Note: Prima ti tutto vorrei ringraziare
tutti quelli che
hanno recensito. Non sapete quanto mi faccia felice sapere che questo
mio
scritto vi piaccia.*-*(Ok, la smetto di saltellare per la stanza. xD).
Pubblico
il secondo capitolo e già dal titolo si può
capire cosa succederà. Spero che
non vi deluda e che continui a piacervi come il primo. ^-^
P.S. Per Helen Cullen. Ma sai che
per quella scena ho riso sola per parecchio tempo perchè
continuavo ad
immaginarmi Charlie che spara a Edward e lui che schiva il proiettile
alla Neo
di Matrix. Un flashback molto Bella Swan. xD
2
- IL MATRIMONIO
Era
l’ultimo giorno di
luglio, il cielo era coperto da nuvole fitte che preannunciavano la
solita
pioggia. Mi alzai controvoglia dal mio caldo giaciglio, Edward era
lì accanto a
me. Sorrise. Mi abbracciò e corsi in bagno a sistemarmi.
Quella mattina avevamo
le prove del matrimonio in chiesa. Che
sciocchezza, ripetevo nervosamente dentro di me, fare le
prove del
matrimonio, come se uno non sapesse cosa fare quel giorno. Credo che tutti conoscano a memoria
le parole di quel
rito oramai ascoltato, letto e ripetuto nei secoli.
Rientrai
in camera mia pronta
per la giornata. Scesi dalle scale e mi avviai in cucina, Charlie
leggeva un
giornale, aveva già preparato una tazza di
caffè-latte per me e una di solo
caffè per lui, accompagnati da un caldo cornetto alla crema.
«Sei
stato al bar, a cosa si
deve tutto questo?», chiesi incuriosita a Charlie.
«Ho
pensato che ti avrebbe
fatto piacere…», rispose senza distogliere lo
sguardo dal giornale.
«Grazie
papà», replicai senza
aggiungere altro, poi mi sedetti a gustare la mia colazione.
Pochi
minuti dopo il trillo
del campanello risuonò per tutta la casa.
«Edward
è arrivato, io vado.
Ci vediamo a pranzo».
Scivolai
fuori casa e
richiusi la porta.
Salii
nella Volvo di Edward e
mi accucciai accanto a lui. Nel frattempo la pioggia prevista era
arrivata,
veloce, come una raffica, sempre più forte.
«Speriamo
che il giorno del
matrimonio non piova…mai vista un’estate
così altalenante…», sbuffai mentre
guardavo ipnotizzata le gocce di pioggia sul finestrino
dell’auto.
«Alice
ha detto che non
pioverà, sarà nuvoloso, certo sarebbe stato un
bel problema se ci fosse stato
il sole, molto peggio della pioggia, non credi?», disse
Edward sorridendo.
Non
ci avevo pensato, come in
un flashback vidi tutti gli invitati umani sbalorditi di fronte allo
scintillio
del corpo di Edward e di tutta la sua famiglia. «Un vero
problema avremmo
dovuto rimandare il matrimonio, ma suppongo che Alice sapesse
già che sarebbe
andato tutto per il verso giusto, vero?»
«In
effetti, prima di
decidere per il 13 avevo chiesto ad Alice, non potevamo rischiare di
farci
scoprire».
«Pensa,
se non me lo avessi
fatto notare neanche ci avevo pensato, tutto il trambusto di questi
giorni mi
tiene troppo occupata per pensare».
«Siamo
arrivati…», disse
improvvisamente Edward.
Per
i miei gusti la chiesa
era enorme, avrei preferito una chiesetta di campagna, più
piccola e nascosta,
ma ancora una volta aveva vinto Alice, ed eccomi qui davanti alla First
Baptist
Church, talmente immensa che all’interno sembrerò
un puntino bianco in mezzo al
nulla. Grandissima. Continuavo a
ripetermi.
Entrammo
nell’immenso atrio.
Il tragitto fino all’altare mi sembrò ancora
più lungo rispetto alla mia prima
visita. Mi girava la testa.
Il
parroco si avvicinò a noi,
un uomo anziano, dai folti capelli bianchi e un sorriso così
dolce da
penetrarti l’anima, due guance di un rosso acceso come due
pomodori e due
piccoli occhi grigio-azzurri che spiccavano dietro un paio di occhiali
troppo
grandi.
Ci
accolse con un abbraccio
che mi fece dimenticare il mio disagio di fronte all’enorme
chiesa.
