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Autore: Water_wolf    19/05/2014    11 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Tante coppie alla fine

♠Percy♠

"Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno.
Fuoco o tempesta, il mondo cader faranno.
Con l’ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere.
Alle porte della morte, i nemici armati si dovran temere.
Contro l’Ingannatore, antichi odi si sopiranno
E alla fine dei tempi i semidei il destino decideranno."



Ecco cosa sentii, quando Rachel crollò davanti a me dopo aver accettato lo Spirito di Delfi dentro di sé. Dopo aver avuto le scuse di Ermes, aver parlato con Atena, visto mia madre sana e salva, credevo di non dover più temere nulla. Invece, finii con avere un nuovo attacco cardiaco.
La mia amica mortale aveva appena enunciato la prossima Grande Profezia, che avrebbe segnato il destino del mondo intero ed io non potevo non pensare che quella profezia non mi riguardasse. Avevo un groppo alla gola che cercai di sciogliere e non solo per il fatto che, fondamentalmente, Rachel mi aveva scaricato.
«Percy, non preoccuparti. L’ultima Grande Profezia su di te ci ha messo quasi settant’anni per compiersi. Questa potrebbe anche avverarsi dopo la tua morte» provò a rassicurarmi Apollo, che si era presentato al Campo giusto per ufficializzare il fatto che Rachel sarebbe stata il suo prossimo oracolo.
«Lo so…» borbottai riluttante. La verità era che avevo una paura folle che quella riguardasse proprio me, invece. «Solo che… quella roba del fuoco o della tempesta che faranno crollare il mondo… non suona molto bene.»
«Hai ragione!» confermò Apollo in tono allegro. «Sarà un Oracolo perfetto!»


 
I ragazzi sopravvissuti tornarono alla spicciolata da New York. Chi in biga, chi in pegaso, chi in macchina. Alcuni arrivarono a piedi. Alex arrivò con tutte le Orde a bordo della Skidbladnir, ma alcuni dei suoi arrivarono a piedi, accompagnando i miei amici.
Ci prendemmo cura dei feriti al meglio, approfittando anche che fossero arrivate le altre orde, cercando di mettere ordine nelle nostre fila. I figli di Eir e di Apollo ce la misero tutta per curare chi era sul punto di non farcela. Persino i figli di Loki fecero la loro parte, riuscendo a racimolare, chissà dove, medicinali e bende.
Quella sera, prima di andare a cena, celebrammo i riti funebri. Tutti i caduti ebbero un drappo e anche Ethan ne ottenne uno – di seta nera, con il simbolo di due spade incrociate sotto una bilancia. Sperai che sapesse che non era morto inutilmente e che, alla fine, i suoi fratelli avevano avuto il rispetto che meritavano. Anche per Michael Yew ci fu un drappo. Mi sentii salire un groppo alla gola, quando vidi i loro corpi bruciare.
Per l’occasione, i tessuti greci furono incendiati sulla spiaggia, dove i nordici stavano celebrando il loro rito funebre. Per certi versi era simile al nostro: i corpi dei loro caduti vennero adagiati su delle barche che, per la loro forma, ricordavano una drakkar. Insieme a loro, vennero messi degli oggetti. Notai dei CD musicali, dei fumetti e dei libri; immaginai si trattasse delle cose che loro preferivano. Dopodiché dettero loro fuoco e le spinsero sull’acqua.
«Unitevi, fratelli e sorelle.
Unitevi agli Eiherjar, contro le ombre del Caos,
Unitevi alla schiera di Odino.
Gioite, per non aver avuto la Morte di Paglia*.
E non temete, perché un giorno,
Noi ci riuniremo a voi,
Nelle sale del Valhalla.
»
Quelle parole furono dette da tutti i nordici, anche se sottovoce. Capii che era una preghiera. Una sorta di lamento funebre per i loro caduti.
Sul pelo dell’acqua, intanto, le fiamme dei ragazzi che erano morti al mio fianco bruciavano come paglia e mi parve di vedere delle figure femminili che fluttuavano in aria sopra di loro, raccogliendone le ceneri, anche se non ne fui sicuro.
Feci del mio meglio per ignorare il dolore che mi attanagliava il cuore. Non volevo che andasse così. Quella non era la loro guerra, non sarebbero dovuti venire.
