Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: calamity julianne    07/05/2014    10 recensioni
Jamie Campbell Bower ha ventitré anni è arrogante, splendido, presuntuoso e vanitoso. Si crede il migliore in tutto quello che fa ed è perennemente arrabbiato con il mondo.
Julie Marin ha solo diciassette anni, è bella, forte e semplice ed è fuori dalla portata di Jamie: è la sua nuova sorellastra.
Quando la madre di Julie si trasferisce insieme alla figlia a casa di Jamie e di suo padre, inizierà la guerra.
Julie e Jamie si trovano costretti a passare tutta l'estate da soli, in balia dell'odio reciproco e dell'attrazione che provano l'uno per l'altra.
Amore. Odio. Gelosia. Segreti. Bugie.
I due si troveranno risucchiati nel vortice dell'odio e dell'amore impossibile che li vede protagonisti.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo due.
 
Il giorno della partenza di Ashley e David, l’allegra famigliola era in pigiama davanti al portone di casa, per salutare la coppietta in viaggio.
Erano appena le sei del mattino e tutti i visi dei presenti erano solcati da profonde occhiaie violacee.
Harold prese le valigie e le carico in macchina, mentre Ashley stava riempiendo Julie di preoccupazioni e baci sulle guance.

«Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa non esitare a chiamarmi, capito?», disse Ashley fissando gli occhi in quelli della figlia.
Julie annuì. «Sì, mamma. Stai tranquilla e goditi la vacanze, andrà tutto bene».
Ma stentava a crederci anche lei.
A cinque passi di distanza, David e Jamie si guardavano come due estranei. «Non fare sciocchezze», disse il padre. «Non metterti nei guai e per favore, sii gentile con Julie, intesi?».

Jamie lo guardò con disinteresse. Era l’uniche che non indossava il pigiama: indossava dei jeans scuri e una maglietta a maniche corte bianca. I capelli, biondissimi, erano scompigliati e incorniciavano due occhi che avrebbero dovuto essere illegali. «Intesi», disse infine con voce roca.
Poco dopo, David e Ashley sparirono dietro la porta e Mary, con il permesso dei due ragazzi tornò a dormire.
Jamie guardò fuori dalla finestra e attese che David e Ashley fossero abbastanza lontani per indossare il suo giubbotto di pelle nera e per afferrare le chiavi della moto dal caminetto.
Julie lo guardò con aria confusa. Lei a differenza sua, indossava il suo pigiama e stava morendo dal freddo.
«Dove vai?», chiese lei.
«Esco», rispose secco.
«Alle sei di mattina?».

«Sì», le passò davanti e toccò la punta del suo naso con l’indice, poi raggiunse la porta. «Ma tu dovresti tornare a nanna, i bambini non dovrebbero stare svegli a quest’ora», e sfoderò un sorriso che fastidioso era poco.
Julie arricciò il naso. «Hai davvero intenzione di lasciarmi qui da sola?».
Jamie alzò le spalle. «Ciao ciao», e sparì dietro la porta.

Julie sbuffò. Che maledetto idiota.

La ragazza salì al piano di sopra, fece una lunghissima doccia e si vestì. Indossò un paio di jeans chiari a vita alta, una maglietta a righe bianche e blu e un paio di converse bianche. Andò in cucina con una coda spettinata e si preparò una tazza di caffè.
Era sola, completamente sola in una casa troppo grande. Ed era una sensazione che non le piaceva molto.
Una cosa da sapere su Julie, è che era una contraddizione continua. Un ossimoro vivente, l’avevano definita alcuni.
Voleva girare quel castello, così si armò di coraggio, prese la sua tazza di caffè e andò in una parte della villa che non aveva visitato.

Imboccò un corridoio tappezzato di quadri che sembrava non avere una fine e la stanza che la colpì subito, fu una biblioteca.
Era enorme. Il soffitto era altissimo e vi era appeso un lampadario di cristallo. Le pareti erano piene di libri. Migliaia, pensò Julie o forse anche di più.
E non c’era paradiso migliore. Entrò nella stanza e la bocca le si socchiuse guardandosi attorno. Le enormi librerie erano divise in sezioni, tipo “poesia”, “letteratura delle origini”, “romanzi rosa”, “gialli”, “avventura”.

C’era un libro su uno dei divanetti che vestivano la stanza.

Il dottor Jekyll e Mr. Hyde lesse Julie.

