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Autore: Lelenu    19/04/2014    2 recensioni
Bella ha un ragazzo, due amici pronti a darle anche la vita e la passione del tè. Ogni sera è dedicata ad un libro che ama, seduta lì in un angolo del Redskin. Una vita normale se non fosse che un passato non molto lontano risulta difficile da superare ed è a causa di questo che resta ferma in un limbo che le impedisce quasi di respirare. Si crogiola nel suo tè e miele, palliativo per la sua anima spezzata.
Ma una musica, una voce, se quella giusta, potrebbe farle tornare il respiro ed essere il suo vero tè e miele, senza alcuna eccezione.
***************************************
Rompo la punta della matita. Lo sgabello striscia sul palco.
Ne cerco una nuova in borsa. Ho comprato il pacco da venti solo tra giorni fa. La trovo. Il microfono fischia. Passo una ciocca dietro l'orecchio. I primi accordi di una chitarra.
La punta antracite torna sul foglio. Calca piano. Scorre. Scrive. Una voce canta. E' calda. Graffia. Graffia forte e fa bruciare. E' nuova. Come la matita. Mai sentita. Sembra fuoco gelido.
Sembra quel fuoco e quel gelo che scalfiscono.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Capitolo 1 Breath



CAN YOU BREATHE?








1
Like chocolate















Io odio la sveglia.
Quel suono costante e martellante che la mattina dovrebbe servire a svegliare la gente. Si suppone.
Io la odio. Probabilmente come la stragrande maggioranza della popolazione sulla terra. Ma il punto è che io non la odio per i loro stessi motivi.
No, io non ho paura di essere interrotta nel mio sonno.
Non ho la rabbia perchè un qualche mio sogno è rimasta incompiuto. Perchè io non dormo. Non dopo le quattro del mattino almeno.
Ho già una sveglia biologica che mi ricorda perfettamente che in me non va niente bene.
Per cui quell'allarme che perfora i timpani, serve solo a ridestarmi dalle coperte nelle quali ho già gli occhi aperti da diverse ore.
Serve sinceramente a ricordarmi che la giornata inizia. Che mi tocca mettere piede fuori dal mio rifugio per cercare di entrare nella società.
E questo per me è anche molto peggio di un sogno interrotto.

Alzarsi alle sette. Ogni mattina da una vita intera. Prima per la scuola, poi per l'università. Adesso per il lavoro.
E' un' altra delle costanti della mia vita. Io non cambio le piccole certezze della mia vita. Ho paura dei cambiamenti.
Soprattutto dopo che ad essere cambiata sono stata io. Per forza di cose.
L'acqua è fredda appena entro nella doccia. Ma non m'importa. Non ho molto tempo per aspettare quella calda.
Non mi lamento, non fiato. Ci sono abituata. Mi ripeto mentalmente che, forse, dovrei pensare al lato positivo: un getto d'acqua ghiacciato tonifica la pelle.
Forse non ne avrei davvero bisogno ma pensarlo mi fa sentire come una qualsiasi ragazza di ventidue anni, capace di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno.

Non è mia prerogativa preoccuparmi più di tanto per l'abbigliamento. So perfettamente che per lavorare in un negozio di dischi possono bastare un jeans e un maglione un po' più grande della mia taglia.
E' comodo. Ampio e caldo. Color ottanio. Un regalo di mamma.
Quando ancora era lei a prendersi cura del guardaroba di una studentessa universitaria un po' troppo impegnata per farlo da sola. Sorrido.
Lei azzeccava sempre i miei gusti.

