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Autore: SkyEventide    23/07/2008    5 recensioni
Dopo tredici anni dall'ultima guerra che ha impegnato i Villaggi in battaglie e scontri, una nuova minaccia si stende sulla pace duramente costruita dall'Hokage. Antichi nemici tornano a far parlare di loro, sempre più determinati, sempre più potenti. I ninja della Foglia e della Sabbia sanno che è l'ora di rimettersi in gioco ma adesso non saranno soli: al loro fianco hanno una nuova generazione di giovani ninja nel cui sangue scorre l'eredità dei clan, l'eredità dei loro genitori. Fra fedeltà e tradimento, inganno e amicizia, si deciderà il destino di tutte le Terre Ninja. ATTENZIONE: Per tutti coloro che non conoscono la storia di Naruto Shippuuden potrebbero esserci degli spoiler, ma la maggior parte della storia è di mia invenzione ed il rischio è pittosto basso. Inoltre non tengo conto di ciò che è accaduto dal cap. 380 circa del manga. Buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki, Altri, Jiraya, Naruto Uzumaki, Tsunade
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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-16-
Al numero dodici



Nohiro si muoveva fra i passanti mormorando ogni tanto un «Permesso» oppure un «Mi scusi», cercando di avanzare più velocemente possibile.
Controllando bene il luogo dove si trovava, un incrocio fra due viali principali, capì di essere arrivato a destinazione. Così si fermò ad un angolo della strada. Quello era il quartiere Yotsu… adesso non doveva far altro che trovare la casa.
Ripassò mentalmente un paio di volte l’indirizzo, visualizzandosi davanti il biglietto di Mayumi: seconda traversa, numero dodici, seconda traversa, numero dodici…
Gli occhi paglierini del ragazzo corsero da un capo all’altro della via, cercando di contare le traverse sia da un lato che dall’altro; peccato che non riusciva proprio a capire se, come traverse, doveva includere anche i grossi vicoli fra le abitazioni, che vicoli proprio non erano, oppure prendere in considerazione solo le strade perfettamente perpendicolari a quella principale.
Il pallido giovane storse la bocca e buffò fuori l’aria fredda che aveva inspirato. A questo punto non gli restava che da chiedere ad un passante. Almeno un abitante di quel dannato quartiere doveva sapere dove si trovava la residenza del sannin dei rospi e di suo figlio!
Così Nohiro si guardò attentamente attorno: doveva individuare qualcuno che gli andasse a genio, che avesse la faccia come piaceva a lui, altrimenti non sarebbe mai riuscito a chiedergli informazioni senza agitarsi. Specie se l’avessero guardato in quel modo, quel modo indefinibile e accusatore, quel modo che lui detestava.
Le sue pupille verticali si posarono su un’anziana signora, rugosa e paffuta. Ma la scartò immediatamente. No, niente vecchietti, più il suo interlocutore era giovane meglio sarebbe stato, così non avrebbe potuto associare il suo viso niveo a qualche immagine pescata nei ricordi di quello di qualcun altro.
Vagliò attentamente qualche altra persona, poi, finalmente, i suoi occhi vispi si fermarono su chi faceva proprio al caso suo, neanche fosse passato di lì per fargli un favore.
Indossava un impermeabile color verde militare col cappuccio alzato sulla testa, sebbene il cielo fosse così chiaro da impedire anche di pensare che sarebbe potuto piovere; sotto teneva una lunga giacca nera a collo alto, che gli copriva la bocca, e dei pantaloni ninja grigi e comodi. Camminava lentamente, con le mani nelle tasche del cappotto e la schiena dritta, e nessuno poteva capire dove stesse guadando cosa o in che modo a causa di un paio di occhiali scuri calcati sul naso.
Un Aburame.
I membri del clan di allevatori di insetti non erano di certo le persone migliori per mettere a proprio agio coloro con cui stanno parlando… ma per Nohiro, invece, era quanto di meglio avrebbe potuto desiderare.
Almeno un Aburame non gli si sarebbe rivolto in nessun modo ricollegabile a qualche emozione umana. Addirittura Nohiro si ricordava che questa caratteristica degli allevatori di insetti, da bambino, lo aveva messo terribilmente in soggezione. Ma ora, quello che contava era soprattutto che il ragazzo non avrebbe potuto scorgere espressioni di sorta sul viso dell’uomo con cui si apprestava a discorrere. Perché, alla fin fine, ciò che gli impediva di rapportarsi con gli altri come avrebbe voluto era proprio la paura delle espressioni avrebbe potuto vedere sui volti altrui.
Prendendo un bel respiro, Nohiro attraversò la carreggiata. «Mi scusi!» chiamò, ancor prima di essere arrivato dall’altra parte.
L’Aburame fermò il passo e si girò verso il giovane dai capelli neri, come previsto senza scomporsi o mostrare emozioni di sorta.
«Mi scusi» ripeté Nohiro. «Mi saprebbe dire dove abita l’onorevole Jiraiya?».
Il ninja davanti a lui non mosse un muscolo. «Al numero dodici, nella seconda traversa». Una risposta data senza cortesia ma nemmeno con astio.
Peccato, pensò il ragazzo, che questo lo sappia già, ma non abbia la più pallida idea di quale sia la seconda traversa, checcavolo! E poi, insomma, perché diamine gli doveva rispondere con l’indirizzo preciso? Non era più facile indicare una strada con un “per di là”!?
Il giovane lanciò un’occhiata attorno a sé; non credeva che quel quartiere fosse così pieno di stradine e incroci… ma, dopotutto, tutta Konoha era così.
A quel punto, Nohiro si lasciò sfuggire un sospiro frustrato.