«Non è colpa tua» disse Petra, dietro di me, con voce strozzata, mentre si asciugava le lacrime. Aveva capito cosa mi affliggeva.
«Ma… se non foste venuti, forse tuo fratello sarebbe ancora vivo» protestai debolmente, mentre drappi e imbarcazioni venivano consumati dalle fiamme, separandoci dai nostri amici per sempre.
«E allora?» chiese lei, riacquisendo un tono pacato. «Noi siamo venuti qui volontariamente. Eravamo consapevoli dei rischi, Alex ce l’aveva detto. Però noi siamo stati felici di affrontarli. Forse i nostri genitori non sono d’accordo, ma a me non importa. Se noi semidei non possiamo contare su i nostri simili, di chi dobbiamo fidarci? Gli Dèi ci considerano strumenti, i mortali dei pazzi, i mostri cibo. Siamo mezzosangue, indipendentemente da quali divinità ci abbiano fatto nascere. Dobbiamo aiutarci a vicenda. Ed io intendo farlo.»
Sorrisi, sorpreso da quel discorso. Mi guardai intorno e vidi che tutti i semidei nordici, per quanto addoloranti, non sembravano pentiti di averci aiutati. Potevamo contare davvero gli uni sugli altri. Forse i nostri Dèi erano contrari, ma ormai i nostri campi erano uniti.
Quella sera la cena fu silenziosa e mesta. Fu spenta, a causa delle perdite, anche se i nordici festeggiavano con noi. A causa del gran numero di componenti delle orde, gli altri si erano radunanti all’esterno del padiglione. Ciononostante l’Orda del Drago ed Alex furono invitati a rimanere all’interno da Chirone, per ringraziarli formalmente del loro aiuto.
Il figlio di Odino sedeva con il Signor D – che non sembrava molto contento –, Chirone, Nico, Astrid e Lars al tavolo principale, ma nessuno sembrò trovarli fuori posto. L’unico momento emozionante fu quando Juniper placcò Grover con un gridolino.
A poco a poco, tutti si allontanarono. Molti andarono a letto, ma altri, come Clarisse e Chris, si riunirono a cantare intorno al falò. Silena e Beckendorf si tenevano alla larga dal gruppo e parlavano con Einar. Nessuno aveva menzionato la parola traditrice. Fui felice che fossero sopravvissuti entrambi.
Accanto al falò Alex ed Astrid si tenevano per mano. Tutti si divertivano a prenderli in giro, ma non sembravano scontenti del fatto di stare insieme.
«Ehi!» mi chiamò Annabeth, all’improvviso, scivolando sulla panca accanto a me. «Buon compleanno.»
Teneva in mano un grosso pasticcino informe con la glassa blu.
«Che?» chiesi, mostrando ancora una volta le mie grandi capacità oratorie.
«Sai che oggi è il diciotto Agosto? Il tuo compleanno, no?»
Ero sbigottito. Avevo effettivamente compiuto sedici anni quel giorno, quando avevo consegnato il pugnale a Luke, compiendo la mia scelta. Eppure, l’idea di arrivare vivo a quel momento non mi aveva sfiorato. Mi sembrava quasi un sogno.
«Esprimi un desiderio» continuò, portandomi il dolce sotto il naso.
«L’hai fatto tu?» chiesi.
«Mi ha aiutata Tyson.»
«Ecco perché sembra un mattone» commentai. «Con il cemento.»
Ci mettemmo a ridere. In effetti, in quel momento, un desiderio ce l’avevo. Soffiai sulle candeline. Dividemmo il pasticcino in due e ce lo mangiammo con le mani. Era così bella, ora che era tranquilla, lontano dalla guerra. Mentre mangiavamo, notai che le era finito un po’ di dolce sul naso e glielo portai via con il dito. Mi parve di vederla arrossire.
«Hai salvato il mondo» esordì, come se fosse una cosa normalissima da fare tutti i giorni.
«Abbiamo, salvato il mondo» precisai.
«Giusto. E Rachel è il nuovo oracolo… il che significa che non potrà avere un ragazzo» commentò.
«Non sembra che ti dispiaccia» replicai, non riuscendo a non ghignare, mentre la vedevo arrossire di nuovo.
