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Autore: biberon    07/05/2014    5 recensioni
“Abbiamo dovuto farlo.” Disse la madre di Gwen con gli occhi lucidi.
“Ma è una ragazza dolcissima! Gentile, bella, educata, spiritosa! È una mia grande amica!”
“Capiscici, Duncan, ti prego. Lo facciamo per proteggerti!”
“Da cosa?!”
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Duncan era un ragazzo punk, forte, intraprendente, ribelle, ma buono.
Courtney era una ragazza bella, ordinata, intelligente, intraprende e dolce.
Gwen era una ragazza sola.
Lei era diversa, lei era un pericolo …
Ma lei voleva solo qualcuno, qualcuno che l’apprezzasse e l’amasse, qualcuno … lo voleva disperatamente, con tutta se stessa.
Ed era pronta a fare qualsiasi cosa per averlo.
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Courtney, Duncan/Gwen
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Contesto generale
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Rieccomi! Spero vi piaccia questo capitolo. Un saluto rinnovato a Stand_by_me che porcamiseria si ostina a non svelarmi il tuo vero nome *occhi dolciosi* tipregotipregotiprego, al lupacchiotto/a Farkas  (giuro, non ho ancora capito di che sesso sei, mai che tu metta un "essendo io una ragazza o ragazzo o roba simile accidentiate) e alla fedelissima Xenja!



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Improvvisamente, qualcosa in fondo al pozzo, pochi metri più in basso, prese fuoco.
Heather non sapeva cosa fosse, ma aveva generato una piccola fiamma in grado di illuminare l’interno dell’ambiente. E così poté vedere chiaramente quel che c’era lì dentro, quel che aveva urlato disperatamente il suo nome poco prima.
Qualche secondo dopo Heather stramazzò a terra con un urlo agghiacciante, presa dal tremore, gli occhi sbarrati e lo sguardo perso.
 
“Heather!” esclamò Alejandro, afferrandola per le spalle e scuotendola vigorosamente. “Che ti succede? Cosa hai visto?!”
 
L’asiatica non rispose. Era silenziosa e dondolava avanti e indietro. Allungo un dito tremante verso la bocca del pozzo.
 
“Cosa c’è lì dentro?” provò a chiederle Gwen sussurrando.
 
Nemmeno stavolta lei rispose. Si coprì il viso con le mani.
 
“Oh, d’accordo. Non possiamo perdere tutto il giorno.” Sbottò la gotica, lasciandole andare i polsi. “Ammesso che sia giorno, fuori.” Aggiunse, arrampicandosi sul pozzo.
“Che stai facendo?!”  la bloccò Al. “Heather non è in condizione di proseguire. Non vedi come sta male?”
“è l’occasione perfetta per fartela, non trovi?” disse sarcastica la dark, issandosi sul bordo.
“Io non guarderei giù, se fossi in te.”
“è l’unico modo per passare, no?”
 
La fiamma illuminava interamente l’interno della caverna, e con un rapido sguardo, Gwen potè capire il motivo della crisi isterica di Heather.
 
Una fitta le prese lo stomaco e la costrinse a ritrarsi un po’ per non vomitare.
 
 
A meno di cinque metri da lei c’era un ammasso brulicante di … neonati.
 
Piccoli, dolci, teneri neonati.
 
Trasse un grosso sospiro.
 
No, questi erano tutto tranne che dolci e teneri.
 
Erano ammassati l’uno sopra l’altro, strisciavano e gattonavano nel proprio sangue inciampando continuamente in altri piccoli corpi divelti e arti mozzati. Un groviglio di carne umana tenuto insieme da pozze di sangue e crani spaccati. E dalle piccole gole ancora vive usciva un sussurro lento e melodico … che pronunciava il suo nome nel buio.
 
