Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: marani    11/05/2014    1 recensioni
Il primo dei due racconti che fa parte della mia personale 'bilogia' dedicata alle due persone che mi hanno messo su questo mondo. Un 'posto' anomalo e magico. Un bizzarro testamento verbale. Una tormentata discesa nel profondo dei rimpianti e dei rimorsi, alla ricerca di una innocente fanciullezza che razionalmente parebbe persa per sempre. A meno che...
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
mondo 12.

(TLAC)
(TLAC)
Sì ? Sì… sta andando ? Okay. Bene. Allora… non so assolutamente come
(TLAC)
(silenzio)
(TLAC)
Scusate. Scusate. Credo di aver parlato per cinque minuti come un idiota prima di accorgermi che la cassetta non stava girando. E’ che sono così agitato che sembra che le mani stiano ballando il boogie-boogie, come diceva il vecchio Aristide. Quel dannato furfante, mi ha fregato, sapete? Già, ci ha proprio fregato bene. Di cosa sto parlando? Sì, un secondo, se riesco a mettermi tranquillo e calmare il cuore impazzito, vi dirò tutto. Cavoli, non riesco neanche quasi a prender fiato…
Dunque… io credo di… di aver capito tutto! E’stato una specie di lampo, di rivelazione improvvisa e choccante. Mi è diventato tutto chiaro, da un momento all’altro, e ora so perfettamente cosa intendeva dire quando parlava dei pulcini. E di come mai ad un certo punto ha cominciato a gironzolare quella minuscola copia sputata di Stella, mentre della gatta originale non c’era più la minima traccia… Oh Dio, è così pazzesco!
Ma vediamo se mi riesce di cominciare dall’inizio. Ho fatto un salto in cimitero, nella pausa pranzo, per vedere se un po’ di psicoterapia spicciola, seduto come al solito sul marmo freddo, mi poteva risollevare un pelo da quell’abisso di sconforto in cui stavo sguazzando da alcuni giorni. Fissavo gli occhi profondi di mia moglie, che già in passato erano stati in grado di fare luce dentro di me, anche se in quel momento la cosa non sembrava funzionare più tanto. In ogni caso, comunque, me ne stavo lì a perdermi nel suo sguardo appena coperto da una ciocca di capelli dispettosa. C’era un bel vento, quel giorno sul mare, quando le scattai la foto che poi ho scelto di far mettere sulla lapide. Ci credete che ricordo ogni più minuscolo particolare, di quella breve gita d’inizio primavera? Tutto, come se l’avessimo fatto ieri. Non solo il tragitto, le chiacchierate durante il viaggio, il lungomare deserto, con tutti i negozi e i locali ancora sbarrati, ma anche i suoni, i profumi, le canzoni che una radiolina tra­smetteva fioche da un piccolo baretto sulla spiaggia, il delizioso sapore del fritto misto in quel ri­sto­rantino. Sullo sfondo di quello scatto fotografico, sulla destra del volto sereno di Sandra, è rimasto inquadrato anche un gabbiano. Da lì adesso non può più muoversi, naturalmente, “congelato” in e­terno in quella istantanea scattata al volo, ma io so che se in qualche magico modo si potesse far a­ni­mare la sequenza, l’uccello si abbasserebbe fin quasi sul bagnasciuga, lanciando un grido stridulo e ovattato. Esattamente come fece in quel lontano giorno di più di tre anni fa.
Me sono rimasto lì, a guardarla in silenzio. Non avevo nessuna voglia, per il momento, di raccontarle tutto quello che mi passava nella testa confusa e vuota. Le sensazioni nei confronti della scomparsa del vecchio, e sui tragici alti e bassi di mia madre. E ancora meno di accennare qualcosa riguardo a quello che iniziavo a provare quando mi ritrovavo solo, nella casa che abbiamo diviso per così tanto tempo. Anche se avevo la certezza che lei le sapesse lo stesso, tutte queste cose. In ogni caso me ne stavo lì, sperso in mezzo a centinaia di altre lapidi più o meno pacchiane, ognuna col suo bell’armamentario di foto, iscrizioni, fregi, offerte floreali, alcune talmente fresche da sembrare appena u­scite da una serra, altre appassite e polverose come se fossero lì da secoli. Qualche dolente figura si muoveva a tratti, in lontananza, una vecchina di ritorno dalla fontanella pubblica, curva sotto il peso di un vaso colmo d’acqua, e più in là una giovane donna con due bimbetti che scorravano lungo i via­letti con tutta l’infantile innocenza della loro età.
