Time after time
1-Some say I've got a bad attitude
But that don't change the way I feel about you
And if you think this might be bringing me down
Look again 'cause I ain't wearing no frown!
Il
vento sembrava volermi staccare i capelli dalla testa e,
francamente, dopo tutta la fatica che avevo fatto per ottenere il rosso
che li colorava, speravo tanto che non lo facesse davvero. Strinsi le
spalle per reprimere i brividi di freddo che percorrevano il mio corpo
come scosse e lanciai un’occhiata al paesaggio che scivolava
sotto i miei piedi, mentre sfrecciavo nei cieli di Londra sulla mia
scopa.
Tutto era ricoperto di neve e i tetti delle case erano pieni di luci
colorate che sfavillavano e che avrebbero potuto anche mettermi
allegria, se la situazione non fosse stata così disastrosa.
-Tremi per il freddo o per la paura, Carter?- chiese con tono derisorio
Sirius Black accostandosi a me con la sua scopa. –Lo dico sempre
che dovresti restare a casa a cucinare insieme alla signora Weasley.
Sentii la rabbia salire e repressi l’istinto di afferrare la
bacchetta e schiantarlo. Nonostante la palese ed immotivata sfiducia
che quell’irritante esemplare di maschio bianco latitante
mostrava nei miei confronti, ero una delle più giovani e
promettenti Auror della storia.
-Non ti conviene, Black, ne approfitterei di certo per avvelenarti!
Pessima in cucina ma prontissima nella lotta. Avvelenarlo sarebbe stata
una punizione eccezionale, avrei procurato una morte banalissima al
primo mago che fosse mai riuscito a fuggire dalla Prigione di Azkaban.
Ricordavo ancora la prima volta che lo avevo incontrato, chiuso in una
delle più anguste e meglio sorvegliate celle di Azkaban.
-Sei circondata da Dissennatori che non vedono l’ora di baciarti, Lestrange, ti conviene rispondere.
La strega scosse i ricci scuri, ormai intricati come rovi, ridendo sguaiatamente.
-Pensi davvero che parlerò con
una STUPIDA RAGAZZINA?- urlò rivolgendomi uno sguardo folle e
gettandosi pesantemente contro le sbarre.
-ANDATEVENE TUTTI AL DIAVOLO, quella
stronza non parlerà mai, tanto vale che la lasciate ai
Dissennatori, almeno la smetterà di urlare.
Mi voltai nella direzione da cui
proveniva la voce e scorsi, in una delle celle vicine, dal lato opposto
dello stretto corridoio, un volto scuro e smunto, seminascosto dietro
una coltre di capelli scuri.
Mi avvicinai, curiosa, e il rumore delle mie scarpe echeggiò come se i miei passi fossero colpi di martello.
-Bene bene, Sirius Black. Non temere,
credo proprio che il primo ad essere baciato sarai tu. Ma guarda il
lato positivo, non dovrai più sentire le urla della tua degna
cugina.- sputai, sarcastica, dopo averlo riconosciuto, fermandomi
davanti alla sua cella.
Mi repelleva anche solo l’idea
dell'atrocità che quell’uomo aveva commesso. Aveva fatto
strage di babbani, il che indubbiamente era già terribile di per
sé, ma ciò che più mi disgustava era che avesse
tradito i Potter, gli amici di una vita, per quel che ne sapevo.
Quando alzò il volto per guardarmi vidi i suoi occhi sgranarsi.
Era quella la prima immagine che avevo di lui, dato il suo stato di
prostrazione fisica e psicologica, di certo non delle migliori.
-Sirius, dacci un taglio.
Gli feci una linguaccia e, dopo aver lanciato un’occhiata a Tonks
e Moody che ci precedevano, virai per accostarmi al mio salvatore, il
mio mentore. Era grazie a lui se ero diventata una brava Auror, si era
preso cura di me e della mia formazione, colmando le lacune che il
corso al Ministero aveva via via lasciato nella mia preparazione.
