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Autore: Kagome_86    05/05/2014    2 recensioni
Storia vincitrice del contest "Shadowhunters: Il Filo Rosso" indetto da Jakefan sul forum di EFP
Si dice che i Fratelli Silenti cuciano le loro labbra per proteggere gli Shadowhunters dalle loro parole, parole con un potere immenso. Parole che si vocifera possano persino riportare in vita i morti, per quanto questo sia considerato un crimine contro natura che nessun Fratello commetterebbe mai.
Crossover TMI-TDA.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, James Carstairs, Theresa Gray
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Il passato ritorna a trovarci in modi che ci stupiscono sempre: un suono, un odore, un oggetto possono scatenare ricordi che pensavamo sepolti. Ricordi divertenti, ricordi dolorosi, ma sempre ricordi.

*    *    *

Cinque anni dopo…

*    *    *

« Fliché. Cavazione. Parata. Affondo. Parata. Finta. Affondo! Perfetto, Emma! Stai andando sempre meglio. »
« Ma non riesco ancora a reggerla con una sola mano. Devo fare di meglio, zio Jem! »
« Puoi migliorare, è vero, ma sei comunque bravissima per la tua età. E con quella spada te la cavi sicuramente meglio di quanto non me la cavassi io. E sono sicuro che Julian è d’accordo con me. Non è vero? »
Il suddetto Julian, seduto sui gradini della palestra dell’Istituto di Los Angeles con un album da disegno sulle ginocchia, alzò lo sguardo e annuì. Non aveva seguito la conversazione nei dettagli, ma di solito quando Emma parlava con suo zio era sempre dei suoi progressi e di quanto fosse brava. Non era difficile capire che ancora una volta James Carstairs, lo zio di cui nessuno aveva conosciuto l’esistenza prima che saltasse fuori per prendersi cura di Emma quando aveva perso i genitori, lo aveva tirato in ballo per farsi aiutare a convincerla della sua bravura.
Tornò con gli occhi al suo disegno, un bozzetto che aveva tutta l’intenzione di far diventare un ritratto da regalare ad Emma il giorno in cui le avrebbe finalmente confessato quanto la amava, e cercò di renderlo il più possibile vicino alla sua Emma. Era perfetta. Non importava quante volte le avesse tirato le trecce quando erano bambini, o quante volte l’avesse vista con gli occhi gonfi di lacrime e il naso arrossato. O forse sì, importava, e gliela rendeva ancora più cara.
Riprese in mano il carboncino e continuò a disegnare.
« Puoi chiedergli qualunque cosa, tanto non gli interessa! Passa tutto il suo tempo in compagnia dell’album da disegno, o di tela e pennelli, o con la tavola da surf. »
Julian si sentì chiamato in causa per l’ennesima volta dalle solite lamentele di Emma. Sorrise, cercando di nascondere la soddisfazione che provava nel capire quanto le desse fastidio il suo disinteresse. Che poi, prima o poi avrebbe dovuto spiegarle quanto quel suo disinteresse fosse in parte fittizio, per innervosirla, e in parte reale, perché se avesse potuto abbandonare la vita da Shadowhunter senza abbandonare la sua famiglia, e lei, l’avrebbe fatto.
« Sei gelosa, Emma? » le chiese, in un tentativo poco segreto di innervosirla ancora di più e di mettere da parte i suoi neri pensieri. A cui Emma abboccò immediatamente.
« Nei tuoi sogni, Blackthorn. È che vorrei un Parabatai più interessato ad allenarsi per combattere al mio fianco che a farmi da zavorra ogni volta che usciamo ad uccidere demoni. »
Mentre parlava Emma si era avvicinata a Julian, che prontamente aveva chiuso l’album da disegno per nasconderle quello a cui stava lavorando, e si era fermata con la faccia a pochi centimetri dalla sua. E lui era un ragazzo, e quella vicinanza gli faceva fare strani pensieri. E sotto i venti centimetri ci scappa il bacio, sempre, anche se si è Parabatai. E…
« Emma, dagli un po’ di tregua. »
Emma si voltò verso suo zio e Julian respirò di nuovo. Si sentiva le guance accaldate e sperava di non essere arrossito.
« Facciamo una pausa. Voglio raccontarti una storia. »
« Che storia? » chiese Emma, sinceramente curiosa. Julian ricordava ancora quando si nascondevano nella palestra e guardavano John Carstairs, il padre di Emma, tirare di scherma ed allenarsi con gli shuriken. Li portava sempre a fare merenda e in spiaggia a surfare, facendo finta di non essersi accorto che erano stati lì tutto il tempo. E raccontava loro sempre qualcosa. Una fiaba, una storia vera, qualcosa.
La preferita di Emma era…
« La storia della spada che hai in mano. »
Emma sussultò, ma riuscì ancora una volta a farlo passare per fastidio. Lui, che la conosceva bene, vedeva oltre quella faccia scocciata e quello sbuffo spazientito. Era colpita dal fatto che lo zio James conoscesse la sua storia preferita.
« La conosco già. Papà me la raccontava sempre. E subito dopo mi suonava un pezzo meraviglioso al violino. Mi manca un sacco la musica che mi suonava, ma non ho ereditato neanche un briciolo del suo talento. »
Emma si era incupita, come ogni volta in cui tirava fuori i suoi genitori. La loro perdita le pesava ancora molto, nonostante cercasse di pensarci il meno possibile.
« Ok, vai a prendere il violino di tuo padre. Ti suonerò qualcosa. »