Bambini, vecchi… nessuno scampa a questo posto, so di aver pensato, osservandomi intorno con la te­­sta un po’ piegata di lato per attenuare un riflesso di sole su un fregio dorato incredibilmente lucido.
Bambini che diventano vecchi, vecchi che ritornano bambini…, suggerì un secondo pensiero, subito do­po. E io vi prego di credermi quando vi dico che era un pensiero che non avevo affatto formulato io. Sono assolutamente sicuro di quello che sto dicendo, perché ho assolutamente presente il senso di estraneità, ma anche di infinita dolcezza (quale io non sarei mai in grado di esprimere), di quella specie di… sussurro all’interno della mia testa. Di questa incasinata testuggine. Non ho avuto neanche il tempo di chiedermi cose stesse succedendo, e cosa potesse significare quel bizzarro concetto. Im­provvisamente mi è apparso tutto chiaro, come un raggio di sole che riesca a penetrare lo spesso stra­to nuvoloso di un temporale estivo. Il vecchio aveva detto di non aver mai trovato il coraggio, o la forza, fate voi, di passare al di là di quel ponticello, ed era stato quasi sincero. Nel senso che per tutta la vita era rimasto bloccato là, sul ciglio di una decisione che non riusciva a prendere. Aveva a­vu­to bisogno di un piccolo aiuto, come l’innesco che ha rischiato di farmi sprofondare nella depressione. Sì, ho usato il passato perché in questo preciso momento in me non c’è assolutamente più spa­zio per pensieri foschi e distruttivi. Proprio no, al contrario! E credo di poter affermare senza margine di errore che il piccolo aiuto riguardante Aristide si sia manifestato nella famosa notte tra sa­bato e domenica. Piccolo… se così si può definire il tuo cuore malandato che cerca allegramente di “imploderti” nel petto.
La crisi lo ha spaventato a morte, com’è comprensibile, fornendogli l’impulso a fare quello che pensava fosse ormai impossibile. Lo so, tutto ciò è assolutamente pazzesco, ma io credo che non sia mai accaduto un secondo, e letale, attacco di cuore. E’ uscito di casa, incamminandosi con quel suo passo incerto, ed è salito su per quel viottolo! Ha potuto finalmente dare un’occhiata a quello che c’è al di là.
E sapete cosa penso, anche se è facile che in questo modo io mi sia giocato le ultime possibilità di passare alle vostre… orecchie, come una persona con ancora qualche brandello di sanità mentale? Che quel posto faccia realmente qualcosa. Non so ancora bene cosa, e in che termini, se veramente chi trova la forza per passare di là ha poi l’incredibile possibilità di aver esaudito un proprio desiderio, o se magari si tratta solo di un punto in cui la strada torna indietro. Non so. Mi piacerebbe poter credere che possa aver deciso lui. A cosa mi riferisco? Beh, su, datemi una mano, e non lasciate fare tutto il lavoro sporco a me, che tanto ci siete arrivati anche voi… Sto parlando della sua nuova età! Ed oltre a questo, ritengo di essere abbastanza sicuro che gli sia stato realizzato il suo più grande desiderio. Perché, vedete, quella sorta di folgorazione seduto sulla tomba di mia moglie mi ha dato anche altre, temporanee capacità. Come quella di ricordare ulteriori particolari del mio incontro col… sì, va beh, col nipote del vecchio. O forse erano solo sensazioni che io avevo registrato inconsciamente, troppo scosso dalla tragica notizia per metterle a fuoco. Ci sono riuscito oggi, ricordando con nitida precisione la figura di donna che si era affacciata per un attimo alla finestra e, quel che più importa, i suoi lunghi capelli rossi, e quel vistoso neo sulla guancia.