Passo in cucina a passo svelto. Butto giù due sorsi del tè ancora bollente e mi fermo quando suonano alla porta.
Respiro profondamente mentre volgo lo sguardo al cielo. In fondo so perfettamente chi possa esserci dietro la porta. So perfettamente che se non fosse successo oggi, sarebbe solo stato questione di giorni.
O forse ore.
Magari sarebbe venuto a negozio. Mi avrebbe da un piccolo bacio sulla bocca. Mi avrebbe sorriso e avrebbe detto...
"Se Maometto non va dalla montagna"
"Ciao Riley" sospiro. Sorrido appena. Forse un poco mi è mancato.
"Ciao bimba"
E' normale il suo bacio. Imprime le sue labbra sulle mie, come un timbro. Non si sofferma. Non le studia. Sono abituata anche a questo.
"Sono quasi dieci giorni che non ti fai sentire" non mi sta accusando.
Lo vedo, davanti a me, con il suo sguardo comprensivo e un sorriso che dovrebbe farmi pensare 'Ehi, Bella, sei stata davvero una stronza'.
Dovrei chiedere scusa. Dovrei dirgli che mi è mancato e che non succederà più. Ma lui saprebbe bene che sarebbe solo una bugia.
Quindi sto zitta e mi siedo accanto a lui. Lo guardo di sottecchi mentre riprendo a sorseggiare il mio tè.
"Ne vuoi un po'?" chiedo. In realtà so benissimo che lui il tè lo odia.
Fa di no con la testa e tira fuori un foglietto di carta. Sbircio al calendario affisso alla parete e mi rendo conto di che giorno è oggi.
"So che hai bisogno dei tuoi spazi. Sai perfettamente che li rispetto. Ma papà era un po' in pensiero. Avrebbe dovuto dartelo tre giorni fa"
"Sarei passata oggi in ufficio da lui. Grazie comunque" prendo l'assegno in mano. Lo rigiro tra le dita. Mi fa quasi schifo. Mi rende triste. Mi ricorda il motivo per cui lo tengo in mano.
Mi fa sorridere amaramente.
"Cosa?"
"Nulla. E' che... Sono mantenuta dal padre del mio ragazzo. La cosa inizia a starmi stretta"
"Sai perfettamente che non è così. Questi soldi sono tuoi" mi afferra la mano. La stringe teneramente nelle sue.
"Li gestisce tuo padre"
"Non è stata una sua scelta, Bella. Nè mia. Nè tua. Ha scelto Charlie." chiudo gli occhi un istante non appena sento il suo nome " Fra pochi mesi compirai ventitre anni e questa situazione finirà. Lo sai perfettamente. Avrai la piena gestione del tuo conto e metà delle azioni della casa editrice. Tu e papà lavorerete benissimo insieme, vedrai"
"Sì."

Io e George Biers lavoreremo benissimo insieme. Io e il socio di mio padre lavoreremo benissimo insieme.
Peccato che io non voglio fare quel lavoro. Non voglio alzarmi ogni mattina con una carico di responsabilità non indifferente.
Non sono brava a gestire determinate situazioni e mai e poi mai vorrei fare il capo al posto di mio padre.
Mando giù l'ultimo sorso di tè e poggio piano le mie labbra sulle sue mani, ancora chiuse a custodire la mia. Lo vedo aprirsi in un sorriso per quel mio piccolo contatto.
Inaspettato, sì. Inaspettato perchè i nostri contatti fisici sono ormai all'osso da troppo tempo. E ci va bene così. A me va bene così.
"Finisci di prepararti. Ti accompagno a lavoro"
"No, dai. Posso andare da sola. Voglio fare due passi" mi alzo, raggiungendo il bagno per lavarmi i denti.
Lascio la porta aperta. So che mi ha seguita e che non avrà intenzione di mollare. Ma io per oggi ho dato. La mia dose di amore si è già esaurita.
"Fa freddo, Bella. Non voglio che ti prenda un malanno"
Lo guardo con un sopracciglio alzato. E' carino a preoccuparsi. Lo fa da sempre. Ma in realtà so che non è questo il punto.
Vuole passare del tempo con me. E vorrei volerlo anche io.
Sciacquo la bocca per bene prima di soffermare i miei occhi nei suoi. Li vedo stanchi. Stanchi e pazienti. In entrambi i casi la causa sono io.
"Se allora ti passo a prendere stasera? Appena finisci. Andiamo a cena da qualche parte. Anche solo un hamburger." No.

Appena finisco a negozio io vado al Redskin. Non esistono scuse. E lui lo sa bene.
Devo stare con Jake. Il mio migliore amico. La mia forza. La mia unica e vera forza. Devo ricominciare a leggere Madame Bovary e sottolineare per l'ennesima volta le parti più belle. Quelle più mie.
E devo prendere il mio tè. Possibilmente nero alla cannella. Devo far finta di aver cenato e quasi litigare con Jacob.
Devo rilassarmi. O almeno provarci. Anche solo per un ventina di minuti.
Giusto il tempo che Lui suoni.
Perchè è una settimana che suona tutte le sere. Ed è una settimana che io lo ascolto, sento la sua voce e mi concentro solo su di essa.
Lascio fuori i problemi ed è entra solo Lui.
La sua voce.
Quella che infilza come un coltello. Un coltello che ti entra dentro e non fa male. Leggero come un petalo e potente come una medicina.
E mollo la lettura, il tè, Jake e chiunque altro. Io guardo lui. Le sue mani sulle corde della chitarra. Il collo che si flette non appena le note richiedono gli acuti.
Il suo passare da una canzone all'altra senza mai prendere una pausa. La sua totale dedizione in quello che fa.
Poi smette. Abbasso la testa, senza applaudire. Sorrido come un ebete, con lo sguardo basso. Torno a leggere.
La magia finisce.