«È uguale» borbottò, per poi fissarmi, inarcando le sopracciglia. «Hai qualcosa da dirmi, Testa d’Alghe?»
«Probabilmente me le suonerai.»
«Sai che lo farò.»
Mi spolverai le briciole dalle mani, cercando le parole giuste.
«Sai… quando ero sullo Stige e stavo per diventare invulnerabile… Nico mi disse di concentrarmi su qualcosa, una sola cosa, che mi tenesse legato alla vita…»
Spiai Annabeth, ma lei aveva deciso di tenere gli occhi fissi sull’orizzonte.
«Sì…?»
«Ecco… sì… e quando…ecco…»
La mia voce si ruppe ed iniziai a partire con una serie di ricordi di quando ero tentato dall’immortalità. Le sue labbra si inarcarono verso l’alto.
«Stai ridendo di me!» mi lamentai.
«Non è vero.»
«Be’, non mi stai rendendo le cose facili» borbottai.
Poi, però, mi ritrovai ad arrossire come un semaforo rosso, mentre stavo con Annabeth appiccicata che mi teneva le mani intorno al collo.
«Io non ti renderò mai la vita facile, meglio se ti ci abitui» soffiò a pochi millimetri dalla mia bocca.
Poco a poco, con una lentezza che trovavo esasperante, le sue labbra si allacciarono alle mie. Non ero sorpreso, e nemmeno impacciato. Semplicemente il mio cervello si sciolse dalla felicità, mentre mi stringevo a lei.
«ERA ORA!»
Prima ancora che mi potessi separare completamente da lei, io e Annabeth ci ritrovammo sollevati da terra da un gruppo di mezzosangue capitanati da Clarisse..
«Eddai!» protestai, senza lasciare la mano della mia adorata figlia di Atena. «Che fine ha fatto la privacy?»
«I piccioncini hanno bisogno di una rinfrescata!» esclamò Clarisse, contenta.
«Al laghetto delle canoe!» urlò Connor.
Con un grido di esultanza, fummo trasportati sulle spalle di tutti, avvicinandoci al laghetto. Ciononostante, non lasciai mai la mano di Annabeth. Anche quando cademmo in acqua tra l’esultanza di tutti non la lasciai.
Dopo un attimo, la abbracciai di nuovo. Ancora sott’acqua, creai una bolla sul fondo del laghetto e la baciai di nuovo. I nostri amici dovettero aspettare un bel po’, prima di vederci riemergere. Dopotutto non si può mettere fretta ad un figlio di Poseidone.
E quello fu, probabilmente, il bacio subacqueo migliore di tutti i tempi.
 
•Alex•

Il giorno dopo la fine della battaglia, le altre orde abbandonarono il Campo con il Bifrost, ma Hermdor e l’Orda del Drago rimasero presenti. Volevamo concludere quell’estate in bellezza, con i nostri nuovi amici. Inoltre, avevamo un sacco di cose in mente.
Innanzitutto, furono due settimane fantastiche. Io le passai con Astrid, lontano da sguardi indiscreti, cercando di passare più tempo possibile con lei. Dovevo ancora abituarmi ad avere di nuovo la vista doppia. Mi sentivo strano, inoltre, ogni tanto, il mio occhio magico mi faceva brutti scherzi quando, senza volerlo, attivavo il suo potere, finendo con distrarmi.
Intanto, aiutavamo il Campo a riorganizzarsi. L’orda dette una mano a costruire, per quanto possibile, le nuove abitazioni per i mezzosangue degli Dèi Minori e per Ade. Nuovi semidei greci spuntavano ovunque, anche in Europa e in altri Paesi, così il Campo Nord si era offerto nel dare una mano a radunarli. Operazione che fu facilitata dal nostro direttore Hermdor, nonostante faticasse parecchio a parlare con Dioniso.
Insieme a me, Chrione progettò un possibile programma di scambio tra i due campi in modo da infittire i rapporti e mi consigliò anche di portare con me alcuni ragazzi del Campo. In particolare, mi suggerì Silena e Beckendorf.
«Non è solo per il programma di scambio» mi confidò un giorno, mentre Hermdor e il Signor D non c’erano.