Ed ora, se avete voglia e tempo da perdere nel cercare di stabilire di quanto io sia andato via di testa, buon per voi. Io, per quanto mi riguarda, ho alcune cose da fare assolutamente irrimandabili e importanti.
Ma non temete, vi terrò informati.
(TLAC)

13.

(TLAC)
Bene. Ho appena finito di riascoltare quello che ho registrato nella mia ultima seduta di un paio di giorni fa. Cose da matti, non trovate? Già… la stessa identica impressione che darebbe a me se non a­vessi fat­to… come dire… qualche verifica in merito. Per cominciare, non c’è più nessuno nella c­a­sa di A­ri­stide, com’era facile prevedere, nemmeno pulcini e gatti, piccoli o grandi che siano. Sì, lo so che questo potrebbe anche essere una conferma che il nipote e sua madre siano tornati al loro pa­e­­­se d’o­rigine (e che il colore dei capelli e la statura e altri segni particolari facciano parte del nor­ma­le corredo genetico) ma io credo che non sia andata proprio così. Anche se me ne era venuto l’im­pulso, non so­no riuscito a farmi un giro ad interrogare i vicini, nel cercare di stabilire chi avesse fatto la presunta telefonata ai parenti, subito dopo la seconda crisi cardiaca. Cavoli, non vi nascondo che mi sarebbe piaciuto, gironzolare a suonare campanelli come un’impavido detective da romanzo giallo, magari esibendo per un fugace attimo la tessera rovesciata di Blockbuster, ma purtroppo non ho una simile faccia tosta. Però qualche manovra sotterranea l’ho messa in atto comunque. Intanto fa­­­cendo un sal­to nel bar accanto alla banca, a scartabellare le vecchie copie del quotidiano locale, con particolare at­tenzione alle pagine dei necrologi o qualche improbabile trafiletto che descrivesse il tragico episodio. Ho trovato forse qualcosa? Non ho trovato niente. E neanche questo, si è premurata di farmi pre­sente la mia coscienza, perfetta nelle vesti di un detestabile avvocato del diavolo, può es­sere considerato determinante, come indizio. A parte che la cronaca locale tende ad occuparsi del passaggio a miglior vita di un solitario ottuagenario solo nel raro caso in cui non succeda null’altro in città e pro­­vincia, poteva essere che la coppia non avesse la minima intenzione di spendere una ci­­fretta considerevole solo per comunicare al mondo la scomparsa del loro congiunto. Che, a parte lo­­ro due, non pa­­reva avere altri parenti. Non si è mica obbligati per legge, a segnalarlo. Così ho pensato be­ne di ap­profondire le ricerche. Ho un amico, un cliente della banca… oddìo, amico è la classica pa­rola grossa, e “conoscente” sarebbe molto più appropriato. Diciamo che col tempo e la frequentazione pro­fessionale si è instaurata a poco a poco una sorta di cordiale simpatia. Quando ci in­contriamo fuori dalla banca ce ne andiamo assieme a prendere un caffè, ed è tutto un tira e molla per cercare di a­vere la meglio in quella moderna tenzone rappresentata dall’offrire le consumazioni. Per farvi un al­tro esempio, è capitato di incrociarci nella hall della banca, perché magari lui sta entrando e io so­no appena uscito dall’ufficio di qualche collega, ed è successo che io mi sia fatto consegnare (ap­pena ap­pena furtivamente) i documenti che doveva depositare, così da risparmiargli la coda allo sportello. Non credo che questo possa essere considerato come un favoritismo, è solo uno dei tanti au­tomatismi che s’innescano durante la vita lavorativa di ognuno. Lo si fa così, senza particolari dop­pi fini, solo per fare una cortesia ad una persona educata.E ogni caso credo che poi sian cose che al­la fine paghino (co­me paga, in negativo, l’essere sgarbati e scostanti) e difatti tutto ciò mi ha dato la possibilità di ri­vol­germi a lui per un piccolo piacere. E’ responsabile del laboratorio di analisi in­terno all’Ospedale Ci­­vile, così gli ho chiesto se era in grado di poter accertare un ricovero d’urgenza, con conseguente e­­sito fatale, avvenuto nella mattinata di mercoledì scorso. La mia benedetta incapacità di barcamenarmi nell’ambiguo mi ha costretto ad aggiungere, come informazione supplementare e del tutto gratuita, che la cosa sarebbe servita per una nostra verifica interna all’istituto di credito. Ho buttato lì il fondato sospetto che il titolare di un conto corrente inattivo da tempo potesse essere la stessa sfortunata persona in questione e bla bla. I­nu­ti­le dirvi che attesi quella telefonata col cuore in gola, ma l’esito andò oltre le mie confuse a­spettative. Nella settimana appena trascorsa, mi co­municò il medico, presso il Pronto Soccorso erano stati ri­coverati solo un paio di pazienti, nella fa­scia oraria da me indicata, e nessuno dei due poteva essere ri­conducibile, per età e patologia, al no­stro caro ex-meccanico.
