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Autore: Marti Lestrange    13/05/2014    5 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Outlaw Queen [ReginaxRobin]; AU [Storybrooke+Sherwood Forest]; mini-long.
Dalla storia:
{- Lei sarebbe? - li interruppe Regina, alquanto seccata. Si stava stufando di tutte quelle presentazioni.
L'uomo tornò a guardarla.
- Robin. Robin Locksley.}
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Regina Mills, Robin Hood
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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THE OTHER SIDE OF THE DOOR

capitolo 2
hard out here.
 
 
 
“After the war we said we’d fight together
I guess we thought that’s just what humans do
Letting darkness grow
As if we need its palette and we need its colour
But now I’ve seen it through
And now I know the truth
 
That anything could happen
Anything could happen”
 
 
 
 
- Allora?
- Cosa?
- L’hai vista?
- Ancora no. Ma la vedrò presto.
Gideon Gisbourne osservò il suo capo aspirare una copiosa boccata della sua Marlboro, per poi sputargli addosso la maggior parte del fumo, come se lui fosse fatto di carta. Odiava quando Lo Sceriffo gli fumava in faccia. Ovviamente, non si sarebbe mai sognato di dirglielo.
- Credi che ci darà dei problemi, Keith? – gli chiese.
L’altro lo guardò, sfoderando uno dei suoi più infidi sorrisi.
- Problemi, Guy? – ripeté, quasi ridendo. – Non so neanche cosa voglia dire.
- Beh, è pur sempre un agente dell’Interpol – argomentò lui.
Eccolo, un altro dei difetti di Keith: l’avventatezza. Ed era fin troppo sicuro di sé, a volte. Anzi, diciamo sempre. Lui ci sarebbe andato cauto, con una come Regina Mills. Keith era però di tutt’altro avviso. Tolse i piedi dalla scrivania e si alzò. Si avvicinò alla finestra e osservò Storybrooke, ancora mezza addormentata.
- E io sono lo Sceriffo. Credo che questo basti.
 
 
*
 
 
Storybrooke appariva quasi diversa, alla luce del sole. Dalla finestra della sua stanzetta, al Granny’s, Regina poteva comodamente osservare una vasta porzione della Main Street, parzialmente nascosta dalle tendine in chintz. Carta da parati vecchio stile leggermente scolorita, divano e copriletto fiorati, uno specchio antichizzato appeso accanto alla porta et voilà, come ritrovarsi all’improvviso nella pittoresca Inghilterra vittoriana. E i merletti chiudevano il tutto.
Be’, avrebbe dovuto accontentarsi: la città non offriva di meglio e aveva sentito dire che le stanze al Rabbit Hole – il locale notturno di Storybrooke – erano più moderne ma sudice, in quel covo balordo di uomini poco raccomandabili accompagnati da donne discutibili, dove tutto puzzava di corruzione e droga e sudore. Molto meglio il Granny’s – e Tuck.
Ripensando ai racconti della sera prima, Regina andò con la mente a Robin Locksley. Rievocò il suo viso, quell’espressione spavalda e insieme gentile, quei modi accattivanti e quell’aria di tormento che gli aleggiava intorno, come una maledizione. O una condanna. Come se Storybrooke gli avesse tolto tutto e avesse lasciato solo un involucro, che ogni tanto tornava a sentirsi completo, come le due metà di una mela. O di un cuore.
 