Involontariamente, le volò il pensiero su Jamie che forse era un po’ una sorta di Jekyll. Julie fece una smorfia. «Jamie bipolare Bower dovevano chiamarti», mormorò tra sé e sé sedendosi su un divanetto rivestito in pelle rosso scuro.
Julie lesse quel libro da pagina 32, ovvero dalla pagina dov’era adagiato un segnalibro che qualcuno aveva lasciato lì.
Lesse, lesse, lesse  e beata, s’ addormentò.
 
***

Jamie arrivò a casa verso le undici del mattino e non impiegò molto tempo per trovare Julie. La trovò distesa sul divanetto della biblioteca, con una tazza vuota di caffè accanto e un libro stretto al petto.

Il dottor Jekyll e Mr. Hyde lesse Jamie a mente.
Il libro che stava leggendo lui. Le sfilò il libro dalle mani e lo poggiò nel tavolinetto di fronte. Julie contrasse il viso. «Sembreresti quasi innocua così», constatò Jamie a bassa voce.
Picchiettò con le dita sulla spalla di Julie per svegliarla. «Julie? Julie svegliati», disse.
Julie farfugliò qualcosa di incomprensibile e aprì gli occhi impastati dal sonno. Ci volle un po’ di tempo per permetterle di mettere a fuoco la figura che aveva davanti.

«Oh», mormorò quando lo riconobbe. «Com’è stata la gita mattutina?».
Jamie ghignò ricordando Blaire, la moretta con cui aveva passato la mattina. «Interessante», disse con una malizia che Julie non colse. Jamie tornò a guardarla. «Alzati su, dobbiamo uscire».
Julie sbadigliò. «Per andare dove?», disse mentre si alzava.
«Voglio mostrarti una cosa», disse Jamie e le sfilò l’ elastico che aveva tra i capelli. «Così va meglio», disse. «Quei ricci che ti ritrovi rispecchiano il tuo carattere», aggiunse avviandosi verso la porta della biblioteca.

Julie gli andò dietro con qualche difficoltà nel seguire il suo passo svelto. «Perché che carattere ho?».
«Pazzo, decisamente fuori controllo».
 
***
 
Uscirono fuori da cassa Bower e attraversarono il vialetto costituito da piccole pietruzze bianche. Jamie indossò il suo casco e porse a Julie quello allacciato al manubrio della moto nera. Lei esitò. «Sei sicuro di saper guidare questo coso?».
Jamie roteò gli occhi al cielo e la guardò quasi severo. «Questo coso come lo chiami tu è una Harley Davidson, l’unico amore della mia vita».
Julie sollevò un sopracciglio. «Beh, è una gran bella moto, solo che non mi fido di te».
Jamie si avvicinò a Julie e le mise il casco in testa. Spostò una ciocca ondulata dei capelli di Julie dai suoi occhi e le allacciò il casco. «Sali e non fare storie», ordinò come un padre.

Julie si morse le labbra furiosamente e sospirò. Salì sulla moto e  Jamie attese che lei gli cingesse la vita con le braccia, cosa che invece non successe. «Dovresti tenerti», disse lui.
«Lo sto facendo», rispose lei tenendosi alla moto in modo non tanto sicuro.
«Intendevo che dovresti tenerti a me».
«Manco morta».
Jamie sospirò e per dispetto, partì in modo un po’ troppo veloce facendola sobbalzare dalla paura. Immediatamente, Julie mise le braccia attorno alla vita di
Jamie e lui sorrise soddisfatto.

La portò al centro di Londra, in un quartiere che lei conosceva bene.
Spense la moto davanti ad un bar e scesero entrambi da essa. Julie si slacciò il casco e glielo porse. «Che facciamo qui?», chiese lei.  Jamie prese il suo casco insieme al proprio e si voltò verso di lei.
«Voglio portarti in un posto», posò i caschi nella moto e camminò per una strada.
Salì su un marciapiede e si fermò davanti ad un grosso portone di legno. Tirò fuori dalla tasca del suo giubbotto una chiave dorata e la infilò nella serratura della porta. Spinse un paio di volte per riuscire ad aprirla.
Julie guardò quell’edificio dall’esterno, sembrava una cattedrale antica. «Sono venuta qui un sacco di volte ma non mi ero mai accorta di questo posto».