-Grazie, Remus. A volte mi chiedo come diavolo faccia ad essere amico tuo.
Remus Lupin si sforzò di sorridere, stanco. Eravamo tutti
stanchi, di ronda anche la notte di Natale. Al quartier generale
dell’ordine ci aspettavano per cenare, Molly Weasley aveva
sicuramente preparato qualcosa di delizioso e non vedevo l’oro di
sentirne anche solo l’odore, per potermi sentire a casa.
Tre anni prima la mia casa era Hogwarts e già nell’istante
in cui i miei piedi ne avevano varcato la soglia per l’ultima
volta, avevo realizzato che non avrei mai sentito dentro nessun altro
posto come quella scuola così straordinaria.
Dopo tutto quel tempo associavo l’idea di casa all’odore
del cibo, al calore di un camino, ai sorrisi della gente a cui tenevo e
che non mi permettevo mai di amare abbastanza.
Non volevo correre il rischio di soffrire di nuovo come quando avevo perso la mia famiglia, quel tragico giorno.
Quell’estate avevo ricevuto la mia lettera per Hogwarts e i miei
genitori, babbani entrambi, nonostante un primo momento di
incredulità avevano inaspettatamente accettato l’idea che
io fossi diversa.
Accadde il giorno in cui mi accompagnarono a Diagon Alley per comprare
l’occorrente per il mio primo anno ad Hogwarts, ricordavo ancora
troppo vividamente il loro sguardo esterrefatto, come il mio,
d’altronde, nel vedere libri volare, foto che sembravano avere
vita propria e calderoni stracolmi di pozioni maleodoranti.
Purtroppo alcuni maghi avevano ritenuto che la loro presenza nel mondo
magico fosse inappropriata, sconveniente e soprattutto che
rappresentasse una ragione sufficiente per dar fuoco al negozio in cui
si trovavano, bloccando loro ogni via d’uscita.
Erano entrati al negozio di animali per comprarmi una civetta tutta mia.
Tirai su col naso e ricacciai indietro le lacrime a fatica. Essere un
Auror, voleva dire vedere morte ovunque ed accettarla. Non era mai
giusta, non era mai accettabile davvero, ma dovevi farci i conti e non
potevi lasciarti travolgere dalle emozioni, non se il tuo compito era
combattere il male che la causava.
Secondo Remus era questo il mio punto di forza, avevo una tale rabbia,
dentro, che mi rendeva molto più forte di ogni singola strega
della mia generazione, senza però togliermi mai la
lucidità necessaria.
Vidi Tonks, mia amica e compagna ad Hogwarts, calare, e seppi che eravamo finalmente a casa.
Il numero dodici di Grimmauld Place, il quartier generale
dell’unico ordine di Maghi capace di tener testa al più
temibile mago oscuro di tutti i tempi. La maggior parte dei maghi e
delle streghe non osava pronunciare il suo nome ad alta voce, molti non
osavano neanche pensarlo.
Ma a me non faceva paura. Voldemort.
-Molly ma è.. fantastica! E’ la cosa più carina che abbia mai ricevuto!
Abbracciai la signora Weasley stringendo tra le mani la coloratissima giacca che avevo appena scartato.
Era formata da toppe di ogni colore, cucite tra loro in modo quasi
casuale ma incredibilmente bello. Ero sempre stata una determinata
sostenitrice del nero ma negli ultimi mesi avevo cominciato ad adorare
qualsiasi cosa fosse colorata e vivace, tanto da decidere di tingere i
miei anonimi capelli biondo scuro di un rosso sgargiante.
-Ti sta a pennello, cara!- esclamò la donna vedendomela
indossare. I capelli rossi e mossi le incorniciavano il viso tondo e
sorridente, se non avessi saputo quante preoccupazioni affliggevano il
suo cuore, forse non avrei notato le profonde occhiaie che macchiavano
il candore della sua pelle.
