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Autore: Il Fu Sirius    28/12/2004    5 recensioni
Se Sirius Black tornasse in vita e se si innamorasse di una delle più belle figlie di Lucius Malfoy, cosa dovrebbe fare per coronare il suo sogno d'amore?
Genere: Comico, Demenziale, Parodia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Harmony Malfoy + Il Fu Sirius

Dedicato alla donna pù dolce del mondo, nonchè la più bella e la più rosa: la mia amata, riverita, adorata, smarrita, ma già ritrovata Harmony Malfoy *__*
Harmony Malfoy + Il Fu Sirius
Vetri infranti
Anche chi muore si rivede

Il ragazzo si alzò e cominciò a guardarsi attorno. Non riusciva a scorgere niente: era come se una densa coltre di nebbia lo avvolgesse. Si voltò a destra cercando uno spiraglio. Si rigirò a sinistra sperando di intravedere almeno un’ombra. Niente. Il suo respiro, già affannoso per la corsa, si fece ancor più pesante. Udì, alle sue spalle, quello che sembrava un fruscio, o meglio, un sibilo. Sentì il sangue gelarsi nelle vene e, subito dopo, una vampata di calore restituirgli la sensibilità nelle gambe. Riprese a correre a più non posso. Ricadde inciampando nelle radici di un albero. Poggiò la schiena al tronco: non aveva più la forza di rialzarsi. Si tolse gli occhiali e tentò di asciugarsi la fronte. Passò la cravatta rossa e gialla che aveva indosso sulle lenti e si rimise gli occhiali. Si guardò attorno e s’accorse che la nebbia si era diradata all’improvviso. Stava per riprendere a correre quando sentì quel sibilo, da cui stava scappando, sussurrare:
“Bene, Potter. Così anche chi muore si rivede.” Le ultime parole si tramutarono in una gelida risata e il ghigno di soddisfazione dell’uomo paralizzarono Harry.
“Ti prego...” riuscì a balbettare il ragazzo “Ti prego...Non uccidermi”
“E perchè non dovrei? Dopotutto è grazie a te se sono morto. Mi pare giusto ricambiare il favore.”
“No! Io non volevo. Credevo fossi in pericolo”
Sirius Black rimase insensibile a quelle parole, come se non le avesse sentite. Alzò la bacchetta.
“Avada Keda...”

Harry si svegliò di soprassalto. Grondava sudore da ogni poro e aveva una fitta lancinante alla testa.
Sospirò e si lasciò cadere, sconfitto, sul letto. Da un mese, dopo la morte del suo padrino, faceva sogni di questo genere: Sirius che si voleva vendicare per la sua “prematura” dipartita.
Si voltò verso la finestra e vide la luna piena fare capolino attraverso le nubi. Fisso su quell’immagine, lasciò che la sua mente vagasse liberamente, per tornare al giorno in cui conobbe Sirius. Giorno in cui venne a conoscenza della verità sulla morte dei suoi genitori e sul suo padrino, del tradimento di Peter e del segreto di Remus. Giorno in cui, per un fulgido momento, aveva creduto di aver finalmente trovato un posto dove potersi sentire a casa e una persona con cui sentirsi in famiglia. Passò, così, due ore immerso nei ricordi, lieti e tristi, dei suoi rapporti con Sirius.
Nel frattempo Hedwig, stufa di aspettare che il padrone si riavesse dal trip, aveva rotto il vetro della finestra ed era entrata per consegnare un messaggio ad Harry. La civetta atterrò placidamente sul viso del ragazzo e iniziò a becchettargli il prominente naso. Il giovane stava per riaversi quando, dopo aver aperto tutti i tredici lucchetti e serrature varie, lo zio, svegliato dal rumoroso ingresso del volatile, entrò sbraitando in modo incomprensibile per bloccarsi un istante alla vista della breccia nella finestra.
“Quel pennuto maledetto!!!” urlò, perdendo due litri di saliva e il ponte che si era messo di corsa scendendo dal letto. Il pennuto in questione, schifato dalla scena raccapricciante, riprese il varco precedentemente creatosi nella finestra, lasciando la lettera sul busto del padroncino.
Harry, svegliato dall’ingresso di quella mandria impazzita in vestaglia, afferrò la lettera e la strinse nella mano il più forte possibile. Il signor Dursley, accortosi del gesto, si avventò sulla lettera e, nel tentativo di strappargliela di mano, diede una gomitata ad Harry, tramortendolo. Prese la lettera dalle mani del nipote e se ne andò trionfante, senza nemmeno accorgersi di averlo colpito. Dopo pochi minuti, l’ippopotamo tornò con un martello, una scatola di chiodi, due assi di legno sottobraccio e un sorriso ebete in viso. Inchiodò le assi alla cornice della finestra in modo da chiudere il buco ed uscì, infine, dalla stanza borbottando fra sè e sè. AMO HARMONY *_* HARMONY è ROSA *_* HARMONY è ZUCCHERO FILATO *_*AMO HARMONY *_* HARMONY è ROSA *_* HARMONY è ZUCCHERO FILATO *_*