«La ringrazio…» disse comunque, per non apparire scortese. Il ragazzo stava già per andarsene, rassegnato, e l’Aburame a voltarsi per proseguire a fare i suoi affari. Poi Nohiro pensò che non sapeva se poi avrebbe trovato qualcun altro disposto a fornirgli aiuto… o se lui avrebbe avuto il coraggio di fermare qualcun altro e trattenerlo con la domanda “qual è la seconda traversa?”, immaginando le occhiate che gli avrebbero scoccato.
Così il ragazzo, anche se un po’ titubante, richiamò indietro l’allevatore di insetti. «E… senta…».
«Si?». L’uomo si girò di tre quarti verso il giovane, con la voce pacata e priva di intonazione.
«Senta, non è che potrebbe dirmi qual è la seconda traversa?».
L’Aburame rimase per un momento in silenzio, poi sollevò un braccio ed indicò alla sua destra. «E’ quella».
Nohiro ringraziò ad alta voce il ninja, che si allontanò senza una parola, ma ringraziò anche ad alta voce per quella composta riservatezza e passività dei membri del clan Aburame.
Quindi il giovane guardò la strada che, a quanto pareva, era la famosa traversa.
Evviva. Era esattamente la via davanti alla quale si era fermato prima per contare le altre.
Mentre formulava quel pensiero, si accorse improvvisamente di essere terribilmente in ritardo. Così, sbarrando gli occhi, si lanciò a corsa verso il numero dodici.
Per la fretta poco ci mancò che andasse a scontrarsi contro un uomo in kimono. Dopo aver posto le imbarazzate e dovute scuse si voltò verso l’abitazione alla sua destra. Una casa pitturata di giallo chiaro, a due piani, tre larghi scalini davanti alla porta e una pianta di fiori rampicanti che crescevano sulla facciata, fino ad un terrazzo.
Nohiro guardò insistentemente la porta ed il campanello di fianco ad essa, poi, agitatissimo, lo premette con forza una volta.
Inaspettatamente, non rispose nessuno.
Nonostante fosse ottobre, il ragazzo si accorse che stava sudando. Asciugò una gocciolina che gli colava lungo la tempia e, mordicchiandosi il labbro per l’indecisione, allungò di nuovo la mano sottile verso il campanello…
Ma, in quel momento, la porta si aprì.
Il pallido giovane fece quasi un vero a proprio salto all’indietro, tanto era stato colto alla sprovvista e tanto era agitato per quel pomeriggio che avrebbe dovuto passare coi due compagni di squadra.
Alzò il viso, con gli occhi ambrati ancora spalancati, e si trovò davanti la faccia leggermente stupita di Jiro. «Nohiro?» lo nominò il ragazzo dai capelli platinati, in un tono che era chiaramente sorpreso, come se vederlo lì fosse stata l’ultima cosa che potesse aspettarsi.
Il giovane corvino trattenne il respiro ed abbassò lo sguardo. «Lo so, scusa, sono in ritardo!».
Jiro non riuscì a trattenersi dal guardarlo con aria confusa. «Nohiro…».
L’altro alzò gli occhi, sempre con una vaga espressione colpevole.
«Nohiro, sono le tre e un quarto» evidenziò allora Jiro, perplesso. «L’appuntamento era per le tre e mezza. Non sei in ritardo, Nor, sei in anticipo di un quarto d’ora».
Beh… evidentemente il ragazzo dai capelli bianchi non aveva ancora ben inquadrato la bizzarra percezione del ritardo del suo compagno di squadra.
Nohiro si ammutolì. «Beh… dev’essere che ho la sveglia un po’ avanti…».
Chiaramente una scusa, anche se Jiro non poteva saperlo. Di certo non poteva dirgli che era volutamente arrivato in anticipo, anche se a lui sembrava sul serio di essere in ritardo, visto che il suo anticipo era programmato per le tre, non per le tre e un quarto. Voleva quella mezz’ora di margine per poter prendere confidenza con l’ambiente ed anche arrivare prima di Mayumi, almeno avrebbe potuto fare trenta minuti di preparazione mentale per quando l’avrebbe vista entrare.
«Beh, a questo punto entra». Jiro scrollò le spalle e si spostò dall’ingresso per dare spazio all’altro ragazzo per entrare.
Nohiro alzò gli occhi su di lui e salì i tre gradini, con una strana sensazione addosso, come di soggezione, di imbarazzo. Prima di entrare le pupille gli si posarono per un momento sulla piastrina di ceramica, con sopra dipinto il numero dell’abitazione e sotto l’ideogramma juni, “dodici”.
Poi sorpassò la soglia della porta.
La prima stanza che gli si presentava allo sguardo non era che un corridoio con un attaccapanni e un paio di quadri. Le pareti erano rigide, e non pannelli scorrevoli.
Il senso di timore che Nohiro avvertiva si affievolì un poco: perlomeno quella casa sconosciuta non era la specie di reggia d’oro che aveva erroneamente immaginato abitasse un membro onorevole del Consiglio.
«Nohiro, in cucina» lo chiamò in quel momento Jiro, con una mano posata sullo stipite di una porta aperta. Le porte, a quanto pareva, erano tenute tutte aperte, in quell’abitazione.
Il ragazzo dai capelli bianchi aveva la bocca arricciata, notò Nohiro.
Come se non fosse poi così felice di vedermi.
Si scosse immediatamente quel pensiero di dosso: quel pomeriggio voleva passarlo in serenità, per quanto gli sarebbe stato possibile.
Allora il pallido giovane, annuendo, raggiunse Jiro nella cucina. Era piccola e lunga, e, con un’occhiata sola, riuscì ad abbracciarla completamente: alla sua sinistra aveva il frigorifero, i fornelli leggermente incrostati e delle mensole; alla sua destra c’era una pianta di fianco ad una larga finestra, ed una dispensa; infine, centrale, con il lato corto rivolto verso la porta, si trovava un tavolo di un legno più pregiato di ogni altra cosa nella stanza, ma solo una sedia.
