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Autore: misslittlesun95    01/06/2014    2 recensioni
Gaia Olivietti.
Ragazzina nel 1979, ragazza nel 1982, donna nel 2009.
Genova.
Il terrorismo, la droga, la malattia.
La storia di una ragazza che diviene donna, di un padre che va via troppo presto, di un amico mangiato da qualcosa più grande di lui.
Una storia di Italia, di italiani, di quotidianità distrutte.
Una storia così tremenda da poter essere quasi vera.
(Altissimo contenuto ANGST!)
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tu eri bravissimo a ballare sulle rovine
Io altrettanto a rubare comprensione
Di noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu eri fortissimo a inventarti la verità
Io liberissimo di crederla o non crederla
Io ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse accorgersi di noi
Ma eravamo invisibili, che non ci vedevamo mai

Invisibili – Cristiano de André


Genova, 1982.

Alla fine Gaia li aveva compiuti, i sedici anni.
Poi diciassette, diciotto.
E in mezzo c'erano stati i compleanni di sua madre, dei fratelli, dei ragazzi, di Luisa. Poi Natali, Capodanni, feste, ricorrenze.
Il compleanno di suo padre, il giorno dell'anniversario della sua morte.
Il tempo aveva cominciato a scorrere, a non curarsi di loro, del dolore; anche le loro vite erano andate avanti, racchiuse in una normalità quantomeno apparente.
Un giorno di fine luglio del 1982, pochissimo tempo dopo la magica notte della finale dei Mondiali di Spagna, Gaia si era seduta davanti alla commissione della maturità e aveva concluso il suo ciclo di studi con l'orale degli esami di Stato.
Tre anni prima aveva sognato, per poche settimane, di essere accompagnata in quell'ultima occasione a scuola da suo padre, proprio come aveva fatto Patrizia.
La morte di Alfio aveva cambiato tutto, era vero, eppure in quell'ora di colloquio, alle dieci di una caldissima mattina Genovese, la ragazza aveva sentito intorno a sé un inaspettato fresco, e ci aveva messo pochissimo a capire di cosa si trattasse.
Tornata a casa dopo l'esame sua madre le aveva chiesto come fosse andata e se volesse andare al cimitero a raccontarlo a suo padre, come spesso faceva quando capitavano cose belle.
Ma, inaspettatamente, la ragazza aveva risposto di no e poi si era spiegata.

- Puoi non credermi, mamma, ma papà sa già tutto. Era lì mentre mi interrogavano, l'ho sentito vicino per tutta la durata dell'orale.-
Beatrice aveva sorriso a sua figlia, certa che lei non fosse pazza ma, anzi, sicura che Alfio fosse stato sempre al suo fianco in quei tre anni.
Come certamente era stato accanto agli altri due figli.

Antonello si era laureato appena tredici mesi dopo l'attentato e all'inizio del 1981 aveva trovato lavoro in un'azienda nel centro di Genova, dove faceva un normale orario da ufficio e veniva ben pagato.
Aveva lasciato il posto all'officina, ovviamente, ma a volte tornava ancora a salutare ed aiutare i suoi vecchi colleghi, amici che lo avevano sostenuto nei momenti difficili.
Nell'estate dello stesso anno, in un giorno di Luglio, era tornato a casa in anticipo e aveva detto alla madre e alle sorelle di prepararsi perché le avrebbe portate a cena fuori.
Stupite le tre donne si erano sistemate per bene e si erano fatte guidare da lui verso il porto, dove in un ristorante piccolo ma elegante avevano conosciuto Elisa, una graziosa ragazza dell'età di Patrizia.
Non ci avevano messo molto a comprendere quale fosse il ruolo di lei nella vita di Antonello, e a fine serata erano rincasate contente ma con gli occhi lucidi, perché l'amato figlio e fratello, assieme alla sua fidanzata ormai ufficiale, aveva comunicato che presto sarebbero andati a vivere insieme.

- Forse non siamo ancora pronti per sposarci.- Aveva spiegato. - Ma di sicuro ci piacerebbe vivere uno accanto all'altro tutti i giorni, di questo siamo sicuri. Scusate se ho aspettato così tanto per dirvelo, penso di aver sbagliato, ma è un grosso passo e volevo essere certo delle mie scelte prima di parlarvene.-
La madre aveva abbracciato sia lui che lei, riuscendo a sorridere davvero solo quando il figlio le aveva comunicato che l'appartamento da loro visto, quello in cui speravano di riuscire ad andare a vivere, era ad appena due isolati dalla casa in cui viveva da che era al mondo.
- Tanto conoscendo Antonello sarà sempre da voi, immagino già quanto gli mancherete!- Aveva riso Elisa baciando il ragazzo.
Si era trovata subito bene con le due sorelle, che aveva scoperto essere simpatiche proprio come gli aveva raccontato spesso il fidanzato.
A metà Novembre avevano iniziato il trasloco, e il Capodanno del 1982 era stato festeggiato nel nuovo appartamento della coppia.
Oltre ai due e alle loro famiglie, Beatrice aveva avuto il piacere di conoscere i genitori di Elisa e sua sorella Agata, c'erano Simone, Giorgio e Gabriele, un compagno di università con cui Patrizia aveva iniziato ad uscire da qualche settimana.
Dopo la litigata accaduta a poche settimane dalla morte del padre durante una cena in famiglia, la sera del giorno in cui Gaia si era rintanata nello studio del padre in procura per trovare qualcosa di normale in quella sua vita assurda, la ragazza non aveva cambiato idea e si era iscritta a Giurisprudenza, frequentando con passione le lezioni e dando con ottimi voti gli esami.
Antonello non si era mai del tutto ricreduto sul motivo per cui la sorella aveva scelto quella facoltà, era vero, ma piano piano aveva capito quanta dedizione lei ci mettesse nell'inseguire quel sogno, indipendentemente dal fatto che fosse suo o di suo padre.
Gaia, dopo il diploma, aveva sciolto la riserva sulla sua iscrizione all'università.
- Prenderò lingue. Avrei voluto farlo fin dalla scuola superiore, è vero, ma tutti parlavano bene del liceo classico, della preparazione che forniva, e poi l'avevano fatto entrambi i miei fratelli, quindi ho preferito andare sul sicuro.- Aveva spiegato a chi le aveva domandato i motivi di quella scelta.
Inglese e spagnolo, quelle le lingue che la giovane aveva deciso di studiare, certa che da qualche parte l'avrebbero portata.
- Magari lontano da questo paese, dalla follia di questa nostra Italia.- Aveva ipotizzato una volta parlando con i ragazzi.
Erano a Quarto, forse per la seconda o terza volta da quando Alfio era morto.
Gaia non era riuscita a tornarci per tanto tempo, e i due ragazzi anche avevano fatto il possibile per evitare quel luogo.
Non avevano troppa voglia di rivivere i loro ultimi momenti di spensieratezza, quando ancora era tutto così bello.
La ragazza, quella mattina di Settembre, non la ricordava neanche bene; i suoi ricordi erano vaghi fino al momento in cui si era trovata in ospedale a pregare per suo padre, e da quando il medico era uscito dalla sala operatoria per dire loro che Alfio non era sopravvissuto era in grado di descrivere meticolosamente ogni attimo. Ma di quello che era successo prima, da quando si era svegliata al momento in cui Antonello le aveva spiegato l'accaduto, non era in grado di ricordare nulla.
Quel giorno a Quarto, quasi tre anni dopo l'omicidio, stavano facendo progetti per un futuro che ancora appariva lontanissimo.
- Non sei l'unica.- Le aveva detto Giorgio. - Anche io prima o poi mollo tutto e me ne vado da 'sto paese di merda.-
Si trovavano davanti allo scoglio con il monumento ai Mille, lo scoglio che aveva dato il via al processo di unità dell'Italia. - Ma forse tanto meglio non avessero unito nulla, che questo paese fa schifo.- Aveva commentato sempre il ragazzo
quando ne avevano parlato.
Per Gaia i commenti sulla situazione del paese lasciavano il tempo che trovavano.
Aveva acquisito un anno prima il diritto di voto ma non si era ma interessata realmente su chi votare, sulla parte in cui schierarsi.
Certamente seguiva le notizie, sapeva chi fosse al governo, chi all'opposizione, chi fosse il Presidente del Consiglio, chi quello della Repubblica. Ma non le interessava.
Qualche mese dopo la morte di suo padre sempre a Genova era stata scoperta una base delle Brigate Rosse e durante un'incursione dei Carabinieri i suoi occupanti erano stati uccisi*.
Lei aveva ascoltato da più parti commenti alla vicenda, tra cui quello di Patrizia che si auspicava una fine del genere anche per chi aveva sparato a suo padre, ma non si era sentita di dire la sua o prendere posizione.
Gaia voleva solo che tutto quello finisse, che la gente smettesse di sparare.
Lo desiderava da prima, da quando ancora la sua vita era la vita tranquilla di una ragazza di quindici anni, ma soprattutto lo voleva dal momento in cui suo padre era morto.
Lui l'aveva cresciuta dandole il suo stesso amore per la legge e la giustizia, e lei voleva onorare quei suoi insegnamenti, ma quando la sera tornava a casa e non lo trovava, quando le sue amiche la invitavano a casa e le vedeva assieme ai loro padri, in quei momenti non riusciva a pensare a chi le aveva impedito di essere felice, pensava solo a ciò che aveva perso.
Lo sapeva, un giorno o l'altro gli avrebbe visti, gli assassini, morti sulle pagine di un quotidiano o vivi dietro le sbarre in qualche aula di tribunale, e in quel momento probabilmente sarebbero venuti fuori tutti quei sentimenti che non era in grado di provare, ma fino ad allora a lei rimaneva la vita senza un padre, senza un amore, il più grande.
E nessun ergastolo, nessuna morte, nessun processo avrebbero mai cambiato quella situazione.
Davanti allo scoglio, invece, qualche sentimento riusciva a provarlo.
Quella voglia di felicità e di rivincita di cui parlava anche Giorgio, ad esempio, il desiderio di andarsene lontano per cercare qualcosa di migliore.
Sia lui che Simone si erano iscritti a medicina, alla fine, e il figlio degli operai aveva iniziato a fare ogni tipo di lavoro per pagarsi gli studi.
Pur continuando a studiare insieme i due ragazzi avevano iniziato a perdersi di vista, perché ancora una volta la crescita li aveva portati a frequentare ambienti e persone differenti.
Giorgio girava spesso con i ragazzi che conosceva quando lavorava, una volta in un bar, una in un supermercato, mentre Simone era ancora molto legato alla vita di suo padre, al suo ambiente quasi elitario.
Studiava come un pazzo per farsi un suo nome, a prescindere da quello che gli apparteneva dalla nascita, ma non era in grado di staccarsi da quel mondo, al contrario di Giorgio che si voleva staccare a qualsiasi costo dalla famiglia operaia.
Forse la differenza stava proprio in quello; per uno era conscia la differenza tra la vita fatta fino a quel momento e quella a cui sarebbe potuto arrivare, mentre l'altro, magari inconsciamente, aveva sempre vissuto in un'ottima situazione e non accettava di lasciarla.
- Secondo me varrebbe la pena di rimanere in Italia e provare a sistemare le cose, invece.- Era stato il commento di Simone. - Ma forse ai nuovi amici di qualcuno viene più facile urlare al mondo che fa tutto schifo e scappare.-
Gaia aveva lanciato un'occhiataccia al ragazzo, mentre l'altro si era limitato a sbuffare e guardare da un'altra parte.
I “nuovi amici di qualcuno” erano proprio i colleghi di Giorgio, quelli con aveva iniziato a girare spesso quando tralasciando anche Simone e Gaia, persone che all'amico non piacevano per nulla.
Non avevano una cultura, degli ideali, dei sogni. Erano convinti che in Italia facesse tutto schifo mentre fuori fosse tutto perfetto, ma quando gli si domandava come mai nel loro paese le cose andassero così male mentre negli altri no non erano in grado di dare una risposta seria, e spesso si era sentito semplicemente replicare “Eh, parli facile te che sei ricco”.
Quelle amicizie stavano rischiando seriamente di incrinare il rapporto tra i due ragazzi, e lei, che non avrebbe sopportato la separazione del loro gruppetto, faceva sempre il possibile per attenuare la tensione che si creava quando ne parlavano.
- Simone basta, dai. Abbiamo capito cosa pensi ma ora che siamo insieme potresti anche lasciar da parte le tue idee e stare con noi normalmente.-
Per lui rispose Giorgio, girandosi verso la ragazza con un'aria tutt'altro che amichevole. - Gaia guarda lascia perdere, me ne vado io. Divertitevi.-
Senza neanche darle il tempo di replicare prese e se ne andò.
La ragazza tentò di seguirlo ma fu trattenuta da Simone, che la prese per il polso e la fermò. - Lascia perdere davvero, Gaia, se vuole tornare torna, altrimenti tanto meglio perderlo che trovarlo.-
Sospirò, lei, a sentire quelle parole tanto forti contro il ragazzo che per Simone era sempre stato il migliore amico.
Non poteva credere che le cose stessero andando in quel modo, che anche il suo trio si stesse sciogliendo, quegli amici magnifici e sempre presenti si stavano allontanando uno dall'altro e, chissà, forse entrambi da lei.
Dopo pochi minuti si mossero verso l'auto del ragazzo per tornare a casa e, mentre viaggiavano, Gaia iniziò a cercar di capire dove e quando fosse tutto iniziato.
- La notte del Bernabeu, Ga'.- Era stata la risposta di Simone.
- Perché non ha visto con noi una partita di calcio? No, scusa, è per questo che ce l'hai tanto con Giorgio?-
Il ragazzo scosse la testa.
Donne. Belle, simpatiche, sensuali, intelligenti, amiche, amanti, madri, mogli, ma totalmente incapaci di capire alcuni concetti se non glieli si ponevano in modo esplicito.
- Non era una partita di calcio, era la finale dei mondiali di Spagna e giocava l'Italia. Ha vinto l'Italia. Abbiamo festeggiato l'Italia. E lui non c'era, Gaia. Lui ha preferito gli altri.
Ma quante partite di calcio abbiamo visto insieme, eh? Quanti mondiali? A Loano, ti ricordi?-
La macchina si fermò all'imbocco della via dove viveva Gaia, lì dove un tempo si fermavano a piedi per fare le ultime discussioni prima di andare a casa.
- Ne è passato di tempo da Loano. Sono passati anni, amici, giornate, estati.
Sono passate anche vite da quando andavamo a Loano. Sarebbe stato bello fermare il tempo, ma non è possibile. Non siamo più i bambini di Loano, Simo.-
Il ragazzo abbassò la testa come un cane bastonato.
Quel “sono passate anche vite” aveva un significato ben preciso, l'amica parlava di suo padre.
Non dissero più nulla, e al momento di salutarsi Gaia strinse semplicemente forte la mano di Simone.
La vide che andava verso casa passandosi una mano sul volto, forse per asciugarsi qualche lacrima.
E dunque era quello il problema, si disse tornando verso casa.
Erano stati i bambini di Loano, tanti anni prima. Felici, spensierati, bambini come tanti.
Si erano conosciuti lì, su una spiaggia affollata sotto il sole d'estate, in un luogo dove non contava chi fossero, se figli di operai, magistrati o attori, ma dove contavano solo loro. Anche perché erano stati un po' figli di tutti, in quel tempo, e lui ricordava bene Alfio che gli pagava un gelato o lo faceva giocare senza chiedere nulla in cambio, trattandolo proprio come fosse stato un suo quarto figlio.
Ma Gaia aveva ragione, purtroppo, quel tempo era finito.
Tornavano a Genova prima della scuola e riprendevano le loro vite normali, diverse, e anche se si vedevano spesso in città era comunque tutto diverso.
Ora che da Loano erano passate tanti estate era scomparso ciò che li legava, erano rimasti soli con le differenze che li separavo.
E, cosa peggiore, non stavano facendo nulla per evitare questa separazione.