*    *    *

Vedere quella custodia e precipitarsi a strapparla dalle mani di Emma era stata quasi un’unica azione, per Jem. Julian ed Emma si erano scambiati uno sguardo stupito, Jem non si era mai comportato così, era sempre stato molto calmo e paziente.
Tirò fuori lo strumento dalla custodia con cura, e lo salutò accarezzandolo come si accarezza un’amante. Non che Julian sapesse come si accarezza un’amante, ovviamente, ma era il tipo di devozione che lui avrebbe avuto per Emma, se lei glielo avesse lasciato fare.
Passò del grasso sul crine di cavallo dell’archetto e pizzicò le corde per controllare l’accordatura dello strumento, che Emma faceva aggiustare ogni sei mesi con attenzione quasi maniacale. Il fatto che non fosse in uso, diceva, non era una buona ragione per lasciarlo in balia della polvere e della rovina. Quello che non diceva era che curare lo strumento di suo padre le dava l’idea di averlo ancora vicino.
Quando Jem poggiò il violino sulla spalla, un attimo prima che lo incastrasse sotto il mento e sollevasse l’archetto sulle corde, Emma trattenne il fiato e abbandonò la testa sulla spalla di Julian, che le cinse la vita con un braccio. Quando le prime note si liberarono nell’aria, fu lui a trattenere il respiro per la bellezza di quella musica, che gli raccontava un grande amore e una grande amicizia, le risate di un bambino, il mistero della vita e il silenzio della morte. Si rese conto che quella musica era molto simile a quella che John suonava di solito a lui ed Emma, quando lo rincorrevano per l’Istituto, impazienti di imparare a maneggiare la spada che lui aveva sempre al suo fianco. La spada che ora Emma aveva al suo fianco.
Le ultime note vibrarono nell’aria insieme alla consapevolezza che Emma gli era stata vicina per tutto quel tempo, insieme alla consapevolezza che Emma gli aveva pianto addosso tutto quel tempo.
Jem sorrideva, mentre metteva via lo strumento, accarezzandolo per un’ultima volta prima di chiudere il coperchio della custodia di legno che doveva avere almeno cent’anni e dove erano incise le iniziali di uno dei proprietari del violino. J.C. Avevano sempre pensato che si trattasse delle iniziali del padre di Emma, ma se invece fossero state quelle del primo proprietario del violino? E se quel primo proprietario fosse stato proprio lo zio James, venuto fuori dal nulla quando Emma aveva avuto bisogno di lui?
« Era… una musica bellissima, zio Jem, » disse Emma, tirando su con il naso in modo poco signorile. Ma in fondo, cosa pretendeva da una guerriera? E poi lei era perfetta così.
Jem si sedette vicino a lui, e lo fissò per qualche istante—li fissò per qualche istante—prima di sospirare e parlare.
« Anche io mi nascondevo in palestra quando mio padre si allenava con la spada. Mi piaceva guardare quei movimenti eleganti e sognare che un giorno mi avrebbe insegnato a maneggiare Cortana con la stessa eleganza con cui la maneggiava lui. Poi uscivamo in giardino e lui si sdraiava a terra mentre io mi esercitavo con il violino. Quando lui e mia madre sono morti ho pensato che fosse colpa della mia scarsa abilità con la spada. E poi ho conosciuto Will. »
« Will? » chiese Julian, consapevole di non aver mai sentito quel nome se non nelle Cronache.
« William Owen Herondale. Il mio Parabatai. Il padre della tua antenata Lucie. »
« È ridicolo, dovresti avere—»
« Centocinquant’anni, Emma. »
Emma scoppiò a ridere, come se quel pensiero fosse semplicemente ridicolo. Beh, lo era. Per avere centocinquant’anni sarebbe dovuto essere decrepito.
« Dovresti essere morto da un pezzo, a meno che tu non fossi… » Emma si interruppe bruscamente, in preda a una strana epifania. « Fratello Zaccaria. »
Jem sorrise quasi imbarazzato. « Jace ha salvato anche me. »


   
 
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