Nohiro, rimasto bloccato a imprimersi nella testa ogni particolare che gli saltasse all’occhio, fu riscosso dalla voce di Jiro.
«Vado a prendere dei libri e i rotoli per studiare, visto che non li hai dietro. Aspettami un momento qui» esordì il figlio dell’eremita dei rospi, facendo un gesto vago con la mano e poi scomparendo nel corridoio.
Nohiro restò interdetto, lì, nel centro della cucina. Ormai la precedente soggezione che aveva provato era sparita, ma, al suo posto, era subentrato l’imbarazzo. Non sapeva assolutamente come comportarsi, ospite in casa d’altri: essere troppo formale gli sembrava eccessivo, fare l’amicone era improponibile, oltre che stupido e fasullo.
E poi, era vero, era venuto senza libri. Che figuraccia. Veniva lì per studiare e ripassare con la sua squadra e poi nemmeno aveva con sé il necessario. A parer suo era un modo di presentarsi piuttosto inopportuno, oltre al fatto che avrebbe potuto portare qualche rotolo interessante preso in prestito da Iruka-sensei.
Con un sospiro abbattuto, Nohiro si girò verso il tavolo nel centro della stanza. Sopra c’era già un rotolo, non sigillato ma ancora chiuso.
Una parte di se stesso gli diceva che lì non poteva permettersi di dare retta alla sua curiosità e sbirciare le cose degli altri, dato che si sarebbe anche potuto trattare di qualcosa di privato, magari appartenente a Jiraiya-sama. Ma un’altra parte di se stesso, che usciva allo scoperto molto meno spesso, ma che sempre e comunque c’era, continuava a logorarlo e a dargli l’impulso di guardare cosa ci fosse scritto in quel rotolo così succulento…
Nohiro ispirò aria velocemente e, giustificandosi pensando che era abbastanza stupido anche rimanersene lì impalato come una statua nell’attesa che tornasse il compagno di squadra, si spostò rapidamente all’altro capo del tavolo opposto alla porta.
Mosse un passetto verso il rotolo, provando a vedere se riusciva a carpirne i segreti senza toccarlo, solo dalle prime parole che si intravedevano, ma immediatamente si bloccò e distolse gli occhi. Un’altra volta tentò di sbirciare… finché, infine, si decise ad aprire il rotolo, e, mentre si chinava sulla sua immobile preda e gli occhi gli scattavano con aria colpevole verso la porta, srotolò il rullo fino a che la carta non andò a toccare terra.
Sei maledettamente curioso, Nohiro. Prima o poi andrai a sbatterci il naso e ti farai parecchio male, si disse, come se così potesse attenuare le sue colpe ed il suo desiderio impulsivo.
Gli occhi ambrati corsero un’altra volta alla porta, ma riusciva ad avere conferma di non essere solo un casa solo per dei rumori al piano di sopra. Così, stringendo le labbra, scorse le righe di ideogrammi, giusto per vedere di che argomento trattava quel rotolo.
Le pupille verticali gli si fermarono improvvisamente e una sorta di delusione gli fece aggrottare un poco le sopracciglia.
Tecnica della Sostituzione. Nient’altro.
Storcendo il naso, insoddisfatto, si appoggiò al lato lungo del tavolo con un braccio, sentendosi stranamente tranquillo, probabilmente perché non aveva fatto nessuna eclatante scoperta.
Forse lo volle il fato che si fosse alzato in quel momento, ma fatto sta che, un attimo dopo, apparve sulla porta della cucina Jiro, mezzo ricoperto da rotoli malfermi uno sull’altro.
Nohiro spalancò gli occhi, che subito corsero al rullo srotolato fino a terra. Si impose di star fermo: era meglio far finta che fosse così anche prima.
«Qui c’è un po’ di roba» stava dicendo il ragazzo dai capelli platinati mentre era entrato. «Il resto lo porterà Mayumi, credo». Appoggiò con uno sbuffo affaticato la pericolante pila di libri che sorreggeva con le braccia.
Poi mosse un passo verso l’altro ragazzo, puntando alla sedia che aveva alle spalle e, nel frattempo, proseguendo a frugare i libri che aveva preso per controllare che ci fosse tutto. «Ci si sposta in camera appena arriva anche Mayu…».
Mentre parlava Jiro non guardò in terra. Non notò proprio quello che, invece, vide Nohiro, e riprese il discorso come se nulla fosse. «Finché mio padre mi usurpa il posto in salotto, ci si deve arrangiare. Sempre fisso a scrivere quel suo libro… E mai che ripassi tecniche con me. Così, poi, devo stare a rompermi le scatole a studiare sui rotoli» continuò a blaterare, come se gli fosse improvvisamente scattata una molla per le chiacchiere, mentre continuava a trafficare con le sue scartoffie. «Non faccio altro che studiare, checcavolo! E Naruto-sensei è capace solo di rimproverarmi, senza nemmeno darmi un aiuto, intendiamoci». Il ragazzo dai capelli bianchi fece un altro passo e il suo piede sinistro andò a posarsi proprio dove sarebbe stato meno opportuno che si posasse. Schiacciò sotto la suola dei sandali il bordo del rotolo che toccava il pavimento.
Posizione perfetta per inciampare, ancora meglio che pestarsi le stringhe.
Nohiro continuò a seguire i movimenti dell’altro. E, non appena si accorse di dove Jiro stava mettendo l’altro piede, tentò di avvertirlo, con lo sguardo allarmato e una mano tesa in avanti, come per provare a bloccarlo. «Ah, Jiro… aspett…».
«Si, ma all’esame dei Chunin gli faccio vedere io, oh se gli facc…».
Nulla da fare.
Il piede destro del ragazzo si mosse in avanti e la carta lo trattenne senza rompersi, giusto quel che bastava per sbilanciarsi in avanti come un sacco di patate.
