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Autore: TheVirginQueen    03/06/2014    1 recensioni
Elisabeth e Robin si conoscono sin da bambini. Il loro rapporto muta, mantenendosi sempre forte dalla fanciullezza sino all'età adulta. Il regno dei Tudor è la cornice di questa storia, la regina Elisabetta I ne è la protagonista, la storia di un amore mai compiuto ne è l'intreccio.
Si tratta di uno scorcio sull'umanità di un grande personaggio storico ed un umile tentativo di delinearne il profilo psicologico, mettendo in rilievo gli aspetti della vita privata della protagonista, piuttosto che i fatti storici per cui ella è nota. L'amore tra Elisabeth e Duddley è un fatto storicamente accertato. Qui si prova a dargli forma, immaginando i sentimenti e le contraddizioni in cui esso è sbocciato e maturato.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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Cap 3
“Catherine vuole parlarti, ha un dono per te” disse Mary adirata afferrando la sorella minore per un polso e conducendola attraverso i lunghi corridoi del palazzo fino all’ingresso del parco.
 
Mary aveva ventisette anni a quell’epoca. La sua poca bellezza stava ormai sfiorendo e nonostante gli intrighi paterni nessun pretendente aveva mai concretamente richiesto la sua mano. Elisabeth sapeva essere quello un punto debole della sorella, la quale nonostante lo desiderasse con tutta l’anima non riusciva a staccarsi dalla figura del vecchio padre e non riusciva a sostituirlo con nessun’altro affetto.
 
Mary aveva vissuto fino all’adolescenza in una specie di giardino incantato. Seppur col peso di non essere il primogenito maschio che il re aveva sempre desiderato, ella era stata amata e vezzeggiata da tutti, come con Elisabeth non si era mai fatto.
 
Sua madre, Caterina d’Aragona era stata una regina prediletta dal popolo ed una madre sensibile e premurosa. Fervente cattolica aveva sopportato con cristiana rassegnazione i tradimenti del marito, ma era sprofondata in una depressione senza scampo quando quest’ultimo, invaghitosi in modo più struggente del solito per la secondogenita dei Boleyn aveva deciso farsi annullare il matrimonio dal papa.
 
L’onta dell’annullamento non sarebbe stata nulla rispetto all’umiliazione che Caterina, oramai matura d’età, dovette subire col divorzio. Divorzio passato alla storia per essere stato la causa dello scisma della chiesa d’Inghilterra da quella romana cattolica, che la stessa Caterina seguiva da devota cristiana.
 
Nei mesi in cui era rimasta a palazzo la donna aveva dovuto subire l’umiliazione del corteggiamento da parte del marito ad una donna sfacciata, più giovane e bella di lei. Poi quando Henry decise di fare le veci del papa lei fu relegata in una dimora con la sua corte e separata dalla figlia adolescente che venne usata a lungo come arma di ricatto nei suoi confronti.
 
Straniera ed esule in terra d’Inghilterra aveva seguito le vicende dello strampalato marito in silenzio, pregando per la sua anima e per la sua ragazza, la quale era stata dichiarata illegittima alla nascita della sorellastra, nuova principessa e figlia della Boleyn.
 
Si era spenta poi nel 1536, lo stesso anno in cui Anna Boleyn fu condannata alla pena capitale. Lasciò Mary sola al mondo, a contare solo sul lunatico padre. Henry ne serbava un buon ricordo e ne onorava la morte, ma non si capiva se ciò avveniva solo per il senso di colpa di averla abbandonata e fatta consumare di dolore.
 
Sin da bambina Mary non aveva mai brillato per bellezza.  Si era invece sempre distinta per altre qualità quali l’intelligenza, l’immensa cultura, la cieca obbedienza e la fervente fede. In queste ultime due ripresentava palesemente il modello materno.
 
La giovane si era legata al padre quando aveva perso la madre, ma non ne sopportava le bizzarrie né i figli che egli aveva avuto da altre mogli. Il piccolo Edward era solo un bambino esile e cagionevole di salute. Lei lo considerava l’ostacolo più grande alla propria ascesa al trono, pur provandone tenerezza per la sventurata sorte di orfano.
 
La figlia della strega, nata quando lei era adolescente, non era mai riuscita a considerarla ne tantomeno ad amarla come una sorella. E se pure considerata illegittima e lontana dalle mire dinastiche provava nei suoi confronti un’ostilità cieca ed irrazionale.
 
Vedeva in lei tutto ciò che era stata quella screanzata di sua madre e la odiava per essere la testimonianza vivente dell’ignobile delitto che privò la sua stessa madre del suo legittimo ruolo di regina d’Inghilterra.
 
Maria aveva coltivato tutto l’odio sopito di Caterina e lo riversava su Elisabeth, piuttosto che sul vecchio padre. Egli era infatti l’unico affetto che ella avesse sulla terra e non riusciva ad odiarlo, né a dargli colpa delle proprie infinite sventure.
 
Catherine Parr attendeva Elisabeth all’ingresso del giardino. Indossava un abito di seta rosso che ne metteva in risalto il seno generoso e la vita ancora sottile. I capelli bruni erano intrecciati con cura in una complessa acconciatura arricchita da pietre e gioielli che richiamavano la preziosa collana che le ornava il petto bianco e le spille che le abbellivano il corpetto del maestoso abito.
 
Elisabeth non aveva mai visto un ritratto di sua madre, perché il re ne aveva bandito l’esposizione in tutte le sue dimore, ma in quel momento le piacque immaginare che quell’elegante dama fosse sua madre.
 