                                                                                                            ****

L'estate precedente, prima di iniziare l'ultimo anno di liceo, Gaia aveva vissuto per quasi un mese un'intensa storia con Andrea, sfociata anche in lati fisici espliciti lì vicino alla spiaggia di Porto Santo Stefano.
Erano stati momenti importanti per entrambi, dotati di una forte carica di emozioni belle, di passione, forse il primo mese davvero felice di quella nuova vita che si reinventava giorno per giorno dalla morte di suo padre.
Alla fine, però, per quanto fossero innamorati, per quanto bene fossero stati in quel periodo, avevano deciso di non sforzarsi a rimanere uniti anche lontani, perché forse si ritenevano ancora troppo giovani per un amore a distanza.
Ne avevano parlato con tristezza, era vero, ma neanche quella era bastata per far cambiare loro idea.
Cosa fosse accaduto tra i due ragazzi durante quel mese, però, non lo sapeva con precisione nessuno tranne Luisa, che come migliore amica di Gaia doveva essere a conoscenza di tutto, e gli altri erano rimasti convinti che quella cotta estiva si fosse limitata a carezze, scherzi e baci sulla spiaggia.
Di come fossero poi andare le cose, era chiaro, lei aveva sofferto molto, forse perché dopo aver vissuto qualcosa di così importante con Andrea si era convinta che le cose potessero durare a lungo, ma alla fine si era rassegnata a continuare con lui una semplice amicizia.
Un giorno di inverno, mentre era a casa da sola, il ragazzo l'aveva chiamata e, tutto contento, le aveva detto di essersi fidanzato con una ragazza di Pisa, tale Teresa.
Lei, mentre parlavano, si era mostrata felice, non troppo risentita da quel fatto, ma quando aveva messo giù, dopo che quasi ipocritamente lui le aveva detto “beh, mi auguro che anche tu possa essere un giorno così felice”, era scoppiata in lacrime.
Ci aveva sperato, Gaia, aveva sperato che l'arrivo di un'altra estate, dopo la maturità, li portasse a ritrovarsi, cresciuti e pronti ad affrontare un amore distante.
E invece, ancora una volta, la vita aveva scelto diversamente.
Però quando si era calmata, asciugandosi ancora una volta le lacrime che scendevano lungo il suo volto, era stata felice di aver pianto per un amore nato e finito troppo presto, perché per una volta dopo tanto tempo si era sentita proprio come le altre ragazze, quelle che non avevano vissuto il dramma di un padre ammazzato a cento metri da dove lavorava.
Quella stessa sera aveva chiamato i due ragazzi per mettersi d'accordo e vedersi, voleva raccontare loro tutto quando anche se sapeva si sarebbero arrabbiati, almeno per finta, nel sentire che per tanti mesi gli aveva nascosto una cosa così importante.
Simone si era dato disponibile subito per il giorno seguente, nel pomeriggio, ma Giorgio aveva detto che in quel periodo era molto impegnato.
Come sempre la ragazza aveva risposto che non era importante, che appena si sarebbero visti gli avrebbe raccontato tutto, ma poi tra una cosa e l'altra, col tempo che passava e la maturità che si avvicinava, si era scordata di tutto; aveva parlato con Simone il giorno dopo la telefonata di Andrea e si era fatta consolare da lui e basta, senza problemi, malgrado il ragazzo, come aveva sospettato, si era un po' risentito dell'aver saputo tutto così tanto tempo dopo.
A parte quello però non ne avevano più parlato, tanto che, appunto, Giorgio alla fine non era stato reso partecipe della vicenda.
Soltanto quella sera d'estate, dopo la litigata a Quarto, le era venuto alla mente quel fatto.
In effetti Simo non aveva tutti i torti, da qualche tempo l'altro amico era diventato sfuggente, diverso.
Gaia non voleva pensarci, forse preferiva fare finta di niente, non dare peso a quello che succedeva, convinta infantilmente che questo avrebbe potuto cambiare qualcosa.
Le cose parevano andare sempre peggio, però. Anche quando erano solo lei e Giorgio lui si chiudeva, rispondeva a monosillabi, addirittura l'attaccava.
Il giorno del terzo anniversario della morte di Alfio si era fatto sentire solo in serata, dicendo come al solito che era stato impegnato.
Lei non aveva replicato, continuando a credere che l'amico dicesse solo la verità.
Ma per Simone qualcosa si era rotto.
Tra loro due, nel loro trio.
Nella vita di Giorgio.

