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Autore: Glory Of Selene    30/04/2014    0 recensioni
"Ho creduto, in verità, di amare un uomo. Un uomo e il suo sguardo. Un uomo e la sua storia, che non ho mai conosciuto. Un uomo e l’idea che ho potuto farmi di lui, osservando soltanto lo scorrere lento della sua vita davanti ai miei occhi, senza poterla mai toccare."
Una villa. Enorme, in disfacimento. Una finestra. Un prato, e la linea dell'orizzonte. Un uomo, su quel prato. Una ragazza, in quella villa. E un sogno, ricorrente...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uccidi. Uccidi, devi uccidere. Tu sei stata creata per questo, uccidere, per null’altra ragione il mondo conosce la tua esistenza. Ricordi? …Dio, no, non ricordo. Dio, aiutatemi a ricordare, io non ricordo. Come posso, con tutta questa nebbia, come potrei? Non importa, uccidi. Sì, è vero, devo uccidere. Non ho scelta, devo uccidere. Urla, ancora indistinte, si affollano nella mia testa, fanno male. Ma questa voce riesco a sentirla. Non motiva l’obiettivo che già sentivo, nel mio sangue, nel mio istinto, ma me lo pone davanti con schiacciante certezza, e questo in qualche modo mi rassicura. Vedi quel bagliore? No, come lo devo dire, come, io non vedo niente! Ombre, nient’altro che ombre! Quel bagliore lo vedi. Guarda. Vedi quel bagliore? …Sì. Sì, lo vedo. Oh, lo vedo, oh grazie, grazie, finalmente qualcosa, qualcosa che non sia nebbia, che non sia ombra… …Quello è il nemico.
 
La prima cosa che vide quando aprì gli occhi fu il profilo della luna proiettato sulla parete della sua stanza. Per una volta, non era stato il sogno a svegliarla, né lo strano rumore che proveniva dal corridoio. Come di uno scroscio d’acqua.
Realizzò di non aver mai sentito un suono simile, prima, a ridosso della propria porta, e il torpore del sonno che ancora indugiava sulla sua pelle s’infranse sul muro di quella razionale consapevolezza. Fu svelta a gettare indietro lenzuola e coperte, e a lasciar cadere le gambe dal bordo del letto, per trovare la solidità del pavimento sotto di sé.
No, non proprio. Le scappò un’esclamazione di sorpresa, attutita dalla voce ancora impastata, e balzò all’indietro, i piedi fradici. Osservò con sgomento l’allargarsi di una pozza d’acqua proprio davanti al baldacchino, lenta ma inesorabile, come se fosse il preludio di qualcosa di più grande e articolato. Non c’era il minimo dubbio riguardo alla sua provenienza: il corridoio, che continuava ad intonare la propria melodia liquida con una spensieratezza che le parve, per un istante, una chiara beffa nei confronti del suo sonno turbato.
Corse sulla soglia senza capacitarsi ancora dell’accaduto. Le sembrava più assurdo delle statue fatte di polvere. Si precipitò fuori, e fuori trovò un vero e proprio fiumiciattolo: l’acqua cristallina ormai le lambiva le caviglie. Si affrettò a sollevare l’orlo della camicia da notte ormai fradicio, e con incredulità più che con lo spavento che avrebbe forse dovuto provare cominciò ad avanzare contro la corrente. Attraverso quel corridoio identico eppure completamente diverso rispetto a quello che aveva ospitato la sua corsa terrorizzata, solo il giorno prima.
Non le piaceva quello che stava accadendo. Si aggrappava alla parete con la mano libera, che fin troppo spesso scivolava su macchie d’umidità ora perfettamente giustificate, o perdeva la presa per stringere infine soltanto qualche frammento sgretolato di carta e intonaco. Se avesse potuto scegliere sarebbe tornata indietro, avrebbe lasciato a questa casa i suoi segreti, che a quanto pareva era assai poco propensa a condividere, avrebbe aspettato un nuovo giorno con i gomiti appoggiati al davanzale e gli occhi fissi sulla rassicurante figura dell’uomo che dormiva. E invece era spinta ad andare avanti dal timore che l’inesorabilità dello scorrere dell’acqua le suscitava.
