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Autore: calamity julianne    08/05/2014    1 recensioni
Questa è una Dramione un po' diversa dalle altre.
Niente Hogwarts e ahimè, niente magia.
Draco ed Hermione vivono a Londra e si conoscono da sei anni, cinque dei quali passati a farsi la guerra. Sono a capo di due team di una banca d'affari di Londra e non perdono occasioni per farsi la guerra. Ma un giorno, sono costretti a lavorare insieme ad uno stesso progetto e conseguentemente, passare molto tempo insieme.
Ma Draco è lo scapolo più ambito e affascinante di tutta Londra e ben presto una loro purissima foto comparirà sulla copertina della più grande rivista di gossip londinese.
Lei furiosa, lui divertito e al contempo sorpreso, decide di farle una proposta/ ricatto indecente: lui le darà carta bianca con il progetto del facoltoso cliente, se lei accetterà di fingersi la sua fidanzata, in modo da allontanare le sue instancabili e insopportabili corteggiatrici.
Sfida accettata e iniziano i giochi/guai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo due.
 
Il giorno seguente, quando tornai a casa da lavoro, Mia e Lauren rimasero un po’ sorprese poiché non ero mai rientrata così presto.

«Tutto bene? È successo qualcosa a lavoro?», chiese Mia preoccupata.
Scossi il capo mentre andavo verso la mia stanza. Mi tolsi i vestiti e cercai nell’armadio qualcosa da mettere. «Tranquille, tutto a posto, ho una cena di lavoro niente di importante».
Non conoscevo il posto in cui io e Draco avremmo cenato, ma quando lo ripetei a Lauren sgranò gli occhi. «E con precisione, chi dovresti incontrare in un posto così fighetto?».
«È solo lavoro…», mi difesi afferrando un paio di jeans e una maglietta nera.
«Non cercare di glissare», disse Mia smaterializzandosi nella mia stanza. «Chi devi incontrare?».

M’ infilai i jeans e sospirai guardandole. «Draco Malfoy».
Sgranarono gli occhi stupite dalla mia risposta. «Scherzi? Malfoy in un posto tanto conosciuto? Pensavo di averti insegnato qualcosa, niente testimoni!», esclamò Mia.
«Lavoro, si tratta solo di lavoro!», dissi esasperata.
«Certo, come no», continua Lauren. «Infatti sei tesa come una corda di violino».
«Non sono tesa!», ribattei.

Ma invece sì che lo ero. Quella lotta con Malfoy mi stava sfinendo mentalmente e fisicamente.
In pochi secondi fui pronta, e non avevo intenzione né di truccarmi né di aggiustarmi i capelli.
Coda di cavallo, scarpe rasoterra e l’aria di una che andava al patibolo. Ecco cos’ero.
Salutai le ragazze e in poco tempo arrivai in metropolitana.
Non mi stupì più di tanto il fatto che Draco avesse scelto un posto così conosciuto: probabilmente non conosceva un solo pub poco noto o in un quartiere che non fosse eccessivamente lussuoso.
 
Raggiunsi il locale facilmente e notai con un certo fastidio che pullulava di gente alla moda e snobbini da quattro soldi.
Una ragazza che serviva ai tavoli notò il mio sguardo perso e mi chiese se volevo aiuto. «Cerco un ragazzo alto, biondo, con l’aria da snob e lo è più di quanto non si possa pensare, poi uhm…».
«Ah, ho capito. Tu sei Hermione», disse sorridendomi. «Vieni, ti porto da lui».
Mi condusse in una saletta molto intima e tranquilla rispetto alle altre dove vidi Draco Malfoy.
Andai verso il tavolo e notai il bicchiere pieno di vino. «I nostri continui diverbi rischiano di rovinarci la carriera».