 
Si lasciò scivolare giù dal muretto.
“Cosa hai visto?!” le chiese Al lasciando praticamente cadere Heather.
“Non possiamo passare, Alejandro. Io non ce la faccio.”
“Ma perché?! Cosa c’è lì dentro.”
“Vai a controllare da solo.” Disse spenta, mentre raggiungeva Heather, la quale pareva essersi già ripresa.
“In un modo o nell’altro dobbiamo passare di lì.” Esclamò tirandosi su da terra.
“Hai qualche idea?”
“L’unico modo è saltare.” Intervenne l’ispanico, balzando giù dalla parete del Pozzo.
“Hai visto cosa c’è lì dentro?! Non voglio correre il rischio di caderci in mezzo” esalò Gwen, sconsolata. Gli occhi freddi e vuoti di quei bambini mezzi morti le erano rimasti davanti agli occhi, tanto che non vedeva nemmeno Heather e Alejandro, in quell’orrore che le invadeva la mente.
“Sì, ho visto. Muy tragico, ahimè. Ma sono abituato a questo genere di cose. In fondo, io vivo qui.”
“In che senso sei abituato?!”
“La Grigia piazza trappole del genere ovunque. E questo è il tipo di trattamento che riserva agli intrusi.”
“Dio, potrei vomitare …” bofonchiò Heather.
“Io sono un ottimo saltatore. Potrei saltare con facilità dall’altra parte e prendere al volo voi due.”
“E se non ci reggessi?”
Lui si limitò a riderle in faccia.
 
I tre si arrampicarono sul lato destro dell’enorme Pozzo, e issarono Alejandro in cima al muretto. Lui si mise in piedi, con la calzamaglia nera di Gwen che penzolava dalla vita alle ginocchia, e si resse con una mano al muro.
 
“Al tre, salti. Okay?”
“Uno … Due … Pronto, Al?”
 
“Ti ho già detto …” iniziò lui, poi improvvisamente si diede un’enorme spinta con i piedi e saltò in avanti tenendo le braccia tese, “Di non chiamarmi Al!” concluse aggrappandosi all’altro lato del pozzo e tenendo su le gambe, il più lontano possibile dai neonati.
 
“Bravissimo!” esclamò Gwen, improvvisando un piccolo applauso. Non gliene fregava nulla di Alejandro, in realtà, ma l’unica garanzia che aveva di sopravvivere a quel punto erano le sue braccia muscolose.
“Vado io” disse Heather spintonandola indietro.
 
Gwen sibilò un insulto a mezza voce mentre l’asiatica si metteva accucciata sul bordo, sporta in avanti, a testa in su.
Aspettò che Alejandro si fosse stabilizzato e fosse pronto per prenderla, poi trasse un respiro e si gettò nel vuoto, a poca distanza dai bambini.
Appena fu in aria i neonati presero ad urlare e ad agitare ciò che gli rimaneva attaccato al corpo verso l’alto, schizzando sangue e membra sulle pareti in fondo.
 
