Serie TV > The Mentalist
Segui la storia  |       
Autore: ilovebooks3    17/06/2014    1 recensioni
La storia ripercorre l'episodio 6x22, raccontato dal punto di vista dei due protagonisti.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“It’s too late.” (T. Lisbon)
 
Ci siamo. Tra poco l’aereo partirà. Non vedo l’ora. Eppure questo spiacevole peso sullo stomaco non mi lascia in pace.
Guardo fuori dal finestrino. Buio. Come il mio umore.
Intravedo con la coda dell’occhio destro una figura che sta percorrendo il corridoio. Si avvicina. Una figura familiare.
Mi giro di scatto. E’ l’istinto a guidarmi.
E’ lui. Jane. Proprio qui davanti a me.
Impossibile. Sicuramente è un’allucinazione. Quel mentalista da strapazzo governa il mio cervello, ormai.
«Eccoti», mi dice. Quindi l’allucinazione parla anche. Forse, perché non è affatto un’allucinazione.
E’ davvero lui. Sconvolto come non l’ho mai visto. Ha perfino mezza camicia fuori dai pantaloni, e non è da lui non essere impeccabile. Ha l’aria di chi ha fatto una bella corsa per arrivare fin qui.
O mio dio. Cosa gli è successo? Immagino scenari apocalittici in una frazione di secondo.
Poi mi dico che non posso preoccuparmi perennemente per lui. E’ qui, è vivo, ed evidentemente sta bene.
Accantonata la mia sciocca apprensione, posso anche arrabbiarmi. Devo.
Che ci fa qui quel farabutto? Mi sarei potuta aspettare di tutto. Tutto, tranne questo. Ritenevo statisticamente più probabile l’eventualità che l’aereo precipitasse rispetto a quella che Jane vi salisse sopra.
Mille pensieri disconnessi si affollano nella mia testa. Nessuno di loro è particolarmente sensato.
Starà per combinarne una delle sue. Mi chiederà scusa per l’ennesima volta.
Ma io non ho nessuna voglia di perdonarlo. Non ho nessuna voglia di vederlo. O, almeno credo.
Ignoro la mia frequenza cardiaca accelerata.
Gli chiedo cosa ci faccia qui. Chissà quale trucchetto sta per escogitare. Intanto, non può dire nulla che mi possa trattenere.
Sono innervosita da quella piccola, debole e stupida parte di me che è felice di vederlo.
E’ rosso in viso, gesticola e non c’è traccia della sua tipica, e a volte irritante, compostezza. Dichiara con tono concitato che deve dirmi una cosa.
Ora? Proprio ora che sto partendo? Di cose avremmo dovute dircene qualcuna negli ultimi dieci anni. Non certo ora.
Gli intimo di andarsene, non lo voglio vedere. Non lo voglio ascoltare.
Non è del tutto vero. Ma sono ancora molto, molto arrabbiata con Jane. Non può pensare di venire qui e risolvere tutto. Io partirò, qualunque sia la cosa importantissima che mi vuole dire.
Mio malgrado, però, sono curiosa.
Lui afferma che ho ragione. Assecondare il sospettato, per poi farlo cadere in contraddizione e colpirlo. E’ la sua tattica preferita nelle indagini. Ma con me non funzionerà.
Distolgo lo sguardo da lui. Guardarlo mi fa male. O potrebbe indurmi a fare cose di cui potrei pentirmi. Come sempre.
Mi sta dicendo che è vero, che ha dimenticato come si comporta un normale essere umano. Mi sorprende che si ricordi a memoria qualcosa che gli ho detto. Di solito, se ne frega di quello che dico o penso. Ecco, ce l’ha fatta, ha attirato la mia attenzione.
Lo guardo e quello che vedo mi sorprende ancora di più. Un uomo combattuto, tormentato da qualcosa che non riesco a identificare.
Possibile che la mia partenza l’abbia sconvolto così nel profondo? Possibile che…?
No, Teresa, non farti illusioni, non immaginarti cose che, come sai bene, non potranno mai accadere. Gli mancherà la sua coperta di Linus, non io.
Eppure è così strano. Diverso. Vero. La sua maschera è caduta. Sta dicendo cose che non ha mai detto. Riconosce di mentire, di usare trucchi e ingannare la gente per evitare di dire quello che sente. Per lo meno, se lo riconosce. Non è da lui. Come non è da lui avere gli occhi rossi e lucidi. Quegli occhi così belli.