-Susu, Harry! Scarta il tuo!
Notai, senza poter evitare di sorridere, Harry e Ron scambiarsi
un’occhiata preoccupata nell’afferrare i pacchetti che la
signora Weasley tendeva loro.
Harry Potter era il ragazzo più fortunato della terra,
nonostante in molti avrebbero potuto dire con ragionevole certezza
l’esatto contrario.
La sua storia era molto triste, anche lui aveva perso i genitori,
quando aveva poco più di un anno, per mano di Voldemort. I
Potter facevano parte dell’originario Ordine della Fenice,
così come la maggior parte dei presenti in salotto, quella sera,
fatta eccezione per i ragazzi Weasley, Hermione, Harry, Ninfadora Tonks
e me.
Harry era noto come il bambino che era sopravvissuto e i cinque anni
che aveva trascorso ad Hogwarts fino a quel momento fungevano
indubbiamente da conferma del fatto che, quello di sopravvivere, era
più un vizio che un caso.
Aveva affrontato Voldemort in persona, più di una volta, un
basilisco e un esercito di dissennatori, rischiando, insomma, molto
più di quanto non avessi fatto io sommando gli anni della scuola
con quelli della mia carriera da Auror.
Lo avevo conosciuto poco più di qualche mese prima, quando
insieme ad alcuni membri dell’Ordine mi ero recata a Little
Whinging per prelevarlo da casa Dursley dopo l’attacco dei
Dissennatori di cui era stato vittima.
-E’ un po’ troppo pulito, capisci cosa intendo? E’ innaturale!
Tonks si rigirava tra le mani un
portacandele in cristallo lucidissimo, dopo aver percorso con un dito
la metà del mobilio del salotto per poi notare con stupore
l’assenza assoluta di polvere.
-Sono tutti così perfettini, i
babbani?- mi chiese per poi mordersi il labbro e assumere un colorito
strano quasi quanto il viola dei suoi capelli. Sapeva che non amavo
parlare della mia infanzia, della mia vita prima della magia.
La storia dell’omicidio dei
miei era abbastanza brutta da scoraggiare chiunque volesse fare domande
e non mi ero mai aperta più di tanto neanche con Tonks
nonostante il fatto che se non fosse stato per lei avrei di certo
trascorso l’intera durata della scuola chiusa nel mio malinconico
ed esasperante mutismo.
-No, Dora, a casa mia non era
così! Io poi sono sempre stata così disordinata! Mettevo
a soqquadro tutto in un nanosecondo.
Mi guardò per un attimo, colpita, e poi sul suo viso si aprì un affettuoso sorriso riconoscente.
Non volevo essere misteriosa e impenetrabile con lei, non lo meritava, non l’aveva mai meritato.
-Harry, loro sono Ninfadora Tonks e Jales Carter, sono entrambe Auror.
Harry Potter ci guardò
scettico attraverso i suoi anacronistici occhialetti tondi.
Chissà perchè con tutti i soldi che aveva alla Gringott
non avesse mai pensato di cambiarli.
I vestiti che indossava erano
decisamente troppo larghi e evidenziavano il fisico magro tipico degli
adolescenti che avevano da poco acquistato qualche decina di centimetri
in altezza ma non in muscoli.
Virilità meno dieci, insomma, ma dopotutto il ragazzo prometteva bene, sarebbe di certo cresciuto in fretta.
-L’ultima persona che mi ha
rivolto un’occhiata tanto scettica si è ritrovata il naso
rotto senza avere il tempo di dire Troll. Fossi in te eviterei, giovane
Potter.- lo avvertì con un sorriso minaccioso.
-Lasciala stare, Harry. E’ acida ed antipatica.
Storsi il muso con aria pensierosa.
