Capitolo 1.
La
voglia di ricominciare era
forte, adrenalinica, come quella di un bambino il primo giorno di
scuola. Il profumo di
un nuovo ambiente, di qualcosa che aveva visto solo in foto prima di
quel
momento, ora gli si presentava davanti al naso come un piatto di pasta
fumante
pronto ad essere divorato. Perlomeno, pensò mentre osservava
un
uomo malandato e solo accasciarsi sul tavolino di fronte a lui con una
delle tante birre in mano, il meglio doveva ancora venire. Meglio di
cosa, poi, nemmeno lui lo sapeva, poichè un ventenne che
della
vita sa poco e niente, ne sa altrettanto di una vita nuova e mai
vissuta prima.
Ma ne valeva la pena, lui lo sapeva, altrimenti non avrebbe mai
rischiato di andarsene di casa senza una meta precisa, senza un lavoro,
senza un futuro già servito su un piatto d'argento come il
conto
che una grassoccia signora di mezz'età gli aveva poco
garbatamente sbattuto sul tavolo. Harry non badò
più di
tanto ai modi di fare della proprietaria della locanda, o osteria, o
quel che era, lui era il tipo pacato sempre pronto a sfoderare il
più triste dei sorrisi in qualsiasi momento, per questo si
alzò dalla sedia di pelle rossa e consunta,
lasciò quel
che doveva al bancone e uscì, stringendosi nelle sue grandi
spalle.
Milano, l'Italia, l'Italia che aveva sempre guardato dalle e-mail della
zia da bambino, ora era tutta davanti a lui, sebbene il ragazzo inglese
non ne capisse quasi nulla della lingua italiana e dell'Italia in
generale. Infatti, ad ogni angolo c'erano persone diverse da quelle che
aveva sempre incontrato: persone con il famoso tramonto di Milano negli
occhi, quelle che erano lo specchio di Harry in tutto e per tutto,
quelle che hanno una passione che brucia perfino nelle loro vene,
persone che hanno qualcosa per cui sognare, persone col cuore rotto,
con lo sguardo pieno e le tasche vuote, ma anche le solite persone
stanche, frettolose, persone vuote, superficiali, prese dalla vita
frenetica di questi giorni, persone sgarbate e tipically italian,
come avrebbe brontolato suo padre se fosse stato lì.
Suo padre, forse un po' gli mancava, la presenza paterna intendo,
perchè come avrebbe potuto sentire la mancanza di uno
sguardo
sempre burbero che non si era mai interessato ad andare oltre, di un
uomo che non aveva sprecato mai nemmeno una parola per scoprire chi era
davvero suo figlio? Forse gli mancava di più la mamma, che
da
quando il papà era cambiato, anche i suoi occhi erano
cambiati.
Harry ricordava a stento le sue iridi dolci e garbate, aveva
più
presenti quelle vuote e verdi come l'oceano fuso alle cupe nubi
invernali, un po' come le
sue, solo che le sue non erano mai state accese da un guizzo
d'allegria. La
maledizione degli artisti,
gli ripeteva sempre la sorella, che forse era quella che gli mancava di
più. Ma "ti verrò a trovare" rimaneva nel suo
cuore a
confortarlo, quindi scacciò una lacrima di malinconia che
stava
per rigargli il viso e proseguì il suo cammino verso il suo
alloggio.
-Ma quale artista...- mormorava fra sé e sé il
ragazzo,
con il muso fiondato nella sua voluminosa sciarpa blu. Infatti, per
quanto Harry sapesse di cosa era capace, non avrebbe mai creduto di
potersi ritenere un artista. Artista era una parola grossa, artista era
Picasso, erano Klimt, Monet, Van Gogh, artisti
erano i ballerini di
quella famosa Scala della città dove si trovava in quel
momento,
erano Dante, i poeti decadenti, i romantici e tutti i premi nobel alla
letteratura, artista
era qualche grande della storia della musica, era anche il
ragazzo
che girava per Londra dando vita ai più incredibili
graffiti. Ma
lui chi era? Lui era Harry Styles, disegnatore, pittore probabilmente,
era solo un ragazzo che a dieci anni aveva deciso di cimentarsi nel
disegno e ci era riuscito, e questa passione si era gonfiata a tal
punto di diventare il suo pane quotidiano, ma lui
non era nessuno.
