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Autore: horan_smiles    14/05/2014    1 recensioni
Due pianeti che si sono avvicinati, due aree di essi che si sono avvicinate, collegati da un altissimo e possente palazzo chiamato Legatos di duecento piani, nel quale uomini lavorano su esperimenti, invenzioni a contatto con gli abitanti dell'altro mondo.
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«Aspetta! Dove vai?» urlò ancora Harry. Lei si girò, la sua espressione era imperscrutabile, forse era impaurita, forse era perplessa, forse confusa per aver battuto la testa per terra.
«Io non posso parlare con te.» esordì guardandosi intorno per accertarsi che nessuno la stesse ascoltando.
«Perché?» chiese Harry, anche se conosceva già la risposta.
«Perché tu sei del mondo di sotto.» rispose lei.
«Come ti chiami?»
«Sophie.» rispose sospirando.
«Io mi chiamo Harry, piacere.» sorrise smagliante mostrando qualche buco tra i denti a causa del cambio dei denti da latte.
«Devo andare.» disse frettolosa, inforcando il cerchietto.
«Domani tornerai?» chiese il riccio.
«Non posso.»
Sophie stava per correre via ma esitò un attimo, sentendosi osservata da quegli occhi smeraldo e che, per qualche ragione, non riusciva a smettere di guardare. Lui sorrise ancora e lei scappò via.
Harry sapeva che il giorno dopo lei sarebbe tornata.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

Harry si sedette esausto sullo sgabello girevole davanti al bancone, lo girò e appoggiò i gomiti sul legno appena lucidato. Finalmente avevano chiuso. Quella settimana era stata dura, il bar era stracolmo di clienti; tutta colpa di Valentine e delle sue brillanti idee. Be', in effetti era stata una brillante idea, quella di rivoluzionare il locale. Aveva assunto delle ragazze disposte a servire i clienti in pantaloncini -così corti che sembravano inesistenti- e camice attillate che non facevano altro che risaltare le loro forme. In quel momento si trovavano sedute sui divanetti che Valentine, il capo, aveva posizionato in un angolo. Sosteneva che dessero aria più familiare al posto e le persone si sentissero più a loro agio con attorno oggetti quotidiani. Le ragazze erano tre, una era di colore, nera di capelli, magra e slanciata, se ne stava sdraiata sul divanetto rosso, l'altra più scura di capelli e leggermente più robusta era impegnata a lavarsi via il trucco davanti a uno specchio sporco appeso al muro e l'ultima, bionda e particolarmente bassa se ne stava appoggiata allo schienale del divano, pensierosa. Erano tutte e tre delle bellissime ragazze, e purtroppo sprecavano la loro bellezza utilizzandola per gli altri. Ma avevano bisogno di soldi, tutte e tre. Come d'altronde tutti quanti. Perciò avevano letto il cartello sulla vetrata del bar che Valentine stesso aveva scritto ed erano entrate a far domanda. Aveva scelto l'uniforme e l'aveva fornita loro. Harry si sentiva un po' imbarazzato quando una di loro gli passava di fianco, erano così scoperte e provocanti. All'inizio gli davano quasi fastidio, poi piano piano ci fece l'abitudine e fece amicizia con una di loro, Lauren, quella più robusta delle altre. Sì, aveva qualche chiletto in più, ma due occhioni verdi e delle labbra carnose provocanti. Harry la trovava davvero carina, dopo il turno al bar l'accompagnava sempre a casa, adorava la sua compagnia. Con le altre due invece non legò molto; Caroline, quella bionda, era troppo scontrosa e menefreghista, non si poteva sostenere una conversazione con lei senza ricevere insulti. Era fin troppo sicura di sé, adorava quando i clienti le facevano complimenti, anche pervertiti. Sorrideva sornione e continuava a camminare. La terza, quella di colore, si chiamava Heidi e non parlava con nessuno se non con Eveline e Caroline. Perciò Harry non aveva mai avuto l'occasione di comunicare con lei e non si era creato nessun rapporto. Si salutavano il mattino e la sera quando si chiudeva, nient'altro.
