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Autore: Nimue_    19/04/2014    6 recensioni
1944, una giovane donna viene prelevata con la forza e condotta in un luogo di cui nemmeno nel peggiore dei suoi incubi avrebbe immaginato l'esistenza.
Settantaquattro anni dopo la storia si ripete, ma quando Sybil Crowford ne capisce il disegno è troppo tardi.
Sua sorella è sparita. Loro sono venuti a prenderla, e lei ha detto di sì.
[Distopica - YA]
Dal capitolo:
"Che succede se me ne vado senza salutare? E se mi invento una scusa qualunque? Sono libera di andarmene quando voglio. O forse no. Dipende tutto da lui.
- Tua sorella è davvero, davvero un'ottima chimica , - sorride.
Poi la porta del laboratorio si spalanca."
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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capitolo 1 nvu
ENTROPIA: graduale degenerazione di un sistema verso il massimo disordine.


CAPITOLO 1.




Dicembre 2018

Mi sveglio con l'assoluta certezza di stare per morire.
Non appena spalanco gli occhi nel buio un colpo mi scuote con tale violenza che il dolore, irradiandosi, raggiunge le costole con la stessa potenza di un'onda d'urto. Istintivamente mi appiglio a tutto ciò che possa identificarmi come persona ancora in vita. Lo stomaco che pulsa per lo spavento, come se il cuore vi fosse scivolato dentro; un sapore salato sulle labbra dischiuse; il sudore sotto i palmi delle mani: sono tutte sensazioni reali, e questo può significare una cosa sola. Non sono morta. Sono viva. Maldestramente abbandonata sul pavimento, con il naso premuto a terra e un attacco di panico che combatte con gli artigli per prendere il sopravvento, ma viva.
M'impongo di inspirare lentamente, espirare, inspirare di nuovo e buttare fuori aria ad un ritmo regolare.
Nel silenzio, prima ancora di sentire lo scricchiolio dei passi nel corridoio, la percepisco arrivare. Un attimo dopo Lilith sguscia nella stanza, materializzandosi con sguardo distante, come se stesse pensando troppe cose insieme e il mio capitombolo fosse solo una fastidiosa interferenza.
- Sono caduta, - mormoro, facendo leva sulle braccia per alzarmi, - tutto qua.
Una fitta mi attraversa lo sterno, ma cerco di ignorarla e issarmi fino al materasso. Magari possiamo far finta che non sia successo un'altra volta.
- Tornatene a letto.
Afferro la sveglia per non dover guardare in faccia mia sorella. E' notte fonda, ma Lilith è perfettamente vigile.
- Dovresti accendere la luce. La probabilità di avere un'altra crisi diminuirà di quattro venticinquesimi.
Le faccio cenno di sparire. Sono stufa dei calcoli matematici che usa per descrivermi, quasi volesse ridurmi a un problema di geometria, quasi fossi nient'altro che una linea spezzata a formare angoli troppo acuti.
Continuo a concentrarmi sulla respirazione. Mr. S. ritiene che il training autogeno possa aiutare, ma a me fa venire un gran mal di testa.
Lilith si avvicina alla scrivania e preme un minuscolo interruttore: la luce soffusa della lampada a forma di gufo le illumina il viso dalle forme morbide, abbastanza da farmi cogliere l'estensione delle ombre che le sfiorano gli zigomi. Occhiaie. Lilith non ne ha mai avute prima, ma in questo periodo è solita rimanere a studiare fino a tardi. Forse è per questo che mi ha sentita cadere.
Passo le mani sulle lenzuola per asciugarle dal sudore e non apro bocca. Lilith non accenna ad andare via.
- Sai dove trovarmi, se hai bisogno di me.
Sono così incredula che il mutismo mi sembra la replica più efficace. Lilith è sempre gentile e disponibile con tutti, ma non con me. I rapporti all'interno della nostra famiglia si sono deteriorati da troppo tempo, e nemmeno ricordo l'ultima volta in cui mi ha offerto il suo aiuto.
- È che hai urlato per 3:12 secondi, - si giustifica.
Inarco un sopracciglio come so fare io.
- Descrivi il fenomeno.
Il sarcasmo nella mia voce è palpabile, corrosivo. Detesto quando Lilith deve analizzare la realtà come fosse un insieme di numeri. E' una maniera disgustosamente fredda di approcciarsi alle cose.
- Quaranta decibel, direttamente proporzionale all'attacco di panico.
- Grandioso, ho superato qualche genere di record?
- No, per niente, - scuote debolmente la testa, con i capelli che le dondolano sulle spalle in onde castane. La serietà con cui lo spiega mi fa venire da ridere.
- Un insegnante londinese ha emesso un urlo da 129 decibel, quindici anni fa.
Interessante.
- Bene. Grazie della lezione, ma adesso vattene. Chiudi la porta.
Indugia come in attesa di qualcosa. Le do la schiena per farle capire che ne ho avuto abbastanza per questa notte.
Alla fine Lilith parla con un filo di voce.
- Quando perdi il controllo i test si attivano.
- Che?
La porta viene chiusa di nuovo, e quando mi volto Lilith è sparita. Al suo posto, vicino al letto, c'è un libro che non ricordo di aver mai comprato.
"Selezione Naturale."
Probabilmente Lilith stava studiando questa roba prima di venire in camera mia.
- Maniaca.
Il sonno non tornerà troppo presto, quindi tanto vale che trovi qualcosa con cui ingannare il tempo. Scelgo una pagina a caso e faccio scorrere lo sguardo sui paragrafi. Il primo concetto biologico di cui leggo il titolo basta a farmi dichiarare resa totale.
"Sopravvivenza del più adatto."
Mi chiedo se si possa definirmi una persona adatta, ma poi ci penso su e cambio domanda. Che cosa vuol dire essere una persona adatta?
Lancio il libro dall'altra parte della stanza per scaricare la rabbia e finisco per rompere la lampada. Non c'è più luce.