Stava fissando l’esterno, dove dei ciclopi, guidati da Tyson, stavano impilando dei mattoni magici per la Casa di Ecate. Sarebbe bastato che uno solo toccasse terra e ci saremmo trasformati tutti in alberi.
«Immagino riguardi Silena, vero?» intuii, cercando di non pensare a quei mattoni.
Sapevo che Talia era diventata un pino, ma non ci tenevo a fare la sua stessa esperienza.
«Già» commentò il centauro, sospirando. «Beckendorf ha… litigato con suo padre. Non vuole lasciare Silena e l’ha giustificata davanti al Consiglio. La cosa non è piaciuta ed Efesto ha maledetto la sua stessa Casa. Non voglio sembrare duro, ma trovo sia meglio che lui si allontani dal Campo. Forse, così, la maledizione si dissiperà.»
«Capisco» commentai, pensieroso.
La cosa non mi dispiaceva. Beckendorf era un bravo ragazzo e la figlia di Afrodite, a mio parere, non poteva essere considerata più traditrice di molti altri. Mi ritrovai a considerare che anche io, per Astrid, avrei fatto lo stesso.
«E per la loro scuola? I loro genitori? Il collage?»
«Loro hanno già informato le loro famiglie. Hanno tutti confermato che, per loro, era la cosa migliore da fare. Per un anno, stare lontani dal territorio greco ed attendere che gli animi degli Dèi si plachino. Dopodiché, penso di poter dire che potranno tornare senza troppi rischi» spiegò il centauro, tornando a fissarsi su di me.
«Può contare sul mio aiuto. Per quel che mi riguarda, si potranno aggregare all’Orda del Drago» dissi, scrollando le spalle.
Sarebbe stato molto bello, finalmente, avere gente nuova. Il primo passo per dissipare le ostilità e inaugurare una collaborazione tra i due campi.
L’ultima sera di permanenza al Campo Mezzosangue, dopo una partita di caccia alla bandiera particolarmente movimentata, durante la quale Clarisse mi aveva fatto un bell’occhio nero e Einar aveva fatto cadere Annabeth in una buca, mi ritrovai sul pugno di Zeus, dove c’era anche Astrid. Era una notte serena. Il cielo era terso e si vedevano le stelle come non si poteva fare in città.
«A cosa stai pensando?» chiese lei, abbracciandomi, mentre ci stendevamo su una roccia liscia abbastanza comoda.
«Non lo so. Sai, domani si torna a casa. Ma una cosa è certa» affermai, voltandomi un attimo. «Io penso sempre a te.»
Sorrise, mentre mi accarezzava la cicatrice lasciata dalla falce di Crono. Mio padre mi aveva ridato l’occhio, ma non aveva tolto le tracce della lesione.
«Lo sai che non ti sopporto quando fai il romanticone» sussurrò lei, fingendosi arrabbiata.
La verità, però, era che sorrideva.
«Lo so, lo faccio apposta per farti arrabbiare» soffiai, mentre mi avvicinavo.
Poco prima che lei mi baciasse, mi parve di vedere Percy ed Annabeth, seduti poco lontano, stretti l’uno all’altra, ma a me non importava molto, dato che sentii le labbra di Astrid sfiorare le mie. Era inebriante, non mi sarei mai stancato di averla tutta per me.
Il suo corpo caldo, premuto contro il mio. I suoi capelli lisci che si aprivano come acqua, mentre li accarezzavo. Sarei potuto rimanere con lei per tutta la vita.
«Hai scelto la via più difficile.»
Sobbalzammo entrambi e Astrid si lisciò imbarazzata la maglietta, nascondendo il rossore con i suoi capelli, mentre mio padre, seduto su una roccia sopra di noi, ci guardava severamente.
Indossava un paio di pantaloni fino al ginocchio, un paio di scarpe da tennis ed un giaccone. Ricordava uno di quelli che andava in giro per il mondo a piedi, facendo quelle lunghe camminate, spesso attraversando a piedi interi stati. Aveva l’aria di un quarantenne e l’occhio di meno era coperto da una benda chirurgica.
Gungnir, la sua arma magica, era ridotta ad un semplice bastone da viaggio moderno. Sulle sue spalle Hugin e Mugin ci fissavano con aria truce ed erano silenziosi.
Maledissi l’abitudine degli Dèi di apparire SEMPRE nei momenti meno opportuni.