"No, davvero. Appena finisco ho promesso a Jacob di passare da lui. Perchè non ci vediamo domani a... pranzo? Sì, credo di poter fare pausa a lavoro e magari andiamo a mangiare un boccone"
"Perchè non oggi" insiste.
Mi prende le mani, il mio fidanzato, e mi attira a lui. Fa passare le mie braccia attorno la sua vita e finiamo abbracciati. Più stretti del dovuto forse. Stretti come non succedeva da tanto.
Mi lascia un piccolo bacio all'angolo destro della bocca. Poi al sinistro. Poi al centro delle labbra. Forza un po'. Lievemente. Vuole un bacio vero.
Mi ritraggo appena, sorridendo, e gli lascio un bacio sulla guancia prima di staccarmi totalmente dal suo corpo.
"Domani. Promesso"
"A mezzogiorno sarò da te. Non un minuto in più nè uno in meno. E devi concedermi un pranzo di almeno un'ora e mezza"
"Vedremo" ridacchio mentre mi infilo le scarpe.
"Ah ah no. Nessuno vedremo. Signorina, ha idea di quanto lei mi manchi?"
"Una vaga idea dovrei avercela, sì." lo guardo appena. Quasi divertita.
"Vaga, eh? Bene. Facciamo così. Adesso tu vieni qui" mi prese ancora per le mani. Di nuovo attaccata al suo corpo ma adesso è lui ad avvolgere con le sue braccia la mia vita.
"Sono qui e adesso?"
"Adesso mi guardi negli occhi e mi ascolti bene" faccio segno di sì, tra il confuso e il divertito. E' tremendamente tenero e carino.
"Tu mi manchi in una quantità tale paragonabile solo a quanto ti amo. E se ti stessi chiedendo a quanto equivale questa quantità, la risposta è: da morire. Mi manchi da morire e ti amo da morire."
Non sorrido. Non mi commuovo. Forse dovrei.
Ma io sono impassibile. Resto lì, a guardarlo. Gli occhi fissi nei suoi. Forse troppo simili ai miei.
Mi ama. E di certo a farmelo capire non è stata questa dichiarazione. Mi ama inesorabilmente.
Se non l'avesse fatto non starebbe ancora qui. Ad aspettare chissà cosa e da chissà quanto tempo proprio da me.
Aspetta anche adesso. Aspetta una mia reazione. Forse un bacio o un abbraccio. O forse un ti amo. E glielo devo ma tutto quello che esce dalla mia bocca è solo
"Inizio ad essere in ritardo. Angela si incazza"





In realtà Angela non si è incazzata. Ed in realtà adesso sono in pausa pranzo esattamente a non far nulla.
Resto qui, al negozio di dischi della mia amica, mentre lei corre a preparare il pranzo al marito. In teoria potremmo permetterci di chiudere per un paio d'ore.
Il Music Junkies -così si chiama- non conta una così vasta clientela da costringerci a saltare persino un dignitoso pranzo.
Sono io a chiedere ad Angela di poter restare. Prendo un panino all'angolo e lo mangio seduta sul bancone. I piedi penzoloni, una nuova uscita discografica in una mano e il pranzo nell'altra.
E' un bel negozio. Molto fornito. Ci trovi i bei dischi vintage e le ultime uscite. La gente viene a curiosare e spesso ne esce a mani vuote. Forse ha ragione
Angela quando dice che l'era della musica digitale è la rovina per la discografia.
Lavoro qui da ormai cinque mesi. E' una delle mie tappe quotidiane. Una delle mie abitudini dopo la laurea.
E' stato facile. A dire il vero è stata proprio Angela a chiedermi di darle una mano per qualche settimana. Poi le settimane son diventate mesi e il mio 'dare una mano' è diventato un contratto in piena regola.
Non credo ne sarebbero fieri i miei genitori. Non prevedevano un futuro da commessa nella mia vita. Forse da insegnante. Redattrice. O forse non pensavano più che potessi avercelo un futuro.
Ma, ehi, in fondo mi son laureata. Contava questo per loro, no?
Sbuffo un po' guardando quel che resta del panino.
Una foglia di lattuga quasi penzola dal pane. E' indecisa se scivolare del tutto o rimanere aggrappata ad un filo immaginario che la lega a quel panino.
Quel panino che è stato il suo mondo insieme al prosciutto, al formaggio, ai sottaceti. E adesso sta lì. In bilico. In una posizione che non contempla una definizione ben precisa.
E' incerta. E' senza senso.
E' come me.

E io mi sono appena paragonata ad una foglia di lattuga.