Al bar gli impiegati erano sei: Valentine Host, il capo, un trentenne single e avido, ma con delle bellissime idee. Lui aveva fondato il locale, che infatti portava il suo nome. Aveva i capelli neri, li portava rasati, era sempre vestito casual, ad ogni occasione. Sarebbe stato capace di andare con jeans e maglietta anche al suo matrionio. E poi era bravissimo a dare consigli, Harry, quando stava male, passava ore e ore a sfogarsi e Valentine lo ascoltava paziente, sorseggiando una birra.
Poi c'era Liam Payne, il migliore amico di Harry. Si conobbero gli ultimi anni di scuola, Liam era l'unico che parlava a Harry, fregandosene dei pregiudizi della gente che lo accusavano di essere un barbone, solo perché indossava abiti usati. Liam era alto, leggermente gobbo, atletico, portava, come tutti, i capelli rasati e a volte si lasciava la barba incolta. Si preferiva rasarsi per evitare di beccarsi i pidocchi, negli ultimi anni c'era stato l'allarme, si diffondevano ad una velocità incredibile. Solo Harry li teneva più lunghi, lasciava i riccioli circondargli il volto ovale e magrolino, non aveva abbastanza soldi per pagarsi il parrucchiere, così ci andava una volta ogni tre mesi. Liam era fidanzato con una strega, come la definiva il riccio. Non smetteva di controllarlo, era estremamente gelosa, e aveva una  voce così acuta che per ascoltarla si dovevano stringere gli occhi dal fastidio.
Poi c'erano le tre ragazze: Lauren, Caroline e Heidi, di cui abbiamo già narrato.
  In quel momento Liam stava finendo di pulire i vetri, Harry era appisolato sul bancone, le tre ragazze si rilassavano sui divani e Valentine era ai servizi. Un secondo dopo fece ritorno e mentre scuoteva le mani per asciugarsele guardava i suoi impiegati sorridendo fiero di sé.
«Sono o non sono un genio?» chiese retorico appoggiandosi con un gomito al bancone.
«Ma smettila.» ridacchiò Liam voltandosi a guardare il capo. Valentine si diresse verso le ragazze distese sui divani e le guardò continuando a sorridere.
«Siete state magnifiche.» si complimentò con loro. Poi prese la giacca dall'appendino e se la infilò. «Domani alle sei e mezza qui puntuali.» ammiccò guardandoli uno a uno dirigendosi verso la porta d'ingresso. «Liam, chiudi tu quando hai finito con quei vetri. A domani!»
«A domani.» risposero all'unisono, ed uscì dal bar. Harry sospirò esausto e si alzò di mala voglia dallo sgabello. Si tolse il grembiule, lo piegò e lo sistemò nel cassetto dietro al bancone, vicino a quello di Valentine.
«Lauren, andiamo a casa?» chiese sbadigliando.
«M-mh...» mugulò. Harry arrivò davanti a lei, distesa, che si rigirava strofinandosi gli occhi. Sorrise tra sé e sé.
«Dai, muoviti.» esordì divertito. La aiutò ad alzarsi, salutarono gli altri tre ed uscirono dal locale. Faceva freddo, era imminente un temporale. S'incamminarono per la via centrale, seguendo il marciapiede. Lauren gli camminava di fianco sonnolenta e Harry sorrideva sotto i baffi.
«Sei stata bravissia oggi.» commentò Harry.
«Odio questo lavoro.» scosse la testa.
«Lo so.» cominciò a cadere qualche goccia. «Comincia a piovere.» annunciò inutilmente levando il viso al cielo. Aprì la cerniera della felpa e accolse Lauren sotto il suo braccio, in modo da coprirla. Lei si aggrappò al suo busto ringraziandolo, lo faceva sempre. Harry guardava distratto le sue scarpe fino a quando qualcosa sul marciapiede non attirò la sua attenzione. Era un giornale stropicciato, abandonato sulla strada. Il vento lo faceva svolazzare, e quando finalmente si fermò Harry rimase pietrificato; sulla prima pagina, due occhi azzurri, grandi, su un viso rotondo punteggiato da lentiggini e circondato da lunghi e folti capelli rossi.