«Dimmi qualcosa che non so», dissi sedendomi di fronte a lui.
Lui fece una smorfia. «Dico sul serio, dobbiamo fare le persone civili».
«Io posso esserlo perché a differenza di qualcuno sono una persona ragionevole».
Malfoy aprì un fascicolo e v’ immerse gli occhi dentro. «Tu non sai affatto essere ragionevole, Granger».
 Feci per rispondere quando la cameriera arrivò a chiederci cosa volevamo ordinare.

«Un caffè, tanto caffè», dissi.

«Un altro bicchiere di vino bianco, grazie».
La cameriera scrisse nel suo block notes e si dileguò sorridendo.
«Vino?», dissi. «Come lavori con alcol in corpo?».
«A dire la verità per restio anch’io a bere alcolici, sai com’è con te bisogna stare attenti».
Feci una smorfia, ma lui non parve farci caso. «Ma credo che il peggio sia passato», aggiunse.

Feci un sorrisino aprendo il mio fascicolo. «E chi può dirlo?».

***

Due ore, quattro caffè e tre bicchieri di vino dopo, finimmo di lavorare. Io ero esausta e nervosa per tutti i caffè che avevo preso, mentre Draco sembrava piuttosto rilassato probabilmente per tutto l’alcol che gli scorreva nelle vene.
«Sono esausta, fermiamoci qui», dissi passandomi una mano sugli occhi.
«Hai mal di testa?», chiese lui.
«Mi scoppia la testa», ammisi portandomi le mani sulla testa, massaggiandola. In meno di cinque secondi – manco fosse Superman – mi spuntò dietro e premette le dita contro le mie. Trascinò le mie dita sulle mie tempie e facendo una breve pressione iniziò a massaggiarle.
«Si fanno così i massaggi alla testa», disse con la sua aria da saputello.
«Che diavolo fai?», per quanto fosse piacevole quel massaggio, il suo tocco mi faceva quasi male, mi bruciava.

Allontanai le sue mani dal mio viso e mi alzai raccogliendo le mie cose dal tavolo. «Torno a casa che è meglio», annunciai e andai verso il bancone per pagare.
In un secondo, Draco venne dietro di me porgendo alla cameriera la carta di credito per pagare.
Dopo altri scontri per decidere chi doveva pagare, la cameriera accettò sia i miei contanti che la sua carta temendo che ci trafiggessimo il ventre a vicenda.

Una volta fuori dal locale feci per andarmene senza salutarlo, ma lui mi bloccò. «Muoio di fame, magari la prossima volta potremmo optare per una cena», propose.
«Mi sembra una buona idea, ma il posto lo scelgo io».
Parve offeso. «Stai mettendo in dubbio il mio gusto sui locali?».
«Sto mettendo in dubbio la tua conoscenza della parola “riservato” e niente alcolici», dissi. «Senza offesa ma l’effetto che ti fa il vino ti rende inquietante più del solito».
«Va bene», disse.
«Ah, dimenticavo. Ognuno paga la sua parte ovviamente», lui fece una smorfia e annuì.
«Mi offrirei di accompagnarti a casa ma penso che mi urleresti contro che sei una donna emancipata e in grado di badare a te stessa, quindi eviterò».
Sorrisi. «Fai bene».
 
***

Ed ecco che il giorno del giudizio era arrivato. Entrai nel vialetto della campagna dei miei genitori e parcheggiai la macchina accanto a quella di mio fratello Micheal.
I miei genitori erano un po’ diversi dall’altra gente. Erano creature a dir poco bizzarre.
Inglesi, ma antimonarchici, vegani e più o meno vicini al buddismo.
Avevano messo al mondo tre figli: Micheal, il più grande. Faceva il medico senza frontiere. Poi Emily che faceva l’avvocato che offriva patrocinio gratuito a chi non poteva permettersi un legale. E poi c’ero io, l’avvocato fiscalista che ai loro occhi serviva solo ad aiutare i ricchi a diventarlo ancora di più il che era per loro peggio di uccidere un uomo.

