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Autore: AilynCullen    20/07/2008    3 recensioni
Sorridere è vivere come un'onda o una foglia, accettando la sorte. È morire a una forma e rinascere a un'altra. È accettare, accettare, se stesse e il destino.
Genere: Romantico, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Prima ti tutto vorrei ringraziare tutti quelli che hanno recensito. Non sapete quanto mi faccia felice sapere che questo mio scritto vi piaccia.*-*(Ok, la smetto di saltellare per la stanza. xD). Pubblico il secondo capitolo e già dal titolo si può capire cosa succederà. Spero che non vi deluda e che continui a piacervi come il primo. ^-^

P.S. Per Helen Cullen. Ma sai che per quella scena ho riso sola per parecchio tempo perchè continuavo ad immaginarmi Charlie che spara a Edward e lui che schiva il proiettile alla Neo di Matrix. Un flashback molto Bella Swan. xD

 

 

2 - IL MATRIMONIO

 

Era l’ultimo giorno di luglio, il cielo era coperto da nuvole fitte che preannunciavano la solita pioggia. Mi alzai controvoglia dal mio caldo giaciglio, Edward era lì accanto a me. Sorrise. Mi abbracciò e corsi in bagno a sistemarmi. Quella mattina avevamo le prove del matrimonio in chiesa. Che sciocchezza, ripetevo nervosamente dentro di me, fare le prove del matrimonio, come se uno non sapesse cosa fare quel giorno. Credo che  tutti conoscano a memoria le parole di quel rito oramai ascoltato, letto e ripetuto nei secoli.

Rientrai in camera mia pronta per la giornata. Scesi dalle scale e mi avviai in cucina, Charlie leggeva un giornale, aveva già preparato una tazza di caffè-latte per me e una di solo caffè per lui, accompagnati da un caldo cornetto alla crema.

«Sei stato al bar, a cosa si deve tutto questo?», chiesi incuriosita a Charlie.

«Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere…», rispose senza distogliere lo sguardo dal giornale.

«Grazie papà», replicai senza aggiungere altro, poi mi sedetti a gustare la mia colazione.

Pochi minuti dopo il trillo del campanello risuonò per tutta la casa.

«Edward è arrivato, io vado. Ci vediamo a pranzo».

Scivolai fuori casa e richiusi la porta.

Salii nella Volvo di Edward e mi accucciai accanto a lui. Nel frattempo la pioggia prevista era arrivata, veloce, come una raffica, sempre più forte.

«Speriamo che il giorno del matrimonio non piova…mai vista un’estate così altalenante…», sbuffai mentre guardavo ipnotizzata le gocce di pioggia sul finestrino dell’auto.

«Alice ha detto che non pioverà, sarà nuvoloso, certo sarebbe stato un bel problema se ci fosse stato il sole, molto peggio della pioggia, non credi?», disse Edward sorridendo.

Non ci avevo pensato, come in un flashback vidi tutti gli invitati umani sbalorditi di fronte allo scintillio del corpo di Edward e di tutta la sua famiglia. «Un vero problema avremmo dovuto rimandare il matrimonio, ma suppongo che Alice sapesse già che sarebbe andato tutto per il verso giusto, vero?»

«In effetti, prima di decidere per il 13 avevo chiesto ad Alice, non potevamo rischiare di farci scoprire».

«Pensa, se non me lo avessi fatto notare neanche ci avevo pensato, tutto il trambusto di questi giorni mi tiene troppo occupata per pensare».

«Siamo arrivati…», disse improvvisamente Edward.

Per i miei gusti la chiesa era enorme, avrei preferito una chiesetta di campagna, più piccola e nascosta, ma ancora una volta aveva vinto Alice, ed eccomi qui davanti alla First Baptist Church, talmente immensa che all’interno sembrerò un puntino bianco in mezzo al nulla. Grandissima. Continuavo a ripetermi.

Entrammo nell’immenso atrio. Il tragitto fino all’altare mi sembrò ancora più lungo rispetto alla mia prima visita. Mi girava la testa.

Il parroco si avvicinò a noi, un uomo anziano, dai folti capelli bianchi e un sorriso così dolce da penetrarti l’anima, due guance di un rosso acceso come due pomodori e due piccoli occhi grigio-azzurri che spiccavano dietro un paio di occhiali troppo grandi.