"Stai bene?"
Alzo il viso, interrotta durante il mio importantissimo sproloquio esistenziale.
 E' bella Angela. La carnagione olivastra e i capelli più scuri dei miei. Amiche dalle elementari.
Inseparabili anche nei momenti meno opportuni. Anche se ha due anni in più di me.
E' come Jake. Ma donna. Il che lo batte sotto diversi aspetti.
Con lei posso davvero parlare di tutto. Non ho mai dovuto affrontare una sua cotta assolutamente fuori luogo nei miei confronti e mi aiuta a scegliere qualche abito decente quando ne necessito.
Damigella d'onore alle sue nozze e sorella nella vita. Ecco come mi definisce.
Ne vado fiera. So di essere una buona amica per lei. La migliore. Almeno quanto lei lo è per me.
Forse anche io sarei stata già sposata con Riley. Subito dopo la laurea. O magari starei vivendo i preparativi del mio matrimonio proprio adesso.
Certo. Se la mia vita fosse proceduta per il giusto verso, sarebbe stato così di sicuro.
"Mh. Bene. Già fatto?"
"Sì. Ben ha ancora qualche strascico dell'influenza e poca voglia di mangiare. Non so come ma davvero riesce ad esasperarmi quando inizia a comportarsi come un bambino capriccioso"
"Ha bisogno di cure"
"Ha bisogno di un calcio in culo" rido. Dio, è sempre stata così diretta.
"E' tuo marito. Se ti sentisse adesso cosa direbbe?"
"Probabilmente che mi ama. O forse che ha bisogno di una coperta in più"
"O forse ti minaccerebbe come sempre col divorzio"
Si gira e mi fulmina. So perfettamente quanto lei odi che io le ricordi questo. Ma è davvero così.
 Diciamo che Angela tende spesso ad esagerare con le parole e Ben si diverte a tenerla a freno con le sue  piccole e innocenti minacce.
"Swan, non l'hai detto"
"L'ho detto, Weber. L'ho detto"
"Sei una stronza"
"Sono la tua migliore amica. Ora vieni qui e aiutami a sistemare il carico che è arrivato stamattina."
"Dovrei dare io gli ordini qui dentro"
La zittisco con un gesto della mano e mi avvicino all'ammasso di scatoloni arrivati qualche ora prima. Mandati dalla Sony. Pieni zeppi di nuovi dischi.
Può sembrare un lavoro di poco conto il mio. Ma in realtà lo adoro. Amo la musica e, sì, di sicuro non voglio passare il resto della mia vita a lavorare qui, ma per adesso va bene.
Mi tiene impegnata mentalmente e fisicamente. Mi mantiene fuori dai miei pensieri fissi.
"Così oggi è passato Riley" tira fuori il primo blocco di cd ed inizia a sistemarli.
"Sì. Ha portato l'assegno"
"Non credo sia venuto solo per quello. Dieci giorni, Bella. E' il tuo fidanzato. E dieci giorni senza il proprio fidanzato sarebbero duri da vivere anche per Crudelia."
"Chi ti dice che per me non sia stata dura, eh? E comunque lo so che gli manco. E ho sbagliato in questi dieci giorni. Ma davvero abbiamo lavorato molto e la sera sinceramente non ce la facevo proprio ad uscire"
"Con lui"
"Eh?"
"Non ce la facevi ad uscire con lui. Perchè mi risulta che da Jake tu ci sia andata. Ogni sera. Mi risulta pure che ti ispira anche più di prima la musica al Redskin adesso"
"Oddio, Angie. Non avrei dovuto dirtelo. Proprio per niente"
"Cosa? Del musicista/cantante/ragazzo bellissimo che suona al locale del tuo migliore amico e che tu guardi e ascolti imbambolata come un'ameba?"
"Angela! Non lo ascolto imbambolata"
"D'accordo. Non lo ascolti imbambolata ma lo guardi imbambolata"
"Non è affatto vero"
"Oh, andiamo. Bella, ti conosco fin troppo bene. Mi bastano quelle poche volte che ne hai parlato - e come ne hai parlato- per farmi visualizzare l'immagine di te. A quel tavolino. Tutta sola. Anzi, no, non proprio sola. Con un rivolo di bava che ti scende dalla bocca, senza che tu te ne accorga"
"Vaffanculo"
"Non hai negato. Hai solo detto 'vaffanculo'. Allora vedi che sei tu? Ti freghi da sola"
"Davvero io non ti racconto più niente. Su ogni parola che dico sei capace di montarci su un film. Ma ti rendi conto? Andavo già da prima ogni sera da Jacob. E il fatto che Riley mi abbia chiesto di andare a cena insieme stasera e io abbia rifiutato, non c'entra niente con quel ragazzo. Ma solo  con il mio migliore amico. Perchè voglio bene a Jake e amo passare le serate in tranquillità nel suo locale. Discorso chiuso"
"Quindi non andrai con Riley ma andrai da..."
"Discorso chiuso, Angela. Sai cosa vuol dire 'discorso chiuso'? Discorso - quello tra me e te, appena avuto- che si conlude. Finish."
Alza le mani in segno di resa, cercando di reprimere un risolino. E anche se le ho intimato più o meno seriamente di tagliarla, so che, se non sarà oggi sarà domani, lei ripartirà all'attacco. E va bene così.
Non sarebbe la ragazza che voglio bene con tutta me stessa se non lo facesse.
Sa rendersi logorroica anche nei momenti peggiori ma senza di lei non sarei qui. O almeno non sarei qui con quasi tutte le rotelle a posto.
 