Nonostante ciò, ero la piccolina di casa quindi avevano evitato di ripudiarmi da casa loro e strappare il loro cognome dalla mia carta d’ identità.
Quando stavo con Ron, il filosofo senza tempo, la mia famiglia mi guardava con occhi più magnanimi.
Ma adesso senza quella barriera umana fatta di belle parole e niente fatti, non ero sicura di riuscire a sopravvivere.

Andai verso l’entrata scansando le oche che i miei lasciavano libere. Erano creature perfide e repressi la voglia di prenderle a calci nel sedere.
«Hermione cara», disse mia madre abbracciandomi. Mi prese il viso tra le mani e strinse un po’ sulle mie guance. «Sei sciupata tesoro, ma mangi? Non mangi carne vero?», alzò le mie palpebre e ci guardò dentro morbosamente.
Mi scansai. «Niente carne mamma, solo stress».
Mi guardò severa. «Beh questo è colpa tua e del lavoro che ti sei scelta», si voltò verso la pentola e Dio solo sapeva cosa diavolo metteva in quegli intrugli immangiabili. Ecco un’altra cosa positiva di Ron: adorava il cibo disgustoso di mia madre. «Dov’è Ron?», chiese mia madre.

Lupus in fabula.
 
«Lui è ahm, fuori per un convegno», mentii in fretta mentre mio fratello Micheal entrava in cucina.
«Oh, allora metterò da parte un po’ della minestra per lui così la porterai a casa e quando tornerà avrà qualcosa da mettere sotto i denti», disse mia madre. Annuii sorridendo e pregai Dio che non si fosse accorta di quella messa in scena.
Quando il pranzo fu pronto, andammo verso il tavolo. A capotavola c’era mio padre che parlava con Antony, il marito di mia sorella Emily che invece stava intrattenendo la fidanzata di mio fratello, Julia. Lei era tedesca e aveva conosciuto mio fratello in un campo di profughi, anche lei faceva il medico.
Dopo anni di fidanzamento e un amore che andava oltre i liti normali, il matrimonio doveva essere cosa fatta. Invece sembrava che loro stessero aspettando una sorta di serenità mondiale che secondo me, li avrebbe portati in un vicolo cieco.
Più mi guardavo intorto, più avevo voglia di tornare a casa mia correndo. Sentivo di non avere niente a che fare con quella gente così convinta, così idealista e appassionata.

Ero cresciuta secondo regole che non capivo e avevo voglia di fare qualcosa di diverso. Il mio lavoro.
Scoprii chi ero solo dopo aver tagliato i ponti con i miei genitori, capii di aver bisogno di avere qualcosa che fosse mio e solo mio e non far parte di qualcosa dove tutti dovevano seguire le stesse idee.
«Come vanno le cose alla City?», chiese Antony guardandomi.
«Tutto bene direi».
«Non fallirete come quella banca australiana, vero?», chiese Emily.
Toccai ferro sotto il tavolo. «No, direi che è piuttosto improbabile».
Era più probabile che fallisse l’Inghilterra piuttosto che la City.
«Ieri dal parrucchiere ho letto un articolo su un nobile che lavora nella tua stessa banca», esordì Hannah.
In quella casa, erano proibiti i giornaletti di gossip ma lei “era tedesca” quindi le era concesso.

Mi andò di traverso il boccone di pane che avevo ingoiato per cercare di mandar via dalla mia bocca il sapore dell’ intruglio di mia madre.
«Era giovane, molto bello ma non riesco a ricordare il nome…», aggiunse Hannah.
«Draco Lucius Malfoy, conte di Langley», mormorai.
«Esatto!», esclamò Hannah. «Lo conosci?».
«Di vista».
Che poi non era nemmeno tanto sbagliato da dire. Chi poteva dire di conoscere il conte blablabla?