-Si, credo tu abbia ragione.- la
schernii prima di battere forte le mani. –Basta chiacchierare,
signorine. Saltate sulle vostre scope e andiamo via di qui. Se è
vero che le case rispecchiano coloro che ci vivono non ho davvero
nessuna voglia di conoscere questi Dursley.
-Grazie!- esclamò Harry sollevando il classico maglione con
l’iniziale alla Weasley. –Ho preso qualche centimetro
quest’anno e quello vecchio non mi stava più!
Una risata sommessa mi ricordò del signor Weasley, poco distante
da me, fasciato e malconcio. Non si era ancora del tutto ripreso
dall’attacco che aveva subito ma grazie al cielo Harry aveva
smesso di sostenere che fosse stata colpa sua.
-Jal, muoviti a scartare il mio regalo! – Dora mi stava
letteralmente saltellando intorno con al collo la catenina e il
ciondolo che le avevo regalato che balzava di qua e di là ad
ogni suo movimento.
-Calmati, D. Ci sto provando! Che diavolo di incantesimo hanno fatto a questa carta?
-Secondo me sei tu ad essere un po’ impedita, Carter. Vuoi che faccia io?
Non avevo dubbi che la mia nemesi sarebbe intervenuta, a sproposito,
come sempre, per rovinare uno dei pochi momenti sereni degli ultimi
mesi.
-Morditi la lingua, Black. Se fai il bravo dopo ti do un biscottino.
Black era un animagus, non registrato ovviamente, e le battute sul suo
corrispondente canino lo irritavano sempre abbastanza da alleviare il
mio nervosismo.
Ignorando qualsiasi rispostaccia stesse preparando per me, abbracciai
Ninfadora, sorridendo come una scema per il regalo meraviglioso che
avevo appena ricevuto.
Era un cercapersone babbano, una di quelle cose che non avrei mai
creduto esistessero ancora e, come spiegò fiera la mia migliore
amica, era stato modificato con una magia per funzionare anche da una
parte all’altra del mondo, così avremmo saputo sempre
quando avremmo avuto bisogno l’una dell’altra.
-Grazie. – le disse sincera stringendole le mani.
-Almeno saprò quando intervenire per tirarti fuori dai guai, sei un lavoro a tempo pieno!
-Ron sei una schiappa!
La serata era trascorsa nella serenità più assoluta, la
cena era stata fantastica anche se avevo rischiato di affogarmi alla
notizia che il dolce era stato preparato da Ginny, una ragazzina
adorabile, ovviamente, ma ancora più negata di me –cosa
che ritenevo impossibile, per inciso- nella cucina.
Aggrottai la fronte, concentrata sulla mossa che mi avrebbe permesso di
battere a scacchi il campione indiscusso di casa Weasley.
-Ero il migliore prima che arrivassi tu!- mi rispose indispettito vedendo il suo alfiere pestato a sangue dal mio.
-Sei troppo distratto, Ronald.- ammiccai riferendomi ad Hermione che
stava dietro di lui con la mano distrattamente poggiata sulla sua
spalla.
Quei due erano sicuramente due delle persone più strane che
avessi mai conosciuto: erano palesemente innamorati l’uno
dell’altra, si sostenevano e rimbeccavano continuamente ed in
egual misura finendo per litigare per una parola detta al momento
sbagliato, ma nessuno dei due si convinceva ad ammettere i propri
sentimenti.
La diretta interessata si schiarì la voce e ritrasse la mano.
-Vado a finire la relazione di Artimanzia, altrimenti non farò
mai in tempo!- annunciò seria come solo Hermione sapeva essere.
-Ma è Natale, Hermione! – anche io ero una mezza secchia
ai tempi della scuola ma non avrei mai minimamente pensato davvero di
studiare la sera di Natale.- Ti verranno i capelli bianchi prima del
tempo, se continui così.
Mi scoccò un’occhiata a metà tra l’irritato e
l’imbarazzato prima di allontanarsi e notai, divertita, che con
una mano si era portata una ciocca dei lunghi capelli castani davanti
al viso, analizzandola attentamente.