Mi ha presa con sè -letteralmente- quando stavo per cadere nel buio  pesto di quello che avevo dentro. Mi aveva afferrata per una mano ed insieme a Jake mi aveva fatto vedere qualche raggio di sole.
Non la luce di mezzogiorno, forte e luminosa. Nemmeno quella dell'alba, delicata e dolce. No. Mi avevano fatto vedere i raggi fiochi e scialbi delle sette del mattino.
Quelli fastidiosi e  senza senso ma  tenaci abbastanza da urlarti 'Ehi, muovi il culo e  sopravvivi'.
E' mia sorella. Più di quanto lo sarebbe potuto essere una di sangue. E' un tornado pieno di vita e serenità. Una di quelle persone che, volente o nolente, ti farà sempre sentire meglio. Anche se poco, anche se lievemente. Ma aiuta.
Con una parola od un sorriso. Con una battuta o con uno dei suoi discorsi strampalati. Non importa come, effettivamente. Lei lo fa e basta. Senza rendersene conto e senza chiedere mai niente in cambio.
Ed io, a dire il vero, avrei dovuto ricambiare per un bel po' di cose.
"Posso chiederti una cosa, Bella?"
"Sì"
"Ma almeno il culo di questo tizio è carino?" che ho detto? Non se ne rende conto.
"Vaffanculo, Angela. Vaffanculo."





Quando avevo deciso di prendere in affitto un appartamento in città, le condizioni che avevo posto erano semplici: doveva essere vicino a Jacob ed Angela.
La ricerca non era stata molto complessa. E non appena ricevetti una chiamata per un appartamento appena liberatosi, a soli due isolati dal locale di Jake, corsi come una pazza per poterlo visitare prima che lo facesse qualche altro.
Non che mi importasse come potesse essere all'interno. Era vicino al mio migliore amico e a soli venti minuti a piedi dal negozio di dischi. Era perfetto.
Ma diciamo pure che me ne innamorai a prima vista. Inevitabilmente le pareti colorate e luminose di quelle mura avevano giocato a favore e sicuramente l'arredamento moderno, come piace a me, mi aveva colpito molto positivamente. Ci avevo messo si e no dieci minuti a decidermi.
Ci vivo da un anno ormai. Esattamente da quando mi sono resa conto che vivere da Angela non fosse più possibile.
In primo luogo perchè lei e Ben avevano deciso di sposarsi e poi perchè io, diciamolo pure, stavo un po' meglio.
Ogni sera uscita da lavoro cerco sempre di passare a casa. Darmi una sistemata dopo una giornata chiusa a negozio. Una pettinata all'ammasso di capelli castani che, inevitabilmente, a contatto con le sciarpe pesanti di lana riescono ad ingarbugliarsi come non mai.
Ma non negli ultimi dieci giorni. Percorro a passo svelto la strada che intercorre tra il negozio e il Redskin. Poco importa che i miei capelli, all'altezza dell'attaccatura,  sembrino un nido per aquile affamate.
Poco importa la fame per la mancata fame. Manderò giù qualche biscotto insieme al tè.
Poco importa il freddo che, camminando veloce, mi trapassa la fronte per insinuarsi nel mio cervello e gelarmelo all'inverosimile.
Importa solo che il pensiero di fare tardi e non sentirlo riesce a stringermi la gabbia toracica fino a non lasciar più spazio ai polmoni per respirare.
Ed è strano. E' assurdo perchè io non ho la minima idea di chi cavolo sia quel ragazzo.
So solo che suona e canta divinamente. Ha le mani grandi, lunghe. Forti.
I capelli un po' pazzi con quel colore indefinito tra il biondo scuro e il ramato. So che ha gli occhi verdi. E che non son riuscita più ad incrociarli dalla prima volta in cui li ho visti.
Non ce l'ho fatta.
So che la sua voce sembra farmi da medicina. Un palliativo che mi cura a breve termine. Una pillola magica che fa stare bene solo in quei minuti in cui agisce. Poi più nulla.