Non so per voi, ma a me questo è bastato per fare due più due. Chissà, forse desideravo farlo, con tut­to me stesso, passando sopra a tutto. Alla evidente follìa della faccenda, ad ogni più piccola possibilità razionale che qualcosa mi fosse sfuggito, facendomi prendere (anche perché volevo, prenderlo) il più mastodontico granchio di tutta la mia vita.
Io credo fermamente che Aristide si sia fatto una passeggiatina sull’argine, e che sia poi tornato in­dietro. E che, a quel punto, non fosse tanto facile riconoscerlo. Non ho ancora inquadrato le motivazioni che han fatto sì che neanche lui riconoscesse me o, in caso contrario, perché non mi abbia det­to niente. Non si sia svelato. Forse la cosa funziona solo se si tiene la bocca chiusa, o magari per lui era veramente cominciata una nuova vita, senza il minimo collegamento con cose passate.
Oddìo, spero vivamente che non sia così, altrimenti la faccenda comporterà qualche problema in più, e quel paio di cosette che ho messo insieme rischiano di esser state fatte per niente. A cosa mi sto riferendo? Beh, vedete, in fondo sono e resto un ragioniere, una“testa quadra”, che anche di fronte a pos­sibili eventi così… come dire… singolari, cerca sempre di pararsi il culo, con rispetto parlando. Per evitare sorprese. Ho prelevato una certa somma di denaro, dal mio conto corrente, senza neanche troppa pubblicità, visto che ci lavoro, nello stesso posto in cui sono conservati i miei decorosi risparmi. L’ho messa in una bella busta che poi ho chiuso in una delle cassettine di sicurezza. Insieme al doppione del mazzo di chiavi di questo appartamento. Sapete, se si possiede un bancomat e il codice relativo, oltre naturalmente alla chiavetta della cassetta, non necessariamente deve presentarsi il titolare, per averne accesso. Non stiamo parlando delle cassette di sicurezza vere e proprie, quelle del ca­veau, in cui si conservano documenti importanti e gioielli preziosi…In o­gni caso, ho chiesto e ottenuto sette giorni di ferie, che presumo siano più che sufficienti per quello che ho in mente di fa­re. Se dovessi ritornare al mio posto dietro lo sportello, com’è prevedibile, nessuno si ac­corgerebbe di niente. In ca­so contrario, beh, immagino ci saranno ricerche, inchieste, casini… in de­fi­nitiva che la cosa creerà un po’ di subbuglio, ma a quel punto…
Mi sono preoccupato di portare il vecchio Albertone in una delle migliori pensioni del cane della città, pagando una settimana anticipata. Questo bel cagnone si troverà benissimo come ospite qui da noi, ha detto tutta entusiasta la signora che ci ha ricevuto, e a me è serpeggiato un brutto brivido lun­go la schiena nel sentire la parola ospite, pronunciata con la stessa orgogliosa enfasi dalla tizia in tail­­­leur della casa di riposo, il giorno che abbiamo “ricoverato”mia madre. Albertone non era esattamente al settimo cielo quando mi sono diretto all’auto senza di lui, e per lungo tempo mentre mi di­ri­gevo verso la città ho avvertito la pressione del suo sguardo languido e contrariato giusto al centro del­la mia nuca.