Ecco, lo sapevo. Anche i miei si stanno riempendo di lacrime. Non posso vederlo in questo stato. Vorrei dirgli che va tutto bene. Ma non posso. Perché ho anch’io la mia dignità. E, soprattutto, perché ho un groppo che mi chiude la gola. Non potrei dire nulla anche se lo volessi.
Non capisco dove voglia arrivare con tutta questa sceneggiata.
In un attimo mi accorgo di sapere esattamente dove una piccola parte di me vorrebbe che arrivasse. Me ne vergogno.
Dice che l’idea che qualcuno si avvicini a lui è terrificante, per ovvi motivi.
Lo so Jane, lo so. Non c’è bisogno che tu me lo spieghi. Non se spiegarlo ti fa stare così male. Io non voglio che tu stia male.
Ecco, tutti i miei propositi sono andati a farsi benedire. Ti ho già perdonato, idiota. Di tutto.
Ma parlarci, qui e ora, può solo farci stare male. Perché, in un attimo, capisco che sposare Pike sarà la cazzata più grande della mia vita. In un attimo capisco che quello che ho sempre voluto è qui. Davanti a me.
Non dico nulla di tutto ciò. Mi imbarazza anche solo aver pensato una cosa del genere. Non è da me. So di essere arrossita.
Calmati, Teresa. Non farti suggestionare dall’affetto che hai per questo farabutto e dalla tenerezza che, tuo malgrado, ti ispira.
Ok, forse avevo provato qualcosa, in passato. Non l’ho mai voluto ammettere, ma, adesso, credo di esserne pienamente consapevole.
Ora, però, è tutto diverso: c’è Pike, io lo amo e non posso certo tirarmi indietro dall’impegno che ho preso. Anche se lo volessi, cosa che non voglio. Anche se Jane mi sta chiedendo scusa e sta svelando quella parte di se’ che non ha mai amato mostrare.
In realtà non mi deve spiegare nulla. So già tutto, Jane. Però non illudermi con sguardi ambigui che possono dire altro da quello che vorresti dire. Come hai fatto spesso, negli ultimi tempi.
Ti conosco, Jane. Conosco tutti i tuoi tormenti. Quello che non capisco è perché tu stia tormentando me.
Il battito del mio cuore ha raggiunto valori preoccupanti, ma cerco di non farci caso. Vorrei solo che l’uomo che ho davanti sparisse e mi lasciasse in pace. A meno che non voglia dirmi qualcos’altro. Qualcosa che so già non dirà mai. Qualcosa che, in ogni caso, ormai non potrei più ascoltare.
Parla, e mentre lo fa non mi toglie gli occhi di dosso. Non ha il suo abituale tono di voce calmo e suadente, ha la voce rotta, e il suo sguardo intenso attraversa ogni centimetro del mio corpo.
«Ma la verità, Teresa, è che non posso immaginare di svegliarmi sapendo che non ti vedrò…»
O mio dio.
Il colorito del mio viso sta assumendo delle sfumature improponibili, lo intuisco da questa familiare sensazione di calore.
Impossibile, devo aver capito male.
Forse intende quello che ha appena detto in un senso diverso da quello che intendo io. In una frazione di secondo sfoglio il mio vocabolario mentale per trovare altri significati, letterali e non. La consapevolezza che quello che vorrei sentirgli dire si scontrerà inevitabilmente con quello che dirà mi fa male.
Ormai le mie lacrime non hanno più ritegno.
Però è così dolce il mio nome pronunciato dalla sua bocca. Per un attimo penso che sia un peccato esserci sempre chiamati per cognome. Per un attimo penso che vorrei che mi chiamasse così ogni giorno della mia vita.
Ma cosa vado a pensare? Non sono in me. E forse questo è uno dei suoi giochetti. Ne sarebbe capace.
Punto i miei occhi nei suoi. No, non sta scherzando. Sta piangendo.
E anch’io.
Una vocina mi suggerisce che stia davvero per dirmi quello che spero. Ma la parte razionale di me, quella che ha sempre zittito l’invadente vocina, è terrorizzata e teme che Jane dica proprio quello.
Abbasso lo sguardo, per un attimo. Non posso sostenere il suo. Ma poi i miei occhi ritornano ai suoi laghi tristi, come se vi fossero incatenati.
«La verità è che…» Pausa.