Quando arrivo di fronte alla porta del locale, porto istintivamente la bocca alle mie mani e ci soffio dentro. Forse per scaldarle o svegliarle dal torpore del freddo. No, non ho ancora comprato dei guanti.
Le passo a palmo aperto lungo il cappotto e le cosce. Come a lisciare delle pieghe forse immaginarie.
Poggio la mano sulla maniglia e la abbasso di colpo chiudendo per un attimo gli occhi.
Il calore invade subito i miei sensi. Calore umano che ti riempie l'anima.
Apro lo sguardo e lo punto fisso sul palchetto. E' vuoto. Nessuno suona e nessuno sta sistemando strumenti per accingersi a farlo. Sbircio l'ora al polso e noto che in fondo non è poi così tardi.
La schiavista Angela mi ha solo bloccata un'ora in più del dovuto.
Vi sono già dei ragazzi a diversi tavoli ma fortunatamente il mio angolino è ancora vuoto. Ci poggio la borsa, sfilo il cappotto dalle maniche per riporlo allo schienale della sedia e srotolo la sciarpa dal mio collo. Il guaio nei miei capelli forse è peggio di quello che potessi pensare. Provo a passarci le dita attraverso ma rimangono ben presto bloccati da un ammasso piuttosto consistente di nodi.
Sbuffo pesantemente mentre volgo lo sguardo al bancone per salutare Jake e.. Perchè il bancone è vuoto?
Aggrotto la fronte dando una rapida panoramica all'intero locale e di Jacob non c'è proprio l'ombra.
Mi dirigo in direzione del bancone e più mi avvicino più sento dei rumori dal basso del suo retro. Ecco dove sta.
Poggio le mani sul legno e sorridendo mi rivolgo al mio miglior amico, impegnato a trafficare in basso.
"Ehi, bel maschione, posso avere il mio tè o sei ancora impegnato nei meandri nascosti del bancone?"
Ridacchio appena immaginando la battuta pronta che mi rivolgerà non appena si rimetterà in piedi. Probabilmente mi prenderà in giro per i miei capelli folli o per il mio finto approccio con il sorriso sulle labbra.
Sì, mi prenderà in giro. E' così Jake. E' giocherellone. E' sfacciato. E' il miglior ragaz-
Non è Jake.
Non è Jacob.
"Ahm... Scusami. Un tè?"
Cazzo non è Jacob.
Cazzo. Cazzo.
Cos'ho appena detto? Che non incrocio quegli occhi verdi da dieci giorni? Ecco. Adesso ho decisamente rimediato.
"Io... Non pensavo qui facessero anche il tè. Se mi dai un attimo provo a cercare le cose e rimedio."
Perchè è dietro il bancone? Perchè Lui si trova dietro quel bancone?
Perchè non c'è Jacob?
Perchè ha fissato gli occhi verdi nei miei? Perchè l'ho chiamato bel maschione?