Ho fatto tutte queste cose cercando di non pensare a niente e, giunto a questo punto, immagino sia al­quanto indecoroso imporsi di rinsavire e lasciar perdere tutto. Sarebbe anche estremamente assennato, d’altro canto, ma cos’ho da perdere? Una volta assodato che, per una volta nella vita, ho intenzione di ascoltare una sensazione del tutto assurda e improponibile, cos’altro potrei temere? Forse, e ma­gari sarà il caso di rifletterci il meno possibile, la stessa cosa di cui aveva paura Aristide. Come dis­­se in un lontano pomeriggio d’estate, di tornarmene giù e dover riprendere la vita di tutti i giorni. Al­­­­­la fine lui ce l’ha fatta a superarla, anche se a causa di un motivo alquanto serio e convincente. Ma anch’io, nel mio piccolo… D’accordo, non ho certo intenzione di paragonare la perdita fisica del­­­la vita con la mia condizione, che in fondo in fondo non è neanche tanto malvagia. Ho un lavoro so­­lido, un’appartamento di proprietà, uno stato di salute che, per il momento, sta tenendo botta egregiamente (sempre che mi decida a rimettermi a fare un pò di salutare moto). Di conseguenza non in­tendo ab­ban­donarmi ad ingrate lamentele che questa è un’esistenza che non vale la pena vivere e bal­le del genere. Credo di averlo detto in qualche registrazione precedente, non c’è niente di meglio della vita, anc­he nei mo­menti più strazianti, e lungi da me adesso rimangiarmi quelle affermazioni. Quindi il punto non è che questo mio modo di vivere non mi piace più, perché non sarebbe la verità. Di­­ciamo che, per tutta una somma di circostanze, in questo periodo mi piace un po’ meno, e credo sia pre­ciso do­vere di ogni essere umano quello di mettere in atto qualsiasi possibilità a sua disposizione per mi­glio­rarne la qualità. Se dovesse, o dovessi nel mio caso, riuscirci, tanto di guadagnato, no  ? Al­tri­menti non bi­sognerà far altro che tornare sui propri passi, con la consapevolezza di averci pro­­vato fi­no in fon­do.
Credo sia questo il mio innesco, al riguardo: che non potrei mai perdonarmi di non averci provato, da qualunque parte porti questa vicenda.
Penso che sia una cosa che farò domani o dopodomani al massimo. Farò un salto fino in casa di ri­poso, e chiederò il permesso di portare mia madre a fare un giro. Il fatto che sia un bel po’ che non succede, perlomeno negli ultimi tempi, non significa che debba essere così per sempre. E’ pre­ve­di­bile che la caposala-Scharwzenegger tenterà di farmi cambiare idea, adducendo quale indiscutibile o­­­biezione le attuali condizioni dell’ospite. Non ho la minima intenzione di lasciarmi infinocchiare, con­­­siderato che pago fior di quattrini di retta e che quel posto non è ancora una prigione, a quanto mi ri­sulta. Se è il caso non avrò il minimo scrupolo a farglielo presente, anche se in cuor mio confido di non dover arrivare a tali estremi. In ogni caso, una volta concluso il match con Suor Ter­mi­na­tor, ti­rerò fuori dal bagagliaio dell’auto la sedia a rotelle pieghevole che ho intenzione di noleggiare, e vi de­positerò sopra con delicatezza mia madre. Non sarà un problema, ve l’ho detto che pesa co­me un uc­cellino, no? Se mi chiederà se per caso la sto portando a qualche riunione di famiglia, ma­gari ad una dove potrà incontrare mio padre e le sorelle e persino i suoi genitori, le dirò di sì, ag­giungendo pu­re che la stanno aspettando con ansia.