***

Salgo in macchina con l'assoluta certezza che qualcosa andrà storto. Sono una ragazza piena di certezze, come la maggior parte dei miei coetanei. E, come per la maggior parte dei miei coetanei, queste certezze si rivelano ciarle inconsistenti rivestite da una buona dose di fatalismo.
Poggio la fronte sul finestrino umido, ritrovandomi a pensare allo psicologo della scuola. E' un uomo sulla quarantina con la fronte minuscola e lucida. Lilith ha confidato alla mamma che dopo sette anni di risparmio assiduo si è sottoposto ad un trapianto di capelli.
"Osserva il tessuto epiteliale sull'attaccatura. E' elementare."
Fa impressione che un uomo del genere mi abbia diagnosticato un "disturbo ansioso cronico-e-generalizzato". Non sono sicura che una patologia del genere esista davvero: sono una persona generalmente ansiosa o la diagnosi in generale è generalizzata e incerta? Niente diagnosi, niente cura. Lilith non fa che ripeterlo.
Il fatto è che Mr. S. non è un grande psicanalista, però è un bravo giocatore di scacchi, e durante le sedute mi insegna qualche trucchetto. Quando si tratta di affrontare il problema, però, la sua sentenza è sempre la stessa: "la gioventù d'oggi è oppressa dalla Rottura."
Lo dicono tutti da quando il sistema è crollato e i continenti hanno cominciato a separarsi. La crisi economica è peggiorata, l'Europa ha dimezzato i Paesi membri, gli Stati Uniti hanno violato la dichiarazione dei diritti dell'ONU e tutto il resto è stato come giocare a domino. Insomma, la solita storia di tre anni fa.
Sbadiglio rumorosamente e chiudo gli occhi, anestetizzata dalla stanchezza della notte insonne e dal parlare incessante di mia sorella. E' fin troppo loquace, e infilarsi le cuffiette nelle orecchie non basta a coprire la sua voce, ma oggi non m'importa. Se Lilith fa abbastanza chiasso da distrarmi, riuscirò a scrollarmi di dosso il presentimento sinistro che mi ronza dentro da stamattina.
Non è la prima volta che succede, e Mr. S. ha detto che è normale per una persona "con problemi". Come se i problemi non li avessero tutti. Oggi, però, il senso di soffocamento legato allo stato ansioso mi si è appeso addosso a peso morto.
Qualcosa andrà male, lo sento, e al diavolo il fatalismo.
Mi sporgo sul sedile davanti per dare un'occhiata alla situazione. Lilith, con il suo completo verde chiaro e una treccia ordinata che le ricade sulla spalla, tiene stretto tra le mani un icosaedro di vetro. So che è un icosacoso solo perché lo sta spiegando nei minimi dettagli, aggiungendo decine di termini incomprensibili di cui non conosco il significato. Le scienze matematiche non sono il mio campo.
Faccio per toccarlo con una mano, ma Lilith mi scansa come si fa con una farfalla: usando delicatezza per mascherare l'irritazione.
Mi pizzico una gamba per distogliermi dall’idea.
Mr. S. ha dice che è essenziale smettere di pensare male di chiunque. Devo avere fiducia nelle persone.
La mamma annuisce impacciatamente, con l'aria di chi a stento riesce a capire una parola su dieci. Ha le rughe intorno alle labbra, calchi di stanchezza e rassegnazione, ma il peggio per lei è passato. Finalmente la battaglia contro mio padre è diventata solo legale.
- Spero di vincere il concorso nazionale. Ci ho lavorato senza interruzione per quattro mesi e sono pronta a farlo funzionare. La commissione ne sarà entusiasta.
- Vinci ogni anno, tesoro. Non sarà diverso dalle altre volte.
Arriccio il naso con disappunto: è scontato che Lilith porti a casa qualunque premio venga messo in palio, ma sentirselo ricordare tutti i giorni può diventare sfiancante, anche se nessuno pare rendersene conto.