«Le
damigelle e il testimone
dello sposo sono già arrivati…aspettavamo solo
voi», disse indicandomi i
quattro puntini vicino all’altare della chiesa.
Alice,
Rosalie, Angela ed
Emmett discutevano allegramente. Chissà forse Emmett aveva
fatto una delle sue
battutine sulla mia espressione stralunata…si
notava tanto?
Il
parroco, Don Angelo, un
nome che gli calzava a pennello, prese parola.
«Ovviamente,
come già sapete
le damigelle anticipano l’ingresso della sposa in chiesa, una
volta arrivate
all’altare vi disporrete alla mia destra, lo sposo
starà, alla mia sinistra col
testimone, la sposa farà il suo ingresso accompagnata dal
padre che poi
ovviamente la lascerà nelle mani del futuro
marito…», disse con tono serio
mentre io continuavo a ripetermi che quelle prove erano una
sciocchezza, le
sapevo già tutte queste cose.
«Ragazzi
miei, vorrei sapere
se avete intenzione di preparare un discorso per il
matrimonio», chiese il
parroco fissandomi da dietro le spesse lenti degli occhiali.
Una
pugnalata, discorso aveva detto
proprio quella
parola, un altro giramento di testa e fu di nuovo tutto buio.
«Bella!
Bella!»
Sentivo
nuovamente quella
voce vellutata che mi chiamava con preoccupazione, ma vedevo solo il
buio
attorno a me, cosa mi stava succedendo? Mi svegliai come da un lungo
sonno,
ricordavo quella sensazione, a casa mia, quel fine settimana, ero
svenuta
un’altra volta.
«Sarà
lo stress del
matrimonio».
Udii
la voce di Angela nelle
orecchie. Poi fu di nuovo luce.
«Sto
bene», dissi
rivolgendomi a tutti con un sorriso, «come dice Angela, solo
stress».
«Sarà
stata l’idea del
discorso a farla svenire», ridacchiò Emmett.
«Sciocchezze…»,
ribattei io,
«non sono tipo da svenire per così poco, posso
benissimo preparare un discorso
per il matrimonio», dissi senza neanche accorgermi che mi ero
rovinata con le
mie stesse mani.
«Certo,
certo», ridacchiò
nuovamente Emmett.
«Bella,
amore, non devo fare
il discorso solo perché Emmett ti prende in giro, se non te
la senti non
importa».
«No,
va bene così», risposi e
mi rialzai in piedi.
«Lo
sai vero che dovrai
pronunciarlo davanti a più di cento persone?»,
chiese Edward preoccupato.
«Potresti
svenire di nuovo…»,
sentenziò Emmett.
Cento
persone, la chiesa
immensa dove la mia voce avrebbe rimbombato come un eco sempre
più forte.
«C’è
la posso fare del resto
non saranno le uniche parole che dovrò dire durante il
matrimonio, quindi c’è la
farò».
«Certo
Bella, però ora
andiamo, ti porto in ospedale», disse Edward prendendomi in
braccio.
«Perché
io sto bene!», urlai.
«Dobbiamo
capire da cosa
dipendono questi svenimenti, non vorrai cadere a terra come una pera
cotta il
giorno del matrimonio vero?», chiese lui con quel suo sorriso
sghembo al quale
non potevo dare una risposta negativa.
«Solo
stress, vedrai che se
mi riposo in questi giorni non accadrà
più».
«Certo,
ma lascialo decidere
ai dottori».
Aveva
vinto lui, non riuscii
a convincerlo che stavo bene e ben presto mi ritrovai nel pronto
soccorso
dell’ospedale.
Credo
di non aver mai fatto
tante analisi ed esami come quel giorno, colpa della preoccupazione
eccessiva
di Edward e della presenza di Carlisle che non volle lasciare niente al
caso.
Dovetti sottopormi persino ad una tac alla testa. Ma che gli saltava in
mente?
Entro
nove giorni Carlisle
avrebbe saputo dirmi i risultati delle analisi, ma c’era
qualcosa che non
andava, mi accorsi solo in quel momento che il viso di Edward che fino
a prima
del mio svenimento era stato rilassato e felice ora era preoccupato.
«Cosa
ha visto Alice?»,
chiesi. Sapevo che era quella la domanda che dovevo fare, inutile
aspettare
nove giorno loro sapevano la risposta, dal momento stesso in cui ero
svenuta.
«Niente…»,
rispose senza
distogliere lo sguardo dalla strada.