«Divino Odino» mugugnai, sentendomi vagamente imbarazzato e arrabbiato.
Doveva proprio interrompere una serata romantica con la mia ragazza? Lui, però, non sembrò farci caso, anzi, sembrò quasi soddisfatto della sospensione.
«So cosa stai pensando. Ma io non approvo voi due.» Il suo unico occhio lampeggiò minaccioso contro Astrid e io le strinsi la mano, quando la vidi sussultare. «Lei è una figlia di Hell, si unirà alle forze del male durante Ragnarock e non sono affatto convinto che lei si manterrà fedele a noi.»
«Padre!» sbottai, alzandomi in piedi, sfidandolo.
Non lo sopportavo quando faceva così: era rimasto fuori dalla mia vita per dieci anni e poi si permetteva di dirmi cos’era meglio per me.
«Non mi interessa cosa pensi. Di certo non ho bisogno di te, per decidere della mia vita!»
Per un attimo, squadrai il dio che era mio padre con durezza, ancora una volta, pronto a sfidarlo. Astrid, dietro di me, mi strinse il braccio, come ad avvertirmi di tenere a freno la lingua.
«Non ne dubito» concesse Odino, dopo qualche attimo. «Comunque, non sono qui per interferire con voi due, ma voglio parlare con te, Alex. Tu hai scelto la via più perigliosa.»
«Che vuoi dire?» chiesi, stringendo l’elsa di Excalibur, soprattutto perché avevo bisogno di stringere qualcosa che non fosse la mano di Astrid, dato che avrei potuto romperle qualcosa.
«Nell’istante stesso in cui noi siamo accorsi qui per salvare gli Dèi Olimpici, nell’istante stesso in cui tu hai dato loro una mano, hai legato il fato di Asgard al loro. Se dovessero cadere, noi cadremo con loro. In futuro, io non so cosa accadrà con certezza. Ma ho visto che, se procederai su questo cammino, allora, questo si rivelerà pieno di insidie» mi avvisò il Re degli Dèi, con sguardo duro.
Abbassai gli occhi. Avevo paura. Sì, ero un comandante norreno, eppure avevo paura. Non tanto per me stesso, ma per Astrid, per mia mamma, per Einar, per Lars e per tutti coloro che si fidavano di me. Se avessi fallito, loro sarebbero stati uccisi. Ma ormai avevo intrapreso una strada. Non ero abituato a fermarmi. Non potevo farlo, proprio ora che potevamo davvero essere uniti.
«No. Continuerò per questa strada. Riuscirò a portare a compimento questa alleanza, che tu e gli altri Dèi lo vogliate o no» ribadii, deciso. Non mi sarei tirato indietro.
Mio padre non sembrò sorpreso, solo addolorato. «E sia. Io sono anche io Dio dei Viaggi, figlio mio, non dimenticarlo. Hai la mia benedizione. Che il tuo viaggio, per quanto irto di insidie, possa portarti alla meta che cerchi.”
Detto questo, sospirò e sparì in una colonna di luce, lasciandoci soli, io ed Astrid. Lei mi si avvicinò e mi abbracciò. Ispirai il suo profumo, che sapeva di autunno. Come una foresta, bella nei suoi mille colori.
«Alex, non hai paura?» mi chiese, dopo un secondo, mentre le sue mani, intorno al collo, mi trasmettevano brividi.
Ci pensai.
«Sì. Ho paura per te, per la mia famiglia, per la mia casa. Io non sono invincibile. Non riuscirò mai a farcela sempre. Tutti si aspettano così tanto, da me. Ho paura di deluderli. Ho paura di non farcela.» Sussurrai, stringendole la vita. Borbottai qualcosa su mio padre che rompeva la magia del momento, facendola ridere.
«Mio caro figlio di Odino. Forse deluderai gli altri, ma so che, qualsiasi cosa farai, ce la metterai tutta. Io mi fido di te. Mi fiderò sempre di te» rispose dopo un attimo, dandomi un dolce bacio sulle labbra.
Ed io avrei voluto solamente che rimanessimo così per sempre. Perché ero davvero felice, con lei.
 
∫ Einar ∫

«NEMMENO PER SOGNO!» sbottò, dopo l’ennesima volta che le ero spuntato davanti.
