell'uomo, che si girò infastidito. Era un po' brillo; sbatté il bicchiere sul bancone innervosito, uno sguardo inviperito che saettava dagli occhi e le dita chiuse a pugno nel palmo, pronto a ripagare l'interruzione a chiunque avesse osato farlo.

Quando vide i grandi occhi color cioccolato della ragazza implorarlo dall'alto, le sue dita si rilassarono e sentì una vampata di calore invadergli il basso ventre. Elizabeth era un po' lucida in viso per via di tutta quella gente e delle luci, che l'avevano fatta sudare. Aveva girovagato senza meta per il locale pieno un po' di volte, tra mani che la toccavano ovunque e uomini o ragazzi che le offrivano da bere o le chiedevano di ballare.

«Pic-co-lah» disse, avvicinandosi a lei. La prese per i fianchi ed improvvisò un balletto. «Ti stai divertendo, sì? Ti presento ai ragazzi, dai» disse, prendendola per le spalle e portandola davanti al suo 'gruppo'; quattro uomini, più o meno della sua età, tutti con un bicchiere in mano. All'arrivo della ragazza tanto famosa – John aveva più e più volte elogiato le qualità canore (e non solo) della ragazza, parlando di lei con loro – il gruppetto proruppe in un fischio prolungato, che si concluse in un applauso sconnesso.

«Che bocconcino, che bocconcino!» esclamò sghignazzando un biondo con la barba lunga ed una giacca smanicata di pelle. Prese per il mento la ragazza, che sorrise incerta.

L'uomo le rivolse un sorriso sghembo, mollandola e dando di gomito agli altri.

«Diamine, ragazzaccio, non ci avevi detto che fosse così bella» disse un altro del gruppo, mangiandosela con gli occhi apertamente. Aveva la camicia completamente sbottonata, e il petto totalmente tatuato in mostra. Sorrise voluttuoso, mostrando un dente d'oro.

John sghignazzò per quei complimenti e cinse i fianchi della ragazza con un braccio, portandola verso sé. La mano scorreva lentamente su e giù per il suo fianco, e Lizzy si sentì un po' a disagio.

«È roba mia» ringhiò John possessivo, guardandola orgoglioso.

Il gruppo scoppiò in una risata isterica che disperse nell'aria invidia e desideri inappagati.

Elizabeth si divincolò dal braccio e diede la buonanotte a tutti con voce flebile, correndo per il locale fino a raggiungere la porta che portava all'abitazione. Infilò la chiave talmente in fretta che non girò subito nella serratura; quando fu riuscita ad aprire la porta, entrò e la chiuse immediatamente dietro di sé.

Scivolando fino a terra con il corpo appoggiato al muro, si chiese perché mai si fosse sentita così sporca e a disagio.

 

Verso mezzogiorno, John si alzò.

Elizabeth, che da ormai quattro ore era sveglia – si era svegliata anche alle tre quando l'uomo era rientrato; aveva sbattuto un sacco di porte e biascicato frasi sconnesse, completamente ubriaco – era attenta a qualunque cigolio.

Udendo i tipici rumori da toilette, si coprì le orecchie col cuscino. Infine, dopo che si fu lavato i denti ed ebbe fatto una doccia, l'uomo andò a bussare piano alla porta della camera di Elizabeth.

La ragazza pregò che se ne andasse; non sapeva perché fosse così timorosa di farlo entrare, ma istintivamente pensò che sarebbe stato meglio rimanere sola.

Purtroppo, l'ombra che intravedeva dalla fessura tra il pavimento e la porta non si mosse.

Con un sospiro, Lizzy disse che poteva entrare.

L'uomo aprì la porta, non del tutto, e infilò solo la testa; dopo un timido 'buongiorno' chiese alla ragazza se avesse fame, e disse che le aveva preparato una spremuta di arancia.

Lizzy sorrise, e tutte le paure ed incertezze della sera precedente si dissolsero.

Lanciando le gambe fuori dal letto, improvvisamente affamata, si alzò correndo verso John. Gli schioccò un bacio infantile sul viso, in punta di piedi, e corse in cucina, dove bevve soddisfatta la sua buonissima spremuta, mentre John si toccava la guancia compiaciuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve babes.
Prima di tutto; avete sentito West Coast? Oh, dio. Che ritorno. È stato un trionfo, dico davvero. Quella canzone ha fatto da colonna sonora all'intero capitolo, praticamente.
AMO.
Tornando a noi... sì, oramai la storiella senza pretese è arrivata agli sgoccioli. Spero di riuscire ad essere puntuale per il prossimo capitolo come lo sono stata per questo – dico davvero, è un miracolo che sia riuscita ad aggiornare puntualmente.
In ogni caso... più scrivo, più odio John. Mi fa ribrezzo. E Lizzy mi fa una tenerezza che non vi dico. E... sono tentata a non continuare, non voglio che soffra.
MA DEVO.
Dopo questo soliloquio molto entusiasmante (coome no), vi lascio.
PS: 5 recensioni?!? Ma voi siete pazzi *°* v'adoro.

Un bacio e un abbraccio, a presto.

  
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