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Autore: Ljn    02/06/2014    2 recensioni
"C’era una volta, tanto, tanto tempo fa, un principe molto amato dalla sua gente per il suo cuore grande e l’animo gentile.
Il principe amava i suoi sudditi con la stessa intensità in cui era amato, ma aveva un amore particolare per una persona. Una persona molto speciale, che il principe aveva cara e custodiva vicino al proprio cuore esattamente come ella faceva segretamente con lui …"
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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I fumi dell'antidolorifico stanno scemando. Non che io abbia smesso di avere la faccia che sembra un melone battuto da un ragazzino violento, ma almeno riesco a dormire la notte con un dente in meno. E meno male, dato che è una settimana che non mangio.
Comunque... so che chi aprirà questo capitolo vorrà la mia testa perchè non è il capitolo della storia che aspetta, ma tant'è.
Questa l'ho pronta, Anima no. E il dente è difficile da ignorare quando devi pianificare qualcosa.
Buon 2 Giugno a tutti!!!!

__. Capitolo Secondo .__

Da quando ero partita dall’ultimo scampolo di civiltà del pianeta, avevo passato giornate intere al telefono con persone che necessitavano di un apparecchio acustico e continuavano a sbattermi il telefono in faccia perché “qua non c’è nessuno”; a litigare con i parenti più giovani dei relitti dei secoli passati di cui sopra che parevano convinti che io volessi truffare le cariatidi in questione; a spulciare archivi che non avevano mai sentito parlare delle meraviglie dell’informatica e in generale a tentare di farmi venire la seconda ulcera.

Il tutto per quasi nulla.

Le storie che mi avevano raccontato andavano da “Biancaneve e i 9 nani” - non erano stati neppure in grado di dimostrarmi l’esistenza dei due nani in più della loro versione - a leggende metropolitane tipo “lo sai che nelle fognature di Tokio ci sono alligatori che divorano chiunque vi si avventuri? E spuntano pure dai cessi. Ti è mai capitato, signorina?” che io ovviamente smentivo. Era New York, quella. … O era Las Vegas? Beh … non era importante. Questi contadini del millennio scorso proprio non sapevano nulla.

Per provare questa ignoranza, avevo raccontato a mia volta la triste storia di Mary, sfigata ragazza inglese (credo) morta di malattia, sepolta e poi resuscitata solo per morire di nuovo per asfissia, inedia, spavento, disidratazione da pianto e chissà di cosa si può morire chiusi dentro ad una bara, cercando di richiamare l’attenzione del padre sempre-presente-a-parte-quella-sera perché impegnato a mettere a letto la moglie sconvolta dal decesso della figlia - o dalla mancanza di erba cipollina nelle tartine al cetriolo alla sua veglia funebre? -, probabilmente facendola pure ubriacare con del tè corretto al gin mentre la figlia moriva di … morte? Si può dire che uno muore perché è morto?

Bah. Insomma … loro ne erano rimasti sconvolti.

Tutti.

E mi avevano fissato – tutti - come se fossi una specie di … non so. Robinson Crusoe? No, forse meglio dire che loro erano Robinson e io Venerdì. O era Mercoledì? No, quella era un’altra famiglia, scusate. Sta di fatto però, che le storie che avevano da raccontarmi erano così banali che pure quella della famosissima Bloody Mary e del modo per evocarla e farsi uccidere successivamente da lei era una sorpresa gradita, per loro.

Era così drammatica e demenziale la cosa, che avevo deciso che al prossimo incontro infruttuoso avrei cambiato storia, parlando della casa che uccideva chiunque vi entrasse, così da potermi distinguere fieramente come la sostenitrice dell’industria nazionale che ero.

Dopo sarei passata alla videocassetta mortale. Capirete pure voi il perché. Non volevo risultare monotona alle mie stesse orecchie e poi è una noia raccontare sempre la stessa storia dell’orrore, anche se la farcisci con sempre diversi particolari. E non volevo neppure essere ricordata come una esterofila con la puzza sotto il naso, tutto sommato. Anche se buona parte del mio modo di fare e pensare lo avevo imparato in scuole straniere.

Avevo pure preso in considerazione l’idea di documentarmi, se fossi stata costretta a sentire altre storie di donne che erano diventate Oni, o Oni che erano diventati uomini, o uomini che erano rimasti incinti di Oni.

… Forse l’ultima opzione è quella che mi ha suggerito il sakè bevuto il dodicesimo giorno, a ripensarci, quindi probabilmente non conta.

Poi c’erano state le storie “vere”: quelle della guerra.

Che per carità. Erano tutte confuse e drammatiche e assurde e comiche, anche se avevo avuto il buonsenso di non scoppiare a ridere in faccia al novantenne che me l’aveva raccontata. Di quelle ve n’erano un’infinità. Come erano infiniti i miti classici con infinite varianti che i più acculturati mi avevano fornito come fossero perle di saggezza.

Peccato che io non cercassi né materiale per un libro di storia, né tantomeno per controllare le fonti di un libro di mitologia giapponese. Per quello c’era già Wikipedia.

Io cercavo storie strane, intrise di mistero, ricche di fascino e commoventi per il pathos che contenevano. Storie di cui nessuno aveva scritto e su cui nessuno mai aveva guadagnato denaro. Ecco cosa cercavo. Di certo non storie usate ormai centinaia di migliaia di volte come materiale didattico per poveri insegnanti e altrettanto poveri studenti disinteressati. Oppure testimonianze che potevano essere meglio usate in libri di storia – quella vera – oppure conferenze sulla pace.

Intendiamoci. Non avevo nulla contro di loro. E in circostanze normali, magari non mi sarebbe neppure dispiaciuto ascoltarle. Ma per il mio incarico valevano quanto un … sorvoliamo sul valore che davo loro in quel momento.

Così era arrivato il fatidico ventiduesimo schifosissimo giorno dalla maledettissima partenza in quella crociata per la conoscenza del poveri - assolutamente fuori contesto dato che se non mi ricordavo male ancora non ci chiamavamo “Terra Santa” - da cui non stavo ottenendo nulla di neppure lontanamente soddisfacente.

Quel pomeriggio, infatti, mi venne dato un suggerimento, a seguito del cedimento dei miei nervi avvenuto in pieno bar superaffollato - c’erano dieci persone - del paesino in cui ero ferma da tre giorni e che mi aveva vista urlante di frustrazione a sfogarmi contro l’ingiustizia della vita che mi aveva portata in un’area della nazione assolutamente priva della minima fantasia favolistica.

- Se vuoi una bella storia, dovresti andare a Konoha.

Suggerimento subito zittito, ma abbastanza pacato e irritato da permettere alla mia curiosità di superare i livelli di rabbia contro le cattiverie del mondo e di accendersi.

- Konoha? E come ci arrivo?

È qui che inizia davvero la mia favola.

 


Per la cronaca, le tartine di cetriolo si fanno con l'erba cipollina, la panna, il burro ... sale e pepe. E il tè... mmmh... volevo dar fa bere alla madre di Mary qualcosa di più spiccatamente alcolico e ufficiale, ma non ricordo il nome del liquore che tante volte ho letto in mano alle dame inglesi dell'epoca, quindi ho optato per un volgare Gin. Chiedo perdono per l'inesattezza storica.
E Diavolo... ora che li guardo da questa prospettiva 'sti capitoletti sembrano proprio corti...
   
 
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