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Autore: layla84    20/08/2008    5 recensioni
Harry, dopo aver sconfitto Voldemort, partecipato ai processi, fatto sbattere ad Azkaban la maggior parte dei Mangiamorte ancora in libertà e aver fatto destituire i Dissennatori si era dato alla macchia. Nel senso che, da un giorno all’altro nessuno, nemmeno i suoi più cari amici, aveva più avuto sue notizie. Ed ormai erano passati sei anni..
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ed ecco il secondo capitolo della storia.
Buona parte del racconto è già stata scritta ed ho più o meno un’idea precisa di come si evolveranno le cose quindi gli aggiornamenti dovrebbero essere abbastanza frequenti.
Ringrazio come al solito chi ha commentato il prologo e spero che continuerete a lasciarmi i vostri commenti per farmi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo.
Ora vi lascio alla lettura e spero sia di vostro gradimento ;)

Layla84








In realtà Ernie ci aveva visto giusto per una volta.
Il giovanotto carino e silenzioso che aveva viaggiato sul suo autobus quella notte era Harry Potter.
O meglio, lo era stato.

Da un paio di settimane si chiamava Harry Spungen, aveva venticinque anni e lavorava come cameriere in un bar nella periferia.

Prima era stato Harry Smith, maschera di un cinema in una cittadina della campagna londinese, prima ancora Harry McFrey, aiutante in un pub della Scozia, e così via.
Quando si era trovato a dover cambiare per l’ennesima volta il suo cognome, aveva optato per Spungen senza un motivo preciso.
Non gli importava molto del nome che prendeva, né del doverlo cambiare di tanto in tanto, insieme al lavoro e alla città.
Quando qualcuno sembrava riconoscerlo - ormai era rarissimo - o quando qualcuno gli cominciava a fare troppe domande - molto più frequentemente - faceva i bagagli e riappariva, sotto falso nome, da qualche altra parte.

Usando quel metodo aveva girato tutta l’Inghilterra, gran parte della Scozia e alcuni dei paesi Europei più importanti.
Aveva fatto i lavori più disparati in tutti quegli anni, non rinunciando però né alla magia né al suo nome.

Troppo complicato doversi chiamare ogni volta con un nome diverso e perdere l’abitudine a rispondere ogni volta che sentiva il nome ‘Harry’.
Ed il suo era veramente un nome troppo comune.

La cosa più logica per uno che non vuole farsi trovare è cambiare nome, come prima cosa.
Tutti lo sapevano e probabilmente lo avrebbero cercato sicuri che lui avesse preso un nome nuovo, o almeno così si disse all’inizio di quella storia.
La verità era che, anche nel caso in cui fossero riusciti ad avvicinarsi a lui nelle ricerche aiutati da quel particolare, lui sapeva bene come far perdere le proprie tracce.

Per quanto riguardava la magia, beh, lui era un mago e come tale sapeva bene che con una bacchetta a portata di mano era tutto più semplice.
Era più semplice cambiare la sua carta d’identità, modificarla affinché sembrasse vera.
Era più semplice fare le consegne da fattorino, smaterializzandosi direttamente sotto casa del cliente.
Era più semplice riparare un bicchiere rotto non visto, se si faceva il cameriere per un titolare burbero pronto a licenziarti alla minima disattenzione.

Insomma, Harry Potter, anzi Harry Spungen, non era stupido, anzi.
Basti pensare che gli era stato sufficiente un incantesimo per riuscire ad impedire a chiunque di localizzare lui, la sua bacchetta o le sue magie.
Lo aveva cercato, provato e migliorato per l’intero anno dalla fine dalla battaglia con Voldemort ed una mattina, certo del risultato del suo lavoro, aveva messo in atto il suo piano.

Sulla porta della Tana quella mattina aveva salutato tutti come al solito con il sorriso sulle labbra, si era smaterializzato in un punto sperduto della campagna londinese e li aveva fatto l’incantesimo.
Aveva provveduto in seguito a cambiare i suoi documenti e a trovarsi un lavoro tra i babbani ed avendo pochissimi in quel mondo i primi tempi erano stati i più difficili.
Aveva fatto lavori di ogni genere, stando ben attento a non andare in luoghi frequentati anche da altri maghi e pian piano si era abituato a quella situazione.

Non che non gli fosse dispiaciuto andarsene, intendiamoci.