Percorse il corridoio più in fretta e più a lungo di quanto avesse fatto il giorno precedente; se anche passò davanti all’immensa sala che custodiva tutte quelle statue, non si accorse della sua porta. Fu un’altra quella davanti alla quale poté riposare, incastonata nella parete che sanciva il termine di quel cammino che doveva essere durato di più rispetto a quanto si fosse accorta. Tutte le volte che aveva provato a mettere la testa fuori dalla porta le era sembrato che s’inabissasse nel buio per chissà quanti chilometri, aveva immaginato che percorresse ogni angolo della villa, anche il più segreto, anche il più nascosto. Non c’era luogo in cui quella distesa di carta da parati ormai marcita non  portasse la propria aria di segreti stantii. E invece eccola, adesso, la parete che ne segnava la fine, l’ineluttabile limite. E una porta, naturalmente.
Si arrestò con le gambe in una piccola pozza, mentre alzava lo sguardo su ciò che aveva di fronte agli occhi. Era come se il legno ribollisse, gonfio per la rovinosa azione dell’umidità che era riuscita a deformarlo, ad incrinarlo, a sollevare ciò che ancora di buono poteva esserci, in esso. La maniglia non si trovava più, saltata via a causa della pressione che tale chiusura era costretta a sopportare. E infatti i cardini gemevano, vecchi guardiani sopiti per anni che adesso protestavano per un lavoro che avevano rinunciato da tempo a svolgere. L’acqua, quella usciva dappertutto, dai lati, dalla serratura, da sotto la porta. Chissà quanta altra ce n’era ancora, all’interno della stanza, e spingeva, terribilmente, per uscire finalmente dopo una prigionia tra le più severe.
Tutto ciò che lei si domandò, di fronte allo spettacolo della porta che, finalmente, cedeva, era l’utilità di tenere tutta quell’acqua all’interno di un’abitazione. Fu anche l’ultima cosa che riuscì effettivamente a chiedersi, perché poi, con un grido degno della miglior protagonista di una tragedia, la porta disse addio al compito e al posto che le spettava da secoli e semplicemente si lasciò cadere nell’impeto della corrente, con la grazia propria solo di chi si fa arrendevole per scelta. Lei ebbe tempo soltanto di ingoiare più aria di quanta ne avesse mai respirata prima e di provare una goccia di autentico terrore, prima di venire travolta.
Ogni cosa assunse il colore blu opaco di un fondale marino affogato nell’ombra. Le sue parole e i suoi pensieri divennero le parole e i pensieri della corrente che la trasportava, nulla di più e nulla di meno: un continuo gorgoglio che le riempiva assordante il cervello, e che le sembrava il grido di vittoria di un prigioniero liberato. Nemmeno lei stessa credeva davvero nei deboli tentativi che le proprie gambe e braccia compivano per opporsi al suo impeto, pur mettendoci gran parte del proprio impegno. Sapeva riconoscere una sconfitta, quando se la trovava davanti.
L’aria la colpì quasi quanto lo sbigottimento che provò nel respirarla ancora. Aprì gli occhi, e si vide trasportata verso quella stanza, quell’uscio ormai spalancato, che non era altro se non un’intera sala immersa d’acqua sino al soffitto. Il suo sguardo si perse nell’assurdità di quello spettacolo e, ancor di più, nella cieca paura che la sua grandezza riusciva a suscitare. Poi i flutti ebbero la meglio sull’aria, e docile si lasciò trascinare nuovamente a fondo, conscia che ormai non era più lei ad essere padrona di se stessa, ma l’elemento stesso in cui il suo povero corpo si era perso ed ora vagava alla deriva, come un relitto dalla sventurata sorte.