Ci accolse con un abbraccio che mi fece dimenticare il mio disagio di fronte all’enorme chiesa.

«Le damigelle e il testimone dello sposo sono già arrivati…aspettavamo solo voi», disse indicandomi i quattro puntini vicino all’altare della chiesa.

Alice, Rosalie, Angela ed Emmett discutevano allegramente. Chissà forse Emmett aveva fatto una delle sue battutine sulla mia espressione stralunata…si notava tanto?

Il parroco, Don Angelo, un nome che gli calzava a pennello, prese parola.

«Ovviamente, come già sapete le damigelle anticipano l’ingresso della sposa in chiesa, una volta arrivate all’altare vi disporrete alla mia destra, lo sposo starà, alla mia sinistra col testimone, la sposa farà il suo ingresso accompagnata dal padre che poi ovviamente la lascerà nelle mani del futuro marito…», disse con tono serio mentre io continuavo a ripetermi che quelle prove erano una sciocchezza, le sapevo già tutte queste cose.

«Ragazzi miei, vorrei sapere se avete intenzione di preparare un discorso per il matrimonio», chiese il parroco fissandomi da dietro le spesse lenti degli occhiali.

Una pugnalata, discorso aveva detto proprio quella parola, un altro giramento di testa e fu di nuovo tutto buio.

«Bella! Bella!»

Sentivo nuovamente quella voce vellutata che mi chiamava con preoccupazione, ma vedevo solo il buio attorno a me, cosa mi stava succedendo? Mi svegliai come da un lungo sonno, ricordavo quella sensazione, a casa mia, quel fine settimana, ero svenuta un’altra volta.

«Sarà lo stress del matrimonio».

Udii la voce di Angela nelle orecchie. Poi fu di nuovo luce.

«Sto bene», dissi rivolgendomi a tutti con un sorriso, «come dice Angela, solo stress».

«Sarà stata l’idea del discorso a farla svenire», ridacchiò Emmett.

«Sciocchezze…», ribattei io, «non sono tipo da svenire per così poco, posso benissimo preparare un discorso per il matrimonio», dissi senza neanche accorgermi che mi ero rovinata con le mie stesse mani.

«Certo, certo», ridacchiò nuovamente Emmett.

«Bella, amore, non devo fare il discorso solo perché Emmett ti prende in giro, se non te la senti non importa».

«No, va bene così», risposi e mi rialzai in piedi.

«Lo sai vero che dovrai pronunciarlo davanti a più di cento persone?», chiese Edward preoccupato.

«Potresti svenire di nuovo…», sentenziò Emmett.

Cento persone, la chiesa immensa dove la mia voce avrebbe rimbombato come un eco sempre più forte.

«C’è la posso fare del resto non saranno le uniche parole che dovrò dire durante il matrimonio, quindi c’è la farò».

«Certo Bella, però ora andiamo, ti porto in ospedale», disse Edward prendendomi in braccio.

«Perché io sto bene!», urlai.

«Dobbiamo capire da cosa dipendono questi svenimenti, non vorrai cadere a terra come una pera cotta il giorno del matrimonio vero?», chiese lui con quel suo sorriso sghembo al quale non potevo dare una risposta negativa.

«Solo stress, vedrai che se mi riposo in questi giorni non accadrà più».

«Certo, ma lascialo decidere ai dottori».

Aveva vinto lui, non riuscii a convincerlo che stavo bene e ben presto mi ritrovai nel pronto soccorso dell’ospedale.

Credo di non aver mai fatto tante analisi ed esami come quel giorno, colpa della preoccupazione eccessiva di Edward e della presenza di Carlisle che non volle lasciare niente al caso. Dovetti sottopormi persino ad una tac alla testa. Ma che gli saltava in mente?

Entro nove giorni Carlisle avrebbe saputo dirmi i risultati delle analisi, ma c’era qualcosa che non andava, mi accorsi solo in quel momento che il viso di Edward che fino a prima del mio svenimento era stato rilassato e felice ora era preoccupato.

«Cosa ha visto Alice?», chiesi. Sapevo che era quella la domanda che dovevo fare, inutile aspettare nove giorno loro sapevano la risposta, dal momento stesso in cui ero svenuta.