“AL! PRENDIMII!” urlò lei in preda al panico, tendendo le braccia.
Lui, con molta calma, la afferrò per i polsi e la tirò su come se fosse una piuma. Lei ci mise qualche secondo a riprendere l’equilibrio, poi si sedette abbastanza lontana sia dall’ispanico che dal bordo, tenendosi bene ferma con le mani.
“Tocca a te, Gwen!”
La gotica salì su per le rocce e si issò sul bordo. Ok, non era così difficile. Erano solo pochi metri di salto. E c’era Al, a prenderla, dall’altra parte.
“Non sono mai stata una brava saltatrice!” urlò, rivolta all’altra sponda.
“E chissenefrega” rispose Heather, mentre Alejandro la fulminava con lo sguardo.
“Non preoccuparti” le disse, “Ce la farai benissimo.”
Gwen si alzò in piedi titubante e piegò la ginocchia.
“Datti una bella spinta e allunga le braccia, al resto penso io.”
Rassicurata dalle parole di Al, la dark prese un grosso respiro e si diede una forta spinta con gli arti inferiori.
Forse non così forte, però.
L’aria putrida del sottosuolo le sferzò il volto, mentre cadeva verso il basso più velocemente di quanto non andasse avanti. E più l’ammasso sotto di lei le sembrava vicino, più le mani di Alejandro si allontanavano.
Allungo le braccia pallide più che poté, e riuscì a sfiorare la mano destra del ragazzo e ad aggrapparcisi con tutte le sue forze.
“AIUTO! TIRAMI SU!”
“NON CE LA FACCIO! Sei appesa troppo male!”
“Heather, aiutalo!”
L’asiatica si allungò sul pozzo per afferrare la mano di Gwen.
“Ci sei quasi …” singhiozzò Gwen, che sentiva la presa di Alejandro venire meno ogni secondo che passava.
La mano di Heather la raggiunse e la afferrò per il polso proprio nell’istante in cui le dita sudate di Gwen lasciavano la presa sulla mano di Al.
La gotica ebbe un attimo di terrore, ma trasse subito un sospiro di sollievo sentendo la forza dell’altra ragazza tirarla su piano piano.
“Sbrigati, ti prego!” esclamò ansante, sentendo i mugugnii dei bambini provenire dal terreno poco sotto di lei.
“Ci sto … provando … pesi!” bofonchiò Heather, alzandola anche con l’altra mano.
Alejandro si fece avanti e posò le mani sui fianchi di Heather per tirarla indietro ed aiutarla a sollevare Gwen. Ma la sua mano destra scivolò sotto la cintura dell’asiatica.
“CHE CAZZO FAI?!” ruggì lei senza pensarci, si ritrasse e lasciò andare le mani bianche di Gwen.
“HEATHEEEEEEEER!” urlò lei terrorizzata, precipitando verso il basso.
“Merda!”
Una decina di secondi dopo Gwen atterrò di schiena sulla roccia fredda e dura, mozzandosi il respiro.
Le ci volle qualche secondo per stabilizzarsi dopo l’impatto, e si voltò.
Aveva attirato l’attenzione di parecchie paia di occhi luminosi e umidi, che la fissavano con aria tutt’altro che amichevole.
Poi, un numero imprecisato di secondi più tardi, quelle cose cominciarono ad avanzare in gruppo verso di lei, tendendo le manine e altre parti del corpo.
“AIUTO!” urlò lei indietreggiando a quattro zampe, ma ben presto si ritrovò con la schiena al muro.
“CHE FACCIAMO?!” esclamò Heather strattonando Alejandro, qualche metro più in su.
“La colpa è solo tua! Se tu non fossi così egocentrica …”
“Mia?! È TUA, RAZZA DI IDIOTA! SE TU NON AVESSI FATTO IL PORCO MENTRE LEI STAVA CADENDO, NOI …”
“NON STAVO FACENDO UN BEL NIENTE, MI STAVO SOLO AGGRAPPANDO!”
“AH Sì?! AL MIO DIDIETRO?!”
“MA SE NON CEL’HAI NEANCHE, UN CULO!”
 