- Robin Locksley – ripeté Regina, pensierosa. – Come mai il suo nome non mi è nuovo?
Robin la guardò per un momento in silenzio.
- Andiamo a sederci, le va? – propose lui senza rispondere alla sua domanda. Regina annuì e lo seguì ad un tavolo, dove ordinò una bottiglia di acqua minerale ad una sorridente cameriera tutta curve e capelli biondi. Questa le sorrise e tornò con l’acqua e una birra scura per Robin, come se sapesse alla perfezione quello che l’uomo era solito bere.
- Grazie, Ana – disse lui.
- Non c’è di che, Locksley. Cosa vi porto? Per lei è già pronta la specialità della casa – aggiunse rivolta a Regina. – Tuck si è occupato di tutto.
- Fantastico – bofonchiò Regina.
- Le piacerà la specialità di Granny’s, Regina – disse Robin una volta che Ana ebbe ondeggiato via dal loro tavolo con la sua ordinazione. – Piace a tutti.
- Io non sono “tutti” – replicò lei, infastidita, controllando che il bicchiere fosse pulito e versandosi poi dell’acqua. Robin si limitò a lanciarle un’occhiata e a sorseggiare la sua birra.
Il silenzio si protrasse fino a quando Ana non tornò con i loro piatti. Lanciò un sorriso a Robin e uno sguardo curioso a Regina e poi si dileguò. Regina osservò attentamente l’hamburger di coniglio, rosolato al punto giusto, stretto in mezzo al pane croccante, insieme al pomodoro e all’insalata. Accanto, nello stesso piatto, delle patatine fritte fumavano profumate. Be’, l’aspetto non era niente male, Regina dovette ammetterlo. Sentiva lo sguardo di Robin addosso, che la studiava interessato mentre lei sollevava il panino e se lo portava al naso. Annusò e, per la seconda volta quella sera, dovette ammettere un’altra cosa: il profumo era davvero invitante. Non le restava che assaggiarlo. Dieci minuti dopo, il panino era sparito e Regina si apprestava a terminare le patatine fritte.
Intercettò lo sguardo ironico di Robin. Alzò gli occhi al cielo.
- Non dica niente, per favore. Nessun “glielo avevo detto” o simili.
Robin sollevò le mani in segno di resa e sorrise. – Figuriamoci. Non mi permetterei mai.
Regina si lasciò sfuggire un sorriso, che nascose subito dietro il suo più classico cipiglio serio e professionale. – Bene – cominciò. – Presumo che si sia unito a me per cena non per fare conoscenza. Cosa vuole sapere, Locksley?
Mentre mangiava si era all’improvviso ricordata dove avesse letto il nome dell’uomo: nel rapporto che il suo capo le aveva spedito riguardo Storybrooke. Robin Locksley era stato un poliziotto, prima che Gideon Gisbourne lo sollevasse dall’incarico, per motivazioni apparentemente misteriose e piuttosto torbide. Come tutto in quella città, d’altronde.
Robin le sorrise. – Cosa le fa intendere che io non sappia già tutto quello che desidero sapere?
- Non si sarebbe disturbato a sedere con me e a sopportare i miei vizi da donna di città. Come mai Gisbourne l’ha sollevata dall’incarico?
- Come mai il suo amico Glass è venuto a ficcare il naso a Storybrooke?
Regina aggrottò la fronte. – E questo cosa vorrebbe dire, scusi? Sidney era un giornalista, faceva il suo lavoro.
- Certo – disse Robin, poi si guardò intorno circospetto, si chinò sul tavolo e continuò sottovoce: - Ficcare il naso in questa città è pericoloso, Regina. Si finisce molto spesso nei guai. Cosa aveva scoperto il suo amico?
- Non lo so – rispose lei sincera. – Non ho più parlato con Sidney da prima della sua partenza. E il suo taccuino e il registratore sono andati persi. Dico bene?
Robin l’osservò per un momento. – Dice bene – confermò. Si appoggiò nuovamente alla sua sedia, sospirando. – Speravo davvero che lei sapesse qualcosa di più.
- In ogni caso, non ne parlerei con lei – disse Regina risoluta.
Robin alzò un sopracciglio. – Le converrebbe fidarsi di me, Regina. Storybrooke è una giungla.
- Non ho bisogno d’aiuto.
Detto ciò, Regina si alzò in piedi, sistemandosi la gonna.
- Gideon Gisbourne e lo Sceriffo Keith. Si ricordi questi nomi. Non si fidi di loro.
- Lo Sceriffo? – ripeté Regina alzando un sopracciglio, ironica. – Dove siamo, in un film western?
- Si fa chiamare così. In ogni caso, occhi aperti. Fingeranno di volerla aiutare. Si mostreranno quasi gentili e disponibili. In realtà, aspettano solo il momento giusto per colpire.
- Terrò gli occhi aperti – lo rassicurò Regina afferrando la sua borsa. – Ora se non le spiace, sono stanca e me ne andrei volentieri a dormire. E, Locksley – aggiunse lei tornando a guardarlo minacciosa – veda di non starmi tra i piedi. Chiaro?
Robin sorrise. – Non me lo sognerei neanche. Regina.
Lei lo guardò un’ultima volta e poi si diresse con passo spedito al bancone, dove recuperò i suoi bagagli e la chiave della sua stanza, per poi sparire su per le scale.
 