- Non c'è niente che tu abbia compreso del mio progetto, eppure trovi semplice minimizzare i miei meriti.
Una frenata stridente.
Devo puntare le ginocchia sul sedile anteriore per non volare via.
- Merda!
- SYBIL!
- "Mannaggia", ho detto "mannaggia".
C'è un breve istante di silenzio, poi mamma artiglia le mani sul volante e tiene gli occhi fissi sulla strada fino a quando non arriviamo davanti al cortile della scuola.
- Sei troppo intelligente per tutti noi, tesoro, - mormora infine, con una nota triste nella voce.
Emetto un grugnito seccato e torno a guardare fuori, ma prima ancora di scendere dall'auto riesco a sentire Lilith che sibila qualcosa tra sé e sé.
- Già.
I nostri sguardi si incrociano per un istante attraverso il riflesso dello specchietto, ma subito dopo Lilith scocca un bacio sulla guancia della mamma e scende come se nulla fosse successo.
Già.
Prima d'ora Lilith non si era mai vantata di quello che è universalmente riconosciuto da tutti: mia sorella è un genio. Le maestre di scuola sono state le prime a rendersene conto. Erano solite consegnare una caramella a chi imparava nuove lettere dell'alfabeto, rispondeva correttamente alle loro stupide domande o memorizzava per primo le filastrocche. Ogni giorno Lilith tornava a casa e svuotava lo zainetto pieno di dolciumi sul tavolo del soggiorno.
C'è dell'altro, però, qualcosa che mi è stato raccontato e di cui, troppo piccola, non potevo accorgermi. Prima ancora di levarle il pannolino Lilith aveva già compiuto prodigi: aveva cominciato a camminare due mesi prima della norma, a parlare fluentemente con largo anticipo rispetto ad un bambino considerato precoce e a leggere, scrivere e fare di conto a tre anni.
Lilith a dieci anni parlava quattro lingue, a tredici ne conosceva sei. Lilith ha sempre costruito oggetti tra i più insoliti, e adesso che di anni ne ha sedici dipinge, suona, e balla come se tutti i talenti del mondo le fossero innati.
E' un genio in qualunque campo si sia mai applicata.
Già.
Però mai aveva guardato qualcuno dall'alto in basso. Per lei, una ragazza dalle movenze eleganti e il parlare raffinato, nessuno ha mai avuto meno dignità. E nonostante non scorra buon sangue tra di noi, Lilith non si è mai definita superiore a me. Si è perfino rifiutata di sottoporsi a test per il calcolo del quoziente intellettivo o roba del genere.
Tutto fino a oggi.
Invece di seguire mia sorella oltre l'ingresso della scuola rimango poggiata alla macchina e batto un dito sul finestrino ricoperto di brina, nascondendomi tra le pieghe della sciarpa. Il vetro si abbassa, svelando la tensione di mia madre.
- Chiamami appena ti annunciano il verdetto, va bene?
Lei sembra pensarci un po' su, ma so che sta prendendo tempo: la campanella di inizio lezioni comincia a suonare, lasciando la risposta sospesa nell’aria invernale.
Il finestrino sale e sono costretta a farmi da parte.
- Va bene? – insisto, cercando un assenso oltre i microscopici cristalli di ghiaccio.
- Non fare tardi, Sybil.
Mia madre ingrana la prima e l’auto si allontana. La guardo andare via senza sapere che cosa pensare: è diventato così semplice sfuggire a una conversazione spiacevole, che delle volte ho paura che questo sia solo il primo passo. Forse un giorno non avremo più bisogno di parlare l’un con l’altro grazie alla scusa di non avere mai abbastanza tempo.
Mi sistemo lo zaino in spalla e strascico i piedi fino all'aula di matematica, dove mi lascio cadere sulla sedia e nascosta dal chiacchiericcio incessante dei miei compagni di scuola mi rintano a leggere. Smetto di pensare a qualsiasi altra cosa, smetto di sentire, di parlare, di preoccuparmi. Mi basta poco per far finta di essere da un’altra parte.