Smetto di respirare. Non essere stupida, Teresa. Sta per dire qualcos’altro che non c’entra nulla. Tipo “sei la mia migliore amica, non posso lavorare all’FBI senza di te, siamo un bel team e la giustizia ha bisogno di noi”.
O forse no. E, in quel caso, sarebbe ancora peggio.
Non dire niente Jane, ti prego. Stai zitto e vattene.
«…ti amo».
O mio dio.
La prima cosa che riesco a pensare è che suona così strano. No, non è possibile, devo aver capito male. Mi sta prendendo in giro, come già aveva fatto una volta, solo perché “era un po’ su di giri”.
Eppure so che non è così. So che stavolta è tutto diverso. So che l’ha detto sul serio. Lo dicono i suoi occhi. Dovrebbero essere illegali.
Smettila di piangere, Teresa. Non ci riesco. Non riesco a ragionare, non riesco a ordinare al mio corpo di fare qualsiasi cosa.
Abbasso di nuovo lo sguardo, non voglio che vi legga dentro quello che sto provando ora. Non lo capisco neanche io.
Vorrei dargli uno schiaffo, vorrei abbracciarlo, vorrei stampargli un bel pugno sul naso, vorrei asciugargli le lacrime, vorrei buttarlo fuori dall’aereo con un calcio nel sedere e vorrei baciare quelle labbra che mi sono ritrovata a fissare più di una volta. Vorrei fare tutte queste cose, ma ovviamente non ne faccio nemmeno una.
Gesticola. Prende fiato, come se avesse corso una maratona in apnea. «Non puoi immaginare come ci si senta bene avendolo detto ad alta voce…», continua quello che un tempo era il Jane che conoscevo.
E tu non puoi immaginare come ci si senta a sentirselo dire, idiota!
Ma sto zitta. Sono troppo sconvolta per pronunciare anche solo una sillaba di senso compiuto. C’è qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto questo. Ma anche qualcosa di tremendamente dolce.
Spero che non dica più nulla e se ne vada, ma sono avida delle sue parole.
«…ma mi fa paura», continua.
Questo lo so, Jane. L’ho sempre saputo. E lo capisco. Per questo, non ho mai pensato che potessi arrivare a dire a qualcuno quello che hai appena detto. Tanto meno a me. A volte, non pensavo neanche mi considerassi una donna.
Anche se negli ultimi tempi, in effetti, eri abbastanza strano. Lo sei da quando sei tornato. Anch’io mi sentivo abbastanza strana. E, in cuor mio, negli ultimi giorni avevo sperato e temuto che affrontassi qualche argomento spinoso. Come questo.
«Ed è la verità. E’ proprio quello che sento».
Sa che sto pensando che stia mentendo. Non sarebbe la prima volta. E’ dura fidarsi di lui. E’ dura pensare che una sua frase, e in particolare quella frase, voglia dire proprio quello che io penso voglia dire. Me l’aveva già detta una volta. Poi aveva dichiarato di non ricordarsela. Chi mi assicura che non stia per succedere la stessa cosa?
Chi mi assicura che non sia l’ennesimo trucchetto per trattenermi?
Chi mi assicura che questo non sia solo un Patrick Jane show?
Me lo assicura il suo sguardo. Me l’assicura la sua voce.
So che quello che mi ha detto è la verità. Lo so e basta. Nonostante tutto, mi fido di lui. Come sempre.
Come dice la mia mia canzone preferita, quella che, una volta, ci ha fatto ballare, “non dovresti dirmi che mi ami perché lo so già”. Una microscopica parte di me, quella che non ha il diritto di proferire parola o prendere decisioni, l’ha sempre saputo.
Ma non basta. Non più. E il resto è un altro discorso.
«E’ troppo tardi, Jane. E’ troppo tardi», gli dico. E ne sono davvero convinta. Tutto questo sta cominciando a irritarmi. O almeno credo. Non può arrivare qui dopo una dozzina d’anni che ci conosciamo e dirmi che mi ama. Solo perché ha paura di perdermi. Non funziona così. Non sono più il suo burattino.
E poi, insomma, io e Jane non possiamo stare insieme. Sarebbe ridicolo. Vero? E poi c’è Pike.
Lui sorride. Un sorriso malinconico che mi fa venire una gran voglia di buttargli le braccia al collo. O di ucciderlo.
«Forse. E lo capisco. Ma va bene. Dovevo farlo e tu meritavi di sentirlo».