«Edward,
non ritieni inutile
nascondermi qualcosa che già si conosce, e che comunque
saprò fra nove giorni?»
«Le
previsioni di Alice non
sono sempre esatte, meglio aspettare nove giorni».
«Aspettare
per cosa? Voglio
sapere, si tratta di me, devi dirmelo».
«D’accordo»,
disse in tono
arrendevole, «Alice ha visto che hai un tumore al cervello,
solo quattro mesi
di vita».
Cercai
di assimilare le
parole, ma non ero preoccupata, al contrario mi sentivo come sollevata.
Un
destino che già avevo scelto.
«Qual
è il problema Edward?
In fondo è meglio così, avevo già
scelto di morire, il mio destino mi sta solo
dicendo che la strada che ho intrapreso assieme a te è
quella giusta».
Gli
occhi di Edward divennero
ancora più chiari, come se potessi vedere attraverso.
Sorrise, ma di un sorriso
cupo.
«Questa
volta non avrei
potuto salvarti, l’unica cosa contro cui io non avrei mai
potuto fare nulla, un
nemico dentro al tuo corpo».
«No
ti sbagli, perché questo
nemico non mi ucciderà, tu mi darai la nuova vita che
avevamo già progettato. Stavolta,
questo è l’unico modo che hai di salvarmi.
Sarà tutto più semplice. Anche per
Charlie e Renée. Non si può combattere il
destino».
Quella
notizia invece di
rattristarmi mi rese inaspettatamente felice, sapevo che Edward aveva
sperato
che io cambiassi idea e rimanessi umana ancora per più
tempo, ma ora che le
cose erano cambiate, ora che la mia vita era appesa ad un filo, non si
poteva
più rimandare. Presto sarei diventata una vampira.
«Cosa
farai con i tuoi
genitori? Dirai loro della tua malattia?», chiese Edward
fissandomi negli
occhi.
«Stavo
pensando di non dire
loro nulla. Scriverò una lettera e chiederò a
Carlisle di consegnarla ai miei
genitori subito dopo la mia partenza. Lui poi spiegherà loro
della mia malattia
e della mia scelta di vivere gli ultimi mesi di vita, felice assieme
all’uomo
che ho sposato».
I
tempi si accorciano, le ore
scorrono veloci come in un lampo, i giorni passano ed è
già il 10 agosto.
Mia
madre sarebbe arrivata
nel giro di qualche ora, mentre io mi dirigevo in ospedale, Carlisle
voleva
spiegarmi tutti i dettagli della mia malattia, anche se a me non
servivano, lui
mi aveva chiesto di andarci comunque.
«Buongiorno
Carlisle», dissi
mentre il dottore mi invitata a sedermi sulla sedia di fronte a lui.
«Sai,
Bella, credo di aver
trovato la risposta al perché tu attiri guai mortali
così spesso».
Lo
guardai stupita,
«davvero?»
«Ora
ti spiego. Io credo che
tu saresti dovuta morire molto prima, forse chissà quel
giorno quando Edward ha
impedito che Tyler ti investisse. In pratica non ci doveva essere
nessuno a
salvarti, perché in natura Edward non esiste più.
In un certo senso salvandoti
ha creato uno squilibrio nel naturale corso degli eventi. Quando Alice
mi ha
detto che vedeva questa nostra conversazione, nella quale io ti parlavo
del tuo
tumore al cervello, mi sono ricordato che quella volta quando James ti
aveva
ridotta in fin di vita avevamo fatto delle lastre. Bella da quelle
lastre non
c’è la minima traccia di un tumore. Eppure tu oggi
hai nel cervello una massa
che per raggiungere quelle dimensioni ci mette degli anni»,
disse mentre
guardava fisso le lastre esposte nella stanza.
Rimasi
sbalordita a fissarlo
incredula delle sue parole.
«Certo
la mia è solo una
teoria, ma i fatti e tutti i guai che ti sono capitati sembrano
convalidarla»,
aggiunse aspettando una mia reazione.
«Credo
di aver compreso»,
dissi mentre mi alzavo dalla sedia, «fino a pochi giorni fa
credevo fermamente
che non si potesse nulla contro il destino. Oggi, invece so che io
sconfiggerò
questo suo gioco. Che sciocco a non tenere in conto i
vampiri», dissi mentre
con il sorriso dipinto sulle labbra feci al dottore una domanda che
giurerei si
aspettava. «Oltre agli svenimenti cos’altro
comporta questa malattia?».