***

- Sei un disastro.
La classe è deserta quando mi guardo intorno: ci sono fazzoletti usati sui banchi e cartacce per terra. Lo sporco e la maleducazione spiccano solo quando qualcuno rimane indietro a contarne i danni.
- Sybil, dico a te.
Il professore arriccia la fronte solcata da ragnatele di rughe.
- L’ho sentita.
- Dopo due ore di lezione. Ti ho già detto centinaia di volte che non ti è concesso leggere durante le mie spiegazioni.
Infilo i quaderni in borsa con gesti che tradiscono il nervosismo. Solitamente è un gioco da ragazzi sfuggire alle sue ramanzine, ma quando si è in branco come lupi è più semplice sventare l’offesa di questa vecchia volpe.
- Vero. Però Sharpe può mandare stupidi sms a quella tipa del quinto anno, e Green può smaltarsi le unghie.
Mi alzo di malavoglia e aspetto una risposta, sfoggiando una finta aria strafottente.
- Non possono, naturalmente. Ma almeno, se li richiamo, hanno la decenza di improvvisarsi degli angioletti, rifilarmi il “non stavo facendo nulla di male” e tornare ad ascoltare la lezione.
- Per dieci secondi.
Il collo di D’hall si ricopre di chiazze rosse, segno che sta perdendo la pazienza. Se dovesse venirgli un attacco di cuore a causa mia, quasi sicuramente non potrei perdonarmelo.
- Per avere la tua attenzione dovrei comprarmi un megafono, Sybil, e questo è inaccettabile, considerata la tua media nelle mie materie.
Abbassa lo sguardo sulla sua cartella e ne estrae un foglio ricoperto di linee rosse, ma non mi serve una delucidazione per capire di che cosa si tratta, così mi rassegno e prendo in mano il mio compito.
- E’ una D?
- E’ una F!
Firmo la verifica con l’amaro in bocca e faccio per filarmela. Avrò un bel po' da fare durante le vacanze di Natale.
Ci sono abituata e me la caverò, è solo che vado forte nelle discipline umanistiche.
- Buona giornata, professore.
- Sybil, i tuoi problemi familiari non sono una giustificazione, lo sai?
- Sì, certo che lo so.
- Se chiedessi a tua sorella di darti una mano, le cose cambierebbero. Possono sempre cambiare.
- No.
- L'avevo detto che eri un disastro.
- No, - ripeto, ed esco dalla classe sbattendo la porta.

