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Autore: Francesco Coterpa    20/04/2014    2 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Alessandria d'Egitto. Il caldo era terribile, afoso, asfissiante, qui l'ombra non esisteva, era perennemente giorno. La gente arrivava da ogni parte del mondo, studiosi, mercanti e schiavi, ma anche persone semplici, in viaggio. Nessuno poteva rimanere impassibile alla sua meraviglia. Nessuno era di ghiaccio e anche se lo fosse stato qui si sarebbe di sicuro sciolto. Camminavo pensieroso per la via maestra della città diretto alla biblioteca. Sì, proprio lì, nella immensa opera del genio umano, dove le conoscenze del mondo si fondevano fino a formarne una nuova. La cultura, il sapere. Qui passarono grandi menti e chissà quante ancore ne sarebbero passate. Qui misero piede tutte le opere dello Stagirita. Qui passarono i macedoni. Qui arrivò la cultura dell'estremo oriente, dell'India, della Persia. Tutto ciò che l'uomo scrisse col suo pugno, tutto ciò che pensò con la mente, tutto ciò che creò con le sue mani è contenuto in questo tempio. Stupenda creazione.

Forse neanche Atene disponeva di tale conoscenza. Ma a mio giudizio nemmeno Atena o Zeus avrebbero mai potuto concepire un'opera tanto straordinaria, tanto vasta. Migliaia, infiniti libri coprivano le sue pareti, era una città, anzi La Città.

Mentre riflettevo sulla sua vastità mi apparve, come un lampo, la sua ombra. Il tetto svettava tra l'Olimpo, la porta era talmente grande che sarebbe stata capace di accogliere anche i Titani o i ciclopi. Le colonne tanto belle che le muse stesse sarebbero rimaste ammaliate. I gradini erano tanto bianchi che i colori della natura dovevano ancora farne di strada per poter arrivare a tanta bellezza. Questa era la massima creazione dell'uomo, era l'Opera.

All'ingresso vi erano due biforcazione maestose con scaffali enormi che toccavano il soffitto. Non sarebbe stato possibile contare tutte le opere, sarebbe stata un'opera titanica, impossibile. Pergamene, papiri e chissà quanti altri materiali conteneva, legno e pietra anche dei tempi più antichi forse. Vi erano addirittura testi sacri, religiosi, che potevano vedere solo i sacerdoti, oppure scritture che solo pochi riuscivano a comprendere. Qui gli dei stessi scrissero e lasciarono la loro conoscenza. Si dice che sia gestita tutta da una sola persona. Una unica persona poteva realmente mantenere tutta quella cultura? Incredibile. Dubitavo.

Gli scaffali traboccavano di opere messe una sull'altra ma in ordine preciso a tal punto da renderlo innaturale. Al termine dei corridoi vi erano i laboratori, astronomia, botanica, anatomia e quant'altro, solo Apollo sapeva cosa ci fosse lì dentro. Incontrai nel mio cammino tra il sapere un vecchio amico e iniziammo una rapida discussione culturale sul testo che avevamo letto il mese prima e sulle vicende del momento. Aleggiava ovunque un aria di profondo rispetto, di sapere, di eleganza, solo entrando si diveniva più sapienti. Terminata la conversazione ci salutammo ed io continuai per la mia direzione.

Le statue contenute lì dentro erano tantissime e di una bellezza indescrivibile, non riuscivo a non commuovermi dinnanzi a tale bellezza, era la riproduzione fedele, o migliorata addirittura, della natura, era perfezione. Come poteva l'uomo, essere così imperfetto, compiere dei prodigi così grandi? Come poteva con la sola mente per pensare e le mani per costruire arrivare a tanto. Mi aveva sempre affascinato la maestria degli uomini e rimanevo ore intere nella biblioteca, immerso nei libri di autori che non conoscevo in cerca di un sapere sempre più profondo. Tutto era interessante, tutto era fantastico, tutto era sapere.

