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Autore: CrisParisienne    17/06/2014    0 recensioni
"Oh no, what's this?
a spiderweb and I'm caught in the middle
so I turned to run
and thought of all the stupid things I'd done."
Quando perdi anche te stessa, cosa ti rimane?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“And tell me you love me, come back and haunt me,
Oh and I rush to the start.
Running in circles, chasing tails,
And coming back as we are.

Nobody said it was easy,
oh its such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No-one ever said it would be so hard.


Im going back to the start… ”
 
Le lacrime mi rigano il viso, eppure non smetto di ascoltare questa canzone. Una, due, tre.. cinque, dieci volte.  Da quanto tempo la sto ascoltando? E’ come se in questa stanza il tempo si fosse fermato. Non so che ore sono, o da quanto tempo mi trovo qui. So solo che voglio starci per sempre, perché questa stanza mi ricorda lui. Sono sdraiata sul suo lato del letto e stringo tra le mani il cuscino che ha ancora il suo profumo. Mi inebrio di lui, del suo ricordo, ma ogni respiro fa male, un dolore lacerante, ma di cui ho bisogno per vivere, per andare avanti. Tutto il mio corpo si rifiuta di aprire gli occhi ed uscire da lì, perché sarebbe come tornare alla realtà, ed accettare il fatto che lui adesso non c’è più.
 
“Come up to meet you, tell you I'm sorry,
You don't know how lovely you are.
I had to find you, tell you I need you,
Tell you I set you apart…”
 
La canzone, la sua canzone preferita, ricomincia, e il dolore si fa più forte, mentre le lacrime continuano a scendere, sempre più veloci. Ma ho bisogno di ascoltarla, ho bisogno di ricordare i momenti in cui da piccola me la cantava prima di andare a dormire, ho bisogno di ricordarmi quando mi stringeva forte a se, ho bisogno di stare da sola col mio dolore. La casa è piena di persone che non ho mai visto in tutta la mia vita. Vicini di casa, colleghi di lavoro,  gente ipocrita venuta solo a curiosare, buttando sentenze qua e là, fingendosi tristi per un dolore che in realtà è solo mio, e di nessun altro.
 
“Tell me your secrets and ask me your questions,
Oh, lets go back to the start.
Running in circles, coming in tales,
Heads are a science apart…”
 
Tra una strofa e l’altra sento qualcuno bussare alla porta. Non so chi sia, e non mi interessa, voglio soltanto restare ancora da sola col ricordo di mio padre, desidero solo un ultimo abbraccio. Vorrei urlare, vorrei urlare con tutta la voce che possiedo di restare fuori da questa stanza, da questo luogo che ho creato solo per me e mio padre. Ma non ci riesco. Tra le lacrime ed i singhiozzi riesco solo a sussurrare “…fuori…”.
 
“Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.”
 
Sento la porta cigolare ed aprirsi lentamente. La luce del corridoio illumina tutta la stanza ma io non voglio aprire gli occhi.  Non voglio che qualcuno mi svegli, che mi dica che non tornerà più, lo so già, ma voglio che quel pensiero se ne vada, voglio spingerlo giù, in fondo, fare finta che non esista, che sia solo un brutto, bruttissimo scherzo.
Sento improvvisamente la musica interrompersi.
Il cuscino che stringo così saldamente tra le mie braccia mi viene strappato via e in seguito buttato sul pavimento. Non ho neanche bisogno di aprire gli occhi per capire che c’è mia madre dietro tutto questo.
“Ero sicura fossi qui a non far nulla! Abbiamo degli ospiti al piano di sotto, persone che sono venute qui per noi, per starci accanto. Non puoi di certo startene qui da sola al buio! E’ un comportamento così… indecoroso! Ti voglio giù, immediatamente!” nessuna tristezza nella sua voce, nessuna lacrima sul suo viso, solo tanta indifferenza.
Per tutta la vita ho cercato di rendere mia madre fiera di me. Scuole e corsi avanzati, saggi di danza e di violino. Tutto ciò che ho fatto nella mia vita l’ho fatto col solo scopo di avere il suo consenso, un suo sorriso o un suo abbraccio. Ma tutto ciò che ricevevo in cambio da lei era uno sguardo gelido, come se mi fossi appena vomitata addosso e lei dovesse pulirmi. Cercavo solo un po’ di calore umano, ciò di cui tutti i bambini hanno bisogno.
Invece ho sempre trovato solo ghiaccio.
Era mio padre che mi seguiva ovunque, che mi accompagnava alle lezioni, che applaudiva ai miei saggi. Mi ha sempre dato amore, un amore incondizionato. Non importava cosa facessi, importava solo che fossi sua figlia. E lui, mi faceva sentire la figlia più fortunata al mondo.
Ma adesso, sono da sola. Da sola ad affrontare la sua immensa mancanza.
“Mi fai schifo. Tu, i tuoi stupidi ospiti e la tua stupida casa! L’unica cosa che mi teneva qui era lui, e adesso che non c’è più, niente mi impedisce di andarmene, niente.” Il dolore ha lasciato il posto alla rabbia.
Voglio ferirla, voglio farle provare qualcosa. Anche se ciò che dico è la verità.
Mia madre non l’ha mai saputo, ma il giorno del mio diciottesimo compleanno, come da tradizione, mio padre mi portò allo zoo e, seduti sulla nostra solita panchina, mi porse una scatola. Dentro c’erano un sacco di carte, e tra queste una cartina degli Stati Uniti segnata da X e freccette. Un itinerario.
 “Era mia” mi disse “di quando avevo la tua età. Il mio grande sogno era quello di girare l’America, e compiuti i diciotto anni ci stavo anche riuscendo. Era già tutto programmato, luoghi da visitare, posti in cui dormire. Poi però conobbi tua madre, e lei non volle partire. La amavo davvero tanto, così misi la testa a posto, e il mio sogno insieme a lei. Ma voglio che l'abbia tu, adesso” mi baciò la fronte e mi fece promettere che niente e nessuno mi avrebbe impedito di realizzare questo sogno, per entrambi.
Soprattutto mia madre.
“Sì, beh, fa come credi. L’importante è che ti comporti bene davanti agli ospiti. La zia Louise ci aiuterà sicuramente, economicamente parlando. Ma devi essere gentile con lei, anche se è una vecchia odiosa.”
Le lacrime ricominciano a scendermi sulle guance, ma lei continua a fissarmi come se fossi improvvisamente diventata pazza.
“Annie, cara. Ricomponiti e vieni giù, immediatamente. Non voglio sentire scuse. Come padroni di casa è nostro dovere intrattenere gli ospiti.” Intrattenere gli ospiti? Mi stava parlando come se non si rendesse conto della situazione che stavamo vivendo, come se tutta quella gente al piano di sotto fosse qui solo per la cena del ringraziamento. Sono arrabbiata, come non lo sono mai stata in tutta la mia vita.
“Ma ascolti mai qualcosa che non sia la tua voce?! Ti odio, TI ODIO!!” le mie urla sono talmente forti che la gente al piano di sotto si zittì all’improvviso con l’intento, ne sono certa, di carpire ogni minimo dettaglio della nostra conversazione. Ma non mi importa. Non mi importa più di nulla in quella casa.
Ho solo una scelta a questo punto della mia vita, ma ho paura, perché so che una volta fatto il primo passo non posso più tornare indietro. Uscendo dalla stanza, mi fermo sul ciglio della porta e, senza voltarmi, mi rivolgo a mia madre..
“Il mio nome per te è Analeigh, non osare più chiamarmi come mi chiamava papà.” e cominciai a correre.
  
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