***

Il resto della mattinata non passa abbastanza in fretta da evitarmi un controllo ossessivo del display del telefono. All’ora di pranzo provo a mandare giù un boccone con qualche amico, ma lo stomaco si oppone. So che non riuscirò a mangiare fino a quando mia madre non si sarà fatta sentire, così comincio a cercare Lilith in giro per la scuola. Il processo dovrebbe essersi concluso da un pezzo, e sicuramente lei è più informata di me. Mia sorella è sempre la prima a venire al corrente delle novità.
La trovo sotto una quercia spoglia, in un’accesa discussione con i suoi compagni di corso. Il tipo smilzo che le sta sempre addosso è attraente, però si chiama Ranulph ed è un tipo strano. Molto più strano di me, intendo.
Cerco di attirare la sua attenzione, sventolando un braccio per aria.
Lilith non dà segno di essersene accorta, e sospetto che ignorarmi le venga naturale.
Mi mordo l'interno della guancia per scacciare l'idea. Devo avere fiducia nelle persone.
Tossicchio parecchio e platealmente, ma niente.
Per sicurezza controllo lo schermo del telefono un’ultima volta, poi mi avvicino quel tanto che basta a farmi sentire e cerco di mantenere un tono distaccato.
- Hai dimenticato il tuo volume di biologia.
Svariate paia di occhi mi inchiodano sul posto. Non li definirei necessariamente ostili, quanto piuttosto sorpresi. Non mi meraviglierei se alcuni di loro nemmeno conoscessero il mio nome: Lilith non parla mai di me, né io di lei, ma la somiglianza tra noi due è innegabile. Non potremmo far finta di non essere sorelle.
- E’ nel mio armadietto, dovresti venire a riprenderlo prima che me ne dimentichi.
Lilith rivolge un cenno fin troppo eloquente al gruppo e sussurra un “a dopo” dalla sua affabilità snervante. Il lato positivo dell’averla come sorella è che è maledettamente perspicace. Le basta ascoltarti un istante per capire che c’è qualcosa che non va.
Nessuna delle due dice niente fino a quando non troviamo un angolo appartato del cortile. I suoi compagni hanno già distolto lo sguardo, ma Alphy - quel Ranulph, il suo migliore amico - ci tiene d’occhio.
- Che ha detto mamma?
Sospira, divertita.
- Il volume di biologia.
Mi agito con impazienza, dondolandomi sui piedi per scaricare l'ansia. Scommetto che non ci sono buone notizie.
- Non fare la finta tonta. Avrebbe dovuto chiamarmi appena emanata la sentenza, ma deve essersene dimenticata.
Dimenticata, certo.
- Tu hai saputo niente?
- L’udienza è stata rimandata. A quanto pare c’è stata una violazione del principio del contradditorio.
Lilith lucida delicatamente il suo icosaedro di vetro.
Le sue parole mi vorticano in testa senza controllo, e fanno vorticare anche tutto ciò che ho dentro. Devo mantenere la calma.
- Che cosa significa?
- Non avresti dovuto farti illusioni.
Lo dice come se provasse pietà di me.
- Dimmi che significa!
La tiro forte per un braccio, ma si divincola dalla mia presa quasi la tenessi stretta con una striscia di carta. Sentire i suoi muscoli contrarsi sotto il palmo della mano è inquietante: a vederla non si direbbe che Lilith nasconda tanta forza. Mi rivolge un'occhiata serena. Come fa a non scomporsi mai? Come ci riesce?
- Significa che a quanto pare è stato negato a nostro padre il diritto di difendersi in tribunale. Significa che dobbiamo ancora sfamarlo. Mi meraviglia che ti aspettassi qualcosa di diverso.
Tento malamente di incassare il colpo, ma dal calore del sangue che mi brucia le guance capisco di aver toccato le sfumature più impensabili di colore.
- Conosci la parola "burocrazia", Sybil?
Pensavo che le lezioni fossero finite, e invece mi tocca sorbirmene un'altra.