L’aiuterò a sedersi in macchina, e andremo a farci un giretto. Non credo di aver voglia di percorrere quel­l’orrenda statale impestata di auto e camion e gas di scarico e clacson strombazzanti. Molto me­glio tagliare per le stradine dei colli, ci si metterà un po’ di più ma l’unica cosa che proprio non ci serve è la fretta. E poi in questo periodo è tutto un fiammeggiare di foglie gialle e rosse e oro, e sarà uno spettacolo da togliere il fiato. Quando sbucheremo giù in pianura, andrò a parcheggiare un po’ ol­tre la casa di A­ri­stide, in modo da evitare quel brutto tratto parallelo alla statale, e poter così percorrere un bel pezzettino tra i filari di viti e i cam­pi. Se l’uva sarà abbastanza matura, staccherò un pic­colo grappolo per fargliene dono. Le è sem­pre piaciuta un sacco, ma in quel posto non la servono spesso, pa­­re che come appartenenti al genere frutta conoscano solo le mele. La spingerò con calma, a­scoltando i suoi commenti su quella in­consueta passeggiata, e se per caso si rivolgerà a me con no­mi che non coincidono col mio, non me la prenderò più di tan­to. In fondo, potrebbe essere un problema a tempo, se tutto va bene.
Quando sbucherò in prossimità della vecchia fattoria del mio amico, vi dedicherò uno sguardo affettuoso, an­che se sono certo fin da ora che non ci sarà né tristezza né nostalgia nei miei occhi. Tut­t’altro.
Dopodichè?
Dopodichè, direi, un bel respiro e via andare. Ah no, dimenticavo un particolare importante, per il quale mi sono scervellato nelle ultime notti agitate. Avrò con me una piccola borsetta a tracolla, tipo quelle in cui si trasporta la macchina fotografica e i suoi accessori (anzi, proprio quella) in cui saranno riposte con cura cinque audiocassette numerate in sequenza. Prima di attraversare il breve tragitto che porta al di là del canale, la poserò ai piedi della spalletta del ponte, magari un pò nascosta nell’erba alta della sponda. Sì, lo so che si potrebbe obiettare che è un modo alquanto discutibile, e nient’affatto indicato, per affidare le proprie memorie al mondo. Sapete, ci ho pensato su un bel pò, giungendo ad alcune, sorprendenti conclusioni. Prima fra tutte la consapevolezza che io non sono af­fat­to il depositario di questo posto, ammesso che ci siano gli estremi per esserlo, e intendo cioè che possieda qualche particolare caratteristica. Quindi ritengo che la sua eventuale rivelazione debba se­guire un andamento casuale, del tutto simile a come è avvenuto nel mio caso. Non avevo comunque nessuna in­tenzione di affidare questo bizzarro memoriale a qualche autorità, o a un pool di scienziati (o, che ne so, alla Chiesa), preferisco lasciarlo andare, in balìa di quello che gli riserverà il futuro. Lo ritroverà forse qualcuno che ne potrà fare buon uso, o magari un gruppo di ragazzini che non vi presteranno più di tanta attenzione. Potrebbe addirittura finire nelle mani di un extracomunitario, che si terrà la bella borsa gettando via il contenuto, o riutilizzandolo per registrarsi una compilation di musiche della sua terra. O ancora un bello scroscio di pioggia precederà tutto e tutti, rendendo i­nu­tilizzabile il faticoso lavoro svolto dal sottoscritto. La fatalità, il caso, il destino, saranno gli unici au­­torizzati a influire sul futuro della cosa. Nel mio cuore conservo la consapevolezza che questo stra­no materiale finirà nelle mani di chi ne avrà bisogno, di qualcuno a cui magari la propria vita, in que­sto preciso momento, non piace poi così tanto. E non sarà certo una coincidenza perchè, come di­ce il de­tective nel libro che mi auguro di finire in tempo, le coincidenze non esistono.
Dopodichè, stavolta senza più nessun indugio, prenderò un leggero slancio per far superare alla carrozzella (avendo due ruote, come le biciclette, qualcosa della loro fantascienza avrà pur preso, e di conseguenza sarà deliziosamente maneggevole) la distanza che ci separerà dalla sommità dell’argine. Uno sforzo che può fare tranquillamente anche un cinquantenne fuori forma, in fondo si tratta di una vecchina che pesa meno di un uc­cellino e di un dolce declivio. Mmh, sì, proprio la parola giusta, anche se suona un pò buffa: non è una salita, per niente, e dislivello sa tanto da geometri. Ma declivio è il termine azzeccato, e io e mia ma­dre de­cli­vieremo felici come due bambini.