"Io... Dove, dov'è Jacob?" torna giù con la testa. Forse cerca qualcosa. Per il mio tè?
Dio, quanto sono ridicola.
Respiro due, tre volte profondamente fissando lo sguardo in alto. Risale su con una teiera in mano e mi sorride in un attimo.
Perchè mi ha sorriso?
Mi ha sorriso. I polmoni hanno appena preso più aria del dovuto.
"E' scappato mezz'ora fa. Credo che la sua ragazza stia partorendo o... qualcosa del genere"
"Leah sta partorendo?"
"Sì, credo abbia detto si chiami così. Scusa, sai dove trovo un fornelletto per mettere questa su? Non so dove mettere mano e.."
"Sì è... all'estremità sinistra. Leah sta partorendo?" chiedo ancora incredula.
"Sì. Perchè lo ripeti?" Un altro sorriso. Un altro po' d'aria entra dentro.
"Tu, tu che ci fai qui?"
"Cos'è, un interrogatorio?" ride appena mentre afferra una tazza.
Jacob sta per diventare padre. Non dovrei rimanere qui imbambolata a fissare un perfetto sconosciuto.
Dovrei correre da lui o almeno chiamarlo. Assicurarmi che stia andando tutto bene. Tranquillizzarlo e stargli vicino.
Non dovrei fissare stralunata il musicista dai capelli sexy.
"Quando la sua ragazza lo ha chiamato c'ero solo io qui e mi ha chiesto se potevo occuparmi per qualche minuto del posto che tanto sarebbe arrivata presto una certa Bells e ci avrebbe pensato lei. Ma questa donna del mistero non si è ancora fatta viva e in pratica mi sta lasciando nei guai perchè io non so che fare e... ecco, appunto. Come lo vuoi questo tè? Scusa ma sono imbranato"
Si passa una mano tra i capelli e sbuffando un attimo. Forse il gesto più banale del mondo. Ma quelle mani, quelle sue mani, le ho osservate per giorni.
"Io sono Bells" sputò via veloce.
"Bells?" aggrotta appena la fronte.
"Bella. Ma a Jacob piace chiamarmi Bells"
"Tu sei Bells?"
"Sì. Te l'ho detto. Chiamami Bella per favore"
"Oh"
"Cosa?" ha la faccia di chi ha appena fatto la scoperta più grande del mondo.
Non risponde. Mi guarda fisso finchè probabilmente nota il lieve imporporarsi del mio viso e abbassa gli occhi. Sorride appena, scuotendo la testa.
"Niente. Io... Okay. Allora, come lo vuoi questo tè?"
"Scusa?"
Cazzo, è la discussione più idiota che io abbia mai tanuto.
"Il tè"
"Oh. No no. Ehm... Dammi il tempo di una telefonata e qui ci penso io. Davvero, sta tranquillo" inizio a tirare fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei miei Jeans.
Devo riprendermi e chiamare Jacob.
"No. Non è molto galante lasciarti tutto il lavoro. Posso aiutarti. Non è un problema per me"
"Lo è per me. Tu devi suonare"
Cazzo.
"Cosa?"
"Cosa?" replico, come nulla fosse.
Stupida Bella. Stupida Bella. Stupida Bella.
 Metti ON al filtro cervello-bocca.
"Hai detto che devo suonare?"
"No io..."
"Fammi capire. Tu non hai mai applaudito sentendomi e adesso te ne esci con 'Tu devi suonare'?"
Cazzo. Di nuovo.
Se n'è accorto. Forse l'ha presa come una mancanza di rispetto. Si è accorto dei miei mancati applausi.
Si è accorto...
Aspetta. Si è accorto di me?
Ride appena. Forse ai suoi occhi sto apparendo come una specie di looney toons con gli occhi fuori dalle orbite. Un cartone animato racchiuso nel corpo di una ragazza con dei capelli simili alla paglia.
E' imbarazzante. Sostenere il suo sguardo, averlo davanti. E' imbarazzante e terribilmente bello.
Mi mordo il labbro inferiore mantenendo il contatto con il suo verde. Non so bene cosa fare.
Probabilmente dovrei chiedergli scusa per la mia stupidità o per non aver apprezzato la sua musica. Che poi non è vero.
Che poi io, la sua musica e la sua voce, le ho apprezzate fin troppo.
Dovrei farlo spostare dal bancone e mettermi al suo posto.
Ma il punto è che mollare la presa dai suoi occhi è troppo difficile. L'ho fatto per dieci giorni.
Che follia.
"Senti, facciamo così. Adesso vai a chiamare il tuo amico e poi quando torni vediamo di non mandare allo sfascio questo locale e di far funzionare insieme questa serata. Okay?"
Annuisco cercando di sembrare convinta ma in realtà so bene che il mio gesto è parso tanto buffo quanto scoordinato. Il suo sorriso divertito me lo conferma.
 Mi decido a smettere di guardarlo e con un respiro profondo mi volto di spalle per uscire fuori.
"Ehi" mi richiama e in un nanosecondo mi giro.
Perchè ha quel sorriso?
"Io sono Edward"
"Io Isabella"
"Non era Bella?" ride.
"Sì. Giusto"
Mi giro ancora e non appena arrivo alla porta mi chiama ancora
"Bella?" mi fermo. Non posso voltarmi. Non stavolta o finirò col non chiamare mai più Jacob. Trattengo il respiro mentre continua.
"Nome appropriato comunque"
Butto fuori l'aria e torno in apnea, fuori da quel locale e a qualche passo più lontana da lui.


Mentre aspetto che Jake mi risponda al telefono, mi rendo conto di essere uscita fuori senza cappotto e sciarpa. E sto bene.
E' febbraio, sono a Seattle, all'aperto e sto bene. Dio, a dire il vero sento quasi caldo.
Mi passo la mano sulla fronte, respirando ancora.
"Bells?" è la voce del mio amico a ridestarmi.
"Jake! Che succede?"
"Leah. E' in travaglio. Caspita, Bella, mi dispiace. Mi dispiace mollarti lì nei casini ma davvero non avrei saputo come fare e..."
"Sta calmo. Ti dispiace? Oddio ma sei serio? Jacob è a me che dispiace non essere lì con te! Ma hai bisogno del mio aiuto qui e a me sta più che bene. Ma lei come sta?"
"Urla. Urla fortissimo e vederla in questo stato fa un fottuto male"
"Oh, Jake. Leah è forte ma tu devi essere ancora più forte per lei. Stalle accanto e rassicurala perchè se la starà facendo sotto"
"Anche io. Fidati"
"Sarai un ottimo papà. Il migliore in assoluto."
"Come fai a saperlo?" la preoccupazione e l'ansia nella sua voce sono un qualcosa talmente tangibile da toccarla quasi con mano.
"Sei il fidanzato perfetto. L'amico perfetto. Il fratello perfetto. Quindi non potrai che essere anche il padre perfetto"
"Grazie, Bells. Ora torno da lei. Ehi, potresti dire grazie da parte mia a quel ragazzo? Edward mi pare che si chiami"
"Sì. Sì, no beh... A dire il vero si è proposto di aiutarmi per l'intera serata"
"Bene. Sembra un bravo ragazzo. Non credo possa darti fastidio."
"Mhm" annuisco, quasi come se potesse vedermi attraverso un cellulare.
"Ti lascio. Non distruggetemi il locale. Ti chiamo appena posso"
"Ciao Jacob. Sta tranquillo"
"Ti voglio bene"
"Come sempre" sussurro appena ma abbastanza perchè lui possa averlo sentito.
Ed è vero. Gli voglio bene come sempre. Adesso più che mai.