«Forse vedevi», disse Jamie dando uno strattone finale alla porta, riuscendo finalmente ad aprirla. «Ma non guardavi».
Julie entrò e si trovò in un ambiente completamente diverso da come appariva all’esterno. La sala in cui entrò, sembrava una sala delle riunioni piena di sedie. A entrambi i lati della sala c’erano due porte e davanti a lei un corridoio che sfociava in un’ enorme scalinata.
Jamie si richiuse la porta alle spalle e la sorpassò. «Vieni», le disse salendo le scale. Erano scale antiche in marmo bianco, scale rovinate ma che un tempo dovevano essere bellissime.
«Che posto è?», chiese Julie mentre saliva le scale al suo fianco.  «Una chiesa?».
«Più o meno», disse Jamie.
Le scale portavano ad una porta di legno aperta. Entrarono nella stanza spoglia e Julie si guardò intorno. Era un posto inquietante, ma aveva qualcosa di magnetico.

C’era una grande porta-finestra  che dava in un giardino piccolo, con una fontana al centro. La stanza era vuota, se non per un quadro vecchio di cui a malapena si riconosceva la firma.
Jamie superò la stanza e la portò in un’altra stanza, altrettanto grande. Il soffitto era altissimo e al centro di quella sala c’era un pianoforte antico. Jamie andò verso il piano forte con Julie dietro. Soffiò sui tasti impolverati sollevando una nuvoletta di nebbia e suonò una melodia che Julie non riconobbe.
«Sai suonare il piano?».
«Però, che occhio», disse Jamie tra il sarcastico e l’acido.

Suonò le ultime note di quella che sembrava la bozza di una canzone come se stesse dicendo addio all’amore della sua vita.
Jamie amava la musica in ogni sua sfaccettatura, era tutto ciò in cui credeva. Era uno che nella sua vita aveva avuto tante, tante delusioni e sapeva che la musica non l’avrebbe mai tradito.
La musica non tradisce, la musica ama e si fa amare.
 
«Questo posto non è una chiesa», disse Jamie senza sollevare lo sguardo dalla tastiera. «Secoli fa, una nobildonna italiana venne qui a Londra. S’imbatté per caso in uno dei quartieri più poveri di tutta Londra e vide decine di bambini orfani che vagavano per le strade, tutti sporchi, magrissimi  e con i vestiti stracciati. Si chiamava Caterina, era bellissima e molto ricca. Tutta quella povertà le aprì gli occhi e decise che non poteva stare con le mani in mano a guardare dei poveri bambini morire di fame, così si spogliò dei suoi beni, rinunciò al suo titolo e fece costruire questo edificio. Era un convento un po’ diverso dagli altri: fungeva anche da scuola e da casa per tutti i bambini che ne avevano bisogno, una sorta di collegio. Caterina raccoglieva i bambini dalle strade e restituiva loro una vita nuova, la speranza di una rinascita. C’erano le monache che aiutavano Caterina a mandare avanti questo posto e che insegnavano ai bambini ogni cosa: a leggere, a scrivere, a suonare, a cucinare e persino a cucire. Questo splendido edificio prese il nome di “Opera Pia” e oggi appartiene ai Bower».

Julie ascoltò la storia con attenzione e rimase stupita da ogni singola parola. «Tutto…tutto questo è tuo?», disse lei.
Jamie annuì e sollevò lo sguardo sulla ragazza dai capelli scuri. «E se i nostri genitori si dovessero sposare, sarà anche tuo».
«Sei ancora così poco convinto di questo matrimonio», non era una domanda e Jamie sapeva esattamente che aveva ragione.
Se solo Julie avesse saputo, se solo sua Ashley avesse capito che razza di uomo era David Bower sarebbero scappate entrambe senza voltarsi mai indietro.
«Tua madre non è la prima donna che mio padre frequenta dopo il divorzio», disse Jamie. «Non mi stupirei se questa sua nuova storia finisse esattamente come sono finite le altre».
Julie preferì troncare la discussione. Non rispose ma non distolse lo sguardo da quello di Jamie. Gli occhioni azzurri del ragazzo la scrutavano come se volessero vederla dentro, come se volesse capire i suoi pensieri. La ragazza spostò lo sguardo da quelle iridi azzurre che le facevano venire la pelle d’oca e indicò una grande porta bianca.
«Cosa c’è lì?», chiese indicando la porta.
I ragazzi attraversarono la stanza e Jamie aprì la porta.  Spuntarono in un lunghissimo corridoio che percorsero. «Erano le stanze dei bambini», Julie si sporse per vedere all’ interno di una delle camere. Non c’era niente, solo una piccolissima sedia al centro della stanza.
Si era fermata a guardare quella stanza e non si era nemmeno accorta che Jamie – che prima era a metri di distanza – era spuntato dietro di lei.
Si voltò e sussultò. «Non sapevo di fare questo effetto, capisco di essere bello ma non vorrei che mi svenissi davanti», disse lui.
Julie gli diede una piccola pacca sul petto. «Mi hai spaventata», ammise lei e guardò alle spalle del ragazzo. «Da dove sei spuntato?».
Jamie si voltò e spinse con le dita quello che sembrava un muro ma che in realtà era una piccola porta che si camuffava tra le pareti. Aprì la porta e Julie non vide altro se non il buio. «Da qui».
«Questo posto è un labirinto».
 