Una volta dentro, tutto si fece più calmo. Il gorgoglio di prima divenne una quiete ovattata che le lasciava giungere alle orecchie suoni che in superficie non sarebbero mai esistiti, e la corrente un placido fluttuare lungo vie invisibili in un blu che lei non pensava potesse assumere una sfumatura tanto assoluta. Si vide passare davanti agli occhi una porta, forse, durante il proprio percorso dovuto all’inerzia soltanto, e le sembrò un’immagine oltremodo buffa. D’altra parte, e lo considerò nel momento in cui la mancanza di aria cominciava a bruciarle nei polmoni, anche lei ad occhi esterni doveva sembrare oltremodo buffa.  Sorrise, e il freddo dell’acqua le pizzicò i denti. Qualche bollicina risalì rapida alla ricerca della superficie e i suoi polmoni si contrassero in uno spasmo più doloroso.
Non era una stupida: la sua razionalità le ripeteva con calma e proprietà di linguaggio che presto avrebbe aperto la bocca nell’impensabile tentativo di trovare dell’aria e sarebbe morta. Così, a causa di un istinto che evidentemente si rifiutava di usare un po’ di normale buonsenso. Ma era una pazza, con molte probabilità, e dunque l’idea non la sconvolse così tanto come avrebbe pensato. Sì, aveva pensato alla propria morte. Era perché ne aveva sentito parlare, anche se non si ricordava da chi. Della morte sapeva diverse cose: che era spaventosa, e che non aveva il senso dell’umorismo. In cuor suo aveva sempre pensato che in realtà fosse spaventosa proprio perché non aveva il senso dell’umorismo; ma si era sempre trattenuta dal considerarlo ad alta voce, perché sapeva anche che sulla morte non bisognava scherzare mai.
Mentre si perdeva in queste considerazioni, galleggiava, e galleggiando si accorse del fatto che la corrente dalla quale si stava lasciando trasportare esisteva perché c’era un’altra uscita rispetto a quella dalla quale era stata travolta. Doveva esserci. Tese il collo verso quella direzione, e per quanto poté iniziò la propria lotta contro i flutti. Verso quelle che le sembravano, attraverso lo schermo ingannevole dell’acqua, due ante. Di legno. Represse il desiderio di respirare, che si era fatto ancor più impellente, e nuotò. Un’ombra le passò davanti; la solita porta, che ormai non considerava più tanto divertente, quanto un ostacolo alla salvezza che si era accorta di desiderare, nonostante tutto.
La stessa ombra le tagliò la strada una seconda volta. E iniziò a venirle il dubbio che non si trattasse di qualcosa di tanto inanimato, dopotutto. La cercò con gli occhi, con una curiosità rovinata, annerita, dal nero senso di pericolo che le opprimeva il petto, ma ritrovarla non fu poi così difficile come si sarebbe aspettata. Non si nascondeva, come molto probabilmente il predatore che si era aspettata avrebbe fatto. Lo vide in lontananza, distorto dall’acqua ma lo vide, il volto di una ragazzina, osservarla con occhi grandi ma inespressivi.
La sorpresa giunse su di lei lenta e ovattata, quasi come se essa stessa si ritrovasse immersa con loro, ma la colpì forte quanto avrebbe fatto in superficie. Le domande sorsero insieme ad essa, e quell’interessamento malsano che la fece trascurare del tutto le disperate grida dei propri polmoni. Guardava quelle braccia esili, ancor più delle sue, il corpo acerbo che galleggiava nudo nell’acqua tanto da sembrare che per lei, quel luogo, fosse utero, grembo, unica fonte di vita, e non soffocante antro in cui trovare, in un istante, la morte. Chi era?
Davvero c’era qualcun altro, in quella casa, insieme a lei?
Dell’armadio alle sue spalle, semplicemente, si dimenticò, come si dimenticò di possedere ancora dei polmoni. Utilizzò tutte le proprie energie per arrivare fino a lei, per raggiungerla, verso il fondo. Verso un blu sempre più scuro, dove tutto s’illuminava improvvisamente di strane luci rosse e blu per poi piombare in un buio ancor più soffocante. Eppure continuavano a guardarsi, loro due, e lei capì che in quel momento non le interessava altro se non l’esistenza di quell’immagine da raggiungere.
