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Autore: IreChan    14/06/2014    4 recensioni
" Parlami di lui. Di Giovanni, di mio padre, parlami di come l'hai conosciuto, di come avete deciso di... Avermi e perché... Mi avete... respinto” [...] “ Dimmi del Team. Voglio sapere tutto. Almeno ora che... lui è sparito. ”
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Memorie di Atena dopo l'ingresso nel Team Rocket.
( Silverspawnshipping )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Giovanni, Silver, Team Rocket
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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Indovinate chi è tornata a romp*coff* a deliziarvi con la sua fanfiction. Già. Io. *risata malefica*
No, facciamo le persone serie. Scusate il ritardo, ma la scuola mi ha tenuta impegnatissima. Ma ora, contentissima dei risultati finali, ritorno su efp a scrivere della mia amata silverspawn. Sono stata contentissima di incontrare, dal vivo e per caso, persone che hanno letto "Affari di famiglia" e l'hanno apprezzata. Penso sia stato uno dei momenti più bellini della mia vita, ecco. Okay, smetto di tediarvi. Buona lettura!
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Inspirò ed espirò ripetutamente mentre i suoi sensi tornavano ad acuirsi, la vista per ultima.
L'immagine che aveva di fronte agli occhi, sebbene un po' sfocata, era per lei facilmente riconoscibile. Il capo. Che ancora una volta la sovrastava.
Atena, ancora stordita, non riusciva ancora a decifrare bene la sua espressione, non riusciva a capire in alcun modo se fosse furente, indifferente o anche solo sorpreso.
Nulla.
Il volto dell'uomo le appariva solo come una massa sfocata priva di alcun sentimento o emozione.
Così, allungò una mano per sfiorarlo, per capire se si trattasse di una mera illusione o se, invece, fosse reale.
Lui si ritrasse bruscamente.
Più chiaro di così, pensò.
Dunque niente amore folle e improvviso, nessuna dichiarazione, come la parte del suo cervello che ancora apparteneva a quella ragazzina sognatrice aveva -sotto sotto- sperato.
Cercò di muoversi ma la sua testa, ancora ottenebrata per via di ciò che era avvenuto, e i suoi arti, che avevano preso a formicolare, glielo resero sgradevole, se non addirittura complicato. Decise dunque di rinunciare a quel futile tentativo.
Sbattè ripetutamente le palpebre.
L’immagine che le si presentava davanti era rimasta immutata dal momento in cui aveva riaperto gli occhi. Lui non si era mosso, né aveva parlato.
Una forte nausea la prese, ma non capì se fosse dovuta alla gravidanza o, più semplicemente, a quella fortissima delusione, condita con un pizzico di rabbia e frustrazione.
All'improvviso fu sollevata da terra.
Non l'avrebbe mai detto ma, nonostante tutto, erano proprio le braccia di Giovanni a sostenerla.
Mi faccio pena da sola, pensò, senza accorgersi di quello che stava accadendo. Era troppo occupata a rimuginare su tutta quella situazione così ridicola.
Non aveva mai voluto un figlio, men che mai in quel modo.
Un figlio, dannazione. Un figlio era una responsabilità, richiedeva ben altra situazione rispetto a quella che stava avvenendo intorno a quel pericoloso giochetto erotico.
Lei aveva voluto il potere. E si ritrovava con un pancione.
Poi si accorse di aver cambiato posizione. Come diavolo era arrivata in piedi? Ah, l'aveva sollevata il capo.
E perché diavolo i suoi piedi non toccavano terra? Ah, la stava tenendo in braccio.
Appena quest'immagine riuscì a raggiungere il suo cervello, ancora confuso e annebbiato, sgranò gli occhi.

“M-Ma... Cosa...”

Balbettò, senza neppure avere un'idea precisa di ciò che avrebbe voluto dire davvero. La sorpresa era troppa.
Ma, così come aveva ripreso ad illudersi, si ricordò d'un tratto che lui non le aveva ancora detto nulla, non aveva reagito.
Quel suo gesto poteva avere molti significati. E non tutti positivi. Anzi, in quella situazione certamente nessuno di essi poteva essere positivo.
Cercò nuovamente di scrutare il suo volto, alla ricerca di qualche conferma. Impassibile. Quell'uomo non avrebbe mai finito di stupirla.
Così come era finita tra le sue braccia, all’improvviso, si ritrovò nuovamente in posizione eretta, mentre lui la squadrava da capo a piedi. Le sembrò -forse fu solo un'impressione- che il suo sguardo si fosse concentrato sul suo ventre. Istintivamente, gli fece scudo con le braccia, quasi a voler difendere chi c'era dentro da quell'uomo apparentemente così freddo e privo di scrupoli.

E, d'un tratto, realizzò. Lei era solo un incidente di percorso, una macchia in un piano apparentemente perfetto, un piano che comprendeva solo che il capo si sollazzasse a suo piacimento con il suo corpo.
E, se davvero aveva imparato a conoscerlo, avrebbe fatto di tutto per eliminare quel piccolo problema.