Dal canto suo Catherine era del tutto consapevole della delicatezza della situazione e dell’infelice sorte di quella ragazzina, che era senza dubbio la più sventurata dei tre fratelli.
 
Il suo non era chiaramente un matrimonio d’amore. Il re, un tempo avvenente e brillante era diventato oramai anziano, obeso, irascibile e dedito al vizio. Lei era da tempo innamorata di un uomo della corte del re e voleva diventarne la moglie.
 
Quando il serrato corteggiamento di Henry si trasformò in una concreta proposta di matrimonio Catherine pianse a lungo. Oltre alla non avvenenza del partito era risaputo oramai che le donne che sposavano il re erano colpite da una sorta di maledizione, per cui se non erano ripudiate o cadevano in disgrazia, sarebbero di certo morte, a causa di una condanna o per morte naturale. Dati i precedenti la prospettiva di quel matrimonio era tutt’altro che rosea, ma quantunque Catherine si sforzasse di uscire dall’impasse non poté rifiutare la richiesta fattale e alla fine accettò.
 
Sapendo di non poter trarre giovamento alcuno dal matrimonio col vecchio re la donna aveva deciso di trasformarlo almeno in una buona azione prendendo sotto la sua protezione gli sventurati figli del vecchio sovrano. Ella stessa aveva perso un bambino molti anni prima e non aveva figli suoi, per cui aveva un forte sentimento materno.
 
Con Maria l’impresa si era rivelata fin da subito disperata ed inutile. La ragazza era quasi sua coetanea. Fingerne di voler essere madre per lei era ridicolo, ma anche i suoi tentativi per conquistarne la complicità di un’amica caddero nel vuoto. La giovane Maria era incernierata nella sua cordiale ostilità e raggiungerne le corde emotive era un’impresa destinata ad essere persa in partenza. Maria considerava questo matrimonio, come i quattro precedenti una follia del padre e non aveva capacità di accettare la nuova componente della sua infelice e strampalata famiglia.
 
Il piccolo Edward era solo un bimbetto esile e malaticcio che si aggrappa alla braccia di chiunque volesse coccolarlo e non era difficile entrare nel suo cuore.
 
La caparbia figlia della Boleyn rappresentava la sfida più interessante per Catherine. La bambina non aveva mai avuto una madre ed era in un’età in cui poteva ancora essere conquistata. Il re non l’amava come si ama una figlia, ma non riusciva a non ammettere che tra le sue creature quella era la più riuscita e probabilmente l’unica che avrebbe avuto la stoffa della sovrana, pur essendo di fatto quella che per le regole della successione ne era più distante.
 
Catherine ne era affascinata da una parte, dall’altra ne provava immensa pena. Doveva essere terribile per lei crescere completamente sola al mondo, con un marchio diffamante cucito nell’anima e contro l’astio sordo e cieco del padre.
 
Elisabeth trascinata da Maria le fu davanti. Si inchinò elegantemente come le avevano insegnato a fare nei confronti degli adulti.
-Stava facendo una delle sue sciocchezze col figlio di Duddley- la rimbrottò Maria acidamente
-adesso abbiamo anche una giovane coppia in famiglia. Con permesso io torno da sua maestà che chiede di me.- Aggiunse e senza tanti complimenti girò i tacchi e sparì nel lungo corridoio lasciando la donna sola con la bambina.
 
Elisabeth provava grande umiliazione a quelle parole. Ancora una volta sua sorella l’aveva fatta apparire stupida e infantile davanti ad un’altra persona, per giunta la futura moglie del re. La sua futura matrigna. Ma la cosa che la feriva nell’orgoglio, era la banalizzazione di un momento che per lei era stato immensamente importante e di cui avrebbe serbato il ricordo per tutta la vita.
 
Abbassò lo sguardo muta verso l’orlo ricamato del suo abito verde, ma non riuscì a dissimulare la rabbia. Gli occhi sporgenti le si riempirono di lacrime e le labbra sottili si serrarono per trattenere i singhiozzi.
 
Catherine colse subito lo stato d’animo della bambina e le si avvicinò inchinandosi affinché fossero faccia a faccia. Le sollevò il viso con le dita affusolate e le sorrise complice. -Cosa stavi facendo con Robert Elisabeth?- le domandò come se fosse la cosa che più le interessava al mondo.
 
-Una promessa- rispose lei entusiasta, ma subito dopo, capendo di aver detto troppo tornò ad abbassare lo sguardo, vergognandosi.
-Le promesse sono molto importanti.- le fece eco la donna seria –E cosa vi stavate promettendo cara?-
-Amore eterno- riprese lei serissima e tirò fuori dalla tasca del vestito il ciondolo con ritratto, poi resasi conto di aver svenduto il suo segreto a quella che fino a poco prima considerava sua nemica aggiunse –Mi prometti di non dirlo a nessuno…di non dirlo a sua maestà?-
-Lo prometto di certo- aggiunse lei sorridendo ed alzandosi nuovamente in piedi. Poi aggiunse, per cementare quella neonata complicità –Non avercela con tua sorella, lei non può capire queste cose, lei di promesse così non ne ha mai fatte- e le strizzò l’occhio.
 
Entrambe scoppiarono a ridere. Una brezza leggera si era sollevata nel parco. L’aria si riempiva del profumo dei roseti che erano là attorno da secoli. La più giovane delle rose dei Tudor sperimentava per la prima volta nella sua vita cosa volesse dire avere una madre ed avere nel cuore un amore appena nato.
   
 
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