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Autore: Okanslig    05/05/2014    0 recensioni
Texas, USA. La sua storia comincia qui, in una calda mattina di inizio estate, per correre poi lungo le larghe strade americane, alla scoperta di città e persone nuove, alla ricerca di quel qualcosa in più che le quattro bianche mura della sua stanza non riuscivano più a darle.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ginger, capitolo due.
Okay, le cose non stavano affatto andando alla grande, anzi, per niente. Ero a secco, già.
Il giorno dopo andai a lavoro come se niente fosse, ma dietro al banco c’era Terry, con un bel grembiulino addosso e quel sorriso da idiota che aveva.
«Ciao Gin, come va? Mi spiace che tu debba rimanere a casa, ma sai come vanno gli affari no?»
Non ci vidi più. Mi avvicinai a lui e lo afferrai per il bavero della maglietta.
«Ehi testa di cazzo, ascoltami bene: mi avete licenziata d’accordo, ma non t’azzardare a sfottere. Ho ancora due giorni qui, e per due giorni non ti voglio vedere intorno al mio bancone, altrimenti vedi cosa succede.»
«Ehi ehi ehi, non ti scaldare baby..»
«Forse non ci siamo capiti - ringhiai avvicinando il mio viso al suo e percependo in nervosismo che cominciava a scorregli nelle vene - ripeti solo una parola su di me, e tu ti ritrovi con quel tuo fottutissimo muso a leccare la terra per il resto dei tuoi giorni. Sono stata chiara?»
«Sì..sì..» riuscì a malapena a balbettare.
«E ora vattene di qui, subito.»
Senza fiatare Terry si tolse veloce il grembiule, afferrò la giacca e si precipitò fuori dal locale. Ero troppo incazzata per farmi mettere i piedi in testa da uno come lui. Poi come se nulla fosse successo presi il blocchetto delle ordinazioni dal cassetto e con un bel sorriso trentaduedenti andai verso una coppietta che era rimasta un po’ in disparte a osservare a bocca aperta la scena.
«Ciao ragazzi, cosa vi porto?» chiesi.
«Emh..beh noi..»
«Scusate non accade mai, è solo un periodo un po’ così.»
Il sorriso mi si stava spegnendo sul volto, mentre gli occhi fuggivano a guardare lontano.
«Ma tranquilli, cosa vi porto?» continuai allegra, facendo finta di niente.
Presi le ordinazioni e servii tutti i clienti com’era accaduto tutti i giorni, eccetto la domenica, in quei tre anni precedenti.
Per tutta la mattina Mike era stato appoggiato alla porta del suo studio, osservandomi senza dire nulla, senza emettere un solo rumore, tanto che non me n’ero neanche accorta, sebbene fosse molto visibile dal punto in cui mi trovavo io. Aveva assistito alla scenata di prima. E ridacchiava sotto i baffi di brutto.
«Ehi Gin, vieni qua.»
Mi voltai a guardarlo, la mano appoggiata a pugno sui fianchi e l’espressione del volto che suggeriva qualcosa tipo: io ho da fare, se ci tieni tanto a parlarmi vieni qua tu.
E così fece. Si avvicinò lentamente scrutandomi bene e appoggiandosi al lato del bancone ordinò un cocktail.
«Beviamo già di prima mattina?»
Lo sfottei ironica; era un brava persona, ma beveva come una spugna.
«Sei simpatica Gin. E hai carattere. Davvero.»
«Meno male, allora. Vuol dire che saprò come cavarmela nella vita.»
«Già..serve, sai? Aver carattere dico, e anche tanta fortuna.»
«Ah no. Solo la prima. Io di fortuna non ne ho per niente.»
«Sei bella. È già una fortuna, no?»
«Ehi, vacci piano con i complimenti, vecchio.»
Sorrise. Dolce ma arrabbiato al tempo stesso. Mi conosceva da sempre e si era affezionato a me, tuttavia si comportava come uno stronzo, come aveva fatto la mattina precedente.