Era un mistero quell’ uomo. Per qualche strana ragione, lui che aveva i milioni, aveva deciso di lavorare in
quella che era una semplicissima banca rispetto alle migliaia di proprietà che possedeva la sua famiglia.
Lavorare da dipendente – anche se profumatamente pagato – sembrava inutile nel suo caso: avrebbe potuto benissimo smettere di lavorare ed essere sicuro di poter vivere per i settant’anni seguenti.
La conversazione a tavola tornò su argomenti più futili e poi, tornai a casa.
 
***

La maratona delle cene all’inferno non era ancora finita per me. Ero seduta al tavolo di un ristorante che brulicava di gente, in attesa di Draco Malfoy.
Il mio cellulare squillò e sospirai leggendo il nome di mia madre sul display.
«Pronto?».

«Hermione, tesoro io e tuo padre stavamo pensando che ci farebbe piacere vedere Ron».
Ciao mamma, sì sto bene, tu? Oh sì, al lavoro tutto bene grazie per avermelo chiesto.
«No», mi scappò dalla bocca. «Volevo dire che non possiamo».
«Perché tu non puoi?», chiese con aria indagatoria.
«Sarò in Scozia per lavoro».
Bomba tra 3,2,1…

«Lavori anche il finesettimana? Davvero Hermione?».
«Devo, è solo un’eccezione».
«E’ sempre un’eccezione», disse lei.
Sospirai e in quel momento arrivò Draco che si sporse verso di me per lasciarmi un bacio sulla guancia. Lo guardai confusa e schifata al tempo stesso e mi voltai giusto in tempo per vedere il ghigno beffardo che si
dipingeva sul suo viso.
«Buonasera», disse Draco.

«Chi c’è con te?», disse mia madre sentendo la voce maschile provenire dalla cornetta del telefono.
«Nessuno, il cameriere».
«Sei fuori a mangiare? E con chi?».
«Con Mia e Lauren».
«Oh, me le passeresti?».
«E perché?», dissi agitata.

«Ma che domande fai? Per salutarle perché sennò! Ma che hai stasera…».
«Sono in bagno, non posso passartele».
Ma mia madre non si arrese. «In bagno? Entrambe?».
Sbuffia sonoramente. «Sì, esatto! Entrambe! Ora se l’interrogatorio è finito io andrei, ciao!».
E riattaccai trovandomi davanti l’espressione divertita di Draco che scoppiò a ridere.
«Ridi ridi».
«Solo una domanda: perché mentire?».

«Perché diventa stressante se sa che lavoro troppo».
«Beh, potevi dirle che eri con me. Tutte le madri mi adorano».
Risi isterica. «Tutte tranne la mia».
«Credimi, tutte. Ho venticinque anni di esperienza alle spalle», si vantò con voce spocchiosa sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
«Credimi, la mia no», ribattei con la sua stessa aria da spocchiosa.

«Vogliamo scommettere?», un lampo di sfida accarezzò i suoi occhi per un istante che si fissarono decisi dentro i miei.
«Ovviamente no».
«Guarda che sono uno che non molla».
Come se non lo sapessi.
«Facciamo una scommessa», incalzò lui.

Dio, sei testimone di tutto ciò che ho fatto per impedirgli di andare nella fossa del leone.
«Come vuoi. Puoi passare alla fattoria dei miei, il sabato dopo pranzo».
«Posso venire anche per il pranzo?».
Soffocai una smorfia di disgusto che si formava sulla mia faccia pensando al cibo che mia madre avrebbe preparato.
«Okay, se proprio insisti»,  mi venne quasi da ridere.
Non aveva idea del guaio in cui si stava cacciando.
«Perfetto», tese la mano verso di me ed io la strinsi.
Scacciai il piccolissimo senso di colpa che si faceva largo dentro di me e sorrisi appena.

Si meritava tutto il trattamento che la mia famiglia antimonarchica aveva in serbo per lui.
  
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