-Non credo abbia gradito la tua battuta, e no, Jales, non era una
battuta innocente. – disse Harry ghignando, seduto sul bracciolo
della poltrona che ospitava il mio nobile sedere.
Mi strinsi nelle spalle, angelica.
-Voi giovani d’oggi non siete simpatici come lo eravamo noi, che
posso farci? Vero, Tonks?- alzai la voce per richiamare
l’attenzione della mia amica che stava mostrando a Remus tutte le
varie sfumature che i suoi capelli potevano assumere. –Hey, lo
sai che ti odio quando lo fai! Dovresti dover fare la tinta come tutte
noi, per quello!
-E tu saresti simpatica, J.? – mi schernì sorridente.
-Come un mandragora impazzita.- completò Sirius Black alzando il proprio boccale di burrobirra come a voler brindare.
Era notte e tutti erano andati a dormire mentre io, come spesso
accadeva nell’ultimo periodo, non riuscivo a prendere sonno.
Avevo provato a contare le pecore, gli ippogrifi, i draghi e persino i
gufi - Dio solo avrebbe potuto dire quanti fossero quei volatili.
Mi sedetti al tavolo della cucina, arresa, incantando il cucchiaino per
mescolare la tisana al posto mio mentre un piacevole aroma di ribes e
vaniglia raggiungeva le mie narici.
Chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi quando un fruscio mi fece
balzare in piedi e automaticamente sfoderare la bacchetta, puntandola
verso quella che i miei sensi mi informavano essere l’origine del
rumore.
-Hey, hey, Carter, metti giù la bacchetta. Non ti hanno detto che non si gioca con le armi?
Sirius Black stava ritto sulla soglia della cucina, con le braccia tese
in alto in segno di resa e il suo solito piglio lievemente tormentato.
Era tormentato quando scherzava, era tormentato quando si alzava, quando rideva e quando mangiava. Una vera palla al piede.
-Mi hanno detto anche di non dar retta agli idioti ma chissà
perché mi ritrovo sempre costretta a farlo. Che ci fai, qui?
– chiesi risedendomi e afferrando la mia tazza.
-Dovresti portarmi rispetto, dopotutto sono più anziano di te.
Era vero. Sirus Black, come Remus, aveva quindici anni più di me
e sicuramente molta più esperienza e saggezza dalla sua.
-Diciamo anziano e basta, Black.
Sbuffò e per un attimo, incrociando il suo sguardo, pensai di
averlo ferito davvero. Lo vidi avanzare verso il frigo e prendere una
bottiglia d’acqua che pochi istanti dopo sollevò, bevendo
senza toccarne il collo con le labbra.
-Posso sedermi o rischio di essere corroso dall’acido?- chiese avvicinandosi.
Inaspettatamente rimase in piedi, fermo, davanti alla sedia scostata.
Non riuscivo davvero a realizzare quale potesse essere l’assurda
ragione per la quale il padrone di casa si sentisse in dover di
chiedere il permesso a me di sedersi al suo tavolo, della sua cucina,
sulla sua sedia.
Accennai un movimento del capo. –Permesso accordato, mozzo.
Rise sotto i baffi, il che nel suo caso non era solo un modo di dire
dato che il suo viso provato dal dolore e dagli anni trascorsi ad
Azkaban era ornato di una barba apparentemente trasandata ma che, a
giudicare dalla perfetta curva che i baffi disegnavano sul suo labbro
superiore, doveva essere il risultato di una minuziosa rasatura.
Aveva una risata profonda che mi dava sempre l’impressione di vibrare ovunque, anche nel mio stomaco.
C’era stato un momento, inutile negarlo, in cui quel suo viso
tormentato e l’aria vissuta mi avevano quasi fatto prendere una
cotta per lui. Ma si trattava dei miei primi mesi nell’Ordine,
era acqua passata ormai, che lasciava però una perenne e sottile
attrazione difficilissima da debellare.
