Furry Love
Won't someone please take me home?
It's a damn cold night
Trying to figure out this life
Won't you take me by the hand,
take me somewhere new?
I dont know who you are
but I'm with you.
I
giorni successivi Jason si mostrò, se possibile, ancora
più indisponente del solito lanciandomi continuamente
occhiatacce e alternandole con battutine pungenti sotto lo sguardo di
Joanne che invece non perdeva occasione per mormorare “te
l’avevo detto”.
Quando quella mattina arrivai in ufficio pronta all’ennesima
giornata di inferno, notai che le pratiche si erano accumulate in modo
spaventoso e una pila di carpette troneggiava minacciosa sulla mia
scrivania; ne afferrai una, la più esterna, e la aprii.
Era una causa che avevo affrontato per conto di Jason e il termine per
il deposito scadeva a giorni, ragion per cui mi serviva assolutamente
una sua firma. Dovevo mettere da parte, con una certa urgenza,
l’istinto di trucidarlo e di tagliargli quella sua lingua
biforcuta e soprattutto dovevo trascinarmi fino al suo ufficio e
bussare. Poche semplici mosse che però costavano una fortuna in
termini di orgoglio e fastidio.
Joanne parlava velocemente con il ricevitore premuto contro
l’orecchio scribacchiando appunti sull’enorme blocco ce
occupava mezza scrivania e non potei neanche chiederle se Jason si
trovasse o meno nel suo ufficio, perciò mi avviai lungo
l’ampio corridoio soffermandomi sul panorama londinese che mi
accompagnava scorrendo oltre le grandi vetrate alla mia sinistra.
Sentii delle voci e mi bloccai davanti alla porta dell’ex ufficio
dell’avvocato Russell senior, interdetta. Non veniva praticamente
mai allo studio e soprattutto non riceveva più clienti.
-Sta tornando, ti dico, e credo proprio che tu debba fidarti. Lo sai
che il nostro Signore non tollera alcuna indecisione, un tempo saresti
stato pronto a tutto per lui.- una voce melliflua aveva pronunciato
quelle parole e pochi istanti dopo giunse la risposta di Russell.
-Un tempo, prima che uno stupido moccioso lo mettesse al tappeto, Lucius..
-Fossi in te non parlerei così di lui, non è mai stato particolarmente incline al perdono.
Le parole del suo interlocutore suonavano tremendamente come una
minaccia ed io non riuscivo ad allontanarmi da quella porta, come
incatenata.
-La fuga di quel Black ha sollevato un gran polverone e il vostro stupido ministro si mostra particolarmente sospettoso.
-Non è il mio ministro, lo sai.
-Fudge lo è invece? Un inetto. Cieco e vanesio.
-Che diamine stai facendo, Kane?
La voce di Jason mi fece sobbalzare ed allontanare dalla porta, come scottata.
-Io..ehm, cioè non.. ti stavo cercando e..- colta alla
sprovvista e troppo sconvolta per quella insolita conversazione non
riuscii a trovare una scusa degna di essere definita tale neanche
quando la porta si aprì mostrando due figure dall’aria
decisamente infastidita.
-Avvocato Kane, quale piacere.
Lucius Malfoy, il braccio destro di Fudge, si stagliava, biondo e
tronfio come sempre, sulla soglia fissandomi con un piglio minaccioso.
-Kane non mi sembra di averla fatta chiamare, non origliava quando era
una semplice praticante e lo fa adesso?- mi chiese stizzito Russell
incrociando le braccia al petto e incurvando le sopracciglia
cespugliose.
Era un uomo distinto ed elegante, la versione anziana del figlio,
altrettanto bello nonostante l’età e caratterialmente
molto simile a Jason.
-Mi scusi, passavo per caso, cercavo Jason io non.. non avevo alcuna intenzione di..
-Fossi in lei non ficcherei il naso negli affari di chi l’ha resa
quel che è oggi, avvocato.- mellifluo e sgradevole come sempre
Malfoy stava ancora saldamente ancorato al suo bastone da passeggio,
totalmente inutile a mio avviso, considerata l’età affatto
avanzata. Non avrebbe potuto avere più di quarantacinque anni ed
era di certo in ottima salute.
-Ho delle cose da sbrigare, ad ogni modo. A presto, Russell. Jason.-
ignorandomi bellamente si incamminò verso
l’uscita.-Conosco la strada.
Quel giorno restai a lavorare sgranocchiando un panino anche durante la
pausa pranzo e così per tutto il pomeriggio impiegando il doppio
del tempo anche per le cose più semplici troppo distratta dal
ricordo della conversazione che avevo ascoltato per concentrarmi
davvero sul lavoro. La montagna di scartoffie, tuttavia, non si sarebbe
di certo dissolta nel nulla e per questa ragione restai in ufficio
anche quando tutti se ne furono andati, compreso Jason non senza avermi
rivolto un paio delle sue solite frecciatine.
Quando guardai l’orologio, sfinita, mi accorsi che erano ormai le
due e mezza passate della notte e mi decisi a tornare a casa per
concedermi una doccia e qualche ora di sonno.
Purtroppo quando le cose vanno male la sorte ne approfitta per
ricordarti che non c’è fine al peggio e una volta salita
in macchina l’unica cosa che ottenni girando la chiave fu un
fastidioso stridio.
-Che cavolo, vuoi metterti in moto?- provai ancora e ancora per almeno un quarto d’ora ma senza il minimo risultato.
-Porca buttana.- diedi un pugno al volante e scivolai fuori
dall’abitacolo lasciandomelo alle spalle, posteggiato nel
parcheggio dello studio.
Quando raggiunsi la metropolitana la trovai deserta e con una rapida
occhiata appresi che la prossima metro non sarebbe passata prima di
dieci minuti.