Regina tornò alla realtà e distolse lo sguardo dalla strada. Gisbourne e lo Sceriffo. Prima o poi avrebbe dovuto affrontarli, anche se Robin le aveva caldamente consigliato di non fidarsi di loro. Beh, lei non si fidava di nessuno, quindi era più che a posto.
In qualche modo, però, sentiva che Locksley le aveva detto la verità, riguardo Storybrooke e quegli uomini. Tutto quello che era uscito dalla sua bocca la sera prima era suonato vagamente surreale, se rapportato ad un’amena cittadina come Storybrooke, però lo sentiva come vero e sincero. E, cosa ancora più strana, sentiva quasi di potersi fidare di Locksley, anche se lo aveva appena conosciuto, anche se non sapeva niente di lui - a parte i dettagli riportati nel rapporto dell’Interpol -, anche se non avrebbe dovuto. Anche se. Ormai la sua vita di basava su poche e rare eccezioni. E Robin sembrava stranamente farne parte.
 
 
*
 
 
- Hey, Locksley!
Robin si voltò e l’alta e massiccia figura di John Littleton – che era piccolo solo di nome – gli venne incontro dal fondo della Main Street. Indossava già la tuta da lavoro della “Mecanics Components”, nome poco fantasioso della maggior fonte di lavoro – e reddito – della città. Il suo collega era quello che si poteva definire un moderno gigante. Superava di gran lunga il metro e novanta, aveva due braccia potenti quanto una pala eolica e un sorriso davvero poco raccomandabile. In fondo in fondo, però, e Robin lo sapeva bene, Little John – così lo chiamavano gli amici – era un buono. Un vero buono. E un vero amico.
- Hey, John! – replicò Robin fermandosi. Teneva Roland per mano. Erano diretti all’asilo, come ogni mattina.
- Che ci fai in giro a quest’ora, amico?
John scompigliò i capelli del piccolo Roland, ancora parzialmente addormentato.
- Ciao, ragazzino – lo salutò.
- Ciao, zio John – replicò Roland a bassa voce.
- C’è un motivo particolare per il quale non dovrei uscire presto il mattino, Locksley?
- No davvero. È che di solito quando facciamo il turno pomeridiano non sei sveglio prima di mezzogiorno.
- Beh, ieri ho sentito parlare che c’è una nuova femmina in città, e speravo di incontrarla in giro – spiegò John ridendo mentre si incamminava al fianco di Robin.
Robin tese le spalle, infastidito. John aveva un modo di esprimersi tutto suo, lo sapeva, ma il sostantivo “femmina” accostato a Regina Mills lo rendeva nervoso.
- Sì, l’ho incontrata ieri sera.
- L’hai incontrata? – esclamò John. – E dove?
- Da Granny’s. Ha una camera lì. Abbiamo cenato insieme. Ho cercato di sapere qualcosa di più sul suo amico Glass, ma lei non sembra sapere più di noi.
- Peccato – commentò l’altro. – In ogni caso, com’è?
Robin gli lanciò un’occhiataccia.
- Okay, ho capito, non mi dirai niente. Ti piace.
- Come, scusa? – esclamò Robin.
Il profilo del piccolo edificio in mattoni rossi che era l’asilo municipale di Storybrooke si profilò davanti a loro.
- L’ho capito, dai. Il modo in cui hai teso le spalle quando ho detto “femmina”. E l’occhiata assassina di prima. Mi arrendo, ti piace e io non ci metterò il naso.
- Non hai capito proprio niente, Little John, scemo che non sei altro. Quella non è il tipo di nessuno. Almeno non qui a Storybrooke.
Si fermarono di fronte al cancello. Robin guardò in viso John.
- Ci vediamo oggi?
- Se proprio dobbiamo – commentò l’amico ridendo. – Ciao, Robin. Ciao, Roland.
Scompigliò ancora una volta i capelli al bambino e poi attraversò la strada diretto da Granny’s per colazione. Robin l’osservò andare via prima di imboccare il vialetto che avrebbe condotto lui e Roland in classe. Alice Miller, la maestra, li attendeva sulla porta. Robin ripensò rapidamente alle parole di Little John. Poi cancellò Regina Mills dalla sua mente e sorrise ad Alice.
 