Perdendosi nei suoi pensieri da maledetto,
non si era accorto che era arrivato a quello che doveva essere il suo
alloggio. Vicolo dei lavandai, posto trovato su Internet e di cui si
era innamorato perdutamente, e che con la tecnologia di oggi era
riuscito a raggiungere. Ovviamente, aveva fatto le sue ricerche, e
aveva notato che non era un luogo spesso frequentato da turisti e da
una movimentata vita notturna, aveva letto di come nell'ottocento
questo luogo fosse adibito al lavoro dei lavandai, si era perso nella
storia dei vari vicoli e delle tradizioni del non lontano centro di
Milano, e aveva iniziato a viaggiare con la mente, e aveva iniziato a
viaggiare con la matita e con la tempera, con la china, con i pastelli
e con il cuore, e i suoi disegni non rendevano giustizia a
ciò che si era trovato davanti.
Perse circa cinque minuti a cercare maldestramente le chiavi
arrugginite del suo nuovo e striminzito appartamento, infiltrate in un
angolo della borsa a tracolla in cui il suo blocco aveva la
priorità. L'odore di antica casa fredda e ristrutturata
invase
le sue narici, l'arredamento era spoglio e anonimo, ma per il prezzo
pagato, pensò, non poteva lamentarsi. La sua testa era sul
punto
di esplodere quando pensò a tutto ciò che aveva
da fare
da lì in poi: un trasloco sembrava facile all'inzio, ma non
lo
era affatto. Trascinò i suoi piedi e i suoi bagagli fino a
quella che doveva essere la sua camera, volse un pietoso sguardo al
polveroso letto di legno e alzò gli occhi al cielo, cercando
un
divino aiuto di un arredatore, o, eventualmente, di un miracolo.
Gironzolò per casa, tenendo l'orecchio teso ai rumori della
sua
nuova routine: tutto il vicinato era tranquillo, si chiese addirittura
se fosse il caso di andare a presentarsi ma per non disturbare decise
che era meglio sistemarsi e abituarsi. Ma quanto ci sarebbe voluto ad
abituarsi davvero?
-Merda!
Il solito buongiorno a casa Tomlinson, un'imprecazione per volta a
scuotere quelle quattro mura vuote, dove gli unici esseri viventi a
metterci mai piede erano un venticinquenne sperduto nella sua stessa
mente e un gatto capitato lì per caso, senza nome, come quel
micio in Colazione da
Tiffany. Oltre alle numerose ragazze capitate tra le
lenzuola di Louis, per volontà o per caso.
Ad ogni modo, il caffè quella mattina aveva dato segno che
la
caffettiera arrugginita era da buttare, e il ragazzo sbuffando si
rivestì in tutta fretta per scendere al bar e sprecare dei
soldi
per un caffè che, come sempre, gli avrebbe fatto schifo, e
l'avrebbe messo di cattivo umore per il resto della giornata. Non che
gli altri giorni sprizzasse di simpatia e cortesia, ma ci si poteva
comunque lavorare.
Marlene lo vide entrare di pessimo umore, e Marlene era una delle poche
del luogo a sapere come prendere davvero quel ragazzo, così
preparò alla svelta quel famoso caffè annacquato
e i
biscotti secchi del giorno prima, accostati al quotidiano che
distrattamente Louis avrebbe sfogliato brontolando. Louis faceva sempre
finta di non prestar attenzione all'attento modo di fare della donna,
ma in realtà ci teneva molto.
Marlene era una di quelle che non sai se definire ragazze o donne, una
di quelle sulla trentina, che hanno gli occhi di chi ne ha passate
tante e l'aspetto stanco ma fresco delle margherite alle 18 di sera.