Presi una seggiola di legno che era appoggiata al lato sinistro di una delle sale e la spostai fino al tavolo che era in mezzo tra una fila di scaffali colmi di manuali ed un'altra. Vicino al tavolo vi erano montagne di manoscritti, erano ovunque, e sinceramente non capivo come poteva essere che la mattina erano in un posto e il giorno seguente erano già stati catalogati tutti. Da dove arrivavano e chi li poteva ordinare in maniera così precisa e rapida?

Qui dentro il caldo non si pativa molto, il marmo di cui era costituita la maggior parte della struttura la manteneva piuttosto fresca anche nei periodi in cui il sole poteva uccidere, quando il deserto ad ovest e a sud rendeva il clima intollerabile. Mi piaceva pensare che fosse un modo creato dalla biblioteca stessa per mantenere le sue opere, adoravo la biblioteca e mi piaceva molto immaginarla come un organismo vivente con un cuore da cui uscivano i nervi che permettevano alla mente di ragionare ed al corpo di vivere. Il cuore erano le persone stesse che contemplavano, studiavano ed insegnavano, la mente erano le opere. Nonostante fosse attraversata spesso da menti geniali e rivoluzionarie non ne incontrai molte, non mi piaceva parlare con loro, preferivo la solitudine che creavano i libri perché comunque non ero mai solo, ma in loro compagnia. Mi insegnavano di più e non dovevo parlare e far figuracce mostrando la mia bassa cultura. Preferivo leggere che parlare, spesso i libri mostravano il lato più bello delle persone, quando invece poi ci parlavi, tu non sapevi come comportarti, loro risultavano spesso presuntuosi ed ignoranti.

Filosofi scienziati e architetti toccavano ogni giorno, ogni ora, il pavimento della biblioteca. Ovunque vi erano persone che pensavano e discutevano e leggevano e inventavano. Era il cuore del mondo. Tutto partiva da Alessandria. Atene era oramai caduta, la Grecia era oramai in fase discendente, l'Egitto era il nuovo centro del sapere mondiale. Tutti passavano da qui, tutti conoscevano la grandezza di Alessandria e la sua importanza era riconosciuta persino in India. La nuova capitale delle armi non era niente in confronto. Se la mente non governa, il corpo è destinato a cadere inesorabilmente.

Decisi di leggere un poco per conto mio le ultime opere arrivate qui in biblioteca. Mi catturarono. Ero talmente preso che non mi accorsi che il cielo non ospitava più il sole se non i suoi ultimi raggi riflessi dal cielo. Decisi che era ora di andare. Anzi, era già tardi. Mi alzai e riposi ciò che avevo letto dove l'avevo trovato. Mentre sistemavo sentii ancora delle chiacchiere in fondo al corridoio, filosofi, erano gli unici che potevano rimanere fino al mattino, insieme anche agli astrologi, gli altri tendenzialmente tornavano alle loro dimore anche se non era raro che vi rimanessero altri gruppi o singoli a contemplare ancora la magnificenza della struttura. La biblioteca era perennemente aperta a tutti e con poche regole, tra cui: nessuno poteva portar via nulla. Mentre mi incamminavo per l'uscita, sentii i passi in un corridoio vicino di un persona, anziana forse perché aveva uno strumento con se per reggersi o altro, non capivo bene ed incuriosito spiai nel corridoio accanto, vi era un vecchietto che metteva a posto alcune opere con la mano destra mentre con la sinistra si portava dietro una piccola scala che non gli sarebbe bastata nemmeno a raggiungere il piano superiore degli scaffali, il secondo, mentre ogni scaffale disponeva circa di otto mensole, alcuni, dove il soffitto risultava più alto addirittura nove o dieci.

Uscii dal centro della cultura, e già sentivo avvertivo la sua mancanza. Era piuttosto noioso il mondo qui fuori. Mi incamminai per casa mia, non era molto lontana, in fondo alla via maestra a sinistra, poi a destra verso la grande fontana e una volta arrivati lì a destra ancora, la prima casa a sinistra era la mia, piccola ma calda ed accogliente.