«Gli svenimenti
sono solo il primo stadio, non
ti so dire quando, ma molto presto, comincerai ad avere problemi a fare
qualsiasi cosa, a camminare, a mangiare, persino a parlare».
«Quel
giorno non arriverà
mai, non permetterò a questa malattia di ridurmi un
vegetale, chiederò a Edward
di trasformarmi subito dopo il matrimonio», dissi mentre
aprivo la porta e
lasciavo lo studio di Carlisle.
Ad
aspettarmi fuori
dall’ospedale c’era Edward appoggiato alla sua
Volvo grigia.
«Allora
cosa ti ha detto
Carlisle?», chiese mentre si avvicinava per baciare le mie
labbra.
«Come
se tu già non lo
sapessi…», risposi sfiorando le sue labbra e
perdendomi nell’estasi di quel
momento.
«Prossima
fermata:
aeroporto!», disse prendendomi in braccio e infilandomi
nell’auto.
«Non
c’era bisogno di prendermi
in braccio non sono un’invalida», sbuffai mentre
scivolava silenzioso al posto
di guida. Sentii chiaramente una risatina.
Arrivammo
all’aeroporto nello
stesso istante in cui Phil e Renée scendevano al terminal.
Mia madre mi corse
incontro abbracciandomi, Phil da dietro a lei ancora con le stampelle
ma senza
l’ingessatura mi accolse con un caloroso sorriso.
Salimmo
tutti sulla Volvo di
Edward che per l’occasione limitò la
velocità della sua guida. Phil e Renée
alloggiavano in un Hotel, ma come era prevedibile mia madre non aveva
intenzione certo di riposare dal viaggio o di attendere oltre per
vedere
l’abito, la chiesa e tutto quello che Alice aveva organizzato
per noi. Dove aveva preso mia madre tutta
quell’insolita gioia?
Edward
ci fece da chaperon
mentre Phil si concesse il meritato riposo.
Quando
rientrammo in hotel
erano già le nove di sera.
«Ragazzi
vi va di fermarvi a
mangiare qui con noi stasera?», chiese mia madre mentre
l’ascensore saliva al
terzo piano.
«Mi
spiace signora ma io devo
rifiutare l’invito, purtroppo ho un impegno a cui non posso
sottrarmi», si
scusò Edward.
«Mi
spiace Edward, e tu
Bella?», chiese mia madre con tono implorante.
«Io
ci sarò di certo, non ho
altri impegni, devo solo avvertire Charlie».
«Perfetto».
Quella
sera il tempo passò in
fretta, e un’altra volta mi accorsi che era già
arrivato il 13 agosto come se
fossi stata sobbalzata nel futuro improvvisamente, senza rendermene
conto. Ero
nella mia stanza, davanti allo specchio, con me c’erano Alice
e Renée.
Indossavo quell’abito bianco che
oramai avevo visto tante volte, Alice mi aveva pettinato i capelli
lasciandoli
morbidi con delle piccole onde arricciate alle punte mentre un piccolo
fermaglio con delle roselline bianche e una blu mi afferrava delle
piccole
ciocche dietro la nuca.
L’anello
di Edward splendeva
nella mia mano. «Qualcosa di vecchio», disse Alice,
poi prese un paio di
orecchini di perle, «qualcosa di prestato».
Mia
madre invece mi regalò una
collana con un piccolo brillante,
qualcosa di nuovo.
Tutto
era pronto. Con il
cuore che mi rimbalzava in gola come se stessi correndo
chissà quale maratona
arrivai davanti alla porta della chiesa.
Charlie
aveva indosso un
impeccabile vestito scuro, con la cravatta non sembrava neanche lui.
Sorrisi.
Mio
padre mi diede un delicato
bacio sulla guancia e con gli occhi pieni di lacrime facemmo il nostro
ingresso
in chiesa. Ora la distanza mi sembrava così insignificante.
Gli occhi di Edward
fissi su di me, brillavano mentre passo dopo passo mi avvicinavo a lui.
Lo
fissavo cercando di imprimere la sua immagine nella mia mente,
l’abito nero non
troppo elegante e la camicia bianca gli davano un’aria
più adulta, era la prima
volta che lo vedevo vestito così. Risi. Era bellissimo.
Presi
tremando la mano di
Edward. Eravamo di fronte al parroco.
Quando
arrivò il momento del
discorso pensai di potermi dimenticare tutto ma le parole uscirono da
sole come
un tornado.