                                                                                                                        ****

A Ottobre, appena prima di compiere diciannove anni, Gaia aveva iniziato l'università e subito aveva fatto amicizia con alcuni compagni di corso, maschi e femmine.
A nessuno di quelli aveva raccontato di suo padre, non lo riteneva affatto importante, ma quando una ragazza, Alessandra, le aveva domandato se fosse imparentata con il magistrato ucciso tre anni prima aveva risposto di sì senza problemi, accettando anche la specie di compassione che quella aveva avuto per lei.
In fondo non poteva nascondersi, era la sua vita, lo sarebbe stato per sempre.
Quella confessione però era stata una bella cosa, alla fine, perché condividendo quel segreto, per modo di dire, tra lei e Alessandra era nato un legame forte pur conoscendosi da poco.
Lingue le piaceva molto, tanto da farla perdere ogni tanto tra i libri malgrado non avesse bisogno di studiare così tanto.
Luisa si era iscritta invece a lettere classiche, rimasta affascinata da un professore di latino e greco avuto al liceo, ma non condivideva la passione per lo studio dell'amica.
Insieme, però, davano una mano a studiare a Cristina, la figlia del procuratore Mariotti, il magistrato che un giorno aveva trovato in procura Gaia e che poche settimane dopo aveva, insieme a lei, svuotato l'ufficio di Alfio.
Non chiedevano nulla in cambio, le due ragazze, ma l'uomo non le mandava mai via da casa sua senza qualcosa, fosse qualche lira o una bottiglia di vino.
A casa di Gaia, da quando Antonello era andato a convivere, i soldi arrivavano grazie a Beatrice, che lavorava come donna tuttofare in varie case della zona, da quelle persone che un tempo le lasciavano un po' di soldi in buca per ringraziarla e ora la stipendiavano con un regolare contratto, e Patrizia, che quando non aveva da studiare stava in una libreria del centro a fare la commessa.
La figlia più piccola si era presa un momento per vedere quanto tempo per sé le lasciasse lo studio, e aveva promesso che appena messa in ordine la sua nuova vita da universitaria avrebbe fatto il possibile per cercare qualcosa da fare anche lei.
Però tutti i suoi piani avevano preso una piega diversa appena prima di Natale, quando, mentre era con amiche a studiare in biblioteca, si era avvicinato a lei un ragazzo a dir poco bellissimo, tale Fabrizio, che con i suoi occhi chiari l'aveva affascinata in pochi secondi.
Studiava economia e si vedevano molto poco, solo in biblioteca, ma, tra una battuta e un caffè insieme per prende una pausa dallo studio, durante la sessione invernale degli esami lui aveva trovato il coraggio di invitarla a cena.
Gaia aveva riprovato per la prima volta la sensazione di benessere che, tanto tempo prima, le aveva dato spesso Andrea.
Una cena una volta, un giro in centro un'altra i due alla fine si erano dichiarati e la notizia del loro fidanzamento era girata ovunque.
Questa volta, però, lei era stata molto attenta ad avvisare Simone con anticipo, e il ragazzo aveva conosciuto Fabrizio prima che la cosa divenisse ufficiale, dando apertamente il suo ok alla relazione.
Naturalmente, purtroppo, con Giorgio non era andata nello stesso modo.
Lui non aveva saputo nulla, non si sentivano per davvero da dopo le feste e le poche volte che si erano incontrati per strada in quel periodo non si erano scambiati più di un rapido saluto.
Distanti davvero, ormai. E se per Simone quello non era quasi più importante per Gaia era fonte costante di dolore.
Un dolore così forte da spingerla a fare un ultimo disperato tentativo per recuperare una delle cose più importanti che aveva.