Il terreno era un misto di sabbia e terra sporca e battuta dalle mille e più persone che l'avevano pestata oggi e continuavano anche in quest'istante. Per la via maestra vi erano poche persone, nessuno che conoscevo di persona, ma quasi tutti di vista. Pescatori, mercanti o gente che non voleva recarsi alla propria dimora o che faceva giusto una passeggiata prima di coricarsi. Svoltai a sinistra, si vedeva molto chiaramente la fontana, simbolo del quartiere sia per l'acqua che donava ai cittadini di quella zona sia perché era il tempio stesso di Nettuno. La gente che percorreva la strada era pochissima, due persone, tre al massimo non di più. La terra sotto i piedi era già meno smossa poiché vi era già meno gente che si recava per le vie minori. Un po' come il sangue che fluisce maggiormente per l'arteria principale per poi diramarsi verso le minori così erano le strade di Alessandria, le principali, che erano tre, tutte che si incontravano al porto, vedevano perennemente persone, le altre di meno, le viette più strette quasi nessuno, soprattutto a quest'ora tarda.

Andavo avanti con un passo piuttosto pensieroso e lento, come sempre, pensavo alle varie opere che avevo avuto modo di leggere nella giornata. Adoravo leggere opere di filosofia e di architettura, ma soprattutto amavo leggere manoscritti riguardanti la guerra, le battaglie, il tema storico, le strategie usate, e farmi poi un'idea mia a riguardo e cercando di prevedere ciò che sarebbe potuto accadere prima ancora che l'autore dello scritto lo svelasse. Avevo sempre ragione, raramente rimanevo stupito dall'esito, lo prevedevo quasi sempre. Ma questo non era indice di noia e monotonia, no anzi, l'opposto, amavo leggere le strategie adottate anche se già potevo ipotizzare gli esiti degli scontri.

Ero arrivato alla fontana, mi fermai un attimo, bevvi dell'acqua e pregai il dio Nettuno che ci potesse continuare a donare questa preziosa fonte per la nostra salute. Poi ripresi il cammino, svoltai a destra. La mia casa era oramai a pochi passi da me, tirai un sospiro di sollievo perché effettivamente la stanchezza cominciava a pesare e le gambe erano piuttosto stanche, non vedevo l'ora di riposare. Arrivai all'entrata della mia casa e aprii la porta.

Non feci in tempo ad entrare che mi sentii toccare, anzi preso, afferrato per le spalle e scaraventato a terra. Tentai di capire cosa stava succedendo, ma non capivo. Cos'era stato? Chi era o erano? Ero per terra e vidi distintamente due persone più grosse di me che si chinavano sul mio corpo, una mi fermò le gambe con una corda, l'altro mi tenne le braccia, mi si avvicinò con il viso e mi disse “Tu adesso vieni via con noi. E non fare alcun rumore.”

Ero terrorizzato. Avevo molta paura e non sapevo cosa fare, ero solo, assolutamente solo. Mi sollevarono di peso con una forza a cui non potevo chiaramente oppormi. Mi legarono anche le braccia e uno di loro mi tenne una mano davanti alla bocca poiché non si fidava. Chi poteva fidarsi di un uomo sollevato per aria che stava per essere rapito da chissà chi? Iniziarono a guardarsi in giro circospetti, io non feci nulla, per evitare che utilizzassero armi che non notavo dal panico che avevo ma potevano benissimo essere sotto le vesti, ben celate. Dopo essersi guardati circospetti intorno, iniziarono a correre verso una via ancora più stretta e desolata. Parlavano una lingua che non capivo bene, etrusco forse, non ne ero sicuro, forse iberico. Non sapevo, ero talmente confuso che non riuscivo nemmeno a distinguere chiaramente i loro abiti, pensavo avessero delle tuniche ma adesso che li guardavo più attentamente sembravano o armature o qualcosa del genere non ne ero certo, ero troppo confuso per far caso a questo. Pensavo solo a dove potevano portarmi e perché nessuno notava due persone che portavano via una persona per aria.