«Wah!». L’esclamazione gli uscì di bocca con sorpresa, ma ormai Jiro si era già catapultato… beh, dritto addosso al suo compagno di squadra.
Nohiro sbarrò gli occhi e le iridi a taglio sembrarono ritirarsi quando si vide cadergli addosso il compagno di squadra. Preso completamente alla sprovvista, tese istintivamente le braccia in avanti, provando a non far andare per terra l’altro ragazzo e, soprattutto, provando a non farselo piombare sopra.
Ma la sua mossa fu praticamente inutile. Nohiro non trovò dietro di sé l’appoggio del tavolo, né di qualunque altra cosa. Così, oltre al danno la beffa, i due giovani avvinghiati annasparono per un momento, poi, con un «Ma porc…» di Jiro, Nohiro volò all’indietro a peso morto. Il tavolo si spostò con un rumore graffiante mentre Jiro cercava di aggrapparsi, ovviamente col solo risultato da far scivolare giù parecchi dei rotoli che erano sul tavolo.
Così, ragazzi e rotoli, con gli occhi serrati e i denti stretti, finirono sul pavimento con un bel tonfo sordo.
Per un secondo restarono immobili. Poi una voce roca e ovattata per le pareti li raggiunse. «Jiro! Va tutto bene?».
I due ragazzi, sentendosi chiamare, aprirono di scatto gli occhi. Occhi che erano a meno di un centimetro l’uno dall’altro.
Nohiro, avvampato e rosso come un peperone, si accorse di fissare la pupilla nera dilatata dell’altro ragazzo e di avere il viso appiccicato a quello di Jiro. Guancia guancia, e i nasi premuti e schiacciati uno contro l’altro. Aveva preso un tale colpo con i denti che avrebbe potuto rompersi gli incisivi e, a quanto pareva, abbastanza forte da lasciare un profondo segno rosso sulle labbra del compagno di squadra.
«Jiro! Ma che succede?» esclamò di nuovo la voce di Jiraiya, proveniente dal salotto.
A quel punto Jiro si staccò istantaneamente, tirandosi su con un braccio e cercando di districare le gambe da quelle di Nohiro. «Nulla, pa’, null…». Portò una mano al labbro dolorante e alla guancia. «Nulla, va tutto bene!» urlò, allarmato per la scenetta che il padre avrebbe visto se fosse entrato.
Nohiro in quel momento, arrossato, dolorante e terribilmente imbarazzato, portò una mano alla nuca. Aveva preso una tremenda testata sul pavimento e ora avvertiva delle fitte pazzesche.
Jiro estrasse di scatto il braccio da sotto la schiena dell’altro, imprecando, vistosamente irritato, e bofonchiando qualche altra parola. «Dannazione a te… neanche tu fossi una bella ragazza, Nohiro!» inveì. «Perlomeno sono caduto sul morbido…» aggiunse mentre appoggiava entrambe le mani a terra, alludendo al colpo che aveva preso l’altro.
Trovata la stabilità e districatosi dai vestiti dell’altro pallido ragazzo, si diede una spinta verso l’alto, volendo rimettersi in piedi e togliersi finalmente da quell’imbarazzante posizione a cavalcioni.
Peccato che non avesse considerato che nel bel mezzo della sua traiettoria si trovava il bordo del piano del tavolo… che la sua testa andò a centrare in pieno.
Un altro bel tonfo e Jiro ripiombò giù con entrambe le mani sul capo, assieme ai rotoli rimasti in bilico sul mobile di legno.
Ora ad avere il mal di testa erano in due.
«Porca putt…» si lamentò il giovane dai capelli bianchi, con la fronte appoggiata su qualcosa di morbido e caldo. Probabilmente si trattava ancora di Nohiro, ma adesso il povero ragazzo sentiva la nuca pulsare così dolorosamente da costringerlo a tenere gli occhi serrati.
A quell’ennesimo fracasso la voce di Jiraiya risuonò un’altra volta attraverso il corridoio. «Jiro, insomma, vuoi dirmi che diavolo sta succedendo?».
I passi del sannin risuonarono sul pavimento, sempre più vicini alla cucina, così, quando Nohiro si accorse che probabilmente il padre del suo compagno era assolutamente intenzionato a controllare cosa fosse accaduto, si riscosse.
Di certo non voleva che l’eremita dei rospi trovasse lui per terra con tutti quei rotoli sparpagliati sul parquet, il tavolo spostato e, soprattutto, con il suo figliolo a cavalcioni sullo stomaco.
Sollevò un braccio e, sorvolando il gemito dolorante di Jiro, lo afferrò per farlo mettere in piedi. «Tirati su!» gli sibilò, ansioso.
Il ragazzo dai capelli bianchi emise un altro verso di disapprovazione mentre si lasciava aiutare dal compagno di squadra ad alzarsi, tenendo i denti digrignati e una mano premuta sulla testa nel punto in cui aveva colpito il tavolino, mentre Nohiro, cercando di ignorare le pulsazioni doloroso sulla nuca, provava a ridarsi un contegno.
Un secondo dopo apparve sulla soglia della cucina Jiraiya. Il quale, per fortuna, si ritrovò davanti i due giovani in piedi e con aria qualunquista, come se non fosse successo proprio nulla, come Jiro aveva ripetuto un paio di volte.
L’eremita dei rospi spostò gli occhi neri dai rotoli a terra, al tavolo spostato, poi guardò suo figlio con preoccupazione e confusione, infine soffermò le pupille su Nohiro, restando con un sopracciglio aggrottato, assumendo quell’inspiegabile espressione che il ragazzo gli aveva già visto sul volto altre volte. Come definirla? Forse poteva chiamarla prevenzione, forse dispiacere. Ma Nohiro era sicuro che la sua presenza lì lo disturbasse tanto quanto quello sguardo disturbava lui. Lo disturbava al punto da farsi sembrare una cosa alquanto ridicola tutto il pudico imbarazzo che aveva provato fino a quel momento.