***
Jamie mostrò alla sua sorellastra un sacco di altre stanze e lei lo ascoltava raccontare storie su quel posto attentamente. Solo quando vide un piccolo cancelletto nero, decorato con ghirigori in metallo nero si bloccò. Il cancelletto si trovava alla fine di uno dei tanti corridoi dell’ edificio ed era in assoluto la cosa più inquietante di tutte. Era più piccolo delle gambe di Julie e copriva una scalinata che portava in quelle che sembravano le segrete. Le scale sfociavano in due porte, una a destra e una a sinistra, attorno a loro solo il buio.

Julie rabbrividì e Jamie quando vide che non era dietro di lui  le andò incontro. Le prese il braccio e la portò con sé. «Non vorrei che tu stanotte avessi gli incubi», mormorò al suo orecchio ma lei parve sentirlo appena.
Il ragazzo la portò al primo piano e Julie riconobbe da lontano il piccolo giardinetto con la fontana che aveva visto dalla prima stanza che avevano visitato.
Jamie imboccò il piccolo corridoio che portava al giardinetto e la stanzetta a pochi passi dal giardino era decisamente diversa dalle altre. Era piccola, vuota e con le pareti ricoperte dal cemento.
Julie si guardò intorno e notò che in una di quelle pareti vi era inciso un nome e due numeri. Si avvicinò per guardare meglio.

Julie 74
 
Passò l’indice sulle lettere incise sul muro e rabbrividì per un istante leggendo il suo nome. «Sapevo che ti avrebbe fatto impressione», disse Jamie riferendosi al nome sulla parete.
Julie si voltò verso di lui e alzò le spalle fingendo indifferenza. «No, è solo una coincidenza».
La ragazza aprì una piccola porticina di legno e si trovò in un piccolo ripostiglio buio. Sfilò il suo cellulare dalla tasca e fece luce. C’erano un tavolo vecchio, una vecchia macchina da cucire e due ritratti che la fecero sussultare.
Lanciò un piccolo urlò per lo spavento e Jamie  andò da lei. «Che succede?».
Julie scosse il capo. «Nulla, mi sono spaventata per i quadri», ammise a bassa voce. Erano quadri sbiaditi, antichi e ricoperti di polvere e ragnatele. Il primo raffigurava un uomo e l’altro una suora.
«Vieni», disse Jamie spingendola via da quel ripostiglio. «Ti faccio vedere la parte più bella».
La portò nel giardino e sì, era decisamente la parte più bella. Era piccolo ma probabilmente era la parte più curata di tutto l’edificio. Julie andò a sedersi su una piccola panchina e si guardò attorno.
«Qui giocavano i bambini?», chiese.

Jamie annuì. «Sì, anche le monache stavano qui. Passavano il loro tempo a leggere e ad accudire i bambini».
Julie notò che dall’altra parte del giardino, c’era una parete con delle finestre interamente coperte da grosse grate. «Cosa c’è di là?», chiese lei curiosa.
Jamie rise appena. «Non ti ho mostrato tutto, questo posto è un mistero anche per me, un giorno te lo mostrerò tutto, promesso. Ma adesso dobbiamo tornare a casa».
La ragazza annuì e uscirono dall’ Opera Pia. Raggiunsero la moto e Jamie giudò verso casa. quando arrivarono trovarono Mary preoccupatissima: i ragazzi erano usciti alle undici ed erano tornati che erano già le sette di sera.
Dopo averla rassicurata e averle detto più volte che erano vivi e senza un braccio rotto, andarono nelle rispettive stanze e s’infilarono dentro le docce.