Troppo assonnata anche solo per pensare mi abbandonai su una panchina, distrutta.
Quella giornata era stata un inferno e non vedevo l’ora di
tornare a casa, coccolare un poco Rain e affondare la testa nel mio
adorato e morbido cuscino perché si, io il letto lo usavo per
dormire.
-Cosa usi contro le ragnatele, Kane? Perché sono sicuro che comincino a diventare un problema.
Jason sapeva essere davvero inopportuno e sgradevole quando ci si
metteva e quella era solo una delle tante battutacce con le quali mi
aveva deliziata negli ultimi giorni e il fatto che continuassero a
vorticarmi in testa a quel modo mi infastidiva più della loro
cattiveria vera e propria.
Un lampo di luce catturò la mia attenzione e il mio sguardo
volò fino all’imbocco della metro dalla quale si
intravedevano delle ombre via via sempre più vivide.
Sembravano degli uomini incappucciati e quando sbucarono oltre il varco
ne ebbi la conferma. Erano in tre e camminavano a passo spedito nella
mia direzione.
Mi guardai intorno e mi ricordai di essere completamente sola quando un
raggio mi mancò di poco, dritto dritto oltre la mia spalla.
Terrorizzata presi a correre verso l’uscita voltandomi di tanto
in tanto e trovandomi quegli uomini ancora alle calcagna nonostante non
accennassero ad affrettare il passo, sembrava proprio che non ne
avessero bisogno.
Corsi a perdifiato realizzando solo in quel momento che quella stazione
della metro doveva essere in assoluto la più ampia di Londra
perché nonostante i miei piedi si muovessero veloci non avevo
ancora raggiunto l’uscita.
Quando giunsi a pochi metri dalla mia unica via di fuga vidi altre due
ombre segnalare la presenza di nuovi uomini incappucciati e mi bloccai,
raggelata.
Ero spacciata. A qualunque setta appartenessero io ero ufficialmente
l’agnello sacrificale per chissà quale strano rito si
sarebbero apprestati a compiere e non avrei potuto fare nulla per
evitarlo.
Evitai l’ennesimo raggio rosso raggomitolandomi su me stessa,
troppo spaventata anche per chiedermi quale fosse la sua origine e
pochi istanti dopo mi trovai circondata.
Uno di loro si fece avanti ed io istintivamente indietreggiai cozzando contro il petto di uno dei miei inaspettati aguzzini.
-Che cosa volete?- sputai ormai rassegnata tirando fuori l’unico
sentimento che mi teneva in piedi e mi impediva di svenire e restare
definitivamente inerme in mezzo a loro. Non risposero ma l’uomo
contro il quale avevo sbattuto mi afferrò stringendo le dita
sulle mie spalle.
-Ho dei soldi in borsa se è questo che cercate e non ho addosso gioielli di valore, spiacente.
-La babbana è persino impertinente, oltre che ficcanaso.- gracchiò uno di loro.
Non sapevo di cose stesse parlando e nonostante la tragica situazione
quell’insulto mi suonò parecchio insolito. Erano pure
squilibrati, altro che delinquenti.
Ero finita in mezzo ad un branco di invasati che mi avrebbero staccato
la testa e avrebbero di certo usato il mio teschio come vaso per
crisantemi, grandioso.
Avevo sempre sentito dire che nelle situazioni estreme
l’adrenalina faceva strani scherzi e se nel mio caso
l’unica cosa che avevo ottenuto era un incremento al mio dark
humor era stato davvero un grande affare, sul serio.
-Gettala sui binari, sembrerà un incidente.
-Cosa? Hey, non..
Prima che potessi dire qualsiasi cosa l’energumeno mi spinse con
forza sulle rotaie facendomi sbattere violentemente la caviglia.
Provai ad alzarmi ma doveva essere rotta perché rovinai sui binari gelidi, gemendo.
Gli uomini incappucciati erano scomparsi abbandonandomi alla morte più atroce che si potesse immaginare.
Avevo spesso pensato, da bambina, a quanto strana sarebbe stata la mia
morte e crescendo avevo accantonato i conflitti tra supereroi e tutto
il resto immaginandomi circondata da figli e nipoti e magari con la
mano dell’uomo che amavo stratta alla mia. Niente di tutto
ciò su cui avevo fantasticato sarebbe avvenuto, né i
supereroi né l’amore di alcun figlio, nipote o marito;
sarei morta quella notte sotto una stupida metro e magari non mi
avrebbero neanche riconosciuta, ridotta a brandelli.
L’odore di benzina e di umidità invase le mie narici
mentre mi trascinavo verso il margine, poggiando la schiena contro la
fredda pietra.
Un abbaio fortissimo mi fece sollevare lo sguardo e vidi Rain correre verso di me, lungo il marciapiede della metropolitana.
Doveva essere un’allucinazione o comunque un cane che gli
somigliava perché il mio Rain era chiuso in casa e ci sarebbe
rimasto a lungo, pensai amaramente, finché i miei genitori non
fossero venuti a raccattare le mie cose per mettere in vendita
l’immobile.
Stavo davvero pensando ai miei genitori che vendevano la mia casa in seguito alla mia prematura dipartita?
Il campanello mi avvertì che la metro si stava avvicinando e pochi
istanti dopo vidi i fari e sentii il terreno sotto di me tremare
fortissimo.
-Hannah.
Fu tutto troppo veloce: quella voce apparteneva ad uno strano uomo,
forse un angelo avvolto in uno scuro e lungo cappotto di pelle che mi
afferrò poco prima della fine e in un battito di ciglia,
inspiegabilmente, il paradiso si rivelò essere il salotto di
casa mia. E poi il buio.