- Non ha importanza. Del resto le parole che conosciamo hanno sempre il significato che ci fa più comodo attribuire loro. In realtà la burocrazia è un gioco. Nonostante il caso sia assolutamente essenziale e banale, l'avvocato di nostra madre sta giocando con il difensore legale di nostro padre per allungare il processo. Così fanno anche i giudici, del resto. Devo spiegarti perché?
Denaro. Semplice. Non so che cosa fosse la burocrazia un tempo, ma dopo la Rottura deve essere diventata una macchina per fare soldi.
Alzo lo sguardo su di lei con gli occhi che pungono. La mia richiesta suona così stupida e infantile che mi faccio tenerezza.
- Parlaci tu.
Tiro su con il naso. C'è che il raffreddore lo fa gocciolare, nient'altro. E c'è che non posso sopportare un altro mese di questo schifo. L'ho sopportato per sedici anni, e il solo pensiero è una sferzata sul cuore. Mio padre deve sparire dalla nostra vita, se non per dovere morale, per legge.
- Per favore. Lo hai fatto altre volte. Con quel neurologo, quello famoso, quando la mamma se la passava male. E poi con la preside, e con il procuratore. Sappiamo entrambe che parlando con il giudice troverai un modo, Lil.
Alphy, che nel frattempo si è avvicinato, ha teso un orecchio verso di noi. Anche se non vuole ammetterlo, so che Lilith si vergogna della situazione almeno quanto me, per questo spero che lo mandi via.
- Allora?
- No.
Ingoio a vuoto.
- Perché?
- Perché ho sedici anni.
Sì, ha sedici anni. E a sedici anni non si dovrebbe portare certi pesi sul cuore, né certe responsabilità, ma un rifiuto da parte di Lilith è impensabile.
- Lo so, - dico a denti stretti.
So che sarebbe ingiusto chiederlo a chiunque altro, però Lilith ne è capace. Lei può sempre fare qualcosa.
- Li ho anche io, sedici anni, ma a differenza tua non posso cambiare le cose.
Mi fissa con l'espressione impenetrabile della Gioconda. Forse scorge l'invidia che da anni mi consuma nella consapevolezza di non essere alla sua altezza. Ci ho provato e riprovato, ma ogni tentativo è stato un buco nell'acqua.
Ironia della sorte: una sorella è incredibilmente dotata e già influente. L’altra, suo esatto riflesso distorto, ne è solo una replica mal riuscita, troppo normale per competere. Essere costretta a chiedere il suo aiuto è solo l'ennesimo fallimento, e mi fa sentire come se stessi calpestando la mia dignità insieme al fango del cortile.
- C'è una forza motrice più forte del vapore, dell'elettricità e dell'energia atomica: la volontà.¹
Un suono gutturale mi esce dalla gola. Premo i palmi delle mani sugli occhi fino quasi a sfondarmi la fronte. Devo mettercela tutta per non cominciare ad urlare.
- Allora usala, porca miseria. Se è una questione di volontà, che ti costa? Dio, stiamo parlando della nostra famiglia, e stanotte mi hai...
- Ho detto di no.
La guardo in cagnesco da dietro una gabbia di dita.
- Perché?
Lilith calcola l’ora attraverso la proiezione della sua ombra sul terreno. Sembra colta di sorpresa, e indugia nella sua operazione più del solito: vuole esserne assolutamente certa.
- Non ho davvero tempo per queste stupidaggini. Non mi riguardano più.
Non mi muovo.
Rimango immobile in uno stato di fissità catatonica che sembra aver atrofizzato i polmoni per impedirmi di respirare e fare troppo rumore. Non ho idea di che cosa sia la fissità catatonica. Non mi interessa. Non mi muovo.
Alphy e Lilith capiscono cosa sta per accadere prima ancora che sia io a deciderlo. Lo fanno quando ancora non mi muovo. Non mi muovo. Poi, però, i muscoli si contraggono senza un comando apparente. Mi lancio su quel genio di mia sorella con l’istinto ferino di spaccarle la testa a metà, ma all’ultimo secondo cambio idea e faccio a pezzi qualcos’altro.