Ero esperto in linguistica ma non riuscivo proprio a comprendere che cosa si stessero dicendo questi due tizzi. Diamine! Mi stavano rapendo!

Sentii la voce di qualcun altro, morsicai così la mano che mi teneva la bocca e iniziai ad urlare con tutta l'aria che avevo nei polmoni. Poi sentii un forte dolore alla testa e nient'altro.

Mi risvegliai poche ore dopo, almeno pensavo. Ero vicino al mare, sentivo le onde e l'odore della salsedine. Ero ancora stordito con un forte mal di testa ed ora ero pure imbavagliato ed avevo anche una benda agli occhi. Mi sentivo nudo, potevo avvertire di non avere più la mia veste perché nonostante non potessi vedermi, non sentivo più sulla pelle alcun vestito se non qualcosa di ruvido che mi copriva le parti intime. Sentivo che ero coperto di terra e povere, la pelle era ruvida. Non sapevo cosa mi avevano fatto con precisione, potevo solo intuirlo da ciò che sentivo sulla pelle. Ero ancora legato sia ai polsi che alle caviglie e non potevo muovermi, probabilmente ero anche legato ad un palo o qualcosa di simile. Non udivo alcuna voce o perché ero stordito e mi fischiavano le orecchie o perché nessuno parlava. Era giusta la prima ipotesi. Infatti man mano che passava il tempo udivo sempre più voci diverse e che parlavano lingue differenti tra loro, ed alcune le riuscivo a comprendere anche abbastanza bene. Dov'ero? Con chi ero? Cosa mi era stato fatto? Odiavo tremendamente l'ignoranza e stare lì come un pesce lesso senza sapere nulla era un tormento. Ad un certo punto udii due voci familiari. Erano loro, i rapitori, ne ero certo. Non poteva essere altrimenti visto che parlavano anche una delle poche lingue di cui non conoscevo nulla. Non so effettivamente per quanto tempo rimasi lì seduto in quella posizione, legato, e con chi. Non potevo comunque parlare. Decisi di smuovermi un poco sperando di poter allentare in qualche modo la presa delle corde sul mio corpo, ma mi arrivò un ceffone abbastanza forte da farmi bere il mio stesso sangue. Bene. Almeno sapevo che c'era qualcuno che mi stava tenendo d'occhio in quel preciso istante. Almeno sapevo qualcosa in più. Anzi, potevo sapere anche che era giorno visto che nonostante la benda sugli occhi, la luce filtrava comunque, in quantità ovviamente ridotta, e mi permetteva di vedere il tessuto di cui era fatta. Stoffa? Non capivo neanche quello.

Il ceffone mi aveva aumentato il dolore alla testa ed ora ragionare era divenuto piuttosto complesso. Lo stesso non pensare mi creava dolori lancinanti. Mi sentii preso per le gambe, mi spaventai. Caddi col busto all'indietro e potei sentire l'odore della terra bagnata dall'acqua del mare. Qualcuno mi trascinò per i piedi su uno scafo, senza ovviamente preoccuparsi delle mie condizioni, visto che non solo mi stavo sporcando ancor di più, ma mi si stavano creando piccoli tagli da tutte le parti. Potevo chiaramente sentire i granelli di sabbia e sale entrare dentro i tagli che mi procuravo nel trascinamento, o che mi ero già procurato e non me ne ero reso conto, e sentire le ferite bruciare come se mi stessero ardendo tra le fiamme. Ad un certo punto il tizio che mi stava portando in quel modo su d'uno scafo, almeno così intuivo dal movimento ondoso della struttura, mi lanciò contro quello che potevo definire una parete o qualcosa di simile. Una spina mi si conficco nella schiena, lanciai un urlo di dolore che uscì smorzato dalla benda alla bocca. L'uomo che mi aveva portato lì, udito l'urlo e mi disse in una lingua a me nota “Zitto schiavo! Non devi fiatare!”