Ma non ora, penso. Ha avuto mille occasioni. Lo so, ha avuto bisogno di tempo, di molto tempo. Lo capisco. Riesco a vedere lo sforzo che sta facendo. Intuisco quanto gli stia costando dirmelo. Ma io ho scelto Marcus, dannazione.
«Ti amo Teresa».
Lo so, sono patetica, ma è così bello sentirglielo dire. Vorrei che non smettesse mai. Sto iperventilando.
Un attimo. Calmati, Teresa.
E’ tutto così surreale. Jane è riuscito a salire in extremis su un aereo di cui non ha il biglietto e mi ha appena detto che mi ama. Probabilmente è tutta un’allucinazione.
Ora è comparso un uomo della sicurezza che gli sta puntando una pistola. Anche lui potrebbe essere frutto della mia insana immaginazione.
Poi mi accorgo che tutti i passeggeri si stanno gustando la scenetta. Dunque non è avvenuta solo nella mia testa. E’ successa davvero.
In effetti, è una delle imprese tipiche di Jane: intrufolarsi su un aereo, intendo, non dirmi che mi ama.
O mio dio.
Ora capisco tutto quello che non ho mai capito.
Tutti quei sentimenti negati, maltrattati e nascosti agli altri e a me stessa.
La voglia di stare con lui e di risolvere casi insieme; il buon umore che mi ha sempre, mio malgrado, regalato; il sospetto che contasse più il mio consulente del mio lavoro; l’inevitabilità di fare qualunque cosa mi chiedesse; la rabbia nel vederlo buttare via la sua vita; la preoccupazione di non sapere se sarebbe sopravvissuto alla sua vendetta; la nostalgia con cui leggevo le sue lettere.
Ma è davvero troppo tardi, e io sto per trasferirmi in un’altra città con un altro uomo.
Jane è solo un egoista, un bambino a cui sta mancando la terra sotto i piedi; ecco quello che è e sarà sempre. E io al mio fianco voglio un uomo. Un adulto. Come Pike. Pure un po’ noiosetto magari, ma affidabile.
C’è qualcosa di paradossale in tutto questo. Non me lo sarei mai aspettato. O forse sì. Ma ora non ho tempo di chiedermi cosa mi aspettassi oppure no.
Forse, in cuor mio, l’ho sempre desiderato. Come si desiderano le cose impossibili. Come una bambina desidera diventare una principessa.
Ma una bambina non può diventare una principessa. A meno che non sia figlia di un re. E quelle che lo sono si contano sulle dita di due mani.
L’uomo ce l’ha sotto tiro, ma non mi preoccupo; ho cose più gravi di cui occuparmi, mettere ordine nella mia testa e calmare il mio battito impazzito, ad esempio.
Jane se la caverà. D’altronde se la merita una bella lavata di capo. Solo lui poteva raggirare la sicurezza aeroportuale americana. E l’ha fatto per me. Un fremito di orgoglio e di tenerezza mi riempie il cuore. Ma sono ancora arrabbiata. Credo.
Lo sta portando via. Per fortuna. Anche se vorrei che stesse qui. Ancora. Per sempre.
Non essere idiota, Teresa. Tu non provi più nulla per lui. Perché è troppo tardi.
«…e sono felice di essere stato capace di dirtelo», mi dice ancora Jane, imperturbabile, mentre l’agente lo sta spingendo. Non vuole interrompere il contatto visivo con me. Un tempo le armi lo spaventavano a morte. Ma molte cose sono cambiate. Troppe.
E io, tutto sommato, so di essere felice di averlo sentito. Ma non trovo la forza per dirglielo. Singhiozzo spudoratamente.
Lui percorre il corridoio e non smette di ripetere quelle parole, anche quando ormai non può più vedermi. Quelle parole che, ora lo so, avevo sperato di sentirgli dire. Tanto tempo fa. Ora è davvero troppo tardi.
«La amo», continua, rivolgendosi ai passeggeri, al personale e al mondo intero, poco prima di sparire, «la donna al 12B la amo. Abbiate cura di lei».
O mio dio. E’ così imbarazzante. Proprio alla Jane. Che idiota. Ma è stato anche così romantico.
Continuo a singhiozzare, stavolta con fazzoletto alla mano. Mi scuso con i miei vicini di posto per la scena pietosa.
La signora seduta accanto a me mi dice di non preoccuparmi e mi fa notare che tutte le donne sono verdi d’invidia.