***

Non riesco a credere di averlo fatto davvero. In un primo momento i cocci aguzzi dell'icosaedro di vetro e le crepe spezzate che attraversano quanto ne è rimasto mi inorridiscono. Poi, però, l’ilarità generale mi contagia e mi lascio trascinare dagli applausi. L'aria si riempie di risate sguaiate.
- Ottipregono.
Alphy accorre e si lascia cadere in ginocchio sul prato, armeggiando con il congegno rotto di Lilith tra una parolaccia e l’altra. Ciuffi disordinati gli sfuggono dalla fascia di pile che li tiene lontani dalla fronte.
- Che diavolo hai combinato?
- L’ho lanciato. L’alternativa era la sua testa.
Ammicco al marchingegno, ansimando per lo scatto furioso con cui l'ho fracassato. E’ con estrema spensieratezza che mi rivolgo a mia sorella, che tiene ancora le mani sospese a stringere il nulla. Non provo nemmeno a nascondere il piacere infantile di aver distrutto un frutto del suo ingegno.
- Aggiustalo. Puoi farlo, no? Tu, o uno dei tuoi amici da premio Nobel.
- Non hai idea di quanto Lilith avesse lavorato a questo progetto. C’era in ballo il riconoscimento per le alte tecnologie più illustre della nazione!
Alphy è più buffo del solito quando è arrabbiato; qualcun altro lo zittisce. Vogliono godersi la scena, è comprensibile.
- Rimonta il tuo giocattolo, schifosa egoista. Questo ti riguarda abbastanza, non è vero?
Altre risate.
Chissà se Lilith si sente in imbarazzo. Guarda il suo tesoro di microchip e cavi, poi me. Di nuovo l’icosaedro in pezzi, di nuovo me. Ed è come vivere sulla propria pelle la deviazione casuale di una goccia di pioggia in caduta libera. E’ l'unica immagine che riesce a descrivere la sensazione che mi assale: un momento prima mi sto vantando del mio futile trionfo, quello dopo mi ritrovo senza fiato, in prenda allo smarrimento.
La mia voce si incrina in un suono stonato, mentre sento il sangue addensarsi nelle vene. La nausea mi travolge.
Maledizione, che mi succede? Strabuzzo gli occhi per focalizzare ciò che mi circonda, ma ci riesco a malapena.
Non ho altri dubbi. Il brutto presentimento si è trasformato in un attacco di panico.
Una volta per tutte ho la prova inconfutabile di essere diventata pazza prima del normale. Di solito, a meno che non stia sognando, le crisi non mi assalgono senza una causa scatenante, e gli sbalzi d’umore non sono mai tanto repentini da farmi sembrare una squilibrata.
Non adesso.
Non adesso.
Lilith dovrebbe essere quella che perde il controllo, a questo punto.
E’ scienza.
No, non lo è. Perché dovrebbe esserlo? Perché ci ho pensato? Niente pensieri sconnessi, devo riuscire a tenerli fuori.
La folla è confusa, ma scommetto che trova l’evoluzione degli eventi un vero spasso.
- Ripara la tua lampada. Potrebbe servirmi visto che stanotte ho fatto fuori la mia. E' una lampada, vero?
Con estrema, estrema lentezza Lilith si sistema i polsini della camicia, e qualcosa nel suo intero essere si trasforma. E’ impercettibile e terribilmente chiaro allo stesso tempo: per la prima volta in vita mia mi sembra di avere davanti un’estranea.
- Non è una lampada. E' il primo previsore sismico della storia, – mi rimprovera.
Il poliedro scheggiato scatta. Alphy fa un balzo all’indietro, con gli occhi sul punto di uscirgli fuori dalle orbite.
- Lilith, io non... Non ho attivato niente, pensavo fosse rotto!
Due aste di metallo scuro escono dal marchingegno e si infilano nel terreno umido, poi una luce flebile comincia a tremolare tra le facce di vetro infranto.
Sta lampeggiando.
Senza spiegarmi come sia possibile, trovo in quella luce intermittente la chiave della mia crisi di panico.
Sta per succedere qualcosa di brutto e, nella mia testa, di inevitabile.
- Di cosa hai detto che si tratta? – balbetta Alphy.
- Previsore Sismico.
- Non esistono macchine del genere, Lil. Il brevetto per un’invenzione del genere ti renderebbe una delle persone più ricche del pianeta. - Alphy si fa più vicino con aria sospettosa. Essere al centro dell'attenzione è un'agonia, per tipi come lui.
- E’ impossibile prevedere un sisma, tantomeno con questo scricciolo. Sarebbe come fare a gara con la Natura e arrivare un passo davanti a lei, cacchio.
- No che non si può! – mi ritrovo a gridare solo per far uscire aria dal corpo e abbassare la pressione. Un istinto vecchio come il mondo mi divora: mi urla di scappare, di correre a perdifiato, perché qualcosa di orribile sta per accadere. E’ così chiaro che sembra scritto nella Terra stessa.
- Ma lei adora giocare a fare Dio, - ringhio.
Ho paura e non so di che cosa. Forse ho paura di tutto, ed è questo che intendeva Mr. S. quando parlava di "disturbo generalizzato". Improvvisamente, però, Lilith mi sembra il nemico peggiore che abbia mai avuto, ed è lei ciò che mi spaventa di più.
Sto impazzendo.
Sono andata.
Eppure Lilith non batte ciglio. La sua espressione si fa calma e concentrata. Mi esamina attentamente, come se il resto del mondo non esistesse, come se le risate tutt'intorno facessero meno rumore di un granello di polvere che cade. Annuisce con pacatezza, poi muove le labbra in un bisbiglio.
- Se attivi i test, prenderanno anche te.
Non è reale. Ho già avuto sintomi del genere una volta o due e dovrei avere imparato a riconoscere quando il mio cervello si spegne. Niente di brutto sta per accadere. Scuoto forte la testa per scacciare la follia.
Devo avere fiducia che sia tutto qui dentro. Dentro la mia mente.
Ho solo bisogno di una partita a scacchi con Mr. S.
Lilith sposta la sua attenzione sul terreno, e pare che riesca a vedervi attraverso. Chissà quante cose vede, cose che noi altri nemmeno immaginiamo.
- Non è esattamente un sisma, - sospira, - ma il prototipo di previsore funziona.
C’è una vibrazione sorda nel terreno.
E' così che comincia.
E mia sorella sorride, dolce come il miele.
Non è reale, giusto? Non se l'ho percepito solo io.
Una scossa più violenta fa gridare l'intera scuola e pietrifica Alphy in una maschera d'orrore.
Quando gli allarmi dell'Istituto scattano, prendo in considerazione l'idea che non sia poi tutto qui dentro. Impossibile, mi rifiuto di crederci.
Mia sorella invece non sembra farci troppo caso.
Irreale?
Fuori i pensieri sconnessi.
Non riesco a capire.
Ma devo avere fiducia.
Lilith si porta le mani sulle orecchie come una bambina in attesa dei fuochi d'artificio.
E la scuola esplode.