Tornare dentro richiede una forza e una presa di coraggio che non credevo mi appartenessero più da ormai molto tempo. Non appena mi ritrovo dall'altra parte della porta, la prima cosa che noto è lui che versa il mio tè in una tazza.
La teiera tra quelle sue mani, a tenerla attraverso una presina. Il broncio appena accennato per la concentrazione, gli occhi quasi socchiusi e la testa inclinata in un lato.
Ha un non so che di tenero. E sexy.
Come si fa ad essere tenero e sexy contemporaneamente?
"Alla fine prima non mi hai detto come lo volevi quindi te l'ho fatto alla vaniglia. Spero vada bene"
"Va benissimo" mi passa la tazza e sfioro appena le sue dita. Sono morbide. E' percepibile anche in un contatto talmente breve.
Cerco il miele tra i barattoli e non appena lo trovo vi infilo un cucchiaino per scioglierlo nella mia bevanda.
Mi guarda con cipiglio curioso come a chiedersi quale assurda persona potrebbe mai mettere il miele in un tè alla vaniglia.
Sorride e sposta lo sguardo quasi imbarazzato "E poi la vaniglia sta bene con la cioccolata"
"Cioccolata?"
"Sì"
Ok. Credo di non capire.
Alzo un sopracciglio con un punto di domanda stampato in fronte. Lo nota e ride.
E' così bello quel suono. Quasi quanto la sua voce quando canta.
"No è che... Sai quando ogni sera ti vedevo laggiù in quell'angolo, con la testa quasi sempre china, finivo col guardare i tuoi capelli e non te. E i tuoi capelli sono una cascata di cioccolata. Poi ti ho anche beccato gli occhi e... Lì la cioccolata è calda. Come quella che si prende quando fuori diluvia, presente? E niente, siccome non sapevo il tuo nome, la mia mente ti ha registrata con il nome Cioccolata"

Credo di avere uno sguardo molto confuso e sconvolto. Lui mi guarda. Mi ha dato un nome. Cioccolata.
 Io non la bevo mai. Forse una volta l'anno. Non la bevo la notte di Natale, nè quando fuori piove. Solitamente è Angela farmela. E quella volta basta e avanza.
E' buona. Mi piace. Ma è troppo.
Il cioccolato è importante. Troppo. Sono più un tipo da tè.
"Ti ho appena terrorizzata, vero?"
Non so se è il suo tono o la sua espressione preoccupata, fatto sta che rido. Scoppio a ridere e continuo a fissarlo.
"Sei molto carina a prendermi in giro"
"Scusa" riesco a sussurrarlo tra una risata e l'altra "è che la tua espressione era così buffa"
Rido. Non succedeva da tanto. Non così.
Non questo tipo di risata gratuita, senza un vero perchè. La risata che ti riempie il cuore e che te lo fa battere un po' più forte.
La risata che non vorresti finisse.
Si unisce a me e cavolo, davvero vorrei poter ridere così per sempre.
"Forse dovremmo metterci a lavorare, sai?"
"Forse" smetto di ridere ma il sorriso mi resta ancora sul viso. Specchio del suo.
"Prendi il tuo tè. Io porto le birre a quel tavolo laggiù."
Mi scocca un'altra occhiata divertita e si allontana.
Credo mi toccherà ringraziare Angela per avermi fatto ritardare questa sera.














Ma buonasera, gente!
Per prima cosa, chiedo scusa per il ritardino ma come vedete il capitolo adesso è qui e spero vi possa piacere.
Ragazze, voi non avete idea di quanto mi abbiate resa felice. Grazie per aver apprezzato il prologo di questa storia e spero possiate continuare a farlo.
Grazie a chi ha recensito/messo tra le seguite/ricordate/preferite. Grazie mille.
Non ho molto altro da dire.
Godetevi queste vacanze e ci sentiamo spero presto.

Helen.


P.S. Buona Pasqua! Mangiate tanta, tantissima cioccolata. Magari pensate anche a Bella LOL










  
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