                                                                                                    ****

Era una bella mattina di inizio Aprile.
C'era il solo e in giro per Genova era già pieno di fiori sbocciati o pronti a sbocciare, colori accesi che si rinnovavano ogni primavera.
Gaia non aveva lezione e ne aveva approfittato per dormire un po' più del solito, ma neanche troppo perché verso le dieci l'aveva chiamata Fabrizio, che sapeva fosse a casa e aveva voglia di sentirla.
Ormai sveglia, la ragazza, si era vestita e preparata con calma, ascoltando la sua musica dallo stereo ad alto volume.
Poi aveva fatto lei una telefonata a suo fratello, che era in ufficio, e si erano organizzati per vedersi a pranzo in un ristorante vicino al mare comodo per entrambi.
Gaia si era messa a studiare sul suo letto aspettando l'ora di uscire, ma dopo poco si era accorta di come più ci provasse più le venisse voglia di dormire, tanto che alla fine aveva lasciato perdere e si era messa a risistemare la sua scrivania, la libreria e le mensole che aveva in camera sua sopra al letto, piene di ricordi sparsi in giro; fotografie, cartoline, orecchini, braccialetti, penne... Gaia aveva trovato di tutto, lì sopra, anche oggetti che si era totalmente scordata di avere ma che, d'improvviso, nel rivederli le portavano alla mente momenti meravigliosi e immagini di giorni passati felici, prima che Alfio morisse ma, ogni tanto, anche dopo.
Verso mezzogiorno e mezza si era mossa di casa per andare a prendere l'autobus verso il mare.
L'aria di salsedine era forte, a volte quasi fastidiosa, ma sembrava un giorno d'estate e si stava così bene che Gaia quel fastidio non lo sentiva neanche più di tanto, concentrata com'era a godersi quella mattinata libera.
Antonello l'aspettava già al ristorante, seduto ad un tavolo sulla terrazza, proprio davanti al mare, come la sera che aveva presentato alla madre e alle sorelle la fidanzata.
Prima di sedersi rimasero a lungo abbracciati, i due, perché non si vedevano da parecchi giorni e non erano abituati a stare lontani per così tanto tempo.
Avevano ordinato entrambi una pizza benché, inizialmente, il loro piano riguardasse un pranzo leggero e possibilmente fresco. Ma il profumo e l'immagine di una Margherita portata ad un tavolo vicino li fecero cambiare idea in pochi attimi.
- Mi mancate un sacco da quando non vivo più a casa con voi.- Aveva esordito Antonello quando era arrivato il pranzo.
- Beh, allora non ci hai totalmente scordate!- Aveva sorriso la ragazza. - Comunque ogni tanto potreste anche venire a cena da noi. Mamma, malgrado tutto, è ancora abituata a cucinare per cinque.- Gaia aveva finito la frase con un velo di tristezza, abbassando gli occhi e ripensando a quando in casa erano in cinque senza il bisogno di invitare persone a cena.
Il ragazzo si accorse subito dello stato d'animo di sua sorella e provò, senza staccarsi troppo dall'argomento centrale della discussione, a dire qualcosa che potesse farla ridere almeno un attimo. - Guarda che da quando sei fidanzata con Fabrizio penso che mamma debba iniziare a cucinare per sei.- Lei era scoppiata in una fragorosa risata, missione riuscita.
Antonello ne aveva allora approfittato per farsi i fatti della giovane e interessarsi alla sua vita sentimentale.
- Ma, a proposito di Fabrizio, perché non mi racconti qualcosa? Di lui, di voi... come va? State già facendo progetti per il futuro?-
Era la prima volta che vedeva sua sorella così innamorata e presa da una relazione.
Sì, c'erano stati altri ragazzi all'inizio delle superiori, prima della morte di Alfio, ovviamente, e anche la storia con Andrea, che lui aveva vissuto accanto a loro, ma erano state cose diverse, forse per la giovane età degli innamorati o forse perché stare insieme durante le vacanze era tutt'altro dall'avere una relazione durante un periodo normale dell'anno. Fatto stava che con Fabrizio, per la prima volta davvero, Gaia scopriva l'amore nel senso vero, quello che andava fatto coincidere con la vita di tutti i giorni, con gli impegni e la quotidianità che si avevano prima della relazione.
La ragazza era arrossita lievemente alla domanda, ma poi aveva risposto. - Va bene, stiamo bene insieme, siamo felici. Progetti tanti ma non come pensi tu, è ancora presto anche solo per pensare al matrimonio o a una convivenza. Per ora ci godiamo questa vita, vedremo col tempo come andrà.-
- Fate bene, fate bene. Io ed Elisa al matrimonio ci pensiamo, invece, ma lo troviamo molto più impegnativo del semplice convivere, anche se forse lo è solo una convinzione. Deve essere per la formalità che c'è dietro al matrimonio; sai, il per sempre, le continue domande su quando arriveranno i figli... No, non abbiamo intenzione di metterci in questo guaio, per adesso. E Patrizia? Lei e i maschi sono sempre stati un mistero! Anche quando frequentava palesemente qualcuno ci era del tutto vietato di sapere qualcosa. Tu hai informazioni segrete a riguardo?- Aveva riso il fratello parlandone come si parla di qualche importantissimo segreto da tenere nascosto.
- Ufficialmente no.- Rispose Gaia. - Ma qualcosa secondo me c'è. È un periodo che spesso si chiude al telefono in camera di mamma e che nessuno provi ad entrare che inizia ad urlare come una pazza! Secondo me dall'altra parte della cornetta c'è qualcuno di cui non dobbiamo sapere l'esistenza...-
Antonello rise convinto che la sorella minore avesse ragione.
Avevano finito di mangiare e aveva pagato lui, offrendole il pranzo come succedeva quando erano più piccoli e la andava a prendere a scuola.
Prima di salutarsi avevano fatto quattro passi gustandosi un gelato sulla strada verso l'ufficio del ragazzo.
Gaia lo aveva accompagnato fin sotto il palazzo dove lavorava e poi era tornata indietro verso il mare.
Era primo pomeriggio ma non faceva troppo caldo, complice anche un venticello leggero che si era alzato poco prima mitigando la temperatura.
Si mise a percorrere la passeggiata sopra il mare fermandosi qualche volta per sedersi su una panchina, riposare e prendere un po' di sole.
Era annoiata, in realtà, ma non voleva tornare a casa subito, specialmente perché sapeva che lì sarebbe stata da sola.
Patrizia, Luisa e Fabrizio erano tutti e tre in facoltà o in biblioteca a studiare e lo stesso era per Simone, probabilmente impegnato in qualcosa riguardante l'università.
Era sola anche fuori dalle mura di casa, dunque, e un poco si sentiva in errore a pensare che, forse, pure lei si sarebbe dovuta fiondare sui libri.
Ma era una bella giornata e voleva godersela, dopo tutto si era fatta una tabella di marcia per lo studio ed era in regola.
Una bella giornata come quella, secondo Gaia, andava condivisa con qualcuno a cui si voleva bene, una persona cara che magari era lontana.
Così, trovando il coraggio per la prima volta dopo parecchio tempo, si avviò verso il cimitero in completa solitudine.
Mentre camminava verso la fermata dell'autobus che l'avrebbe portata in quel luogo di lutto e dolore realizzò che fosse davvero parecchio tempo che non andava a trovare suo padre, da appena dopo l'inizio dell'anno nuovo, come se l'inizio della storia con Fabrizio l'avesse davvero portata a ricominciare a vivere. Anche Beatrice, lavorando sempre, non trovava più il tempo di andare sulla tomba del marito come all'inizio, quando lo aveva appena perso e neanche ci credeva che potesse essere accaduto. Però lei teneva in camera ogni foto avesse trovato dopo quel giorno, le foto di Alfio da solo, quelle di loro due e quelle coi figli. Solo una delle ultime, quella che l'uomo teneva sulla scrivania in ufficio, l'aveva data alla ragazza più piccola, perché in fondo era stata lei a portarla a casa il giorno in cui, dimostrando molto più dei suoi sedici anni, aveva svuotato la stanza del padre in procura.
La lapide che segnalava il luogo di sepoltura di Alfio Olivietti era stata quindi abbandonata a se stessa per non più di due o tre mesi, ma appariva lasciata sola da anni a causa delle intemperie che l'avevano sporcata e quasi rovinata durante quell'inverno.
Gaia la pulì con cura, buttando i fiori vecchi e le erbacce intorno, togliendo la polvere dal vetro della fotografia e sistemando i nuovi fiori che aveva portato. Erano colorati, quasi a volerlo informare della bella stagione che stava tornando per la terza volta senza di lui.
Accarezzando dolcemente la lapide raccontò a suo padre, sicurissima come sempre che la sentisse, del fidanzamento con Fabrizio e di tutte le cose belle che erano accadute in quei mesi.
Poi però, finito questo racconto, si sedesse accanto a quella.
Lo fece perché doveva raccontargli un segreto, e da che ricordava per tutta la vita vissuta con lui era stato sempre seduta a terra che lo aveva messo al corrente delle cose più nascoste della sua vita.
Non c'era un motivo, o se c'era l'aveva scordato, ma era sempre stato così
- Sai papà? Va tutto bene tranne Giorgio. Lui e Simo non si parlano praticamente più, è strano, se li vedessi non ci crederesti. Ma io purtroppo sì, lo vedo e ci credo. Però per me è diverso; Simone dice di essere arrabbiato con lui, mentre io sono solo preoccupata...- Si appoggiò lievemente con la testa inclinata al freddo pezzo di marmo, come se in qualche modo potesse trovare lo stesso conforto che da bambina aveva nell'appoggiarsi alla spalla del padre.
- Come devo fare, papà? Cosa faresti se fossi nella mia situazione, cosa mi diresti se fossi ancora qui?-
Chissà, si domandava Gaia, se davvero suo padre fosse stato ancora vivo forse le cose sarebbero andate diversamente.
Oppure no, ma di certo lui sarebbe stato in grado di dirle cosa fare in quel momento.
Rimase lì a lungo, poi una folata di vento fresco e fastidioso nei suoi occhi umidi di pianto le diede qualcosa di simile ad una risposta. Si alzò e lasciò un leggero bacio sulla lapide del padre senza proferire parola, ma dentro di lei Gaia aveva sentito una voce dirle che l'unica possibilità, l'unica cosa da fare davvero, era andare a parlare direttamente con Giorgio.
Uscì dalla parte opposta del cimitero rispetto a quella da cui era entrata per andare a prendere un autobus che l'avrebbe portata nella zona dove viveva il suo amico. Un percorso, anche quello, che non faceva più da una vita e che le mancava.
Si rese conto di non conoscere neanche gli orari di lavoro dell'amico, e a dire il vero non era certa nemmeno del lavoro che in quel periodo svolgesse il ragazzo.
Sempre ammesso che lavorasse ancora.
Dunque erano così che finivano le amicizie, pensò Gaia. Non con grosse liti, con urla e pianti, ma con la perdita della quotidianità comune, col non sapere più nulla gli uni degli altri.
Bastava non sentirsi, non vedersi e tutto terminava. Per quanto ci si potesse voler bene non era vero che si rimanesse amici anche distanti.
Aveva perso Giorgio il giorno che si era scordata di chiedergli come stava.
L'aveva perso e, mentre andava verso casa sua, capì che qualsiasi cosa sarebbe successa non l'avrebbe trovato mai più.
Si trovò seduta, senza farci troppo caso, sulla panchina in cui spesso si sedeva da ragazzina con i due amici e si mise ad attendere l'amico o quel che era per lei Giorgio.
Lo aspettò a lungo.
Il sole iniziava a scendere per congiungere cielo e mare quando, finalmente, lo vide arrivare dall'angolo che portava alla via principale del quartiere.
Gli andò in contro con calma, molto diversamente da come avrebbe fatto un tempo.
- Ciao, Giorgio.-
- Gaia... cosa ci fai qui?-
Lo aveva spiazzato, dunque, e si scoprì subito incapace di capire il perché di quella reazione.
- Ho pensato che non ci vedessimo da davvero troppo tempo. Insomma, sarà da prima di Natale che non ho tue notizie!- Disse cercando di mostrarsi convincente.
- Ho avuto da fare, ma sto bene.- Replicò il ragazzo.
Non aveva alzato più lo sguardo da che lei aveva iniziato a parlare e dopo averle detto di “stare bene” cercò di allontanarsi velocemente da quella visita inaspettata e quell'interrogatorio indesiderato.
Se ne accorse subito, Gaia, e si affiancò a lui rapida mentre andava verso casa.
- Certo che complimenti per l'entusiasmo! Non ci vediamo da mesi e fai così!- Fece la finta offesa come da ragazzini, ma capì dopo un attimo che quell'atteggiamento era da lui tutt'altro che gradito.
Passò alle maniere forti. - Oh ma mi spieghi che c'hai Giò?- Domandò fermandolo appena tenendogli il braccio.
Il ragazzo si liberò dalla presa rapido e si fermò per guardarla. - Non ho nulla. Semplicemente non mi aspettavo la tua visita e ho avuto una giornataccia. Scusa se non sono spensierato come te, Gaia.- Lei rimase di sasso davanti a quelle parole. Perché glielo lesse in quegli occhi che fece fatica a riconoscere, Giorgio non era in sé. Il suo amico, quello vero, quello che era stato due giorni seduto ai piedi del suo letto mentre lei non parlava né piangeva, non le avrebbe mai detto che era spensierata.
Non disse nulla e lo vide andare via.
Lo seguì velocemente prendendogli di nuovo il polso e facendolo girare di scatto, tanto che dalla tasca della giaccia di jeans del ragazzo cadde qualcosa.
Prima che Giorgio riuscisse a fare qualcosa si chinò e raccolse l'oggetto.
Gaia si trovò tra le mani una siringa e non capì.
Non capì, non volle capire e desiderò non essere lì.
Il ragazzo gliela strappò rapido dalle mani ma non riuscì ad allontanarsi.
- Cos'è? Giorgio cos'è quella?-
- Non sono cazzi tuoi! -
- Giorgio... Giorgio tu... no...-
Uno scatto d'ira partì dagli occhi di Giorgio e arrivò alle sue mani che, violentemente, si abbatterono sul collo della ragazza colpendola con un pugno.
- Via...! Gaia vai via! VIA!-
Lei, a terra, si trovò paralizzata dalla paura.
Fu da quella prospettiva che notò qualcosa di strano sul braccio di quello che era stato uno dei suoi migliori amici.
Rimase ferma e lo vide andar via bestemmiando e imprecando, buttando quella siringa maledetta tra dei rovi.
Gaia fu in grado di alzarsi solo parecchi minuti dopo, in lacrime.

                                                                                                                ****

La sera dopo aver parlato, se così si poteva dire, con Giorgio, Gaia era tornata a casa in lacrime e sporca di terra.
Sull'autobus praticamente vuoto non era stata vista da nessuno e anche a casa, per un fortuito caso del destino, era riuscita a sgattaiolare fino al bagno senza destare sospetti.
Aveva messo i vestiti nel cestone dei panni sporchi di corsa e si era buttata sotto la doccia per lavarsi e continuare a piangere in silenzio.
Pulita si era rivestita e guardata allo specchio.
E solo in quel momento si era accorta di un grosso livido sul collo, sicuramente opera della botta datale dal ragazzo.
Era andata a cercare in camera sua una sciarpa o un foulard per nascondere la macchia scura e poi aveva raggiunto la famiglia a cena.
Come era naturale le avevano domandato tutti e tre, madre, sorella e fratello, quella sera a cena da loro perché Elisa era fuori con amiche, per quale motivo tenesse il collo riparato e aveva inventato in fretta un fastidioso mal di gola dal quale desiderava guarire il prima possibile.
- Eppure oggi a pranzo stavi bene.- Aveva fatto notare Antonello.
- Sì, ma poi sono stata in giro e devo aver preso un colpo di freddo. Lo sai come va con queste mezze stagioni; ti svegli e sembra estate poi basta un attimo ed ecco che ti sei preso un'influenza quasi invernale. Anzi, per evitare questo me ne vado subito a letto. Domani devo studiare e non è proprio il momento giusto per ammalarsi, questo.-
Era corsa in camera senza dare a nessuno il tempo di replicare, lasciando anzi tutti stupiti.
Beatrice, che non capiva il comportamento della figlia, aveva mostrato un'espressione alquanto preoccupata e il ragazzo si era subito premurato di fare una battuta per scacciare i brutti pensieri della madre. - Secondo me più che malata quella è strana per amore. Dovevate vederla oggi mentre parlava di Fabrizio, sembrava una ragazzina.- Le due donne risero e, per un attimo, Patrizia si fece scappare il suo segreto, il ragazzo con cui si sentiva al telefono, Amedeo.
Ma non era ancora il momento, in casa Olivietti l'amore pareva star dando già troppi problemi.