Era quella che era rimasta incinta e che nonostante tutte le botte
ricevute dal padre e dal fidanzato aveva tenuto la bellissima bambina
che ora, dieci anni dopo, le stava accanto e colorava un disegno, ed
era anche quella a cui Louis lasciava la mancia e rivolgeva un sorriso,
quando tutto andava bene. Louis, sotto sotto, la ammirava e la studiava
con uno sguardo cortese che riservava a pochi, o quasi a nessuno, ed
era l'unica che non fosse mai finita nel suo letto, sia
perchè
aveva molto più cervello delle altre e sia perchè
meritava rispetto. E, ovviamente, era quella che era finita in numerose
pagine scritte proprio da lui.
Anche lui era un artista, la differenza però era che
aveva la convinzione necessaria a definirsi tale senza avere bisogno
dell'approvazione di qualcun altro. Quante volte i suoi lavori erano
stati giudicati non sufficienti? Tante, almeno quante volte lo avevano
buttato fuori per il suo temperamento aspro e il suo stile amaro, ma a
lui non importava. Lui era Louis Tomlinson, e, che alla gente piacesse
o no, l'ultima cosa che gli interessava era perdere se stesso per
essere accettato.
E così scriveva, scriveva da quando la maestra gli diede il
primo tema per casa, e da lì si era innamorato del mondo
magico
che poteva costruirsi con una penna cancellabile e un foglio staccato
clandestinamente da un quaderno.
Cosa vuoi essere da
grande?
Il titolo assegnatogli lampeggiava sul foglio,
scritto in rosso e con tutti quei fronzoli tipici della calligrafia
infantile da terza elementare, che a vent'anni ancora conservava. Se a
quell'età avesse saputo fare uso dei cliché, e,
soprattutto, se avesse saputo definire il concetto di
cliché, avrebbe scritto "voglio essere felice", tipico dei
finti depressi che si dedicano frasi di John Lennon a vicenda, per poi
spiegare alla maestra che non era lui a non aver colto la consegna, ma
lei a non aver capito la vita. Comunque, non era andata
così. Come ogni bambino maschio amante del centro
dell'attenzione, nato e cresciuto in mezzo a cinque sorelle e prematuro
evasore dal mondo femminile, il primo obbiettivo nella sua testa era
diventare un calciatore. Naturalmente la maestra non
commentò la sua scelta, perchè a un bambino non
vai a dire che è sbagliato sognare in grande e nemmeno
giudichi i suoi sogni, ma Louis desiderava tanto che l'avesse fatto.
Crescendo si era rivelato davvero abile con la palla, ma era pur sempre
un ragazzo troppo profondo e diverso dagli altri per non rendersi conto
che quel mondo non era adatto a lui, perchè nei suoi sedici
anni sapeva già che in un ambiente dove corruzione e
ignoranza dominano non c'è spazio per una grande mente.
Così, dovendo scegliere tra piedi e testa, scelse l'ultima e
partì per studiare Lettere a Milano. Sapeva benissimo che di
una qualche laurea o certificazione non se ne sarebbe fatto nulla, ma
qualcosa in lui lo spingeva ad andarsene verso la prima meta che lo
avrebbe ispirato e nulla lo avrebbe fermato.
E così eccolo lì, sicuro di sé, duro e
deciso nelle sue incertezze, alla ricerca di tutto trovando sempre il
nulla, a camminare nervosamente verso casa poichè aveva
dimenticato un libro da portare in aula. Le sue gambine esili e corte
lo aiutarono a salire quelle infinite rampe di scale del palazzo che
lui definiva "fatiscente", ma che di fatiscente non aveva proprio
nulla, solo che non era provvisto di un ascensore. Scese altrettanto
velocemente, dirigendosi all'università senza nessun mezzo
di trasporto. Era una bella giornata e la bici e il pullman l'avrebbero
portato lì troppo velocemente. Non si curava del ritardo, ma
andava comunque a passo spedito, attento a non incrociare lo sguardo
dei passanti a cui avrebbe dovuto rivolgere un'occhiata di cortesia o
addirittura un sorriso e un saluto. Immerso nei suoi pensieri e nei
suoi appunti disordinati, finchè un secondo dopo non si
ritrovo quasi a terra dove giacevano i suoi libri.