«Niente…», rispose senza distogliere lo sguardo dalla strada.

«Edward, non ritieni inutile nascondermi qualcosa che già si conosce, e che comunque saprò fra nove giorni?»

«Le previsioni di Alice non sono sempre esatte, meglio aspettare nove giorni».

«Aspettare per cosa? Voglio sapere, si tratta di me, devi dirmelo».

«D’accordo», disse in tono arrendevole, «Alice ha visto che hai un tumore al cervello, solo quattro mesi di vita».

Cercai di assimilare le parole, ma non ero preoccupata, al contrario mi sentivo come sollevata. Un destino che già avevo scelto.

«Qual è il problema Edward? In fondo è meglio così, avevo già scelto di morire, il mio destino mi sta solo dicendo che la strada che ho intrapreso assieme a te è quella giusta».

Gli occhi di Edward divennero ancora più chiari, come se potessi vedere attraverso. Sorrise, ma di un sorriso cupo.

«Questa volta non avrei potuto salvarti, l’unica cosa contro cui io non avrei mai potuto fare nulla, un nemico dentro al tuo corpo».

«No ti sbagli, perché questo nemico non mi ucciderà, tu mi darai la nuova vita che avevamo già progettato. Stavolta, questo è l’unico modo che hai di salvarmi. Sarà tutto più semplice. Anche per Charlie e Renée. Non si può combattere il destino».

Quella notizia invece di rattristarmi mi rese inaspettatamente felice, sapevo che Edward aveva sperato che io cambiassi idea e rimanessi umana ancora per più tempo, ma ora che le cose erano cambiate, ora che la mia vita era appesa ad un filo, non si poteva più rimandare. Presto sarei diventata una vampira.

«Cosa farai con i tuoi genitori? Dirai loro della tua malattia?», chiese Edward fissandomi negli occhi.

«Stavo pensando di non dire loro nulla. Scriverò una lettera e chiederò a Carlisle di consegnarla ai miei genitori subito dopo la mia partenza. Lui poi spiegherà loro della mia malattia e della mia scelta di vivere gli ultimi mesi di vita, felice assieme all’uomo che ho sposato».

I tempi si accorciano, le ore scorrono veloci come in un lampo, i giorni passano ed è già il 10 agosto.

Mia madre sarebbe arrivata nel giro di qualche ora, mentre io mi dirigevo in ospedale, Carlisle voleva spiegarmi tutti i dettagli della mia malattia, anche se a me non servivano, lui mi aveva chiesto di andarci comunque.

«Buongiorno Carlisle», dissi mentre il dottore mi invitata a sedermi sulla sedia di fronte a lui.

«Sai, Bella, credo di aver trovato la risposta al perché tu attiri guai mortali così spesso».

Lo guardai stupita, «davvero?»

«Ora ti spiego. Io credo che tu saresti dovuta morire molto prima, forse chissà quel giorno quando Edward ha impedito che Tyler ti investisse. In pratica non ci doveva essere nessuno a salvarti, perché in natura Edward non esiste più. In un certo senso salvandoti ha creato uno squilibrio nel naturale corso degli eventi. Quando Alice mi ha detto che vedeva questa nostra conversazione, nella quale io ti parlavo del tuo tumore al cervello, mi sono ricordato che quella volta quando James ti aveva ridotta in fin di vita avevamo fatto delle lastre. Bella da quelle lastre non c’è la minima traccia di un tumore. Eppure tu oggi hai nel cervello una massa che per raggiungere quelle dimensioni ci mette degli anni», disse mentre guardava fisso le lastre esposte nella stanza.

Rimasi sbalordita a fissarlo incredula delle sue parole.

«Certo la mia è solo una teoria, ma i fatti e tutti i guai che ti sono capitati sembrano convalidarla», aggiunse aspettando una mia reazione.

«Credo di aver compreso», dissi mentre mi alzavo dalla sedia, «fino a pochi giorni fa credevo fermamente che non si potesse nulla contro il destino. Oggi, invece so che io sconfiggerò questo suo gioco. Che sciocco a non tenere in conto i vampiri», dissi mentre con il sorriso dipinto sulle labbra feci al dottore una domanda che giurerei si aspettava. «Oltre agli svenimenti cos’altro comporta questa malattia?».