 
*
 
 
Will Scarlet poteva ritenersi un uomo fortunato. Certo, abitava a Storybrooke, dove la vita era tutt’altro che facile. In più, lavorava in polizia, dove Gideon Gisbourne, il loro capo, appoggiato dallo Sceriffo Keith, faceva prevalere la linea dura. Nonostante questi due elementi, però, Will era un uomo fortunato. La sua fortuna consisteva principalmente in due preziosi e pericolosi elementi: Alice Miller e Anastasia Reeve. La prima, l’incarnazione della perfetta brava ragazza di provincia: maestra d’asilo, babysitter durante il tempo libero, romantica, tenera, sognatrice, tutto ciò che un ragazzo per bene poteva desiderare. Si conoscevano da quando erano bambini. Avevano passato una vita insieme, anche e soprattutto perché Michael, il fratello di Alice, era il suo migliore amico da sempre. La seconda, invece, era l’incarnazione della dannazione eterna: bellissima, pericolosa, sexy, era tutto ciò che un cattivo ragazzo poteva desiderare. Di due anni più vecchia di Will e Michael, era il sogno proibito di tutti i ragazzini della città. Ragazzini che poi erano cresciuti e che però non avevano affatto abbandonato il sogno delle curve perfette di Ana Reeve e il ricordo dei suoi pantaloncini durante le partite di lacrosse al liceo.
In quel momento, entrando da Granny’s dopo aver appena salutato Alice, che aveva incrociato lì davanti e che era diretta a casa Locksley per badare al piccolo Roland, Will incontrò lo sguardo di Ana, ferma dietro il bancone ad asciugare alcuni bicchieri. Il locale non era pienissimo, ma Will individuò Much – questo il diminutivo di Michael – seduto al bancone. Stava mangiando un boccone prima di iniziare il suo turno. Will gli si avvicinò e gli assestò una sonora pacca sulla spalla. Much sussultò e tossicchiò, sputando cibo dappertutto.
- Sei pazzo, Will? – esclamò dopo essersi ripreso. Will se la rideva della grossa, mentre prendeva posto sullo sgabello accanto a quello dell’amico.
- Ancora non l’hai capito?
- Mi stupisco ogni santa volta, è questo il bello.
Will lanciò un’occhiata ad Ana, che intanto stava servendo del gin ad un avventore.
- Allora? – chiese Much, e Will si girò a guardarlo. – Quando ti deciderai a chiedere ad Ana di uscire?
Will alzò gli occhi al cielo. – Credi che sia semplice? Insomma, è Ana Reeve. L’irraggiungibile Ana Reeve.
Much osservò la ragazza per un momento e poi alzò le spalle. – Che problema c’è? Tu sei Will Scarlet. Ne hai fatta di strada, da quando eravamo due poveri sfigatelli al liceo e Ana era la reginetta della scuola. Insomma, guardati! Hai paura a chiedere ad una ragazza di uscire?
Non era solo quello. C’era anche il “problema Alice”. Non voleva ferire i suoi sentimenti. Lui piaceva ad Alice, lo aveva capito, e glielo aveva detto anche Much. In fondo, Alice un po’ gli piaceva, doveva essere sincero. Era un po’ come andare a fermarsi in un porto sicuro, senza problemi e turbamenti. Dall’altra parte, però, il pensiero di Ana non gli dava pace. Aveva una cotta per lei praticamente da sempre e avevano parlato poche volte, solo in occasione delle sue assidue visite da Granny’s, anche se Ana serviva praticamente sempre ai tavoli e Will sedeva praticamente sempre al bancone, per scambiare qualche chiacchiera con Much tra un cliente e l’altro. Insomma, le occasioni per interagire con lei erano davvero poche.
- Insomma, Will, ti devi decidere – concluse Much poggiando il bicchiere vuoto sul piano in legno del bancone.