“... Mio?”

Atena sbatté le palpebre, confusa. Persa nei suoi pensieri, non aveva ascoltato la sua domanda.

“Come...?” sussurrò lei.

 “Mi ascolti, quando parlo.” proferì il capo in un tono ritornato sicuro e imperioso.

“Ti... Le ho chiesto... È mio?” ripetè.

La ragazza si chiese perché continuasse forzatamente a darle del lei. Tutto sommato si erano “conosciuti” in una maniera molto più intima rispetto a un semplice rapporto tra capo e sottoposto. Inoltre, portava suo figlio in grembo. Non era una cosa da poco.
Era una dannata forzatura, ecco di cosa si trattava, solo per farle capire chi davvero comandasse lì. Era furiosa. E sul punto di scoppiare in lacrime.

“Certo che lo è, mi pareva volesse l'esclusiva... Capo.”

Lo sforzo che fece nell'aggiungere quell'ultima parola fu immane.

Al diavolo. Al diavolo lui e il team. Era solo una pedina. Un'inutile pedina con un paio di tette.
Si accorse che sembrava così calmo. Quasi rilassato.
Lei, invece, era un fiume in piena, un tumultuoso torrente di emozioni che si ammassavano e prendevano il posto di altre nel giro di pochi secondi.

“Ah.”

Stranamente non aveva colto la velata provocazione. Magari stava cercando il modo di risolvere nel modo più veloce ed efficace possibile quell'increscioso problema. Un pargoletto urlante, peraltro avuto da una donna per la quale non provava sentimenti di alcun tipo, men che mai amorosi, sicuramente non rientrava nei suoi piani di dominio.
Lo vide muovere le labbra, ma alle sue orecchie non giunse alcun suono.
Si ridestò, ascoltandolo.

“... Capisce, dunque, che è un enorme problema?”

Lei tacque volontariamente.

“Mi ascolti. Devo... Ponderare attentamente la situazione...”

Silenzio.

Ponderare attentamente la situazione, eh? La faceva sembrare una cosa facile, risolvibile mediante qualche ragionamento, qualche confronto. Non più difficile di quando si occupava di ottenere più profitto possibile da qualche commercio illegale.

“...Dunque... Per il momento è congedata.” terminò, indicandole l'uscita.

E, senza aspettare altro, Atena si fiondò in quella direzione, per poi tirarsi dietro la porta.
Se fosse stata più attenta, si sarebbe accorta di Giovanni che si abbandonava, quasi turbato, sulla sua sedia.
Iniziò a camminare senza una meta, seguendo percorsi noti solo ai meandri più reconditi del suo cervello, mentre i tacchi dei suoi stivali sbattevano rumorosamente contro il lucido marmo del pavimento.
I pensieri che le balenavano in mente ora le scatenavano ira, ora le mettevano in corpo una tristezza inimmaginabile.

Al diavolo. Al diavolo tutti. Al diavolo Giovanni, al diavolo i sentimenti che provava per lui. Al diavolo i generali, al diavolo Maxus. Che finissero i loro giorni nel Mondo Distorto.
Ma, nel bel mezzo di queste imprecazioni pronunciate dentro di sé, fu interrotta da un chiacchiericcio concitato.
No, non poteva essere. Non in quel momento.

Eppure, tutti i suoi peggiori sospetti divennero realtà quando la figura di cui aveva riconosciuto la voce le capitò davanti.
Maxus.
Insieme a due giovanissimi generali di cui non ricordava il nome, tanto era il suo interesse nei loro confronti.

Appena lui la vide, gli si illuminarono gli occhi.
La ragazza si preparò al peggio.

“Rossa!” ridacchiò quest'ultimo, avvicinandosi.

“Si stava proprio parlando di te, qui.”

Gli altri due sghignazzarono. Atena li ignorò.

“Farai la mammina, eh? Splendido futuro. Dominio di Kanto, soldi e pannolini. Spettacolare.”

Atena notò quanto quei tre sembrassero infantili, nemmeno fossero bambini appena entrati alla scuola per allenatori.

“Ma qui ci stavamo chiedendo... Quando troverai un po' di tempo per noi? Non è giusto che solo il capo usufruisca di quel bel davanzale!”

E giù a darsi di gomito e a ridacchiare.
Lei si sforzò, ancora una volta, di mandare giù quel boccone amaro. Ma le era impossibile, ora. Non era il momento giusto per provocarla.
Silenziosamente si avvicinò ancora di più a Maxus, assottigliando gli occhi. E gli assestò un fortissimo ceffone in pieno volto.
Tutti tacquero.
Atena voltò le spalle e si mise a camminare nella direzione opposta, riprendendo a sbattere i tacchi contro il pavimento.

Il generale più anziano era a metà tra la sorpresa e il dolore.
Gli altri due erano a metà tra la soggezione e lo stupore.
L'unico generale donna, finalmente con un po' di soddisfazione, era già a metà del corridoio successivo.

 
   
 
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