Jamie, sotto il getto d’acqua calda della doccia pensò a Julie e a quel giorno passato insieme. Era piccolina, fastidiosa, impertinente, curiosa ma bella da far girare la testa. Una parte, chissà quanto importante, di Jamie la detestava con tutta l’anima e nemmeno lui sapeva il motivo di cotanto odio. Un’ altra parte era incuriosito da quella creaturina, a pochi metri dalla sua stanza.
Curiosità che Jamie represse.

Julie, nella vasca da bagno andò in apnea sotto l’acqua e tenne gli occhi chiusi. Era una cosa che faceva spesso, la rilassava e le piaceva. Jamie era una continua scoperta e lei era spaventata da quei suoi mille modi di fare.
Un attimo era gentile, l’attimo dopo era davanti a lei ad urlarle contro e quello dopo ancora la salvava dai cocci di vetro.
Era un mistero e lei non era sicura di voler veramente venire a capo di quell’ enigma dagli occhi blu.
 
***
La cena fu abbastanza silenziosa. Sedevano uno di fronte all’altra, senza guardarsi e senza parlarsi.
«Sai», disse Jamie staccando le labbra dal bicchiere di vetro. «Pensavo a ciò che scrivevi nelle pagine del tuo amato quadernetto».
Julie sussultò e questo a Jamie non sfuggì.  Sorride maligno e continuò a parlare. «Piuttosto banale ciò che scrivi, i disegni solo accettabili ma le parole sono proprio quelle di una bambina».
Ciò che quello splendido e terribile biondo stava dicendo non era vero e lui non pensava davvero quelle cose ma dentro di sé, sentiva il bisogno di farle del male.

Julie alzò lo sguardo dal suo piatto con aria fiera e furibonda. «Ciò che scrivo non deve interessarti, tantomeno piacerti».

Jamie fece finta di non sentirla. «Molto, molto banale. Specie quando descrivi la morte di tuo padre e come ti sei sentita, ah sì! Quella era la parte peggiore».
Julie si alzò dal tavolo di scatto facendo cadere la sedia all’indietro. Lo guardò con tutto il disprezzo possibile e si avvicinò a lui che intanto si era alzato e torreggiava su di lei. Ma Julie era troppo furiosa, era troppo davvero troppo arrabbiata. «Tu, schifosissimo verme non devi nemmeno permetterti di nominare mio padre. Sei davvero un mostro e io non voglio avere niente a che fare con te, stammi lontano, corri da una delle tue troie a parlar loro di quanto infelice sia la tua stupida vita da troglodita idiota montato e piena di sé. Sei ricco, ma sei povero. Sei povero perché qui dentro», picchietto con forza le dita contro il suo cuore. «Qui dentro è tutto fatto di ghiaccio».
Si guardarono negli occhi. Fuoco contro ghiaccio. Nero e bianco. Purezza e dannazione.
 
«Hai finito?», disse Jamie quasi annoiato.
La rabbia prese il sopravvento su Julie e gli diede uno schiaffo forte che sorprese anche lei. Jamie mosse la mascella che gli pizzicava a causa dello schiaffo. Non reagì, non si mosse, non disse niente, guardò Julie e basta.

Sapeva di aver sbagliato.

Sapeva di averla ferita.

Lo sapeva.

«Adesso sì», rispose Julie e corse verso la sua camera.
Era troppo arrabbiata per piangere, troppo irritata per pensare a qualsiasi altra cosa se non a Jamie e alle sue parole.
La odiava davvero così tanto?
Sentì una macchina calpestare i sassolini del vialetto e raggiunse la finestra per vedere chi fosse. Una porche rossa fiammante fece capolino nel viale. Una figura femminile scese dall’auto e Jamie le andò incontro.

La ragazza aveva un vestito corto nero, dei tacchi vertiginosi e le labbra dipinte di rosso. Jamie le diede un bacio sulle labbra, un bacio diverso, pieno di rabbia che fece rabbrividire la moretta che aveva di fronte.
Jamie aprì la portiera e sollevò lo sguardo.
La vide, alla finestra, splendida e ferita.
La guardò come per chiederle scusa e salì sulla macchina della ragazza e in un istante sparirono dalla vista di Julie.
Richiuse la tenda con tanta forza che avrebbe potuto strapparla e respirò profondamente prima di riuscire a ritrovare la calma perduta.

S’ infilò sotto le coperte del suo letto e fissò il soffitto.

Jamie voleva la guerra e la guerra avrebbe avuto. 
  
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