«Avevi promesso! Se fossimo usciti da quella situazione, mi avresti concesso un appuntamento» le rammentai, con un sorrisetto.
Karen si tirò i capelli esasperata. «Basta! Ho detto che forse ci avrei pensato! Il che significa NO! Lo vuoi capire!? Smettila di seguirmi! Smettila di tormentarmi! SMETTILA DI TORTURARMI!»
«Oh, così mi spezzi il cuore» mi lamentai, senza smettere di ghignare.
«Magari te lo potessi spezzare veramente!» sbottò lei, furiosa.
Aveva provato a scacciarmi a colpi di freccia, ma avevo buoni riflessi, non mi sarei fatto fregare.
Sospirai, fingendomi addolorato. «D’accordo. Ti concedo un altro po’ di tempo per riflettere, poi capirai che io sono molto meglio.»
Mentre mi allontanavo, lei lanciò un grido a metà tra il liberatorio e l’esasperato. L’avevo beccata mentre era separata dal gruppo, nella stalla dei pegasi. Le Cacciatrici si erano fermate al Campo per riposare dopo la battaglia e dare una mano, con il benestare di Artemide. Ed ovviamente, io non avevo fatto altro che cercare il mio obbiettivo primario: far impazzire Karen.
Alla fine, quel giorno, ero riuscito a scovarla da sola e avevo flirtato con lei. Dopo tre frecce mandate a fuoco, due pugnali incastrati nel legno ed un arco d’argento scheggiato, si era dovuta arrendere e ascoltare le mie avances. Sapevo che non avrebbe ceduto, ma quell’aria da ragazza carina con l’ulcera era qualcosa di impagabile.
Mancavano poche ore alla partenza e, sinceramente, una parte di me era dispiaciuta di doversene tornare a Campo Nord. Al Campo Mezzosangue c’erano Connor e Travis da fregare o con cui progettare scherzi alle ragazze di Afrodite. C’erano le Cacciatrici da spiare mentre si facevano il bagno e c’erano un sacco di persone interessanti.
Ma che ci potevo fare? Casa mia era in Norvegia.
Sospirai, dirigendomi verso la spiaggia, dove la Skidbladnir torreggiava alta e imponente, dopo che Alex l’aveva tirata fuori. Mi guardai intorno e vidi molti nordici salutare i greci. Si scambiavano mail, numeri di telefono, indirizzi Facebook. Era un buon risultato per due cerchie di divinità che non si potevano vedere dall’alba dei tempi.
Ad un certo punto, la mia attenzione fu attirata da una macchia scura che fissava il panorama dall’alto, come se volesse tener d’occhio la situazione senza essere coinvolta.
«Nico!» lo chiamai, riconoscendo la chioma corvina che la leggera brezza marina muoveva come fumo.
Lui sobbalzò, quasi non si aspettasse la mia presenza o che sperasse che nessuno l’avesse notato. Ma non conosceva i potenti figli di Loki.
«Come mai qui? Non dovresti essere con i tuoi compagni per partire?» mi chiese, indicando con il capo Alex e Percy che si davano il cinque per poi stringersi in un abbraccio fraterno. Il capo stava proprio bene con l’occhio finto.
«Mancano ancora un paio d’ore alla partenza. Così ho pensato di salutarti. A parte Astrid, non sei stato molto interessato a noi» gli feci notare, dandogli una pacca sulla spalla.
«E a chi dovrei interessarmi? A te?» domandò acido, cercando di sviare il discorso.
Ghignai. «Non ti è dispiaciuto, quando ci siamo rivisti e ti ho baciato.»
Improvvisamente, il colorito pallido di Nico divenne rosso fuoco, da competere con le colorazioni del Bifrost quando si apriva. Avevo colto nel segno. Un punto debole di Nico.
«Non… non è vero» provò a protestare, debolmente.
«Dai, non è un male, se ti piace Percy Jackson» scherzai, sorridendo.
Ma questa volta preferii mostrarmi per davvero. Quel ragazzetto di tredici anni mi faceva anche un po’ pena. Da solo, senza nessuno che si occupasse di lui, con la sola guida di suo padre che, diciamocelo, non è proprio uno stinco di santo. Un po’ mi ricordava me.