-Puoi stare attento a dove metti i piedi, imbranato?!-
esordì Louis perdendo definitivamente le staffe e anche
l'occasione di non avere l'umore nero quella giornata. Non si concesse
neanche il tempo di guardare in faccia il malcapitato che gli aveva
fatto cadere i libri, che già era chino a raccoglierli
tutti.
-Mi dispiace!- rispose sconsolato l'altro, nascondendo un po' l'essersi
mortificato per via della schiettezza con cui era stato chiamato
imbranato, dato che sapeva benissimo di esserlo, con la sua statura per
nulla comoda e tutto il suo corpo che sembrava spoporzionato
confrontando una parte con un'altra. Non si piegò ad
aiutarlo, aspettò che Louis si rialzasse per serrare le
labbra in segno di scuse, ma tuttavia lui sembrava non accorgersene.
-Fa niente.- disse infine dopo aver risistemato le cose, pronto ad
andarsene. Ma un -Io sono Harry- lo fermò prima di girare i
tacchi.
Rimase un po' interdetto, indeciso sul da farsi, se porgere la mano e
fare come se non lo avesse appena insultato o non rispondere affatto,
tanto chi l'avrebbe rivisto più quell'Harry. Stranamente, la
gentilezza prevalse e così le sue dita corte dalle unghie
mangiucchiate strinsero quelle grandi e affusolate del ragazzo alto
dagli occhi verdi. Se gliel'avessero chiesto, così l'avrebbe
descritto. Grande, grande in tutto, due grandi occhi di un grande verde
inespressivo, un grande sorriso per un grande e grazioso e al contempo
affatto armonioso viso, incorniciato da grandi ricci castani, grande
statura e grande capacità di attirare l'attenzione sul suo
aspetto. Interessante, decisamente interessante.
-Tomlinson- fece schiudendo appena le labbra restando ad ammirare il
viso di Harry per un po'.
Harry sollevò timidamente le spalle e si
risistemò la sciarpa, deciso a superare quel momento
imbarazzante e congedarsi da quel ragazzo che, in realtà,
gli metteva un po' i brividi.
-Allora ci si vede, non vorrei che facessi tardi.- sorrise timidamente
sorprendendosi di quanto fosse difficile scambiare due parole di
cortesia con un tizio appena conosciuto. Relazionarsi con le persone
non era mai stato il suo forte, e ne era ben conscio dato le poche
amicizie che manteneva a distanza dall'Inghilterra.
Louis sfoderò un affascinante sorriso per poi voltarsi e
tornare sulla sua strada, ma qualcosa gli solleticò la mente
e non fu capace di fermarsi. Il suo corpo minuto ebbe la meglio sulle
lunghe ed esili gambe del ragazzo appena conosciuto, lo
fermò per un braccio e gli porse un biglietto scarabocchiato
al momento.
-Sono Louis- sorrise più caldamente prima di andare a
lezione.
Typewriter's
Oggi alle 17.31
Mi devi un caffé!
-L
my corner
Salve a
tutti, la mia attività qui è come quella di una
corsa sulle montagne russe, un po' ci sono e un po' sparisco. Ma scrivo
sempre ahahah.
Spero che questo capitolo piaccia perchè per quanto lungo e
descrittivo sia ci ho messo impegno e sono parecchio soddisfatta.
Come sempre, il pairing scelto non è stato appunto scelto
per farvi il lavaggio del cervello ma perchè oltre ad amare
i larry amo anche singolarmente Louis e Harry e scrivere di loro mi
piace molto, quindi sappiate che, se dovete lasciare una recensione
negativa per questo, non lasciate alcuna recensione.
Ho finito a fare la noiosa, spero di andare avanti presto!
Grazie di essere arrivati fino a qui xx