Ero uno schiavo? Che cosa mi era successo? Cosa mi avevano fatto? Chi mi aveva condotto lì? Chi mi avrebbe salvato?

Avevo dolori ovunque e non capivo nulla di quello che mi stava succedendo in quel momento. Tutto era buio, o quasi. Le onde erano piuttosto calme, la barca o nave su cui mi avevano portato non oscillava molto, probabilmente il mare era calmo quest'oggi. Sentii alcune voci che parlavano in greco, altre in latino, alcuni parlavano l'egiziano e molte altre che però si confondevano con le altre e quindi non riuscivo a distinguerle in modo chiaro.

Ad un certo punto sentii una mano poggiarsi sulla mia schiena. Iniziai a tremare. Ero spaventatissimo, che cosa mi avrebbero fatto ora. Ero già ridotto piuttosto male. Come era possibile che la mia vita potesse mutare all'improvviso così tanto. Come poteva un uomo semplice come me ritrovarsi in questa situazione tragica. Come è potuto succedere. Cosa mi era stato fatto e come era possibile che nessuno s'era accorto della mia mancanza, avevo amici qui ad Alessandria che mi vedevano quasi quotidianamente. Chi si sarebbe preoccupato di me?

La mano che si era appena posata sulla mia schiena era fredda e sporca, forse con sabbia.

“Stai fermo e non ti muovere.” mi disse il proprietario della mano. Almeno speravo che fosse così. Aveva un accento diverso.

Lanciai un urlo soffocato. La spina incastrata sotto pelle mi era stata tolta da quel qualcuno. Non era uno dei rapitori.

“Tutto bene? Capisci ciò che dico?” mi disse lui con un accento orientaleggiante.

Annuii in segno di affermazione.

“Bene! Almeno posso essere sicuro che capisci ciò che ti dico.” disse lui.

Rimase in silenzio per un tempo indeterminato finché tutte le voci si spensero. La porta, forse della stiva, era stata aperta, dunque doveva essere entrato qualcuno di importante, non sapevo.

Un uomo mi si avvicinò e mi levò la benda agli occhi e la fascia alla bocca. Sputai il sangue che si era coagulato nella mia bocca. Mi arrivò un altro ceffone. Questa volta però dalla parte opposta. Tanto per cambiare. Inizia a mettere a fuoco le figure intorno a me e soprattutto colui che mi aveva violentato e forse rapito, ma gli occhi mi bruciavano parecchio e non riuscivo a veder bene le figure.

La figura, o meglio l'ombra che vedevo si diresse verso l'uscita per poi richiudere la porta dietro di sé. Intorno a me vi erano diverse persone di cui ancora non riuscivo a distinguere bene il volto né il corpo.

La poca luce che filtrava dalle fessure tra un asse e l'altra dello scafo non permetteva di vedere chiaramente nessuno. Eravamo tutti quasi nudi, poco vestiti, sporchi, al buio.

Mi si avvicinò una figura strisciando, anche lui era legato sia alle caviglie che ai polsi.

Mi guardò bene gli occhi che ancora tenevo socchiusi. Sorrise e disse: “Benvenuto all'inferno amico.”

Rimasi un poco a scrutarlo in cerca di qualche dettaglio che potesse farmi capire chi fosse. Nulla, era qualcuno mai visto prima.

“Grazie.” risposi.

“Per cosa?” chiese lui.

“Per avermi levato la spina che avevo nella schiena.” gli risposi io.

“Hahaha! E come fai a sapere che sono stato io.” domandò ridendo.

“Perché sei l'unico qui che tiene gli occhi bene aperti, questo vuol dire che tutti i qui presenti avevano una benda che gli copriva gli occhi a parte te che dunque hai potuto vedere dove fosse la spina e toglierla.” Risposi.