                                                                                                                   ****

Il giorno successivo e tutti quelli a venire, però, Gaia non aprì un libro.
Rimaneva sola a casa sdraiata sul suo letto a ripensare a Giorgio o andava a lezione tornando coi quaderni dove solitamente prendeva appunti totalmente vuoti.
Svolgeva le sue attività quotidiane normalmente e nessuno aveva notato questi suoi cambiamenti, tanto che a casa la battuta di Antonello sulla sorella innamorata continuava a fornirle un ottimo alibi.
Ma l'amore, evidentemente, era qualcosa di molto diverso dalla famiglia, perché sul comportamento della fidanzata Fabrizio qualche domanda aveva cominciato a farsela, almeno dentro. A lei non era in grado di chiedere nulla, preoccupato dall'idea che potesse dire qualcosa di sbagliato, perché magari i pensieri di Gaia erano concentrati su suo padre o altro di cui lui non poteva capire.
In realtà, com'era ovvio, nella testa della giovane non risuonava altro che il nome di quello che un tempo era stato uno dei suoi migliori amici. E si accavallavano nella sua testa le immagini di un tempo che non credeva neanche più appartenente alla sua vita tanto appariva lontano.
Non aveva visto neanche Simone, nei giorni subito successivi alla tragica scoperta, e non sapeva bene come potesse affrontarlo.
Pensare a Giorgio come un eroinomane, un drogato, era come prendere una parte di sé e ucciderla a coltellate più forti ancora di quelle ricevute dopo la morte di suo padre. Perché tra i tanti motivi per cui il ragazzo poteva essersi allontanato quello non l'aveva mai minimamente sfiorata,neanche per un attimo aveva pensato che lui potesse aver fatto scelte simili. Così drastiche, così terribili.
Forse erano state quelle le paure di Simone all'inizio, quando la loro amicizia aveva cominciato ad incrinarsi irreparabilmente.
A quanto pareva lei, la ragazzina che temeva per la vita di suo padre magistrato e l'aveva fatto a ragione, aveva seguito fin troppo il suggerimento del fratello maggiore, il consiglio di non preoccuparsi. Se avesse fatto lo stesso con Giorgio le cose sarebbero andate diversamente, si diceva.
Di certo non sarebbe mai potuta intervenire sulle menti degli ancora ignoti assassini di suo padre, se lo ripeteva spesso in lacrime domandandosi perché senza risposta, ma magari convincere un amico a non fare cazzate tanto gravi sarebbe stato più semplice.
Oppure no, e se ne accorse quando realizzò che dopo quel giorno maledetto nulla aveva fatto per aiutare Giorgio.
Non lo aveva più cercato, non aveva domandato aiuto.
Si era chiusa senza che neanche gli altri lo capissero, cercando disperatamente di tenere per sé quel segreto.
Su di lei, di quel giorno, era rimasto ancora il segno sul collo.
Non passava, non voleva andarsene, quasi a ricordarle che qualcosa era successo e non poteva nasconderlo per tutta la vita.
A casa non ci facevano più caso; benché immaginassero tutti che il mal di gola le fosse passato si erano convinti che tra una cosa e l'altra Gaia avesse deciso di tenere il foulard al collo come accessorio.
Anche il fidanzato e gli amici la pensavano allo stesso modo, tanto che alla ragazza capitava di non ricordare neanche più la scusa inventata.
Faceva ancora strano vederla con la gola coperta a primavera avanzata a chi magari non la vedeva da un po' e doveva poi quindi credere alla storia del mal di gola, ma solitamente anche quelle persone non dubitavano troppo della versione di Gaia.
A meno che, come accadde il giorno in cui si incontrò con Simone per la prima volta dopo alcune settimane, quelle persone non fossero in grado di leggere ben oltre i suoi occhi.
Era successo un giorno dopo le lezioni, un pomeriggio in cui,
per caso, aveva detto lui, si era ritrovato dalle parti della sua facoltà e si erano incontrati.
Amici come ancora almeno loro erano si erano messi subito a parlare del più e del meno non facendo neanche caso al tempo passato lontani, approfittando anzi di tutte le cose che avevano da dirsi per stare insieme parecchio.
Avevano sfiorato spesso il discorso di Giorgio, a dire il vero, e altrettanto spesso il ragazzo aveva espresso le sue idee a riguardo in un crescendo di dubbi e accuse; prima lo aveva definito strano, poi voltafaccia, poi ancora strano e complesso da capire.
Un'ultima volta, continuando a parlarne seduti su una panchina, lo aveva chiamato addirittura pazzo.
Gaia aveva sempre fatto finta di niente, continuando a stare sulla sua posizione solita per cui era Simone il paranoico, ma a sentirlo definire in quel modo aveva fatto un'espressione angosciata e si era portata di getto la mano al collo.
Un'altra persona non avrebbe capito, ma davanti a lui si rese subito conto di essersi tradita.
- E questa sciarpa?- Le chiese Simone indicando dove si era appena toccata.
- Ho mal di gola.-
- A metà Aprile?-
- Perché, non si può?-
Lui scosse la testa, e alla fine la costrinse a toglierla, facendole mostrare il livido sul collo che malgrado il tempo passato pareva ancora fresco.
Che non avesse nulla a che fare con l'amore il ragazzo lo capì subito.
- Cos'è?-
- Non ti interessa!-
- Gaia chi è stato?!-
La ragazza si alzò di scatto dalla panchina iniziando a piangere e ripetere che fossero affari suoi.
- Giorgio, vero? È stato lui! È impazzito davvero, è stato lui?! Gaia guardami cazzo! È stato Giorgio a farti del male?-
Lei singhiozzò.
Si trovavano di nuovo entrambi in piedi, Simone rivolto verso la sua schiena con gli occhi rossi di rabbia e lei girata col volto nascosto e rigato dalle lacrime.
Aspettò che tacesse e poi si girò di nuovo verso di lui, piangendo forte.

Annuì debolmente a testa bassa.
- Simo... Giorgio si fa di eroina.- Disse buttandosi contro il petto dell'amico.

                                                                                                                         ****

La reazione di Simone alla notizia era stata molto peggiore rispetto a quella di Gaia.
Si era messo a piangere e aveva urlato forse al cielo, urlato come se non potesse essere sentito da nessuno quando in realtà intorno a loro continuava ad esistere un modo che osservava e non capiva.
Per farlo tacere Gaia lo aveva abbracciato, cercando da qualche parte quella forza d'animo che la vita le aveva insegnato avesse.
Erano rimasti a lungo abbracciati in lacrime sperando fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale si sarebbero risvegliati magari insieme a Giorgio sul lungomare di Loano.
Ma avevano riaperto gli occhi lì, davanti a una panchina a poche centinaia di metri dalla facoltà di lingue dell'università di Genova.
Simone si era dovuto sedere perché staccato da quell'abbraccio, lontano dal coraggio che gli dava stare tra le braccia dell'unica amica che gli era rimasta, non aveva neanche la forza di stare in piedi.
Gaia aveva fatto come lui ed era rimasta in silenzio tenendogli le mani.
- Sono... non lo so, cosa sono? Allibito, triste, deluso...- Aveva staccato una mano da quelle di lei e le aveva accarezzato il livido. - Vorrei solo sapere il motivo... -
La ragazza aveva continuato a tacere per alcuni istanti, rivivendo nella sua mente i momenti subito successivi alla scoperta.
Poi aveva trovato il coraggio di parlare e di raccontare di quel giorno.
- Quando ho visto la siringa cadere dalla sua tasca ho capito subito. È terribile... non avevo mai pensato a una cosa del genere eppure è bastato un attimo per capire tutto... come se quella siringa non fosse solo un... un oggetto maledetto, ecco, ma una spiegazione logica a tutta questa assurdità-
- Credevo di essergli diventato antipatico, Gaia. Mi sforzavo di odiarlo perché ero convinto che lui mi odiasse e invece...- D'improvviso la voce di Simone perse tristezza e assunse un tono rabbioso, di rabbia contro se stesso. - Studio medicina, cazzo. Potevo capirlo, dovevo capirlo...- Dalla rabbia ricominciò a lacrimare e iniziò a sudare come in preda a un attacco di febbre alta.
Fu istintivo per la ragazza scendere dalla panchina e stare davanti a lui piegata sulle ginocchia per guardarlo negli occhi che teneva ancora bassi.
- Non hai nessuna colpa. Abbiamo sbagliato tutti, non dovevamo lasciarlo andare così. Ma non hai colpe. Però l'hai detto tu, studi medicina... possiamo aiutarlo, vero?-
Tra le parole dell'amica Simone colse una preghiera.
Gli stava chiedendo di salvare una persona che fino a due ore prima era per lui morta, un'amicizia finita per sempre.
E invece, in quel momento, sembrava la cosa più preziosa della sua vita, come se sapere che qualcosa di esterno stava distruggendo Giorgio cambiasse di nuovo tutto.
Erano sempre lì, su quella panchina intorno alla quale si era consumato quel dramma assurdo.