Lo so, Jane fa un certo effetto alle donne. Penso a tutte le sciacquette che gli ho visto intorno in questi anni. Ora so perché non le ho mai sopportate. Ora comprendo tante mie reazioni apparentemente inspiegabili. Ad esempio, quella rabbia folle contro Lorelai. Quando lui l’aveva baciata. Mi ribolle il sangue solo a pensarci. Ed, evidentemente, non fa quell’effetto solo alle donne, considerata l’espressione dell’uomo vicino a me.
Un fastidio inspiegabile mi coglie alla sprovvista. So che si chiama gelosia e che non è solo un ricordo. So che sarebbe pronta a ripresentarsi anche adesso, se ce ne fosse l’occasione.
Sento che quello che provavo non è mai cambiato di una virgola. Sento di aver vissuto nell’attesa di questo giorno. E capisco di essere nei guai.
Sospiro e chiudo gli occhi. Scrollo la testa. Non so cosa devo fare. Sono confusa come non sono mai stata in vita mia.
Io e Jane.
Impossibile.
O forse no.
Penso a quella strana sensazione provata tutte le volte in cui eravamo sotto copertura e ci siamo finti una coppia.
Penso a un caso recente, noi due insieme in una villa da sogno. Era notte, lui dormiva sul divano e gli avevo messo addosso la coperta perché pensavo potesse avere freddo. Era stato un gesto istintivo e, mentre lo facevo, avevo pensato che, addormentato, era così dolce. Molto più dolce dei pancake di Pike. E che, tutto sommato, non lo era solo quando dormiva.
Alt. Ammesso che io provi quello che penso effettivamente di provare, Jane non può amare di nuovo. Ho sempre pensato che non sarebbe mai più stato in grado di farlo. E’ ancora innamorato di sua moglie, e lo sarà sempre.
Sarebbe dura competere con una donna perfetta e morta; quindi ancora più irraggiungibile proprio perché idealizzata. Non credo di sentimela. Mi distruggerà vederlo cercare Angela in me.
Una volta avevo visto il video che Jane aveva girato in un’agenzia di cuori solitari per risolvere un caso. Non gliel’avevo mai detto, perché non avrei dovuto vederlo.
Parlava di una donna, la sua donna ideale. Per un attimo avevo pensato parlasse di me.
Poi avevo capito che parlava di sua moglie. E avevo capito che non avrebbe mai amato un’altra donna.
Invece ora dice di amare me. Me.
D’altronde, anch’io sono tutte quelle cose lì, proprio quelle che aveva detto in quel video. Anch’io conosco il lato peggiore di lui e lo amo ugualmente.
Oddio. Cosa ho detto?
“Certo, Teresa, è palese”, insinua la solita vocina saputella.
Lo so. Anche la parte più razionale di me si è arresa all’evidenza. Sospiro.
Lui sembrava sincero. Come non lo è mai stato. Anche se con Jane non si può mai essere sicuri di niente. D’altronde, è uno showman.
Ok, lo so. Se mi avesse detto queste cose qualche mese fa, probabilmente, gli avrei gettato le braccia al collo. Ma ora?
Ora c’è Pike. Un uomo affidabile che mi ama. Il nuovo lavoro a Washington. La nostra nuova casa. I ristoranti.
Poi capisco che è tutto molto più semplice di quello che sembra.
Mi manca. Se n’è andato da 30 secondi e mi manca già.
Non posso sentire la sua mancanza in eterno.
Non posso rimpinzarmi tutta la vita di pancake che neanche mi piacciono.
Non posso stare con un uomo, desiderandone un altro al mio fianco.
Una volta Jane mi aveva chiesto cosa vorrebbe sentirsi dire una ragazza, e io non avevo saputo rispondere.
Ecco, ora lo so.
Una ragazza vuole sentirsi dire esattamente quello che ha detto lui qualche minuto fa. Ti amo.
Apro gli occhi. In cuor mio sapevo già cos’avrei fatto dal momento in cui Jane è comparso sull’aereo.
Devo scendere da qui.
Subito.
Non so come la prenderanno gli uomini della sicurezza e i passeggeri a cui farò ritardare la partenza.
Non so come la prenderà quel povero disgraziato di Marcus; ma, intanto, gli avrei rovinato la vita in ogni caso.
Non so come la prenderà Jane che, forse, non si aspetta che la sua confessione abbia un seguito.
Non so come la prenderò io se lui dovesse rimangiarsi tutto.