1. Albert Einstein.

Angolo autrice: oh dear, finalmente ho aggiornato. Sarà che questa storia mi gira in testa da anni ed è talmente complicata che ridurla per iscritto è una sfida davvero ardua. Ci sono cose che sicuramente non vi sembreranno chiare, che vi lasceranno perplessi, o che vi appariranno scontate. Vi assicuro che avranno una spiegazione. Che cos'è la Rottura, per esempio? Ogni cosa a suo tempo, vi basti sapere che amo le distopie, ma trovo poco originale che tutti le riducano al post apocalisse, quindi volevo qualcosa di diverso. Questo è un progetto pazzo, ma sono decisa portarlo avanti e spero che riuscirò ad incuriosirvi. Btw, non ho altre note. Chiarisco solo che i personaggi presentati fino a questo momento sono Americani. Per qualunque chiarimento sono qui, chiedete pure.
Ringrazio Viola per i preziosi consigli che mi ha dato. Mi dispiace che il primo capitolo non le sia piaciuto, ma prima o poi rivedrò tutto ciò che stona, promesso! Ringrazio anche le 46 persone che mi hanno inserito tra gli autori preferiti e mando un bacio a Liz, lettrice sempre entusiasta, a Charly (<3) e a coloro che gentilmente vorrano lasciare un commento alla mia prima storia originale.



   
 
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