                                                                                                                      ****

Più calmi, dopo aver discusso sul da farsi nell'immediato della consapevolezza, i due ragazzi avevano cercato una cabina telefonica e avevano chiamato le famiglie per dire che avrebbero cenato fuori.
Si erano presi una pizza al taglio veloce, in realtà, e poi erano andati al porto a chiacchierare.
Alla richiesta di salvare Giorgio che Gaia gli aveva fatto prima di cena Simone non aveva risposto in nessun modo.
Le avrebbe voluto dire di sì, naturalmente, ma qualcosa sulla droga la sapeva meglio di lei, ed era consapevole del fatto che avrebbe potuto aiutare Giorgio solo se Giorgio si fosse voluto far aiutare.
Non fece però in tempo a dirle che sarebbe dovuto andare a parlarci, perché Gaia gli disse spaventata di non andare a cercarlo.
Simone sospirò annuendo.
- Perché non mi hai detto nulla?-
Cercò di parlare con calma. Non voleva accusarla, immaginava benissimo cosa potesse essere passato nella mentre della ragazza quando aveva scoperto il fatto.
- Perché ero sconvolta, credo. E non sapevo bene cosa fare. Né sapevo come dirti ciò che era accaduto.-
- Tanto che l'ho scoperto per caso...-
Gaia era rimasta zitta appoggiata al ragazzo guardando verso il mare.
- Ti prometto che troveremo il modo per aiutarlo, Gaia. Ma dobbiamo essere coraggiosi, e se servisse parlarne con qualcun altro dovremmo farlo. Lo capisci, vero?- Le parlava come avrebbe parlato ad una bambina piccola, era vero, ma lei non replicava in nessun modo a quel suo atteggiamento. Anzi, in un certo senso le faceva bene sentirsi coccolata dall'amico in quel modo, farsi proteggere da quelle parole.
Aver diviso con lui le paure e le preoccupazioni, essersi aperta con Simone le aveva fatto bene. In fondo avrebbe dovuto farlo da subito, perché, malgrado tutto, era ancora certa che solo loro due conoscessero Giorgio tanto bene da poter fare qualcosa.
- Sai, sei tutto questo finisse, sei lui tornasse in sé, se smettesse con quella merda io non avrei il coraggio di chiedergli il motivo. Sarebbe come una piccola parentesi neanche importante della sua vita, un momento di errore da scordare.-
Simone non replicò alle parole dell'amica. Si capiva subito come per lei il discorso droga fosse una triste novità, qualcosa di cui conosceva davvero poco.
Lui, di certo più informato, sapeva benissimo che non sarebbe stato semplice, che Giorgio sarebbe stato sempre a rischio di ricadere in quello “sbaglio”, che non avrebbe mai dimenticato quel periodo della sua vita. E il tutto ammesso che ne uscisse, naturalmente.
Non voleva spaventare Gaia, non voleva metterla di fronte a una realtà terribile, possibile però non certa.
Portando a galla la verità su Giorgio davanti a lui Gaia aveva condiviso un segreto che tra loro neanche ci sarebbe dovuto essere, e chiedendogli di salvarlo gli aveva messo in mano più di una vita; quella del giovane, certamente, ma anche la sua, la vita di quella ragazza di nemmeno vent'anni già troppo provata dagli eventi.
Gli aveva detto che sarebbero dovuti essere coraggiosi, ed era vero, ma a Gaia Olivietti quanto coraggio il fato doveva ancora domandare?
- Non hai detto nulla neanche ad Antonello? O a Fabrizio, ad esempio.-
L'amica scosse la testa. - Antonello avrebbe potuto avere reazioni peggiori della tua, specialmente vedendo il livido, e Fabrizio Giorgio lo conosce solo per i nostri racconti. No, l'unico che doveva saperlo eri tu, forse subito.-
Simone le disse chiaramente di lasciar perdere le discussioni sul tempo, che forse il tempo era solo un'illusione e a contare erano i fatti.
Poi però butto un occhi sull'orologio al polso e realizzò che, per qualcuno, il tempo poteva anche essere reale.
- Ti accompagno a casa, è tardi per essere rimasti semplicemente fuori a cena.-Le aveva detto.
Erano rimasti ancora un attimo a parlare vicino al palazzo di Gaia, e lì per l'ultima volta in quella giornata lei era scoppiata in lacrime sfogandosi del tutto.
Simone aveva continuato a ripeterle di stare tranquilla perché avrebbero trovato una soluzione, ma più glielo diceva più si obbligava a non cadere nel tranello di quelle parole, a non credere anche lui alla piccola menzogna che cercava di far passare per verità al fine di non far soffrire l'amica.
Quando l'aveva vista calma aveva aspettato che salisse fino al suo appartamento e poi era andato via, ritornando dalla sua famiglia senza fare troppo in fretta.
Da quando le cose con Giorgio avevano cominciato a non funzionare aveva fatto il possibile per non pensare a lui.
Girare per Genova, se si metteva a rifletterci troppo, gli riportava alla mente troppi ricordi, proprio come Gaia gli raccontava di subito dopo la morte del padre.
Così continuava la sua vita facendo finta che nulla fosse, non pensando all'amico neanche passando davanti al locale dove avevano bevuto insieme l'ultima birra prima della maturità o al parchetto dove per anni avevano passato i loro pomeriggi.

Quella sera, per la prima volta, nel percorso da casa di Gaia a casa sua si era messo invece a contare quanti fossero i luoghi che gli riportavano alla mente gli anni di amicizia con Giorgio.
E si accorse che anche nel breve tratto che congiungeva le due abitazioni, andava a passo lento e non ci mise più di mezzora, il numero di posti in cui viveva il ricordo di loro due o loro tre era esageratamente alto.
Se non si fosse sforzato di dimenticare in quei mesi, quindi, avrebbe potuto anche fare qualcosa.
Si era arreso all'idea che le amicizie finissero così, dall'oggi al domani, indipendentemente da quanto potessero essere forti o durature.
Gaia di certo non lo aveva fatto, ed era per quello che aveva scoperto la verità, perché aveva avuto il coraggio di non cedere alla pigrizia di accettare il destino così come veniva.
Ma Gaia era una ragazza, una femmina, e probabilmente anche per quello non aveva voluto credere che una relazione potesse finire così, senza neanche un ciao.
In fondo lo ricordava bene, quando avevano cominciato a litigare lei aveva fatto il possibile per mettere qualche toppa a destra e a manca in quell'amicizia che non voleva si sgretolasse sotto i suoi occhi impotenti.
Altro che amicizia, però, perché quello che avevano scoperto si stesse distruggendo davanti a loro era proprio una vita umana.
Nel letto, mentre si addormentava, Simone provò a ripercorrere con la mente tutti i sentimenti che aveva provato nei confronti di Giorgio durante quella giornata. Prima di vedere la ragazza era stata la solita mancanza mascherata per bene da indifferenza, la convinzione che lui lo odiasse e che quindi tanto meglio neanche pensarci più a quell'infame.
Infame, voltafaccia, tutte parole che aveva usato per descriverlo prima di scoprire il livido sul collo di Gaia.
E allora erano subentrati la rabbia e l'odio vero, quello che si ha per chi fa del male a qualcuno che sia ama.
Ma poi le lacrime della sua amica, la confessione, un cambiamento totale di prospettiva.
I sentimenti negativi erano spariti, lasciando il posto alla disperazione, all'impotenza. Era riaffiorato un mai morto sentimento di amicizia e per la prima volta dopo chissà quanto tempo aveva avuto paura di perderlo.
Gli voleva ancora bene, quindi.
E non avrebbe mai smesso, neanche se fosse successa la più terribile delle cose.
Si ritrovò ingabbiato tra i suoi pensieri e la mezza bugia che aveva detto a Gaia.
Mentre chiudeva gli occhi si scoprì convinto che le cose sarebbero davvero andate bene, che sarebbe riuscito a far tornare Giorgio quello di prima.
L'illusione che quella notte gli conciliò il sonno sarebbe stata pronta a diventare la sua croce dalla mattina seguente, lo sapeva.
Ma realizzò che, almeno per quel momento, non gli importava.