Non so come la prenderanno in ufficio. Ma sospetto che molti lo avessero intuito prima di noi. Abbot compreso, che, tempo fa, mi faceva domande su Jane definendolo “il mio fidanzato”. Suona strano. Ma potrei abituarmici.
Forse Jane ha mentito; in tal caso lo strozzerò con le mie mani.
Forse crede davvero di amarmi, ma poi si accorgerà che io sono molto diversa da Angela e non mi vorrà più.
Forse è ridicolo pensare a noi due come una coppia vera.
Forse litigheremo ogni minuto della nostra vita.
Non mi importa.
Rivedo i suoi occhi blu come il mare. Risento la sua voce che mi chiama per nome.
So già che ne varrà la pena.
«Devo scendere!» comunico ad alta voce, con tutta la compostezza di cui sono capace.
Mi alzo, recupero la borsa e una parvenza di equilibrio, e percorro il corridoio. Una hostess mi blocca.
«E’ impossibile, signorina. Stiamo per partire».
«Dovrete partire senza di me. Sono un’agente dell’FBI. E’ un’emergenza». Quando ci vuole ci vuole. E quel farabutto di Jane mi ha insegnato molte cose.
«Non si può, mi dispiace» insiste quella testona di una hostess.
Ma io so essere più testona di lei, se mi ci metto. Ho imparato molto durante gli anni passati al comando di una squadra  del CBI. La migliore squadra del CBI.
«Voglio parlare col pilota». Suona come un ordine. La mia espressione e il mio tono di voce devono essere piuttosto convincenti.
La ragazza si arrende e mi accompagna nella cabina di comando. Tiro fuori il distintivo, pronta a mostrarlo al pilota per identificarmi.
«Mi chiamo Teresa Lisbon, sono un’agente…», non faccio in tempo a terminare la frase.
«E’ lei la donna del 12 B?», chiede il comandante, con aria divertita.
Oddio. Che vergogna. Non posso far altro che annuire.
«Ho capito. Scenda».
Non credo di aver capito bene. Pensavo di dover ricorrere alla mia autorità per andarmene da qui.
«Scenda, prima che cambi idea», mi intima con tono burbero.
Sono stupefatta. «Grazie, signore».
Tutto sommato, è stato più facile del previsto. Anche se la mia dignità è finita sotto le scarpe.
Un uomo della sicurezza scende con me, mi scorta lungo la pista e mi accompagna agli imbarchi per sbrigare un’infinità di faccende burocratica.
Non immaginavo che non prendere un aereo fosse considerato più sospetto che prenderlo.
Devo mostrare i documenti, dichiarare di essere scesa di mia spontanea volontà ma per una causa di forza maggiore; dicono che, ovviamente, non mi rimborseranno i soldi del biglietto. Ma chissenefrega. C’è una cosa più importante che devo fare.
Dopo qualche ora abbiamo finito. La sicurezza aeroportuale è davvero scrupolosa.
Peccato che abbiano lasciato intrufolarsi su un aereo un uomo che poteva essere un folle. E, in effetti, lo era.
Ora devo passare alla fase numero 2.
Vado al dipartimento della TSA. So che non sarà così semplice. Sono molto severi con chi fa casino con i loro aerei. Giustamente. E Jane l’ha fatta grossa.
Entro. Una segretaria mi indica di aspettare. Ma io non voglio aspettare. Ho già aspettato troppo.
Intravedo dietro il vetro di un ufficio un agente. Lascio blaterare la segretaria e mi intrufolo nella stanza senza essere annunciata. La donna mi segue per bloccarmi, ma è troppo tardi.
L’uomo della TSA mi accoglie con un’espressione gelida e non ha tutti i torti. Non è da me essere così prepotente, ma non mi importa.
 «Sono Teresa Lisbon, agente dell’FBI. Devo parlare con Patrick Jane».
L’uomo mi fissa e riflette. In attesa di decidere quale serie di insulti propinarmi, congeda la segretaria. Torna a fissarmi.
Poi, improvvisamente illuminato, trasforma la sua aria diffidente in un sorriso comprensivo.
Alza il telefono, probabilmente deve parlare col suo capo per chiedere il permesso di una visita.
Non mi aspettavo tutta questa disponibilità.
«C’è qui la donna del 12 B che vuole parlare col suo ragazzo».
Incredibile. Non mi sono mai sentita così idiota.
Jane, questa me la paghi.
Nell’attesa di fargliela pagare, però, non posso fare a meno di sorridere.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Mentalist / Vai alla pagina dell'autore: ilovebooks3