«Ecco… io…» arrossì ancora di più e distolse lo sguardo. «Non dirlo a nessuno, ti prego.»
Sorrisi e mi sedetti accanto a lui, cosa che trovò molto strana, data la faccia che fece. Probabilmente erano ancora tutti rimasti all’idea che io fossi un mentitore bastardo che pensava solo a se stesso. E, forse, era meglio che continuassero a pensarlo.
Ma Nico mi piaceva. Non solo perché era un bel ragazzetto, ma anche perché vedevo in lui un forte dolore. Un dolore che, per la prima volta in vita mia, non volevo accettare.
«Non temere. Non intendo dire a nessuno quello che mi hai detto oggi. Lo giuro sullo Stige, sull’Isola di Foreseti, e su quello che vuoi. Solo che non capisco perché non ne vuoi parlare» risposi, noncurante, fissando il cielo azzurro.
«Ecco… perché… non è facile essere gay» borbottò, imbarazzato, diventando rosso come un peperone. Era davvero carino.
«Omosessuale, prego, non me ne importa nulla. Io sono bisessuale e non ho paura di dire che mi piacciono anche i maschietti» replicai, dandogli una pacca sulla spalla.
Quando lo vidi sorridere per la prima volta, mi sentii stranamente bene, come se avessi fatto qualcosa di importante. La prima volta che mi sentivo vicino a qualcuno che non fossero i miei fratelli.
«Be’, sei anche figlio di Loki» mi ricordò, con un tono più leggero, mentre osservava il via vai di semidei.
«Cosa c’entra? È vero, alcuni di noi sono bisessuali o, addirittura, omosessuali, a causa della nostra discendenza. Ma non c’entra nulla. Davvero vuoi farti condizionare dalle origini?» chiesi, inarcando le sopracciglia.
«Perché… ah, al diavolo poi… » Improvvisamente, si fermò e fece un passo all’indietro rispetto a me. «Aspetta, tu quel giorno che mi hai…»
Ghignai di nuovo, questa volta solo perché ero divertito. Ogni tanto la gente non voleva proprio capire.
«Ci sei arrivato, finalmente?» domandai, avvicinandomi a lui, facendolo indietreggiare.
Alla fine, Nico inciampò all’indietro, finendo con il sedere per terra. Provò a rialzarsi, ma mi chinai al suo fianco, con un sorrisetto, tenendolo a terra con una mano, mentre con l’altra gli scostavo una ciocca di ricci che gli era finita sugli occhi. La sua carnagione pallida era diventata rosso fuoco e lui deglutì rumorosamente.
«Cos’è, hai paura?» sussurrai, ghignando, a pochi centimetri dal suo viso.
Al contrario di lui, io non provavo imbarazzo. Ero solo divertito e affascinato da quegli occhi, profondi come pozze di catrame. Proprio come i miei.
Eravamo due mali necessari. Alla fine, dovevamo esistere entrambi.  Lui era la morte, io il male necessario. Una buona coppia, non mi sarebbe dispiaciuto.
«La verità è che non hai fiducia in te, Nico di Angelo» mormorai al suo orecchio, ritirandomi.
«E che dovrei fare!?» sbottò lui, improvvisamente arrabbiato. «Non me la sono passata bene, sai. Mia madre è morta, e anche mia sorella! Come posso avere fiducia in me stesso, se non sono riuscito nemmeno a fare nulla per la mia famiglia
Per un attimo, rimasi interdetto. Poi capii quanto, in un certo senso, seppur per dolori diversi, Nico fosse simile a me. Mi tolsi la maglietta, facendolo arrossire di nuovo, ma non pensate male. Era qualcos’altro che volevo mostrargli. Sul mio petto, all’altezza del cuore, vi era un segno, una sorta di tatuaggio. Una sorta di simbolo della pace, ma senza il cerchio. Poco sopra di esso vi era un ragno, che fissava la runa.
«Sai cos’è questo?» chiesi, con un sorriso mesto.
Nico scosse la testa, ancora imbarazzato, ma curioso allo stesso tempo.
«Questo è il simbolo degli assassini codardi, coloro che uccidono alle spalle con l’inganno» spiegai, accarezzandomi il simbolo con cui Loki mi aveva marchiato.