«Allora? Che stavate facendo qui?» ribadì il sannin, continuando a guardare alternatamente Jiro e Nohiro con occhio preoccupato e rimproverante. Proprio lo sguardo di un genitore, pensò il giovane dai capelli neri.
Jiro si passò la mano sulla nuca ed aprì la bocca per spiegare, con una faccia talmente titubante, quasi leggermente impicciata, che di sicuro non avrebbe convinto nessuno. Addirittura nemmeno stava guardando suo padre negli occhi.
Così Nohiro si fece avanti, istintivamente e prontamente. «Niente, Jiraiya-sama» lo rassicurò con tono tranquillo. «Sono solo caduti i rotoli a terra». E accennò con la testa a tutti i libri sul pavimento, stringendosi poi nelle spalle, come a togliere qualunque responsabilità da lui e dal ragazzo lì di fianco.
Nohiro sentii immediatamente uno sfarfallio all’altezza dello stomaco, assolutamente convinto che gli si leggesse stampata in fronte la parola “bugia”. Strinse le labbra e spostò gli occhi ambrati da quelli neri dell’eremita dei rospi, assolutamente consapevole di essere incapace di reggerne lo sguardo.
Ma, a dispetto della sua agitazione, Jiraiya parve rilassarsi, sgonfiando un po’ il petto dal fiato che aveva trattenuto.
Sempre con le sopracciglia aggrottate, spostò gli occhi su Jiro. «Adesso esco. Vado un momento al Consiglio, tornerò verso sera, va bene?».
«Okay» annuì il ragazzo, tenendo un braccio appoggiato sul tavolo con nonchalance e continuando ad appoggiare le dita sulla base del collo. Per fortuna suo padre non poteva capirne il perché.
Con questo Jiraiya si legò meglio in vita il corto kimono verde oliva che indossava e si girò verso l’ingresso alla sua destra. «A dopo» li salutò entrambi, con tono neutro.
«Ciao pa’».
«Arrivederci, Jiraiya-sama».
Nohiro aspettò di sentire il suono della porta dell’ingresso che si apriva e si chiudeva con uno scatto. Probabilmente il sannin leggendario avrebbe salutato Jiro con un’aria un po’ più allegra, considerò, ma visto che c’era anche lui si era tenuto su un’espressione atona. Forse per evitare di guardarlo con quel solito, amaro risentimento.
Jiro, al suo fianco, sospirò di sollievo per aver evitato per un pelo quella fastidiosa figuretta che aveva rischiato. «Kami-sama, che male…» si lamentò, spostando il tavolo alla sua posizione originale e iniziando a raccogliere i rotoli con una smorfia dipinta in viso.
Nohiro lo guardò fare, ripensando, nel frattempo, alla frase che gli era salita miracolosamente alle labbra quando l’eremita dei rospi era entrato in cucina. Non avrebbe mai sperato che sarebbe riuscito ad essere abbastanza convincente, sufficientemente rilassato e credibile… né aveva mai creduto di poter sparare una bufala così all’improvviso, senza pensarci, di fare tutto in modo così naturale.
Il ragazzo sorrise fra sé, senza nemmeno sentire le frasi che borbottava Jiro. Ringraziò mentalmente questa sua sconosciuta dote, che in quel momento gli era stata veramente, ma veramente utile, come un’improvvisa manna dal cielo.
Si voltò allora verso il compagno di squadra, più rilassato e disteso.
Jiro aveva impilato di nuovo tutti i rotoli e i libri e si preparava a sollevarli per portarli in un'altra stanza. «Adesso il salotto è nostro!» esordì, come qualcuno che ha finalmente fra le mani un’ambita preda.
Il ragazzo dai capelli bianchi traballò fuori dalla cucina, mantenendo la pila in un precario equilibrio. Nohiro lo seguì nel corridoio, ora sentendosi molto più a suo agio, in parte perché l’atmosfera tesa dell’inizio era in buona parte sparita, di sicuro anche grazie a quella “scenetta” di poco prima, in parte forse perché adesso sapeva che il padre di Jiro era uscito.
Dal corridoio, Jiro camminò fino a due porte, una di fronte all’altra, ed aprì quella a sinistra abbassando la maniglia con un’acrobatica mossa del ginocchio ed un’espressione concentrata per non far franare in terra la catasta di rotoli.
Nohiro lo guardò con un sopracciglio inarcato: avrebbe potuto chiedere a lui di aprire invece di complicarsi la vita con intricate mosse d’aerobica, no?
Con uno sbuffo Jiro aprì finalmente la porta e sparì nel luminoso salotto.
Appena Nohiro entrò, pensò una sola cosa su quella sala, pensiero che, forse, si poteva adattare all’intera casa: quella stanza sarebbe potuta essere ordinata.
Ma, evidentemente, né Jiro né suo padre erano capaci di mantenerla tale.
Saltavano subito all’occhio la grande libreria attaccata alla parete, straripante di rotoli, libri, foglietti, soprammobili di ogni foggia, foto ed altri oggetti di utilizzo non ben identificato, fra i quali Nohiro individuò una buffa tazzina a forma di ranocchia affiancata alla foto incorniciata di un bambino coi capelli bianchi, piuttosto paffuto e con espressione imbronciata.
Doveva essere per forza Jiro.
Guardandolo in quello scatto e confrontando quel bimbo pienotto e paffutello con il ragazzo che ora posava per terra i rotoli, al giovane dai capelli neri sfuggì un sorriso. Il compagno di squadra era cambiato enormemente, col tempo… non c’era più nessuna traccia in Jiro di quel bambino leggermente sovrappeso. Adesso il giovane dai capelli bianchi era talmente maturato fisicamente da sembrare più grande della sua reale età. Mentre Nohiro si accorse che lui, al contrario, sembrava più piccolo. Il pensiero gli fece aggrottare involontariamente le sopracciglia nere e sottili.