                                                                                                                      ****

Il periodo immediatamente successivo alla scoperta per Gaia e Simone fu un'occasione di riavvicinamento.
Passavano a lungo il tempo insieme cercando di trovare qualcosa da fare per salvare Giorgio da se stesso o semplicemente per distrarsi dai brutti pensieri di quei giorni scuri.
Il ragazzo aveva trovato, dopo non pochi ripensamenti, il coraggio e le parole per chiedere a un amico recentemente laureato qualcosa in più su quello che poteva essere l'aiuto da dare a una persona immersa nel dramma della droga.
Non aveva fatto nomi e si era ben guardato dal far intendere che quella storia lo riguardasse il prima persona, e anche se quel suo interesse era apparso sospetto nessuno aveva fatto domande. Era poi riuscito a mascherare la ricerca disperata di informazioni con un dubbio, normale per gli studenti di medicina, sul percorso da intraprendere per la laurea specialistica. - Stavo pensando a qualcosa che riguardasse questo nuovo terribile fenomeno e volevo iniziare a capirci qualcosa.- Aveva detto.
Però le sue scoperte, per la maggior parte, le teneva per sé, non volendo ancora fa capire a Gaia quanto la situazione potesse essere complessa.
Lei, che da quando si era liberata del suo segreto aveva iniziato a vivere meglio malgrado le preoccupazioni, ricominciava a fare quello che faceva prima, accorgendosi di colpo di aver perso troppo tempo e di essere tragicamente indietro con lo studio.
Il giorno in cui, finalmente, si era rimessa sui libri con la determinazione necessaria a fare qualcosa si era ricordata di quando suo padre era morto e dell'importanza che in quel momento aveva avuto per lei riprendere subito le sue solite occupazioni. E così sarebbe stato anche in quel caso.
Il livido era scomparso, alla lunga, tanto che piano piano la ragazza aveva smesso di portare il foulard fino a che, per un buffo caso del destino, a Maggio le era venuta una forte influenza che l'aveva costretta prima a letto e poi a continuare nel tenere coperta la gola.
Nel vederla ammalata di quel periodo Beatrice si era spaventata parecchio, ma il medico di famiglia, che conosceva Gaia da ancora prima della sua nascita, aveva tranquillizzato la madre e prescritto alla giovane una cura che in poco tempo l'aveva rimessa in forma.
Nei giorni in cui era però stata costretta a letto Simone ne aveva approfittato per infrangere la promessa di non cercare Giorgio.
Non si era sentito un granché ad utilizzare il periodo di debolezza dell'amica per mentirle, era vero, ma ormai aveva fatto abbastanza ricerche sulla situazione in cui probabilmente era l'altro da sapere che l'unica strada possibile passava attraverso di lui.
Così, proprio come Gaia parecchie settimane prima, si era messo a ripercorrere coi piedi e con la mente la strada che tante volte aveva fatto assieme agli amici. Fino a casa di Giorgio, là dove aveva scoperto che la vita di Alfio si era spenta, dove per la prima volta aveva pianto senza vergogna davanti a quello che era il suo migliore amico.
L'erba era profumata e le piante in fiore, la zona di Genova dove viveva Giorgio si era riempita di colori e alti fusti che fornirono a Simone un ottimo nascondiglio quando, a poche decine di metri dal portone, si sentì prendere dall'ansia e decise di aspettare.
Doveva suonare o attendere di vederlo uscire di casa piuttosto che rientrare? E poi che avrebbe dovuto dirgli, di preciso? Che sapeva? Che lo voleva aiutare?
Pensò di andarsene, di ascoltare Gaia.
Si era portato dietro un coltellino svizzero di chissà quanti anni prima ritrovato per caso in camera sua, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di usarlo contro Giorgio.
Rimase seduto su una panchina in mezzo al verde, con gli occhi fissi sullo scorcio di strada che vedeva dalla sua posizione aspettando, forse inutilmente, il passaggio del ragazzo per poi decidere cosa fare.
Il tempo passava lento in quell'attesa che cominciava a consumare Simone, riempendolo di dubbi maggiori ogni minuto che passava.
Continuava a guardare verso la strada ma nulla, non c'era anima viva che passasse per quella via.
Poi, ad un certo punto,sentì l'aria intorno a lui farsi pesante e la panchina sulla quale sedeva, mezza rotta, diventare più stabile.
- Mi fa piacere sapere che ti ricordi ancora dove vivo, Simo.- Il ragazzo si girò di scatto e vide al suo fianco Giorgio.
Per un attimo non riuscì a muoversi, preoccupato o spaventato, ma poi l'altro gli mise una mano sulla spalla e provò a tranquillizzarlo.
- Sto meglio di quando ho visto Gaia, non ti preoccupare.- Gli disse con un leggero sorriso.
Il respiro di Simone tornò lentamente regolare e pochi secondi dopo fu in grado di parlare.
- Come fai a sapere che so del tuo incontro con Gaia?- Disse. La domanda più stupida che potesse venirgli in mente, forse, ma non sapeva come altro iniziare un discorso.
- Non mi pare ci fossero molte altre alternative al perché tu sia qui, no? Lei deve averti detto cos'era successo e tu devi esserti ricordato di avere un amico in questa zona.-
Simone volse lo sguardo altrove. - Non mi pare tu ti sia ricordato spesso di noi, in questi ultimi mesi.- Rispose. Se ne pentì subito dopo, quando temette di averlo fatto sentire in colpa.
Ma Giorgio non diede molto peso a quella frase.
- Come mai non sei venuto con lei? Era spaventata?-
- Si trova a letto con l'influenza. E poi non voleva che venissi, a dirla tutta. Più che spaventata direi fosse preoccupata, angosciata. Non lo so....-
Il ragazzo evitò di nuovo di rispondere alla maggior parte dell'affermazione appena fatta. Dover pensare al male che aveva procurato alla giovane non gli faceva bene.
- Sei venuto qua senza il suo permesso?-
- Sì. E l'ho fatto anche tardi. Adesso è a posto ma prima, subito dopo la vostra discussione, aveva un livido sul collo che ti avrei ammazzato, Giorgio, ti avrei ammazzato a mani nude se ti avessi incontrato anche solo per caso.-
L'altro abbassò la testa e se la prese tra le mani poggiate sulle gambe.
- Lo so. Mi sarei ammazzato anche io in quel momento. Quella sera, precisamente, quando strano ma vero ho avuto un momento di lucidità. L'idea di aver fatto una cosa del genere a Gaia era... incomprensibile. Era come se non fossi stato io.
Ma da quel momento qualcosa è cambiato. Sto provando a smettere, Simone.-
Giorgio rimase in silenzio, Simone voleva parlare ma non gli uscivano parole.
Doveva credergli? Poteva fare affidamento su quelle parole?
Il ragazzo pareva seriamente dispiaciuto, il tono della sua voce era stato anche smorzato da un singhiozzo, ad un certo punto.
Era lì per quello, però, per dirgli che poteva rifarsi una vita lontano dalla droga, e sentire che già di suo voleva provarci non poteva che fargli bene.
- E... e come sta andando questo tuo tentativo?- Gli chiese quasi tremando, sussurrando le parole come se ci fosse qualcosa che non doveva rompersi.
- Sta andando Simo, sta andando. Forse se avessi proseguito gli studi starebbe andando meglio.-
Era vero quello che diceva il ragazzo, dall'inizio dell'anno accademico non aveva frequentato una sola lezione, figurarsi un esame.
Ma anche lì, tra i banchi dell'università, col passare del tempo Simone aveva smesso di accorgersi della sua assenza.
- Ti stai facendo aiutare, vero?-
Giorgio scosse la testa e Simone fu scosso da un brivido.
Stava affrontando davvero tutto quello in completa solitudine? Era preoccupante la cosa, a suo dire, perché poteva sbagliare, e in quella situazione uno sbaglio poteva essere l'ultimo.
- Farmi aiutare da qualcuno vorrebbe dire ammettere pubblicamente di essere un drogato. Perderei chi lo sa perché considerato infame e chi non lo sa per i motivi che puoi benissimo immaginare. Posso farlo da solo, davvero. Piano piano, ma posso farcela.-
Il ragazzo sospirò.
Era incastrato. Da una parte convincerlo con le cattive era impensabile e controproducente, dall'altra lasciarlo fare era come non far nulla.
Rimase zitto, ancora una volta spiazzato dalla vita.
C'erano così tante cose di cui parlare in quel momento, anche ben distanti dalla droga, che nessuno dei due fu capace di iniziare un nuovo discorso.
Giorgio voleva sapere qualcosa di Gaia e di tutta quella loro vita che si era perso, ma taceva temendo di apparire ipocrita o fuori luogo, mentre Simone continuava a domandarsi dentro per quale assurdo motivo il suo amico si fosse infilato in un giro simile pur non avendo il coraggio di esternare quella domanda.
Alla fine, dopo troppo silenzio, fu Giorgio a parlare.
- Mi ha fatto piacere sapere di non essere stato dimenticato, mi spiace solo che questo nostro incontro rimarrà per sempre segreto anche per Gaia, forse l'unica che ne sarebbe felice.-
- Già... Ah, si è fidanzata. Un ragazzo conosciuto in università. L'ho incontrato qualche volta, non è male.- Rispose Simone per dare una parvenza di normalità a quella conversazione.
- Sono contento, se lo merita.-
- Sì.-
I due ragazzi si alzarono quasi in contemporanea, perché le ombre iniziavano ad allungarsi e l'ora di salutarsi si stava avvicinando.
- Ti prometto di uscirne e di farmi vivo appena questo accadrà, davvero.- Disse Giorgio salutando l'amico.
- Allora ti aspetto il prima possibile.- Provò a convincerlo e convincersi Simone.
Si abbracciarono. Senza vergogna, senza timidezza. Chissà quanti anni era che non lo facevano.
Poi, senza neanche un vero e proprio ciao, ritornarono ognuno sulla sua strada.
Quell'incontro che non sarebbe stato mai esistito, finito su un tramonto di tarda primavera, sembrava anticipare una bellissima alba.

                                                                                                                   ****

Gaia si era ripresa dall'influenza e aveva ricominciato di nuovo la sua vita, che a quanto pareva era un continuo di stop e partenze.
Con Simone continuava a parlare di Giorgio e di come aiutarlo, ma quando ne discutevano, forse si sbagliava, le pareva di vedere una strana luce negli occhi del ragazzo.
L'amico manteneva il segreto ma non riusciva a mostrarsi felice, ogni tanto, quando riusciva a convincerla che potevano davvero aiutarlo.
Non si erano più visti ma Simone sapeva che c'era bisogno di tempo perché tutto andasse a posto tanto da far tornare il giovane insieme a loro.
Intanto era arrivata l'estate, a Genova.
Giugno era volato come tutti gli anni, non diversamente da quando andavano ancora a scuola e il primo mese di vacanza pareva durare un attimo.
Tutto il contrario di Luglio, che fu mese di esami tanto per loro quanto per Luisa e Fabrizio e parve lungo come un intero anno.
Il caldo soffocante non aiutava a studiare ma andare a cercare un po' di fresco al mare li deprimeva.
Alla fine avevano trovato un'ottima via di mezzo nella cucina di casa di Simone che, sita su una parte molto alta della città, riusciva a fornire ogni giorno parecchie ore a temperatura sopportabile.
Con molta fatica, parecchia disperazione e un pizzico di fortuna, però, erano riusciti bene o male a farcela tutti quanti, arrivando ai primi giorni di Agosto stanchi ma liberi anche per quell'anno dagli impegni che li legavano alla loro istruzione.
C'era da decidere, a quel punto, se fare o meno una piccola vacanza.
Ma tra chi lavorava e chi era troppo stanco per trovare un posto dove rilassarsi che fosse più lontano del lungomare genovese gli unici che erano riusciti a concedersela erano stati i due fidanzatini, che avevano lasciato Genova per Roma durante la settimana di Ferragosto.
Inutile raccontare della situazione che trovarono nella capitale, colma di turisti e cittadini tenuti a casa da motivi più o meno vari. Il caso non fu però un problema, a quanto raccontarono al loro ritorno, perché malgrado tutto erano riusciti a seguire il programma che si erano prefissati e a visitare ogni singolo monumento desiderato.
Per entrambi si trattava della prima volta nella città eterna ed era stato bello condividere quel momento.
Ritornati a Genova avevano ripreso a frequentare ognuno la sua compagnia di amici fino a fine estate, continuando a vedersi e amarsi, in ogni senso, ma senza rendere la loro una relazione esclusiva.
Gaia aveva passato parecchi giorni sola assieme alla sua migliore amica, raccontandosi ogni singolo dettagli della loro vita senza paura di essere giudicate ma solo con la voglia di riprendersi quel legame che la crescita pareva voler allentare.
Così la figlia del magistrato aveva scoperto che c'era un ragazzo parecchio interessato a Luisa e, fingendosi esperta per il modo in cui aveva fatto innamorare Fabrizio, le aveva dato qualche consiglio che di certo l'altra avrebbe messo in pratica appena sarebbero ricominciate le lezioni e si sarebbe rivista col giovane.
Una delle ultime sere di Agosto Simone aveva telefonato a casa di Gaia e aveva chiesto all'amica se non le andasse, la giornata seguente, di andare in spiaggia insieme.
Gaia, che stranamente per quel giorno non aveva preso impegni con Luisa, si dimostrò subito entusiasta.
Passarono insieme parecchie ore tra la spiaggia e il mare, parlando di tutto e soprattutto di Giorgio, entrambi sicuri che l'estate successiva sarebbe stato assieme a loro, finalmente pulito e pronto a ricominciare a vivere.
Simone continuava a custodire gelosamente il suo segreto ma iniziava a preoccuparsi; Settembre era alle porte e ancora nessuna notizia arrivava dal suo amico impegnato a combattere se stesso.
Era vero che le notizie brutte viaggiavano molto più rapidamente di quelle belle, che “!nessuna nuova buona nuova” ma nella situazione di Giorgio chi avrebbe potuto portare qualche cattiva notizia?
Simone spesso dormiva male la notte per via della preoccupazione. Solo che poi, quando la notte finiva, guardava Gaia e capiva che non poteva mostrarsi in quelle condizioni se davvero desiderava non agitarla.
Così anche quel giorno, mentre parlavano dell'amico, si era impegnato per non destare sospetti, scoprendo sempre meglio come si doveva essere sentita lei all'inizio di tutta quella vicenda.
A metà pomeriggio il cielo si era fatto scuro e gli uccelli avevano cominciato a volare basso, preannunciando un temporale dal quale non si sarebbe salvato nessuno se non si fossero allontanati in fretta dalla spiaggia.
Nella rapidità con cui si erano preparati ed erano corsi via, Gaia e Simone erano saliti sul primo autobus trovato senza fare caso al numero che portasse sopra.
Solo quando ormai erano parecchio lontani dalla spiaggia, in una zona che sembrava distante da quel posto anche climaticamente visto che il cielo era ancora azzurro chiaro, il ragazzo si rese conto di star andando verso casa di Gaia e non verso la sua.
- Dai, non ti preoccupare. Questo sarà uno di quei temporali estivi che in mezzora iniziano e finiscono, appena la situazione si calma torni da te, adesso ti fermi da noi.- Gli aveva detto lei semplicemente.
Scesi dalla vettura alla fermata giusta si erano accorti che il grigiore si stava espandendo anche sopra le loro teste.
Si mossero rapidi verso il palazzo di Gaia ma rimasero stupiti, perché proprio sotto il balcone della camera della ragazza, pronti a ripararsi da un eventuale nubifragio, si trovavano Beatrice, Antonello, Patrizia e la madre del ragazzo.
La più piccola dei fratelli Olivietti non capì immediatamente cosa stesse accadendo, ma a Simone corse un brivido freddo lungo la schiena.
A lui pareva una scena già vista, una scena che ogni tanto ancora sognava in incubi dai quali non era neanche più capace di scindere la realtà dei suoi ricordi dalla fantasia tragica della sua immaginazione.
E lo capì avvicinandosi sempre di più al balcone che gli incubi sarebbero cambiati e aumentati, da quel momento.
Antonello aveva in mano una copia del giornale cittadino e l'aria di chi doveva essere forte almeno per gli altri.
Le tre donne stavano una vicina all'altra in silenzio, squadrando i due appena arrivati e facendo intendere che i loro sorrisi si sarebbero presto spenti.
Il fratello maggiore sospirò poggiando una mano sulla spalla della piccola e fu allora, quando anche in Gaia si riaprì il ricordo di un momento terribile, che tutto acquistò un drammatico senso.
- I genitori di Giorgio lo stavano cercando da due giorni...- Provò a spiegare senza piangere. - E oggi lui è stato ritrovato su una panchina con un ago in vena. Nessuno ha potuto fare nulla, mi dispiace.-
Gaia e Simone non riuscirono neanche a guardarsi in faccia, lasciarono parlare le urla e le lacrime che non furono in grado di trattenere davanti alla frase terribile di Antonello.
Perché era vero, nessuno aveva potuto fare nulla.
Neanche loro.