 «Gli svenimenti sono solo il primo stadio, non ti so dire quando, ma molto presto, comincerai ad avere problemi a fare qualsiasi cosa, a camminare, a mangiare, persino a parlare».

«Quel giorno non arriverà mai, non permetterò a questa malattia di ridurmi un vegetale, chiederò a Edward di trasformarmi subito dopo il matrimonio», dissi mentre aprivo la porta e lasciavo lo studio di Carlisle.

Ad aspettarmi fuori dall’ospedale c’era Edward appoggiato alla sua Volvo grigia.

«Allora cosa ti ha detto Carlisle?», chiese mentre si avvicinava per baciare le mie labbra.

«Come se tu già non lo sapessi…», risposi sfiorando le sue labbra e perdendomi nell’estasi di quel momento.

«Prossima fermata: aeroporto!», disse prendendomi in braccio e infilandomi nell’auto.

«Non c’era bisogno di prendermi in braccio non sono un’invalida», sbuffai mentre scivolava silenzioso al posto di guida. Sentii chiaramente una risatina.

Arrivammo all’aeroporto nello stesso istante in cui Phil e Renée scendevano al terminal. Mia madre mi corse incontro abbracciandomi, Phil da dietro a lei ancora con le stampelle ma senza l’ingessatura mi accolse con un caloroso sorriso.

Salimmo tutti sulla Volvo di Edward che per l’occasione limitò la velocità della sua guida. Phil e Renée alloggiavano in un Hotel, ma come era prevedibile mia madre non aveva intenzione certo di riposare dal viaggio o di attendere oltre per vedere l’abito, la chiesa e tutto quello che Alice aveva organizzato per noi. Dove aveva preso mia madre tutta quell’insolita gioia?

Edward ci fece da chaperon mentre Phil si concesse il meritato riposo.

Quando rientrammo in hotel erano già le nove di sera.

«Ragazzi vi va di fermarvi a mangiare qui con noi stasera?», chiese mia madre mentre l’ascensore saliva al terzo piano.

«Mi spiace signora ma io devo rifiutare l’invito, purtroppo ho un impegno a cui non posso sottrarmi», si scusò Edward.

«Mi spiace Edward, e tu Bella?», chiese mia madre con tono implorante.

«Io ci sarò di certo, non ho altri impegni, devo solo avvertire Charlie».

«Perfetto».

Quella sera il tempo passò in fretta, e un’altra volta mi accorsi che era già arrivato il 13 agosto come se fossi stata sobbalzata nel futuro improvvisamente, senza rendermene conto. Ero nella mia stanza, davanti allo specchio, con me c’erano Alice e  Renée. Indossavo quell’abito bianco che oramai avevo visto tante volte, Alice mi aveva pettinato i capelli lasciandoli morbidi con delle piccole onde arricciate alle punte mentre un piccolo fermaglio con delle roselline bianche e una blu mi afferrava delle piccole ciocche dietro la nuca.

L’anello di Edward splendeva nella mia mano. «Qualcosa di vecchio», disse Alice, poi prese un paio di orecchini di perle, «qualcosa di prestato».

Mia madre invece mi regalò una collana con un piccolo brillante, qualcosa di nuovo.

Tutto era pronto. Con il cuore che mi rimbalzava in gola come se stessi correndo chissà quale maratona arrivai davanti alla porta della chiesa.

Charlie aveva indosso un impeccabile vestito scuro, con la cravatta non sembrava neanche lui. Sorrisi.

Mio padre mi diede un delicato bacio sulla guancia e con gli occhi pieni di lacrime facemmo il nostro ingresso in chiesa. Ora la distanza mi sembrava così insignificante. Gli occhi di Edward fissi su di me, brillavano mentre passo dopo passo mi avvicinavo a lui. Lo fissavo cercando di imprimere la sua immagine nella mia mente, l’abito nero non troppo elegante e la camicia bianca gli davano un’aria più adulta, era la prima volta che lo vedevo vestito così. Risi. Era bellissimo.

Presi tremando la mano di Edward. Eravamo di fronte al parroco.

Quando arrivò il momento del discorso pensai di potermi dimenticare tutto ma le parole uscirono da sole come un tornado.