«Tutto okay?» chiese Lauren sotto la sua felpa, guardandolo stranita. Harry per un momento fu incapace di parlare, osservava quella figura che cominciava a bagnarsi per la pioggia. Era lei, non c'erano dubbi.
«Harry?» lo richiamò ancora Lauren. Lui scosse il capo riprendendosi.
«Ehm... sì, tutto okay.» rispose poco convinto. La accompagnò fino a casa sua con la mente altrove, la salutò e, appena lei chiuse la porta di casa, Harry cominciò a correre verso la direzione opposta. Tornò al punto di prima, raccolse il giornale fradicio e lo nascose sotto la felpa. Lo avrebbe osservato meglio a casa. Così ricominciò a correre per non bagnarsi ulteriormente e raggiunse la sua abitazione, tra le montagne. Appoggiò il giornale e la felpa sul calorifero, si spogliò e andò in doccia. È lei, si ripeteva, è per forza lei. I suoi occhi erano unici, Harry lo aveva sempre pensato, come le sue lentiggini e i suoi capelli rossi. Ma che ci faceva sulla prima pagina di un giornale? Non era possibile, sicuramente ci aveva visto male, lei era morta, era morta proprio davanti ai suoi occhi. Si lavò con l'acqua fredda, in quel periodo quella calda non era disponibile. Quando uscì, tremante, si coprì con un asciugamano e si lanciò sul divano. I denti gli battevano per il freddo. Lanciò un occhiata al giornale che aveva abbandonato sul calorifero e subito dopo distolse lo sguardo perché non poteva reggere il suo. Cercò di calmarsi, si asciugò, si vestì e tornò in salone. Era arrivato il momento, doveva affrontare quella figura. Si avvicinò al calorifero e rabbrividì per il piacere del calore sulle sue mani congelate. Raccolse quell'ammasso di carte e si sedette sul divano, appoggiandole sulle sue coscie. Abbassò lo sguardo e poi lo rialzò di nuovo. Non ci riusciva, il cuore gli scalpitava nel petto, le mani gli tremavano. Finalmente si costrinse a guardare quell'oceano nei suoi occhi e ad un tratto una miriade di ricordi gli invasero la mente. I frutti di bosco, la malattia di suo padre che aveva portato alla sua morte e al suicidio di sua madre, i pianti durante la notte, la sua voce che tanto lo confortava, la sua timidezza, la sua insicurezza, la sua intelligenza e poi rivide la sua caduta, l'ultima volta in cui l'aveva vista. Era cambiata, la pubertà l'aveva resa più attraente, eppure Harry, nei suoi occhi, rivedeva quella bambina che era stata l'unica sua ragione di vita in quel periodo orribile per la sua famiglia. Lesse tutto l'articolo, era recente, della settimana prima, parlava di un qualche esperimento nel campo della scienza e appena incontrò il suo nome, Sophie Gordon, gli mancò un battito.
«Sophie... allora non sei morta...» sussurrò per poi scoppiare a piangere di gioia. Si strinse il pezzo di carta al petto mentre fiumi di lacrime rigavano il suo viso d'angelo. Doveva ritrovarla. Doveva assolutamente ritrovarla.

«Insomma, tu sei proprio sicuro che sia lei?» chiese stranito Liam.
«È lei, Liam, c'è anche scritto il suo nome» rispose Harry indicando il punto dove veniva citato il nome di Sophie Gordon. «e l'articolo è stato pubblicato una settimana fa, lo sai che qui arrivano sempre in ritardo.»