«L’abbiamo fatto tutti, abbiamo ucciso un sacco di mostri» asserì Nico, perplesso.
«Oh, è vero, dimenticavo di precisare: il simbolo di chi ha ucciso uomini
Mi misi a raccontare. Gli parlai di mia madre, che era solo una prostituta di uno squallido quartiere alle periferie di Oslo. Di come, nonostante vivesse male, mi avesse tirato su e della maledizione di Sigyn che le imponeva di provare un acuto dolore al posto del piacere, quando aveva un rapporto sessuale. Infine, di quando un uomo provò a violentarla e io, usando un coltello da cucina, lo colpii alle spalle, uccidendolo.
«Mi… mi dispiace» sussurrò Nico. «Non pensavo che…»
«Non scusarti» lo interruppi, rivestendomi. «Voglio solo dirti che, qualsiasi dolore provi, non devi mai perdere la speranza che le cose possano migliorare. Io sono stato male per giorni. Avevo solo undici anni, eppure sono stato abbastanza folle da affondare un coltello nella schiena di un uomo. Non sarò mai abbastanza pentito. Ma il futuro mi riserva altro. Guarda avanti, Nico. È l’unico modo che hai per non impazzire.»
Lui mi scrutò in modo strano, inquietante anche per me. Sembrava stesse cercando di trapassarmi l’anima, ma sostenni il suo sguardo.
«Be’, grazie per il consiglio» disse, alla fine, tendendomi la mano. «Amici?»
Gliela strinsi. «Amici.»
Mi avvicinai. «E forse qual cosina in più.»
Così, veloce come un’ombra, gli schioccai un bacio sulla guancia e mi incamminai verso la Skidbladnir.
Mi guardai intorno, mentre salivo la passerella che mi avrebbe riportato a casa. Salutai Percy e Annabeth. Nico mi fissava dall’alto della collina con un sorriso. Mentre osservavo la costa americana allontanarsi, osservai il Campo Mezzosangue.
«Qualcosa non va Einar? Sembra che tu abbia già nostalgia» mi disse Lars, avvicinatosi a me, con il suo solito passo marziale.
«Oh, no, bella statuina» risposi con un ghigno soddisfatto. «Le cose si sono evolute. In meglio.»

 
*Morte di Paglia: Espressione vichinga che significa morire da codardi, sul proprio letto di paglia, è la morte dei guerrieri senza onore.
koala's corner.
Siamo arrivati all'ultimo capitolo! *urletto da koala felice i koala urlano?* http://24.media.tumblr.com/44b8c4b292c885b8ed94cb8f0a4e3730/tumblr_mzz0q19pQj1rtkmz3o3_250.gif
Questo capitolo è pieno di momenti Percabeth/Alrid/Einico ad alto contenuto fangirl, come Water testimonia.
Sì, perché voi non capite. AxXx ha scritto yaoi. YAOI. Capiamoci: non lo fa mai. Poi, vabbè, ci sono i piccoli amori het che *w* e :Q_____
Solo per il semplice motivo perché questa coppia davvero carine e Einar e Nico stanno bene insieme.
*urlo indistinto dal fondo*
E' Water che fa rituali per annunciare agli dèi questo avvenimento storico, non bate a lei.
Dite la verità, poi, tutte avete pensato male quando Einar si è tolto la maglietta? u.u
*urlo della prociona in calore*
Comunque... Cosa abbiamo in mente per il futuro?
Fino ad Agosto, più o meno, non aggiungeremo nulla di corposo alle raccolte riguardanti le Cronache del Nord. Primo, perché questo è un periodo merdoso; secondo, perché durante le vacanze sia io che Water andremo all'esterno.
Two weeks in NYC bicthes
Ma non temete! Ci sarà la "rivisitazione" di Eroi dell'Olimpo, di cui vi lasciamo solo il piccolo spoiler: Alex vs. Jason.
Un GRAZIE enorme alle 25 preferite, i 22 seguiti e i 7 recordati. Siete favolosi!
E da infarto https://31.media.tumblr.com/06b91936ae19b1ad6b0c133c97e953ff/tumblr_n5sc6vXKRR1sphm6so1_250.gif Oggi ce l'ho tanto con le gif, scusatemi hahah
Un abbraccio koalico a tutti voi, alla prossima!


 
  
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