Jiro, in quel momento, si stirò la schiena con un mugolio. «Kami, quanto pesano».
Nohiro accennò un mezzo sorriso, ma senza troppa convinzione. Spostò subito dopo gli occhi paglierini sul resto della stanza: prima sulle finestre, tappate da tende di raso giallo che coprivano tutta la parete opposta alla porta; un involontario collegamento mentale gli ricordò le finestre delle classi di scuola.
Infine il ragazzino osservò il basso tavolo e i tre divani che lo circondavano, più o meno nel centro della stanza, rivolti verso un televisore incassato nella libreria. Quei divani, due rossi ed uno marrone, ed il tavolo di legno di ciliegio intarsiato erano l’unico mobilio abbastanza pregiato in tutte le stanza che per ora il ragazzo aveva visto. In effetti Jiro, o anche Jiraiya-sama, parevano pienamente soddisfatti di avere oggetti che rientravano nella normalità quotidiana, e nulla di troppo sfarzoso o eccessivamente di lusso.
«Ehi, che stai a fare lì impalato?».
Nohiro, al suono di quella voce, si scosse improvvisamente dalla sua esplorazione visiva del salotto.
Jiro, con le mani appoggiate sui fianchi, lo stava guardando con un sopracciglio inarcato e un’espressione che stava fra la confusione e il disappunto.
Il giovane dai capelli neri sentì la consueta vergogna fargli infiammare le guance pallide. Sapeva che non stava facendo proprio nulla di cui sentirsi imbarazzati, ma la sensazione di essere in errore non riusciva a scrollarsela di dosso in nessun modo. «N-nulla, arrivo subito» balbettò, avvicinandosi ai divani e passando fra di essi per sedersi.
«Non inciampare sui rotoli, perché io non ti prendo» lo ammonì Jiro mentre si sedeva all’angolo di uno dei due divani rossi.
Nohiro, piazzandosi a sua volta sull’angolo di quello marrone centrale, aggrottò un poco le sopracciglia. «Ma…» obbiettò. «Sei tu che sei inciampato, Jiro!».
Il compagno di squadra non cambiò espressione. «Il senso è quello» ribatté, alzando il mento con una sorta di altezzosità.
Nohiro restò a guardarlo a bocca aperta. Ecco, quello era uno dei momenti in cui gli sarebbe piaciuto mandare in barba il suo imbarazzo e rispondergli come si deve.
Oh insomma, non era lui quello che non aveva i riflessi per restare in piedi!
Strinse forte le labbra e fece un respiro per bloccare sul nascere quel suo impulso, mentre il compagno di squadra si toglieva le ciabatte e restava in calzini, per poi spaparanzarsi sul sofà rosso e iniziare a frugare svogliatamente nella montagna di rotoli sul tavolino. Anche Nohiro vagliò le possibilità che gli si presentavano e infine scelse quello che riconobbe per uno dei rotoli dell’Accademia. Una ripassatina alla teoria di base non poteva che fargli bene.
Nello stesso istante in cui in cui il giovane dai capelli neri afferrava il libro Jiro desisté con uno sbuffo.
Nohiro lo guardò un attimo con disappunto: possibile che quel ragazzo non avesse mai voglia di studiare un po’?
Entrambi quindi si appoggiarono allo schienale del divano, l’uno fissando svogliatamente il soffitto, l’altro con il rotolo posato sulle ginocchia.
Nohiro, lentamente, si rilassò contro i cuscini morbidi e imbottiti. Fece un respiro profondo, che suonò terribilmente rumoroso nella stanza silenziosa. Pian piano, però, qualunque tensione sparì del tutto.
La stanza illuminata dalla luce calda che filtrava dalle tende, quel divano così confortevole da fargli venire voglia di rannicchiarcisi dentro, ed anche quelle nozioni così familiari sulle jutsu lo stavano tranquillizzando.
L’espressione sul suo viso diafano si fece concentrata ed i tratti assunsero quella piattezza che ogni tanto rendeva il suo volto una maschera inespressiva. I suoi occhi di serpente casualmente si sollevarono dalle righe che leggeva e che ormai quasi conosceva a memoria, e guardarono verso l’altro giovane dai capelli color platino.
Jiro aveva le braccia incrociate dietro la testa, le gambe piegate coi piedi posati sul bordo del divano e stava osservando il soffitto con espressione annoiata.
Nohiro lo fissò con un sopracciglio inarcato. «Non leggi?» chiese alla fine, leggermente infastidito da quell’immobilità dell’altro.
Il figlio dell’eremita dei rospi emise un lamento che stava fra il fastidio e la stanchezza. «Nngh…». Si stiracchiò leggermente. «Nah… aspetto Mayumi» disse con un tono abbastanza lagnante.
Al sentire pronunciare il nome della compagna, Nohiro si riempì per un attimo la testa dell’immagine di lei, poi, accorgendosi del fatto che aveva trattenuto il respiro, buttò fuori l’aria e annuì verso l’altro ragazzo.
«Oh». Un monosillabo abbastanza inutile pronunciato giusto per il bisogno di far vedere che aveva ascoltato.
Quindi il pallido giovane tornò a concentrarsi sul rotolo sulle sue ginocchia.
O meglio, provò a farlo.
Adesso che si era deconcentrato dallo studio non riusciva in nessun modo ad evitare di lanciare qualche sguardo nervoso verso il compagno di squadra, che a quanto pareva non sembrava disturbato da quell’imbarazzante silenzio.
Al contrario di Nohiro.