«Tutte
le persone qui
presenti sanno, quando tutto questo mi imbarazzi, quanto avrei
preferito
evitare questo discorso, ma in questo giorno, in questo preciso momento
voglio
poter gridare a tutti, al mondo intero, il mio amore per te. Voglio che
tutti
conoscano la profondità del mio sentimento. Rubando le
parole di Pablo Neruda:
T'amo senza sapere come, ne' quando
ne'
da dove,
t'amo direttamente senza problemi ne' orgoglio:
cosi' ti amo perche' non so amare altrimenti
che cosi', in questo modo in cui non sono e non sei,
cosi' vicino che la tua mano sul mio petto e' mia,
cosi' vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno».
Nell’immenso
atrio della
chiesa il silenzio più assoluto, sembrava persino che
avessero dimenticato di
respirare, finché non fu Edward a parlare.
«Ti
amo Bella, la mia stessa
esistenza non avrebbe senso se tu non ci fossi. Quando mi sei apparsa
la prima
volta, in quello stesso istante hai acceso una fiamma dentro di me, non
ero più
in grado di ragionare razionalmente. Tutto era incentrato su di te, nei
miei
pensieri, accanto a me, per l’eternità, non potevo
immaginare nessun altra che
non fossi tu. Ti amo…e ti amerò in
eterno.»
Le
lacrime scendevano senza
controllo lungo le guance, mai avrei pensato che il mio matrimonio mi
avrebbe
resa così felice. La gioia che provavo in quel momento non
era paragonabile a
niente. Come se il resto delle persone non fossero presenti, come se in
quella
chiesa ci fossimo solo io e lui, Bella e Edward, le nostre labbra si
sfiorarono
e un applauso scaturì dal nulla.
La
festa continuò a casa
Cullen dove per l’occasione il salone era stato trasformato
in sala
ricevimenti. Da ogni parte tutti ci facevano gli auguri, Angela
scoppiò in
lacrime per l’ennesima volta, Alice saltellava di qua e di
là come una
libellula, Carlisle e Esme chiacchieravano assieme ai miei genitori e a
Phil.
Tutto era perfetto, come una tela dipingevo nella mia mente ogni
singolo
dettaglio di quel giorno, ogni piccolo gesto, tutti i volti familiari
che in
quei due anni avevo imparato ad amare. Forks, la cittadina che aveva
cambiato
la mia vita per sempre.
Nel
giro di poche ore tutto
era terminato, gli invitati erano spariti e la grande casa ora sembrava
deserta, solo la mia famiglia e quella di Edward riempiva ancora
l’aria col
suono delle loro voci.
«Bella,
Edward, tutta la
famiglia ha pensato che stanotte vorrete sicuramente rimanere soli,
così
insomma, la casa è vostra, noi andremo in qualche
hotel», disse Carlisle mentre
mio padre ascoltava con attenzione.
Mia
madre, Phil, Charlie e
tutti i Cullen a poco a poco svanirono dietro la grande porta
d’entrata. Ora
eravamo soli.
Mi
voltai a guardare Edward e
gli buttai le braccia al collo.
«Mio
caro marito, che ne dici
se ci ritirassimo nelle nostre stanze», dissi in tono ironico.
«Come
desidera mia dolce
consorte», rispose ed entrambi scoppiammo a ridere come matti
mentre salivamo
la scala che ci conduceva nella camera di Edward, l’unica che
avesse un letto.
I
raggi della luna entravano
come piccole fiaccole di luce argentea nella stanza buia, rendendo quel
momento
ancora più romantico.
Edward
mi cinse in un
abbraccio e mi baciò le labbra, con passione, senza
più problemi, senza timore
di farmi male. Avvertivo le sue mani fredde accarezzarmi il collo e
scivolare
lungo la schiena fino ad incontrare la cerniera dell’abito
nuziale. In un
attimo anche le mie mani risposero e iniziai a sfilargli la giacca e a
sbottonare la camicia.
Il
mio respiro e i battiti
del mio cuore andavano all’unisono mentre le labbra di Edward
baciavano il mio
corpo, ogni suo bacio un fremito, come un turbine che mi avvolgeva, e
portava
via con se ogni piccolo frammento di razionalità. Sentivo le
sue mani sulla mia
pelle, il suo corpo sul mio corpo, e in breve fummo una sola cosa. Un
breve
attimo di dolore e poi il culmine del piacere. Non potevo in alcun modo
descrivere ciò che provavo in quel momento, tanti aggettivi
mi morivano in
gola. E’ questa quella che chiamano
la
magia del vero amore.