Il nuovo spasmo fu semplicemente troppo forte perché potesse essere lasciato in un angolo della mente, privo di importanza. Ebbe un’espressione di orrore e accusa nei confronti di se stessa, nei confronti del proprio corpo che proprio in quel momento la tradiva nel modo più infido e basso che si potesse immaginare, si portò le mani alla gola e si arrese a quell’insensata ricerca d’aria che avrebbe portato soltanto ad un abisso ancor più nero. Tutto ciò che capì, prima che un’ondata di vuoto, e null’altro, la investisse, fu il bruciore dell’acqua scorrergli nelle narici. E lo sguardo immutato di una ragazzina che di quello stesso bruciore viveva tutti i giorni, fisso su di lei.
 
Ma se anche riuscissi a trovare un modo per combattere, una meta alla quale tendere, una spada da brandire, come potrei essere sicura di riuscire a mantenere dritto il mio cammino? Ho scorto, per brevi momenti, come opera la mente. Con quali sottili artifici l’illusione vi si insinui e vi prosperi. Vi nascono azioni e desideri che appaiono le uniche cose sensate, le uniche cose veramente degne; che si allontanino dalla via, non ha importanza. Forse era la via ad essere sbagliata. Pensiamo questo, mentre li inseguiamo. Mentre ci immergiamo. E poi ci ritroviamo affogati e persi, senza nemmeno ricordare il momento in cui abbiamo toccato l’acqua. Se anche la mia debolezza mi permettesse di combattere, come potrei evitare di affogare ancor prima di aver visto con i miei occhi ciò per cui lo faccio?
 
C’era una sconfinata distesa d’erba, e fiori da ogni parte, fiori chiusi e rannicchiati su loro stessi. C’era un uomo. Chiuso e rannicchiato su se stesso. E questa era cosa assai singolare.
C’era una villa, una grande villa austera e signorile, nella propria decadenza. Imputridiva a testa alta, come un re che non volesse accorgersi della mortale corruttibilità del proprio corpo.
Dentro la villa, c’era una stanza. Una stanza ammuffita e polverosa come tutte le altre; un letto a baldacchino, ammuffito e polveroso come tutti gli altri. Ma aveva le lenzuola sfatte e reclinate verso terra, tanto da lasciar pensare che qualcuno vi avesse dormito, di recente. E anche questa, dopotutto, era cosa assai singolare.
In quella stanza, un certo giorno, dopo una sequenza di mille e mille giorni del tutto simili a quelli che li precedevano, le ante di un armadio si aprirono senza un solo cigolio, e il corpo di una ragazza che avrebbe dovuto essere morta affogata venne posato con dolcezza sul pavimento di legno marcito dal moto dei flutti misericordiosi.
Vita e morte. Significati talmente opposti da confondersi, nel sorriso sibilino di quelle onde che adesso si ritiravano trascinando con sé anche le ante dell’armadio, che aveva avuto il proprio attimo di gloria e avrebbe dovuto pazientare molto, secoli probabilmente, prima di vedersi ancora aperto.
La ragazza vomitò qualche convulso colpo di tosse e spalancò gli occhi, con tale violenza da percepire una violenta fitta al cranio e affrettarsi ad abbassare nuovamente le palpebre. Il primo pensiero sensato che le balenò attraverso il cranio, illuminandolo di un violento lampo per poi svanire veloce com’era arrivato, fu che avrebbe sicuramente dovuto essere morta.
E invece, il suo petto ancora si gonfiava di un’aria che non aveva più sperato di assaggiare. Le sue mani potevano appoggiarsi al pavimento, e lei, fradicia, poteva sollevare il busto e tirarsi a sedere, pur accorgendosi di aver rimediato un forte mal di testa, da tutta quella faccenda.