Il ragazzo trovava quella pausa e l’ostentata indifferenza di Jiro, ora impegnato a guardarsi le unghie e mordersi il labbro, odiosamente opprimenti e logoranti. Giusto per peggiorare le cose il giovane dai capelli bianchi sollevò gli occhi acquosi verso l’altro, fissandolo con aria perplessa. Nohiro, che in quel momento stava proprio guardando nella direzione del compagno, sgranò gli occhi avvampando e li abbassò subito dopo sul rotolo sopra le sue ginocchia.
Adesso quelle nozioni sulle evocazioni delle armi non riuscivano affatto a catturare la sua attenzione. Gli pareva piuttosto una serie sconclusionata di ideogrammi e immagini.
Restò immobile, completamente rosso, e impose con tutta la sua forza di volontà ai suoi occhi di non guardare verso l’altro.
Avvertì quella consueta, impellente sensazione di dire qualcosa, qualsiasi cosa pur di rompere quell’irritante silenzio.
Le pupille sottile iniziarono a scattare di qua e di la, irrequiete ed agitate, mentre, a quanto pareva, Jiro nemmeno si stava curando della situazione.
Doveva dire qualcosa. Ci voleva qualcosa di intelligente.
Avanti Nohiro, si disse, pensa qualcosa, una frase ad effetto, un commento acuto, qualcosa di intelligente…
Chiuse gli occhi, prese fiato e…
«Come va?!».
Jiro si voltò con un sobbalzò verso di lui, con un sopracciglio inarcato. «Non serve che urli, eh!».
Nohiro trattenne il respiro. «Ho… ho urlato?». Il ragazzo dai capelli neri, che stava riprendendo il suo normale colorito bianco, tornò immediatamente paonazzo.
Il ragazzo dai capelli bianchi corrugò la fronte, si sporse un poco verso il compagno di squadra, e annuì lentamente con la testa un paio di volte. «E comunque come pensi possa stare dopo aver beccato una testata contro il tavolo?» replicò subito dopo con tono alquanto acido. Ma, fortunatamente, senza accennare all’altra parte dell’”incidente”.
Nohiro deglutì. «Non parlavo di quello…» ribatté quindi.
L’altro si rilassò contro il divano rosso e si grattò il mento con una mano. «Oh… beh, va bene». Gli comparve sulle labbra un sorrisetto. «Xiaoyu mi ha chiesto di uscire con lei, e mi sto divertendo a tenerla un po’ sulle spine… E’ la quinta volta, questa settimana, che me lo domanda» continuò con un enorme sorrisone ad illuminargli la faccia.
La perplessità sostituì l’imbarazzo sul viso di Nohiro. «Ma… l’altra settimana ti sei fermato a pranzare con Kanaria alla fine della nostra missione» osservò il giovane con un sottile sopracciglio aggrottato. «Chi fine ha fatto lei?» domandò senza sapere che davvero voleva conoscere la risposta. C’era il rischio di restare scioccati.
Jiro si strinse nelle spalle e disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «Ci sto ancora assieme».
Il ragazzo dai capelli neri lo fissò con espressione interdetta negli occhi paglierini. «E allora perché dai false speranze a quella povera ragazza?».
«Non do false speranze» rispose l’altro, vagamente offeso. «Semplicemente esco con tutte e due in contemporanea».
Nohiro rimase ammutolito, esterrefatto da quelle razza di tresche amorose del compagno di squadra.
Non credeva che lui sarebbe mai stato in grado di giocare a quel modo, e con quella faccia tosta, coi sentimenti di due ragazze, per giunta in contemporanea. Sempre se di due si trattava.
Anche se, pensando molto più realisticamente, lui non avrebbe mai avuto due ragazze che gli andavano dietro così assiduamente. Non era mai successa una cosa simile e mai sarebbe avvenuta; forse era per quell’assoluta inesperienza che si imbarazzava così facilmente.
In realtà l’unica ragazza che gli interessava che si accorgesse di lui, nonostante fosse sempre gentilissima, nonostante gli rivolgesse sempre sorrisi meravigliosi, non pareva assolutamente interessata, o proprio non notava quanto lui la desiderasse.
Per un attimo Nohiro cercò di togliersi quell’argomento dalla testa, ma l’attimo dopo si voltò verso Jiro, spinto dalla sua curiosità proprio come una calamita attira il metallo. «Ma l’una sa dell’altra?».
Ormai, come risposta, si aspettava qualunque cosa.
Il giovane dai capelli bianchi gli si rivolse con un mezzo sorriso saputo e divertito. «Guarda che quando dico contem…».
Driiin!
Il suono squillante del campanello risuonò nel corridoio e vibrò nell’aria luminosa del salotto.
I due ragazzi, interrotti nel bel mezzo del discorso, fermarono ogni movimento, leggermente colti alla sprovvista.
Poi Jiro si alzò dal divano di pelle rossa con un mugolio annoiato. «Aspetta un momento…».
Si avviò verso il corridoio con la bocca arricciata senza guardare nemmeno di strisco il suo pallido ospite.
«Questo, è mio padre che si è scordato qualcosa…» disse mentre spariva fuori dal salotto.
Nohiro si sporse in avanti, seguendolo con le pupille finché non uscì dal suo campo visivo, e probabilmente rimuginando su chi sarebbe apparso di lì a poco. Se era davvero l’onorevole Jiraiya era sicuro che non sarebbe riuscito ad essere abbastanza spudorato da reggerne le occhiate come se nulla fosse, dopo avergli mentito sulla caduta sua e di Jiro. E avergli mentito con tale disinvoltura, per di più, come se fosse stata proprio una cosa da nulla e a cui non dar peso.
Ma se era qualcun altro…
Nel frattempo Jiro arrivò all’ingresso, sbloccò il chiavistello e aprì la porta.
Al che sorrise spontaneamente. «…o è Mayumi che è appena arrivata».