“Non sono prove certe, anche altri qui non avevano la benda agli occhi.” rispose lui.

“Solo una persona che poteva vedere poteva sapere realmente chi aveva una benda e chi no. Inoltre non hai alcun segno intorno agli occhi, perciò sono certo che sia stato proprio tu. Grazie.” risposi allargando un po' le palpebre per veder meglio. Gli occhi bruciavano ancora, ma non molto. Non come prima.

“Bene, vedo che sei intelligente.” disse lui. Ed aggiunse “Ed anche perspicace, attento ai dettagli, complimenti.”

“Non ho bisogno di complimenti, se non l'avessi notato sono stato rapito.” risposi in tono deciso.

“Hahaha!” rise. “Perché secondo te noi qui cosa siamo, profughi in cerca di una nuova casa?” disse ridendo ancora.

Ci pensai un attimo. Questo voleva dire che eravamo stati tutti rapiti. Ma da chi. Chi poteva rapire così tante persone senza essere notato? Come mai non ci avevo pensato prima? Ero diventato scemo? No, era il colpo alla testa. Speravo.

“Chi sei?” gli chiesi.

Sorrise. Guardò il pavimento umido.

“Chi ero semmai, ora non lo sono più evidentemente.” rispose.

“Chi eri?” domandai ancora.

“Chi ero non importa, ora rimane da sapere chi diventeremo.”

Lo scafo iniziò ad ondeggiare di più. Due erano le possibilità. Primo, il mare si stava alzando, improbabile visto che si intravedeva il sole ed era appena mattina. Secondo, stavamo partendo per chissà dove. Nonostante il dubbio ero già certo che fosse la seconda. Stavamo partendo per una zona ignota, condotti da persone che ci avevano rapiti e che non conoscevamo, se non per la forza dei loro schiaffi.

“Non preoccuparti, non ti uccideranno. Non ci uccideranno.” disse lui con voce sicura.

“Capirai. Lo hanno già fatto. Non ho più la mia vita. Tutto è cambiato in poche ore. Non sono più nessuno. Sono Nessuno. In così poco tempo io non esisto più.” risposi.

“Cosa sei un filosofo?” disse in tono scherzoso.

“No. Chi ero non importa, ora rimane da sapere chi sarò.” risposi io.

Lui sorrise.

“Bé almeno so per certo che parli la mia lingua estremamente bene.” disse.

Era vero. Non mi ero accorto che stavo parlando il Persiano. Ero abituato, ad Alessandria. Se non sapevi almeno due lingue non potevi andare in giro. Era impossibile conoscerle tutte ma almeno le principali erano oramai un obbligo.

“Sì, parlo il persiano ebbene.” dissi io.

Lo scafo si mosse ancor di più. Eravamo veramente partiti verso l'ignoto.

“Ebbene tu non sei persiano.” rispose lui.

Lo guardai stupito.

“Ah, no? E cosa sarei allora?” chiesi marcando di più l'accento persiano.

Rise. “Bé è abbastanza evidente che hai un accento che non è orientale. Adesso non so da ove vieni ma penso sia un accento Greco.” disse lui.

Risi anch'io. “Mi sbaglio per caso?” aggiunse lui.

“No” risposi io. “Non ti sbagli.”

“Che zona della Grecia? Corinto? Sparta?”

“Atene” risposi io.

Poi passarono alcuni secondi di silenzio. Il mare non era mosso, ma potevamo sentire tutti le onde che si rompevano contro la nave. Aveva oramai preso il largo. Aveva preso velocità.

“Atene eh?” disse “Ci sono stato più di un a volta” disse in Greco.

Lo guardai attentamente in cerca di dettagli che mi permettessero di capire chi fosse costui. Non era più importante dove stavamo andando né cosa volevano farmi. Chi era costui?

“Non ci pensare troppo” disse lui.

“Te lo dirò dopo” aggiunse sorridendo.

Poi rimase solo il rumore delle onde ed il mare. 

  
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