-L’insonnia tiene in ostaggio anche te?
-Mi sento quasi come se mi stesse tenendo la testa premuta
sott’acqua, più che altro.- risposi poggiando la schiena
alla sedia e sorseggiando la mia tisana.
-Non oso neanche immaginare l’effetto che avrà su di te,
domani, questa perdita di sonno. Sei già insopportabile quando
sei riposata.
Non riuscivo davvero a spiegarmi cosa spingesse Black ad essere
così odioso, nei miei confronti. Con il resto del mondo, pur non
essendo esattamente una persona dolce, si dimostrava una gradevole
compagnia, soprattutto con Harry.
-Credi che andremo mai d’accordo io e te?- chiesi d’istinto
e avrei tanto voluto prendermi a schiaffi già l’istante
dopo averlo fatto.
Da quando lavoravo al Ministero avevo molto lavorato sulla mia
impulsività, la mia più tremenda pecca. L’unica,
avrei voluto dire, ma ahimè era solo la più evidente.
Mi guardò per interminabili istanti durante i quali la
tentazione di alzarmi e tornare in camera a nascondere la testa sotto
il cuscino fu fortissima.
-Non saprei, Carter. Forse non è questo il nostro tempo, forse
se mi avessi conosciuto quando avevo la tua età non ti sarei
risultato tanto antipatico.
Finsi di pensarci su per poi rivolgergli un sorrisino bastardo dei miei.
-A pensarci bene avrei solo avuto più tempo per trovare ancora altre ragioni per ritenerti odioso!
Scosse la testa, rassegnato.
-Buonanotte, ragazzina. Le brave bambine a quest’ora sono già a letto da un pezzo.
Mi ritrovai a sorridere, le labbra ancora premute sul bordo della tazza.
-Non lo sono mai stata.- soffiai, ma lui era già scomparso oltre la porta.
La
mattina successiva, come previsto, ero un fascio di nervi ambulante, i
miei capelli erano più arruffati del solito e le mie occhiaie
sembravano più dei calderoni malconci.
-Buongiorno, raggio di sole!- trillò Dora, quando entrai in
cucina. Sfoggiava una chioma arancione quasi abbagliante e un sorriso
che lo era anche di più.
Vidi Hermione più o meno nelle mie stesse condizioni, semi-svenuta sul tavolo.
-‘Giorno, ragazze. D. smettila di sorridere o ti odierò
ancora di più di quanto non odi già il mondo intero.
Hermione sollevò il pollice, senza alzare la testa, concordando con me.
-Che diavolo vi prende, stamattina? Non è una giornata peggiore
delle altre. – si informò Harry mentre lui e Ron entravano
in cucina.
Hermione riemerse finalmente dal suo stato catatonico per rivolgere all’amico uno sguardo disperato.
-Non sono riuscita a finire tutti i compiti che ci hanno lasciato per
le vacanze e il mio giratempo ha deciso di rompersi proprio adesso.-
piagnucolò prendendosi la testa tra le mani.
-Ci credo, Hermione, hai sfinito anche lui!
Ron non sapeva quanto rischiasse di ritrovarsi il cucchiaio con il
quale Hermione aveva cominciato a mangiare i cereali dritto tra i denti.
-Dallo a me, Hermione, vediamo se posso fare qualcosa.- mi offrii tendendole la mano.
Si frugò nelle tasche con aria avvilita e me lo pose sul palmo,
evidentemente sfiduciata. –Non credo sia così facile,
aggiustarlo. Ieri ci ha provato anche il professor Lupin ma niente, non
vuole saperne.
-Sto facendo i pancakes, Jal, ne vuoi uno?
-No, Dora, non ho affatto fame, torno in camera a vestirmi e a cercare
di porre rimedio a questo sfacelo che si presume essere la mia faccia.