La ragazza, con uno yukata verde e giallo su pantaloni neri, sorrise a sua volta. «Scusa il piccolo ritardo».
Jiro osservò lo zaino che aveva in spalla e i rotoli che portava sotto il braccio.
«Prego, mia fujin» la invitò ad entrare, spostandosi teatralmente dall’entrata con uno scherzoso sorriso malizioso per farla passare.
Mayumi entrò con un sospiro di rassegnata indulgenza che faceva ogniqualvolta lui la chiamava “fujin”, “signorina”.
«La finirai, una volta o l’altra, Jiro?».
Il ragazzo ridacchiò. «Quando mi si sarà seccata la lingua la finirò di sicuro».
Infine la porta del numero dodici si chiuse sulla seconda traversa illuminata dal sole d’ottobre.








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Ci sono. Non sono morta.
Probabilmente la maggior parte di voi mi ha creduta tale, ma sono sempre qui… e state tranquilli che presto o tardi l’aggiornamento di questa storia arriverà SEMPRE. E’ una promessa, questa.
Peraltro credevo che con l’estate avrei avuto molto più tempo per scrivere rispetto a quando c’era al scuola, e invece si è rivelato tutto il contrario.

Comunque… Nemmeno in questo capitolo succede qualcosa di così eclatante (a parte il primo tumultuoso bacio di Nohiro XD). Come vedete dovrete aspettare ancora un pochetto per l’esamuccio dei Chunin, ma spero comunque che questi capitoli di intermezzo non vi annoino o vi deludano.
Credo che le yaoiste siano particolarmente felici di questo capitolo, per quelli che invece aborriscono lo yaoi si possono tranquillizzare vedendo che non appare fra gli avvertimenti della storia, ergo questo è un episodio sporadico che serviva solo a calmare il mio ego femminile. XD Per chiunque resti fedele alla JiroNor… si dovrà accontentare. XD
In quanto all’Aburame incontrato per strada, beh, forse si può vagamente notare che si tratta di Shino. XP Non conosco alla precisione il suo vestiario quindi ho tirato un po’ a caso lasciando all’immaginazione di quelli che leggono la voglia di indovinare l’identità del misterioso personaggio (peccato che vi ho già detto io chi è -__-).
Riguardo a questo capitolo non credo di aver null’altro da dire. ^^

Ringraziamenti per le recensioni:

Ametista, credo che mi ucciderai per questo stratosferico ritardo… ma in compenso è arrivato il bacetto che desideravi tanto! Ti avevo promesso che presto o tardi un bacio fra due personaggi ci sarebbe stato… e infatti eccolo qui. In ogni caso se controlli nella tua mail con cui sei iscritta ad EFP dovresti trovare una sorpresina… ovvero la JiroNor originale che ti avevo accennato. XP Spero sul serio che tu gradisca anche questo capitolo sedici!
Talpina Pensierosa, ovviamente sono felicissima che tu mi recensisca ogni volta! E sono contenta anche che il capitolo sia stato di tuo gradimento. XD Sai, devo dire che non avrei mai creduto che l’aggettivo più ricorrente usato per definire Nohiro fosse “puccioso”, considerate le parentele. XD
Killkenny, grazie per il tuo commento, come sempre. Adesso che so come fai a dare i tuoi voti mi sento realizzata. XD In ogni caso, come vedi, Jiraiya non ha infierito più di tanto… In realtà credo che dovrei fare una scena con quei due a tu per tu, qualcosa di un pochino più ungo di questi incontri sporadici che hanno… forse avrei potuto inserirla proprio in questo capitolo ma poi mi sono detta che i tempi ancora non erano maturi per questo. XP
Lilithkyubi, le tue recensioni sono sempre stupende! Ti capisco perfettamente quando dici che la scuola è peggio di un vampiro… si può vedere da questo ritardo di pubblicazione. Immaginavo che il capitolo precedente sarebbe stato apprezzato ancora di più che quelli “clou”, forse perché vedere i ninja nella vita “normale” non succede sempre, e quel cap in particolare avrebbe permesso di spiare Nor nella sua vita privata. Nel prossimo capitolo ci sarà il tanto agognato incontro con la cara Mayu… e ti potrai divertire, vedrai. XD Nel frattempo dai pure una controllatina alla tua mail con cui sei iscritta su questo sito… c’è un bel discorsetto sulla proposta del festival che mi hai fatto. :D
Immensi ringraziamenti a Tone (appena msn mi parte ti passo quel disegno!) e Chary che stanno leggendo tutto dall’inizio e mi recensiscono capitolo per capitolo!

Ringraziamenti per “Nijuu Rokugatsu - Venti Giugno” la mia ff per il compleanno di Sakon e Ukon:

Sweet Tenten, grazie per il commentino, mi ha fatto un enorme piacere vedere che la fic è stata apprezzata! In effetti Sakon ed Ukon sono dei personaggi un po’ tralasciati, e del loro passato non si sa praticamente nulla… è per questo che li ho trovati così intriganti!
Chary, non farmi troppe lusinghe, la ff è stata ispirata dalla tua quindi è già una buona cosa che sia sembrata una specie di plagio! Sono contenta che sia venuta così scorrevole, perché il “particolare” stile di scrittura mi aveva fatto sembrare che fosse troppo pesante da seguire, con tutte quelle metafore! Grazie per la recensione tessò! *-*

Altro ringraziamento per “Yoru no Nikami – Notte di due Dei”:

Chary, eh visto, apro un altro spazietto solo per te. XD Ti volevo ringraziare per aver recensito anche quest’altra one-shot. Mi fa piacere che riesca a trasmettere emozioni, visto che tutte le volte temo che la scrittura non trasmetta niente. Grazie infinite per la recensione!

Grazie a tutti quanti e al prossimo capitolo! :D
   
 
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