                                                                                                               ****

Era scorsa la vita accanto a Gaia, a Simone e alle loro famiglie ancora una volta, quindi.
Lenta e inesorabile si era messa al loro fianco nei panni di quell'amico così problematico e poi li aveva lasciati proprio come con Alfio.
Un funerale con poche persone incredule aveva chiuso per sempre una pagina della loro vita durata quattordici lunghissimi anni.
Era stato quasi peggio della prima volta anche per Gaia, che se con grosse difficoltà aveva superato la perdita assurda di suo padre non si sentiva nelle condizioni di affrontare anche quel momento, quel dolore sordo che le era entrato nell'anima.
Buffo era pensare che entrambe le morti, entrambe le volte in cui la realtà si era scontrata con la sua volta, era successo sul finire di un'estate felice, in un giorno caldo e che nella sua prima parte si poteva considerare anche normale.
Chissà se la vita l'avesse fatto per darle sempre un'ultima gioia prima di distruggerla o perché, bastarda com'era, si divertiva a prenderla in giro.
Il giorno del quarto anniversario della morte di suo papà lei non aveva fatto altro che stare a letto in camera, incapace di reagire.
Era passato così poco tempo dalla scomparsa di Giorgio, appena una decina di giorni, che per lei ricordare tutto insieme il dolore dei suoi neanche vent'anni era troppo.
La mattina dopo però si era rialzata, di nuovo, ancora.
Il lutto aveva stretto il legame tra lei e Simone. Ma lui, oltre che col dolore, conviveva con i sensi di colpa per quell'aiuto che non aveva dato al suo amico.
Si era convinto davvero che ce l'avrebbe potuta fare da solo, che esisteva gente in grado di vincere da sola quel mostro.
Si era convinto, lo aveva fatto per sé, per Gaia e per Giorgio.
Si era convinto ed aveva sbagliato.
Un giorno, distrutto da quel pensiero, era corso dall'amica e l'aveva fatta scendere da casa.
Le aveva raccontato tutto, ogni singolo particolare del loro incontro e ogni pensiero che aveva fatto sull'amico da quel momento in poi.
Le aveva detto dei suoi sensi di colpa e della consapevolezza che in quel momento lei di certo lo stava odiando e ne aveva tutte le ragioni del mondo, ma le aveva anche spiegato la sua necessità di dire tutto, tutto una volta per sempre.
A qualsiasi prezzo, perché purtroppo a sue spese l'aveva imparato, per quanto la verità costasse il conto delle bugie era sempre più salato.
Gaia non aveva detto niente, l'aveva semplicemente stretto al suo corpo, nella speranza di non mandarlo via, mai.
Non le importava più nulla, arrivati a quel punto.
Erano rimasti solo loro.
Malgrado tutti gli amici che avevano e che avrebbero avuto continuando con le loro vite una parte dei loro cuori non si sarebbe mai aperta a niente e nessun altro.
Gaia, Simone, il ricordo e il dolore.

                                                                                                        ****


Appena due settimane prima di compiere vent'anni, un sabato, la ragazza aveva trovato l'amico in quello che un tempo era stato un campo da basket e che in quel momento altri non era se non un pezzo di asfalto rovinato e recintato con ai lati due strutture un tempo definibili canestri.
Era una zona di Genova periferica, povera, degradata.
Quando a casa di Simone le avevano detto che l'avrebbe probabilmente trovato lì si era stupita, ma poi si era ricordata della vicinanza tra quel luogo e la scuola media che aveva frequentato il ragazzo, capendo che in quel campetto distrutto doveva esserci qualche ricordo importante.
- Nessuno si aspetterebbe di vedere il figlio di un attore qui.- Aveva detto cogliendolo di sorpresa.
Lui si era mosso nella sua direzione e si erano seduti in terra a bere dalle bottigliette di coca-cola che la ragazza aveva portato con sé.
- Succedono tante cose che non ci aspettiamo.- Le aveva poi risposto. - Ad esempio quando giocavo qui con Giò non mi sarei mai aspettato tutto questo... ma poi che vuol dire figlio di un attore? Tu di chi ti senti figlia, Gaia Olivietti?-
Lei attese prima di rispondere, perché l'avvertì subito come una domanda difficile, di quelle piene di tranelli.
Riuscì a riorganizzare le idee, a rifare quella domanda al suo io più interno, poi se la sentì di parlare. - Sono figlia di mio padre, sicuramente, anche se manca da anni. Del suo affetto, dei suoi insegnamenti. Ma soprattutto credo, come tutti, di essere figlia del mio tempo, di questi anni maledetti che hanno portato via prima lui e adesso Giorgio. E tu?-
Ma il ragazzo non dette mai risposta a quella domanda, concentrato sulla frase appena detta da Gaia come fosse un passo del libro di testo prima di un esame.
- Vedi perché sono qui? Perché qui il tempo si è fermato a prima, a quando questi anni maledetti come tu li hai chiamati, e sono d'accordo con te, non erano neanche in vista e la felicità era una cosa semplice.-
- Sarebbe bello fermare davvero il tempo, ma non si può, Simo. Non in un campetto da basket della periferia di Genova distrutto dagli anni. Qui non sei fermo, qui sei solo invisibile agli occhi del mondo.- Aveva sospirato Gaia, che ormai da anni sognava il tempo rimanesse immobile ma aveva smesso di sperarci davvero.
- Invisibile? Nel senso che posso non essere visto qualsiasi cosa io faccia?-
- Probabile visto che qui non passa una macchina neanche a pagarla.-
- Quindi posso ridere, piangere, dimenticare di essere figlio di uno famoso, dimenticare che la vita fa schifo e fingere di essere qualcun altro?-
- Beh...- Gaia era rimasta stupita. - Ma che vuoi dire, scusa?-
- Che se non posso tornare indietro, se non posso fermare il tempo, se non posso riavere quello che ho perso mi va bene essere invisibile. Significa essere libero ed è tutto quello che mi manca. Fisicamente, moralmente.
Chissà quanto a lungo si è sentito invisibile Giorgio, cercando disperatamente risposte in qualcosa di troppo grande. Io non voglio fare i suoi errori, a me basta questo campetto. Ma concedimi di essere invisibile, Gaia.
E ti prometto che se è meglio della vita vera ti spiegherò come fare.-
La ragazza sorrise e raccolse il pallone che si trovava a pochi metri da lei.
Lo lanciò verso Simone. - Avanti, raccontami quanto è bello non esistere. Se è così diverso dal viver mentre siamo invisibili possiamo essere felici.-

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* http://it.wikipedia.org/wiki/Irruzione_di_via_Fracchia (se è troppo in alto nel testo è, per capirci, l'irruzione che portò alla morte di quattro terroristi di cui si parla a inizio capitolo.)

Spazio ;Sun

Sono in un ritardo assurdo, lo so. Ma è colpa della scuola, che impegnativa come è stata in queste settimane mi ha succhiato via tempo e anche salute.
Allora, io sono molto dubbiosa su questo capitolo, lo ammetto, ma lascio i giudizi a voi lettori che di sicuro saprete giudicare meglio di me. Francamente temo di essere sempre troppo veloce nelle narrazioni, ma lascio a voi i commenti di qualsiasi genere.
Spero vivamente si fosse inteso dall'inizio che questa non è una storia felice (oddio, non che lo siano molte mie storie) e quindi anticipo che anche sul terzo capitolo qualche fazzoletto andrà preparato.
Spero di postarlo entro il 19 perché poi (finalmente) dovrò fare un piccolo intervento e non so in quanto tornerò in forma per scrivere (si spera poco però!)
Niente, io vi saluto e vi mando un bacio enorme :) Finalmente è arrivato Giugno!
Alla prossima!


;Sun <3

   
 
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