Continuava a fissarmi e questo m’irritava.
«Allora Mike, cosa vuoi ancora?»
«Niente, solo farti i complimenti.»
«E allora credo che tu abbia ancora del lavoro da svolgere di là.»
Accennai con un movimento del capo la porta aperta dell’ufficio. Fece spallucce, ma decise comunque di muovere il culo e andarsene. Saggia decisione. In quel momento squillò il mio cellulare.
«Ciao papà.»
«Ehi Gin, sei a lavoro? Passami Mike, voglio parlargli.»
«Pà non credo sia una buona idea, ma come vuoi. Ehi Mike vieni qui, c’è mio padre al telefono. Vuole parlare con te.»
«Con me?»
«Vedi altre persone di nome Mike in giro?»
«Gli hai detto del lavoro?»
«E cosa avrei dovuto fare, spiegami. Ah e se credi di scaricare la colpa su di me ti sbagli di grosso.»
Alzò gli occhi al cielo e portò il telefono all’orecchio.
«Cia..» fece, ma fu bloccato dalla voce che usciva dall’apparecchio.
«Che cazzo hai fatto Mike?! Ti conviene darmi subito delle spiegazioni altrimenti..»
«Altrimenti cosa?» lo aggredì a sua volta Mike, appena si riprese dallo shock.
«Mike senti, sto guidando da quattro giorni e sono stanco. Sai come siamo messi, quindi perché l’hai fatto?»
Le parole uscivano rabbiose, incespicando fra i denti serrati.
«Anche mio figlio ha bisogno di un lavoro..»
«Sì ma non siete nella merda come noi, cazzo.»
«Passamelo» urlai.
«Co..cosa?»
«Ti ho detto passamelo.»
Mike mi allungo il vecchio telefono mezzo scassato.
«Ehi pà. Sapevo che non era una buona idea, comunque.»
Mi allontanai da Mike. Mi dava fastidio il fatto che sapesse della nostra disastrata situazione economica.
«Papà. Non importa - gli sussurrai a denti stretti. - Troveremo una soluzione, ma non pretendere nulla da lui.»
«Gin, è una questione da grandi tesoro, c’erano dei patti e lui non li sta mantenendo.»
«Non me ne frega un cazzo dei patti, pà, e da quel che ho capito neanche a lui. E non mi trattare come una bambina, credo di essere grande abbastanza ormai. Ci vediamo oggi, ciao.»
«No Gin, aspet..»
Chiusi la comunicazione. Mi voltai e tornai al bancone.
«Qualche problema Gin?» Si azzardò a chiedere Mike.
«Sì, ma abbiamo già risolto non ti preoccupare.»
«Non mi pare che..»
«Ehi sei sordo? Abbiamo già risolto. E poi non venire a crearci problemi e poi a preoccuparti per noi. Sei patetico Mike.»
Mi tolsi il grembiule e uscii dal locale a fumarmi una sigaretta. Ne avevo bisogno, sì. Dio se ne avevo bisogno. Avevo i nervi a fior di pelle.
«Ciao.»
Alzai la testa proprio mentre stavo bofonchiando un “cià” di risposta. Era il ragazzo del giorno prima.
Mi sforzai di fargli un sorriso, ma non ci riuscii. Era più forte di me.
«Posso fare un tiro?» mi chiese.
Mi colse alla sprovvista, tanto che ci impiegai un paio di secondi per focalizzare la domanda. Poi scoppiai a ridere.
«Ti..tieni» e gli porsi la sigaretta con una mano tremolante, scossa dai singhiozzi. Avevo i lacrimoni senza capire neanche bene il perché.
«Ehi sta’ attenta, così mi bruci!» Lo sentii urlare.
«Sì sì scusami, ecco tieni.»
«Andiamo dentro che ho fame.»
Gli annuii allegramente. Quel ragazzo mi aveva appena rimesso il buon umore. E sì, era veramente carino.
  
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