In quel momento, Regina Mills scese le scale interne che portavano alle camere del bed&breakfast, elegante come la prima volta in cui Will l’aveva vista. Si diede un’occhiata in giro e poi si avvicinò al bancone. Will la salutò con la mano, lei ricambiò rapidamente e poi parlò per un momento con Tuck, poco lontano da loro. Tuck annuì e lei si andò a sedere ad un tavolo tranquillo accanto alla finestra.
- Che donna strana – commentò Will sorseggiando la birra che Tuck gli aveva servito poco prima. Si voltò di nuovo verso Ana e sospirò. Lei lo stava guardando, seria. Le sue belle labbra si incrinarono in un sorriso suadente che Will prontamente ricambiò. Sentì il pugno di Much colpirgli la gamba sotto il bancone, ma non ci fece molto caso. Il suo amico stava senz’altro intimandolo ad agire. Per Dio, era Will Scarlet! Nessuna donna lo aveva mai atterrito, prima. Così si decise, si alzò e raggiunse la ragazza.
- Hey, Reeve – la salutò prendendo posto di fronte a lei. Sentiva lo sguardo di Much – e di metà degli avventori – addosso. Non gliene importava niente. In quel momento aveva mandato alle ortiche ogni cautela.
- Scarlet – ricambiò il saluto lei continuando ad asciugare i bicchieri, tranquilla.
- Allora mi conosci.
- Chi non ti conosce, agente? – commentò Ana dischiudendo le labbra. Gettò lo strofinaccio umido poco lontano e si chinò sul bancone. Will poteva intravederle il seno attraverso la stoffa leggera della maglietta bianca.
- Hai intenzione di invitarmi da te o no? – aggiunse.
Will per poco non cadde dallo sgabello.
- Quando vuoi – rispose guardandole le labbra.
Ana drizzò la schiena e lo osservò, attenta.
- Stacco all’una. Credi di riuscire a non addormentarti, nel mentre?
- Assolutamente sì.
Ana gli sorrise e Will si accorse che l’aveva vista sorridere così poche altre volte, in tutti quegli anni in cui l’aveva osservata di nascosto. Ana Reeve gli aveva fatto male tante volte, ma tante altre volte lo aveva colpito dritto dritto al cuore, così forte da fargli girare la testa e annebbiare la vista, in un modo così stupefacente da stordire. E si accorse anche – o semplicemente lo capì in quel momento - che, in fondo, lui era tutto tranne che un bravo ragazzo.
 
 
 
NOTE
  • Le battute finali del dialogo tra Regina e Robin sono la traduzione delle battute originali della serie.
  • John Littleton è il nome del mio personale Little John.
  • Alice Miller invece è proprio Alice de “Alice In Wonderland”.
  • “Mecanics Components” è un nome inventato da me.
  • La citazione iniziale arriva da “Anything Could Happen” di Ellie Goulding, la mia nuova musa.
 
 
 
Eccomi qui con un nuovo aggiornamento di questa mini long! Intanto, ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito e deciso di seguire questa nuova avventura. Grazie di cuore!
Mi trovo qui cercando di consolarmi dopo la palata di feelings della Season Finale. L’avete vista? C’è da restarci secchi, giuro. Quindi, dicevo, cerco di consolarmi scrivendo e pubblicando. Anche perché noi fan dell’Outlaw Queen ne abbiamo proprio bisogno, in questo periodo… sigh…
Detto ciò, vi do appuntamento presto – spero – con un nuovo capitolo. Intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo – che purtroppo è parecchio transitorio, scusate – e della storia in generale.
 
Marti
 
 
 
   
 
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