Ebbe un sospiro e si passò una mano prima sul volto provato, e poi tra i capelli ancora grondanti. Che c’era qualcosa che non andasse l’aveva capito da tempo, ma la presa coscienza di questo pensiero, che al solo formularlo diventava ancor più concreto, la spaventava. Nonostante tutto, sapeva che avrebbe rimpianto i giorni in cui si limitava a svegliarsi e contemplare la lucentezza dell’erba, senza porre scomode domande sulla propria esistenza o sul contenuto degli altri luoghi della villa. Era andato tutto così meravigliosamente bene, fino ad allora. Fino a che la nebbia del sogno non aveva cominciato a diradarsi, e prendere la forma di qualcosa di concreto.
Aggrottò la fronte e si alzò. Il giramento di testa mise in serio pericolo il suo equilibrio, e dovette aggrapparsi ad un angolo del letto per rimanere in piedi. Strinse i denti, sbatté le palpebre e, barcollando, raggiunse il davanzale di quella finestra che era stata per tutto quel tempo il solo scorcio che avesse del mondo che viveva intorno a lei. Cercò il cavaliere, febbrile, forse di una pazzia che solo adesso si manifestava, ma che era, follemente, felice di vedere. Una compagna di vita di cui aveva avvertito il sentore, ma che aveva dovuto aspettare per troppo tempo.
Aveva cominciato a togliersi l’armatura, piano. Un pezzo alla volta, e sembrava quasi fosse la sacra assoluzione di un rito, piuttosto che un gesto banale dettato dalla mera comodità. Si intravedevano stoffe scure, sotto, pochi lembi che cominciavano allora il proprio scherzoso gioco con il vento.
Perché quel gesto? Non era mai capitato. Al contrario, l’aveva trovato a lucidare la propria lama, ad affilarla, ad allenarsi in gesti e movenze che non avrebbe mai capito, ma che ai suoi occhi avevano preso la forma di una splendida danza, anche se letale. In verità lei aveva sempre creduto che lo facesse nella convinzione di dover tornare da dov’era venuto, un giorno. O nell’inconscia speranza, o aspettativa, che ciò da cui era fuggito, di qualunque cosa si trattasse, venisse su quel prato a cercarlo.
Erano congetture soltanto, naturalmente. Frutto di una fervida immaginazione che non aveva molto altro su cui fantasticare. Le loro due esistenze sembravano correre dritte, l’una di fianco all’altra, ma parallele. Senza incontrarsi mai. Era stata in grado di comprenderlo, e forse l’aveva persino accettato, a lungo andare. Ma nulla le impediva di portare avanti quel quotidiano, instancabile processo di conoscenza che aveva deciso di mettere in piedi da quando l’aveva visto per la prima volta. Anche se si trattava di qualcosa di evidentemente univoco e , chissà, ossessivo.
Si accasciò sul davanzale, senza staccare gli occhi da lui. Sarebbe stato impossibile capire, a quel punto, di che natura fossero le gocce che le bagnavano le guance. Era dunque una resa, quella?
Abbassò la testa e sorrise. Che strano destino, considerò. Vedeva lui fermarsi, liberarsi del ferro, e lei acquisire una conoscenza che non avrebbe voluto avere, e impugnare armi di cui nessuno le aveva insegnato l’utilizzo.







Ciò che dice l'Autore
Spero che possa piacere anche il secondo capitolo ** Purtroppo il prossimo sarà già l'ultimo, e devo dire che non sono abituata a trattare long così brevi, anzi, diciamo che le long sono un problema a finirsi, soprattutto per me xD Però devo ammettere che, scrivendola, questa storia non mi ha dato nulla in meno di quanto mi abbiano le altre con molte pagine in più. ...Cos'altro aggiungere, se non che mi auguro che la sensazione sia la stessa? ;)) Un bacio a tutti quanti, e se avete tempo e voglia lasciate una recensione, mi è davvero utile per migliorare ^^

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