Una mano con sole tre dita coperta di sangue rappreso afferrò il bordo della maglia di Gwen e la attirò a se con forza incredibile, per un infante, mentre altre manine, braccia e piedini la avvolgevano lentamente da ogni parte …
“Non vorrei interrompervi, ma AIUTO!” urlò più forte che poteva.
Heather e Alejandro ammutolirono.
“Allunga il braccio! Mi calo a prenderti!” esclamò Heather.
Si chinò più che poté ed intimò ad Alejandro di reggerla per i piedi.
“Solo i piedi.” Precisò inviperita.
“Anche perché non c’è altro” rispose lui beffardo.
La calò in  fretta lungo la parete umida del pozzo.
“Gwen? Dove sei?!” esclamò Heather, vedendo sotto di se solo un ammasso informe di esseri brulicanti.
Una mano bianco avorio emerse tra i corpi putrefatti e i cadaveri freschi e si agitò freneticamente in aria.
“Dio! L’anno seppellita!” si lasciò sfuggire Heather afferrandole la mano.
In quell’istante, sentì la presa alle sue caviglie allentarsi.
“AL! CHE CAZZO FAI?!”
“Non riesco a reggerti! Mi stai sfuggendo!” esclamò lui vagamente nel panico.
“Fai uno sforzo! L’ho quasi presa!”
Heather tirò con tutte le sue forze, e riuscì a far emergere dal mucchio putrescente una testa coperta di capelli scuri e un viso inorridito con le labbra verde petrolio.
“Ci siamo quasi!” esclamò rivolta verso l’alto.
“Scusa” disse solo Al, e Heather cadde rovinosamente giù insieme a Gwen, tra il mucchio di esserini mezzi vivi e mezzi morti.
L’asiatica emise un grido assordante mentre quattro neonati le saltavano addosso, le strappavano i vestiti e le addentavano la carne.
Alejandro era rimasto a guardare, terrorizzato.
“CHE COSA GUARDI?! AIUTACI!” urlò l’asiatica mentre spingeva via uno di quel mostriciattoli che tentava di morderle un labbro.
Al parve riprendersi dallo shock, e si buttò nel Pozzo, convinto di poter fare a pezzi quei mostri orrendi. Peccato però che non ebbe nemmeno il tempo di capire dove fossero, che già undici di loro gli erano sopra, coprendogli la visuale sulla bocca del pozzo. Uno dei bambini gli affondò i piccoli denti aguzzi nel collo mentre altri due gli stortavano le braccia dietro la schiena. L’ispanico provò ad alzarsi con tutta la sua forza, ma quei cosi sembravano cento volte più potenti.
Sentiva le grida delle due ragazze venire da una parte all’altra della caverna, ma non riusciva a vederle o a toccarle. Il cuore gli martellava nel petto mentre fendeva colpi alla cieca con le ginocchia a vuoto.
Gwen, qualche metro più in la, era completamente sotterrata da un ammasso di infanti voraci che la stavano percuotendo da tutte le parti. Urlava di dolore, ma nessuno poteva sentirla: i bambini la stavano schiacciando, letteralmente. Non vedeva ne sentiva più nulla, a parte fitte di acuto dolore che s’irradiavano da qualsiasi parte del corpo, e unghie e denti che le affondavano nelle carni mentre cercava inutilmente di dibattersi.
 “Andate via” sibilò tra i denti, ma ovviamente non servì a nulla. Eppure aveva una strana sensazione. Molto strana. Una sensazione particolare. Non di dolore o di paura, non più. Una sensazione inebriante, che le invase in pochi secondi tutto il corpo facendole dimenticare ogni ferita. Una sensazione che la rendeva quasi … allegra.
Eppure era assurdo. Stava morendo! La stavano divorando viva! Come poteva sentirsi felice ed allegra?!
Eppure era così. Anzi, meglio. Si sentiva potente. Una vocina, nella sua testa, diceva “puoi farli smettere. Basta volerlo.” E ripeteva questa frase, ancora ed ancora. Si riferiva ai bambini? Ma cos’era, quella voce?
Gwen decise che non le importava. L’avrebbe ascoltata e basta.
Basta volerlo.
Lei lo voleva! Voleva vivere, lo desiderava con tutta se stessa! Altrimenti non avrebbe mai più rivisto Duncan.
Duncan.
Questo le potenziò ancora di più quella sensazione, e un’immagine le comparve davanti agli occhi. Era sfocata, come un flashback. Era strana, opaca. Ma capiva cosa fosse. C’era una casa. Una donna, con un vestito a fiori. E degli uomini, in piedi sul tetto della casa. La donna apriva la bocca, stava dicendo qualcosa. E anche un uomo parlava. Rivolto alla donna, e non sembrava gentile. Poi notò un altro dettaglio. Una bambina, in piedi davanti alla casa. Capelli neri, lunghi, orsetto di peluche tra le braccia e vestaglia del pigiama. Guardava l’uomo. Sembrava arrabbiata, molto arrabbiata. Lo guardava, con quei grandi occhi scuri. Lo guardava intensamente, molto. Ad un tratto, quell’uomo cadde dal tetto e si sfracellò a terra, afflosciandosi come un sacco di patate. Morto.
In quel preciso istante tutto cessò.
Gwen aprì gli occhi, ansante.
I bambini … erano …
“Spariti?!” esclamò Heather, da qualche parte lì vicino.
“Se ne sono andati!” disse Alejandro mettendosi a sedere.
“Come è possibile?!”
Gwen si guardò freneticamente intorno.
Era vero. Non c’era più nessuno. Solo loro tre.
“Gwen!” esclamò l’ispanico puntandole un dito contro.
“Che c’è?!”
“I tuoi … I TUOI OCCHI!” esclamò stupida Heather, portandosi una mano alla bocca.
 
 
   
 
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