Uscii dalla cucina a passo svelto, cercando di ignorare le voci dei
protagonisti dei quadri di casa Black che da ogni angolo inveivano
contro di me e contro le mie origini. I primi tempi mi scomodavo anche
a rispondere malamente alle loro barbare sentenze razziste ma pian
piano avevo imparato a reagire con incredibile indifferenza
riproponendomi che prima o poi avrei ripagato a me stessa con un bel
falò ad alto contenuto artistico.
-Piantala, Sirius. Non puoi e lo sai meglio di chiunque altro.
Era la voce di Remus, che ritto sulle scale fronteggiava un Black più che mai nervoso e turbato.
Per una ragione sconosciuta persino a me stessa, mi appiatti contro il sottoscala per non farmi vedere e restai in ascolto.
-Ho avuto fin troppa pazienza, doveva già essere successo. Sto perdendo la testa, è sempre più difficile.
-Sarà difficile anche dopo che accadrà, non crede che
cambierà le cose. Non c’è niente di semplice per
noi, mai.
-Non sopporto l’idea che corra continuamente rischi su rischi, io..
-Devi essere più lucido, Sirius. Sei riuscito ad esserlo per
tredici anni chiuso in quella fottuta cella di Azkaban, porca miseria!
Sentii un sospiro sofferto e seppi che era stato Sirius Black a
produrlo perché Remus aveva ormai svoltato l’angolo
dell’ingresso, diretto, probabilmente, in biblioteca, dove si
chiudeva continuamente per sfuggire al chiacchiericcio dei quadri che
almeno lì erano troppo impegnati a leggere per criticare il lupo
che c’era in lui.
Giunta in camera mi vestii e cercai di rimettermi in sesto, pronta a cominciare un’altra estenuante giornata.
Continuavo a pensare alle parole che i due maghi si erano scambiati,
meno di mezzora prima, chiedendomi chi fosse in pericolo e cosa stesse
mandando fuori di testa Sirius Black.
Ero estremamente preoccupata e nervosa, odiavo essere stata tenuta allo
scuro di qualcosa che, per inciso, doveva essere molto importante e,
con ogni probabilità, considerato il tono esasperato di Sirius,
doveva riguardare Harry.
Per Sirius Harry era come un figlio e qualsiasi cosa lo riguardasse lo
toccava più di qualsiasi altra cosa, avrebbe sacrificato tutto e
tutti per lui, se fosse stato necessario.
Era ancora presto quando, pronta, mi affacciai alla finestra. La neve
non si era ancora sciolta e appesantiva i rami degli alberi in giardino
mentre i campi tutto intorno sembravo dei veli candidi.
Voltandomi lo sguardo cadde sul giratempo che inerme sul mio letto sembrava gridare “aggiustami!”.
Lo rigirai un paio di volte tra le mani cercando di capire cosa non
andasse in quell’affare e provai un paio di volte a girarlo in
modo tale da tornare indietro di un’ora.
Hermione aveva ragione, non voleva proprio saperne di funzionare.
Feci un ultimo tentativo e vedendo che non dava alcun segno di vita
feci per rimetterlo in tasca quando l’oggetto cominciò a
vorticare furiosamente.
-No no no, non è affatto bene. Non mi sembra per niente il caso.- bisbigliai cercando di bloccarlo.- Che diavolo…?
Pochi istanti e sentii tutto intorno a me tremare e girare in modo innaturale, vedendomi costretta strizzare gli occhi.
Quando quella sorta di giostra del terrore si fermò e potei riaprire gli occhi, per poco non mi prese un colpo.
Piccola nota dell'autrice
L'immagine che vedete all'inizio del capitolo è opera di JeyCholties e se non avete già fatto un salto sulla sua pagina EFP vi consiglio di farlo perché vi assicuro che come autrice è anche più brava che come grafica, fatevi un po' due calcoli! ;) Un bacio! Ps: GRAZIE, Jey!