Liam e Harry erano seduti ad un tavolo in un ristorante insieme ad amici e il riccio non faceva altro che parlare di quel pezzo di carta che testimoniava che Sophie Gordon era ancora in vita. Era da tre giorni che rileggeva l'articolo per convincersi di non star sognando, non poteva crederci, ormai se n'era fatto una ragione, non ci pensava più e all'improvviso trovava quel giornale in mezzo alla strada che gli stravolgeva per l'ennesima volta tutti i piani. Sophie Gordon aveva fatto un'importante scoperta: aveva quasi trovato il modo di fluttuare nell'aria senza sostegni. Pensava che se si mescolavano due elementi, uno proveniente dal mondo di sopra e uno dal mondo di sotto, le due gravità si unissero fino ad annullarsi. Harry l'aveva quasi imparato a memoria.
«Ma perché t'importa tanto?» sbottò Christina, la fidanzata di Liam. Lui le diede una leggera gomitata, Harry la fulminò con lo sguardo.
«Non potresti capire, neanche se te lo spiegassi.» rispose convinto. Ancora non riusciva ad afferrare per quale assurdo motivo Liam stesse ancora con lei, insomma, a Harry già il secondo giorno sarebbero venuti istinti omicidi.
«Dovrei solo trovare il modo per contattarla.» mormorò infilandosi le mani tra i ricci, lo faceva sempre quando rifletteva.
«Be', l'unico modo per raggiungere il mondo di sopra è attraversare i duecento piano del Legatos.» sghignazzò Niall Horan, seduto accando a Harry, mentre s'ingozzava. Il riccio s'illuminò. Ma certo, bastava cercare una maniera per entrare di nascosto nel Legatos ed il gioco era fatto.
«Sei un genio.» constatò Harry guardandolo.
«Ma... io non dicevo sul serio.» contestò Niall confuso. «Harry, l'accesso è consentito solo ai membri del palazzo, quelli che lavorano lì.»
«Dovrei cercare di farmi assumere lì dentro... ma come?»
«Basta che tu abbia buone idee.» rispose Liam alzando le spalle. «Ed esperienza.»
«Ma l'unico lavoro che abbia mai fatto è stato da Valentine's...» si grattò la nuca. «Non ne ho proprio, di esperienza.»
«Provaci lo stesso, mal che vada troverai un altro modo.» Harry annuì d'accordo. Abbassò lo sguardo verso la pagina di giornale e fissò quei meravigliosi occhi.
Ce la farò, pensava, ti troverò, Sophie.

Dopo cena uscirono e si sdraiarono sull'erba fresca a guardare la meraviglia delle stelle ad oriente. Ma Harry non guardava ad oriente, Harry guardava ad occidente, Harry guardava il mondo di sopra e sognava di incontrare Sophie. Osservava le luci dei grattacieli e si chiedeva se poteva essere dentro ad una di quelle stanze guardando il cielo. Magari i loro sguardi si trovavano sulla stesa linea e incosciamente si stavano fissando.
«Sei proprio innamorato.» commentò Liam rotolando verso Harry; si era preso una pausa dai baci di Christina.
«Cosa te lo fa pensare?» chiese lui senza distogliere lo sguardo dall'altro mondo.
«Tutto quello che fai.» rispose sorridendo. Una mano scheletrica apparve e si aggrappò al maglioncino di Liam, Christina era impaziente. «La incontrerai, Harry.» disse prima di seguire la fidanzata. Forse era vero, forse Harry era davvero innamorato di qualcuno che non vedeva da quasi dieci anni. Poteva essere possibile?
A quanto pare sì.

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Ciaaao!
Questo è il primo e vero capitolo di Upside Down. L'ho postato anche se il primo non ha avuto molto successo, ma una recensione mi basta. :)
Allora, succedono molte cose in questo capitolo, la storia ha davvero inizio.
Be', fatemi sapere che ne pensate del personaggio di Harry, Liam e in fine della notizia scioccante. Sophie non è morta, a quanto pare.
Buona giornata a tutti!

horan_smiles
  
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