Fin qua arriva la mia arrugginita immaginazione, oltre non c’è proprio nulla. Ma forse è anche me­glio così, non sempre sapere le cose per filo e per segno le rende più affascinanti. E’ ovvio che mi au­guro che qualcosa succeda. Qualunque cosa sarà ben accetta.
E’ chiaro che anche non volendolo sto continuamente rimuginando nel cercare di in­tuire cosa può es­sere successo ad Aristide. Partendo dal presupposto che quel sentiero è una scorciatoia, non solo nello spazio ma anche nel tempo (i pulcini e i gattini parlano molto chiaro) è stato in suo potere di scegliere in che punto fermarsi? O for­se, oltre a questo, il viottolo dove finisce il mondo è in grado di riservare molto di più? Sino ad esaudirli davvero, i desideri?
Sarebbe bello pensarlo, no? L’ha detto anche Aristide, se non si può più neanche so­gnare, dove an­dremo a finire? C’è una cosa che mi frulla per la testa, una sorta di in­nocuo giochino che a volte io e mia moglie ci capitava di fare. Ci siamo conosciuti ab­bastanza tardi, e comunque in una fa­s­e decisamente matura della nostra esistenza, di conseguenza ci è sempre rimasto il rimpianto di non averci mai potuto incontrare da bambini. Gli album di famiglia e le foto, che divoravamo ad intervalli più o me­no re­golari, andando a ripescarli da polverosi scatoloni, erano solo un pallido palliativo. Lo fa­ce­va­mo, sdraiati sul soffice tappeto della sala, con la sola compagnia di un pò di mu­sica soft, due fu­manti tazze di tè e una miriade di candele accese. Per quel che mi ri­guardava, in quei momenti, l’invenzione della te­le­­vi­sione poteva tranquillamente non essere mai avvenuta. Avremo guardato un mi­lione di volte, o­gni volta sbellicandoci come due ragazzini, le pose di noi due in tenera età, ve­stiti da scolaretti o da va­canza al mare (a proposito della mantellina e del cappelletto da clown da spiaggia, cre­­dete che la mia per­fida me­tà me l’abbia fatta passare liscia?), tirati a lucido in oc­casione di cresime e prime comunioni, coi classici vestiti di carnevale rigorosamente fatti in casa. Ci sto pensando su: due persone che sono state così bene assieme, e che so­lo un tragico epilogo ha fatto dividere, non si troverebbero a meraviglia anche avendo la possibilità di crescere, in tutti i sensi, fianco a fianco? Mi sto spingendo troppo a­vanti, dite? Bah, non lo so. Non avendo idea di quale sarà l’offerta, non costa molto di più te­ner­si larghi. L’ho già detto, prendiamo quello che viene. Pronti ad ogni evenienza.
Nella sua ruspante confusione, aveva le idee ben chiare, il caro Aristide. E non è una con­traddizione in termini. Penso che mi adeguerò alla sua filosofia. Com’è che diceva? Se non dovesse succedere nulla, amen. Ma se al contrario quel posto qual­­cosa fa… Credo che stia tutto in questo, la faccenda. In tutte le faccende, a voler essere sinceri. Le cose si provano, e casomai dopo si tirano le somme. Riuscire a saperle prima, è fac­cenda di profeti, maghi e santi. E’ nessuno di noi, a quanto ne so, ha particolari poteri di preveggenza. Io no di sicuro.
Quindi la cosa che resta da fare è arrivare lassù in cima, io e mamma. E vedere cosa c’è al di là. Ol­tre­tutto il tempo si è rimesso al meglio, e una deliziosa coda d’estate sem­bra aver preso possesso di questo inizio di ottobre. Credo addirittura che si possa sta­re con le maniche della camicia arrotolate, fin quasi al tramonto. Ed è quello che fa­remo, starcene lì a godersi la brezza della sera, e a guardare il panorama sereno di campi e colline. Male che vada, faremo ritorno all’auto con la consapevolezza di aver passato un paio d’ore niente male, lontano da caposala-cerberi, clienti esagitati, pappette di mele al posto di croccanti chicchi d’uva, bambine cattive che cercano di rubarti pane, burro e zucchero. Ripeto, male che vada.
Perchè, se al contrario, quel posto qualcosa fa...

Mauro Marani
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: marani