«Tutte le persone qui presenti sanno, quando tutto questo mi imbarazzi, quanto avrei preferito evitare questo discorso, ma in questo giorno, in questo preciso momento voglio poter gridare a tutti, al mondo intero, il mio amore per te. Voglio che tutti conoscano la profondità del mio sentimento. Rubando le parole di Pablo Neruda:

T'amo senza sapere come, ne' quando ne' da dove,
t'amo direttamente senza problemi ne' orgoglio:
cosi' ti amo perche' non so amare altrimenti
che cosi', in questo modo in cui non sono e non sei,
cosi' vicino che la tua mano sul mio petto e' mia,
cosi' vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno
».

Nell’immenso atrio della chiesa il silenzio più assoluto, sembrava persino che avessero dimenticato di respirare, finché non fu Edward a parlare.

«Ti amo Bella, la mia stessa esistenza non avrebbe senso se tu non ci fossi. Quando mi sei apparsa la prima volta, in quello stesso istante hai acceso una fiamma dentro di me, non ero più in grado di ragionare razionalmente. Tutto era incentrato su di te, nei miei pensieri, accanto a me, per l’eternità, non potevo immaginare nessun altra che non fossi tu. Ti amo…e ti amerò in eterno.»

Le lacrime scendevano senza controllo lungo le guance, mai avrei pensato che il mio matrimonio mi avrebbe resa così felice. La gioia che provavo in quel momento non era paragonabile a niente. Come se il resto delle persone non fossero presenti, come se in quella chiesa ci fossimo solo io e lui, Bella e Edward, le nostre labbra si sfiorarono e un applauso scaturì dal nulla.

La festa continuò a casa Cullen dove per l’occasione il salone era stato trasformato in sala ricevimenti. Da ogni parte tutti ci facevano gli auguri, Angela scoppiò in lacrime per l’ennesima volta, Alice saltellava di qua e di là come una libellula, Carlisle e Esme chiacchieravano assieme ai miei genitori e a Phil. Tutto era perfetto, come una tela dipingevo nella mia mente ogni singolo dettaglio di quel giorno, ogni piccolo gesto, tutti i volti familiari che in quei due anni avevo imparato ad amare. Forks, la cittadina che aveva cambiato la mia vita per sempre.

Nel giro di poche ore tutto era terminato, gli invitati erano spariti e la grande casa ora sembrava deserta, solo la mia famiglia e quella di Edward riempiva ancora l’aria col suono delle loro voci.

«Bella, Edward, tutta la famiglia ha pensato che stanotte vorrete sicuramente rimanere soli, così insomma, la casa è vostra, noi andremo in qualche hotel», disse Carlisle mentre mio padre ascoltava con attenzione.

Mia madre, Phil, Charlie e tutti i Cullen a poco a poco svanirono dietro la grande porta d’entrata. Ora eravamo soli.

Mi voltai a guardare Edward e gli buttai le braccia al collo.

«Mio caro marito, che ne dici se ci ritirassimo nelle nostre stanze», dissi in tono ironico.

«Come desidera mia dolce consorte», rispose ed entrambi scoppiammo a ridere come matti mentre salivamo la scala che ci conduceva nella camera di Edward, l’unica che avesse un letto.

I raggi della luna entravano come piccole fiaccole di luce argentea nella stanza buia, rendendo quel momento ancora più romantico.

Edward mi cinse in un abbraccio e mi baciò le labbra, con passione, senza più problemi, senza timore di farmi male. Avvertivo le sue mani fredde accarezzarmi il collo e scivolare lungo la schiena fino ad incontrare la cerniera dell’abito nuziale. In un attimo anche le mie mani risposero e iniziai a sfilargli la giacca e a sbottonare la camicia.

Il mio respiro e i battiti del mio cuore andavano all’unisono mentre le labbra di Edward baciavano il mio corpo, ogni suo bacio un fremito, come un turbine che mi avvolgeva, e portava via con se ogni piccolo frammento di razionalità. Sentivo le sue mani sulla mia pelle, il suo corpo sul mio corpo, e in breve fummo una sola cosa. Un breve attimo di dolore e poi il culmine del piacere. Non potevo in alcun modo descrivere ciò che provavo in quel momento, tanti aggettivi mi morivano in gola. E’ questa quella che chiamano la magia del vero amore.

  
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