Quel che resta del vetro

La mattina seguente Harry si svegliò con un gran mal di testa. Si alzò e iniziò a guardarsi intorno, come in cerca di qualcosa, anche se non aveva la minima idea di cosa potesse cercare. Quando il suo sguardo cadde sulla finestra, capì cosa stava cercando: un senso.
Un senso per quello strano mal di testa, per quel bernoccolo che si stava massaggiando da dieci minuti, per quel vetro rotto, per quella sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante e, soprattuto, per quei denti da ippopotamo in mezzo alla stanza. Un senso che sembrava non esserci. Si sedette alla scrivania per riflettere e tentare di ricordare cosa fosse avvenuto. Poggiò la fronte sul palmo della mano chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio. L’ultima cosa che rammentava era il sogno della sera precedente. Si ricordava di essersi svegliato terrorizzato, di aver guardato fuori dalla finestra e aver scorto la luna. Luna che lo riportò di nuovo al suo primo incontro con Sirius.
La sua mente si era ormai smarrita nel ricordo del padrino da un quarto d’ora, quando il rumore di vetri infranti la ridestò. Hedwig depose il giornale sulla scrivania e rimase in attesa della sua solita ricompensa. Il ragazzo, istintivamente, fece scivolare il giornale nel cassetto della scrivania e premiò la civetta.
Improvvisamente la stanza iniziò a tremare e un sordo rumore di colpi giunse dal corridoio. Poi, così come era iniziato, tutto cessò e, per qualche istante, un’anomala quiete avvolse la stanza.

Sbam.

Si spalancò la porta ed apparve sulla soglia il profilo di un enorme pachiderma.
“Ancora quel uccellaccio maledetto!!!” sbraitò il signor Dursley. “Ma ora lo sistemo io.”
E cominciò a sparare contro la povera creatura non ottenendo altro che di polverizzare i pochi centrimetri della finestra ancora integri. Hedwig, infatti, aveva preso il volo appena uditi i passi leggeri dell’ippopotamo di casa.
Sfogata la rabbia sulla finestra, il tiratore scelto abbassò la canna del fucile e con essa lo sguardo che cadde sui denti dimenticati lì quella notte. Li raccolse e li mise al loro posto. Poi uscì dalla stanza.
Finalmente Harry realizzò cosa era successo la notte precedente e corse dietro al pachiderma.
“Dov’è la mia lettera?!?”gridò .
“Dov’è la tua lettera, chiedi? Di che lettera stai parlando? Non mi risulta che il postino abbia portato alcuna lettera per te.”
Gli occhi di Vernon si accesero di un divertimento puerile.
“Parlo della lettera che ieri sera mi hai rubato.”
“Rubato? Suvvia, non esagerare: l’ho solo scambiata per cartaccia da buttare e, per farti un favore, l’ho buttata.”
Harry si precipitò al cestino della spazzatura in cucina e lo rovesciò sul pavimento.
“NO!!!” Tuonò l’altro “Questo è troppo. Adesso dovrai pulire tutta la cucina.”
Il ragazzo, inginocchiato al centro del mucchio di pattume, non ascoltò neanche una parola e continuò la sua frenetica ricerca.
“Dov’è? Dov’è?”urlò in un tono tendente all’isterico
Lo zio si lasciò scappare una risata beffarda (non che avesse alcuna intenzione di trattenerla).
“Oh...” finse di esser rammaricato, “Purtroppo è già passata la nettezza...”
Harry fece correre la mano alla bacchetta e la puntò contro il molosso.
“Tu provaci un’altra volta e ti faccio sputar lumache da qui al giorno della laurea di Dudley.”
Il sorriso morì sulle labbra dell’ippopotamo e il suo viso sbiancò per il terrore di dover sputar lumache per il resto della sua vita. Dopo aver perso quindici chili in sudore, il pachiderma albino riuscì a tartagliare queste poche parole: “M-m-m-ma t-tti-è pr-pr-proibito...”
“Mettimi alla prova.” rispose Harry con una tale sicurezza nel tono da non lasciare spazio a repliche. Poi se ne andò.

  
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