Però per un attimo, quando aveva incrociato gli occhi di Hermione quella mattina di sei anni prima, aveva fatto forza su se stesso per non abbracciarla e raccontarle tutto.
Per non spiegare a lei e agli altri quanto male stesse in realtà nei panni di Harry Potter, l’eroe.
Quanto odiasse dover andare ogni giorno in mezzo a politici e burocrati a firmare carte, dare consensi, fare interviste, esprimere pareri.

Odiava quella vita, odiava essere Harry Potter.

Voleva andarsene.
Non poteva di certo dirlo a loro questo perchè sapeva per certo che i suoi amici gli avrebbero fatto cambiare idea.
Ron con il suo ottimismo, Hermione con la sua razionalità, avrebbero fatto in modo di convincerlo che la situazione sarebbe migliorata.

Ma loro non potevano capire.
Non erano loro che ogni notte sognavano persone morte durante la guerra - morte per colpa sua -, non erano loro a svegliarsi sudati e in preda ai brividi da incubi pieni di sangue e disperazione - come se avesse sempre undici anni - e soprattutto non erano loro a sognare tutti i morti che Voldemort aveva fatto, tutte le grida di orrore, tutte le richieste di supplica strazianti che - suo ultimo regalino - dal momento in cui lo aveva sconfitto gli avevano riempito la testa quasi dilaniandolo.

Ci sono cose che non possono esser dette, nemmeno agli amici più cari.

Non poteva dire ad Hermione che non sarebbe mai riuscito guardare negli occhi Teddy, senza sentirsi colpevole per la morte dei suoi genitori.
Non poteva dire a Ron di non riuscire nemmeno a stare nella stessa stanza dei suoi genitori, senza sentire nel cuore quel sentimento di angoscia che gli arrivava fin nelle orecchie, un ‘è colpa mia se loro figlio è morto’ che lo tormentava senza pietà.
Non poteva dire al mondo magico “Scusate, basta davvero, ho solo 18 anni, voglio vivere una vita normale, non voglio occuparmi di rimettere in piedi i pezzi distrutti da Voldemort” senza sentirsi in colpa perché tutto quello lo avrebbe potuto evitare, se solo non fosse stato così lento, così immaturo.
L’intera battaglia di Hogwarts e tutti i relativi morti potevano essere risparmiati se lui fosse stato solo un po’ più forte.
Quasi ogni notte, per anni, aveva rivissuto quell’avventura e, nei sogni, giorno dopo giorno, si migliorava.
Riusciva ogni volta ad evitare che qualcuno morisse, come non era stato in grado di fare nella realtà.

E ogni mattina l’alba coglieva un ragazzo solo e in lacrime che abbracciava se stesso e il suo dolore.

Erano questi i suoi pensieri mentre si richiudeva la porta della Tana alle spalle, prendeva lo slancio per smaterializzarsi e non la coda dell’occhio dava un’ultima occhiata alla sua vita passata.

‘Addio Harry Potter, spero di non dover più avere niente a che fare con te. Senza offesa.’







Harry adesso voleva solo star tranquillo, vivere la sua vita da giovane ragazzo finalmente libero, senza essere giudicato.
Anche se era lui stesso il primo a giudicarsi.
Si considerava un perfetto egoista per quello che aveva fatto e se lo ripeteva ogni giorno, ugualmente però non era stato capace di impedirsi di farlo. O di tornare indietro.

In realtà quella sera non era impazzito Harry, non più del solito, per essere salito sul Nottetempo con il rischio di essere riconosciuto.
La verità è che in quegli anni era molto cambiato.

Niente più ragazzetto dagli occhiali con fondi di bottiglia tondi sul naso, niente più vestiti di seconda mano dieci taglie più grandi di lui, niente più patemi d’animo per quello che era successo nella sua vita passata o almeno quasi mai.

Adesso c’era un bellissimo ragazzo dai lineamenti perfetti, con la vista perfetta - piccolo aiutino magico - libera dal fastidio delle lenti e dei costosi vestiti alla moda, che pensava a divertirsi più che poteva vivendo la vita giorno per giorno.

Quella sera mentre si apprestava ad uscire - in ritardo come al solito - un’idea gli aveva attraversato la mente.
Il Nottetempo.
Quale occasione migliore di quella per provare se effettivamente tutti si erano dimenticati di lui?
Per vedere se, finalmente, poteva frequentare tutti i posti che voleva, senza doversi nascondere?

Per essere sinceri era successo che Harry, per guadagnarsi la sua tanto desiderata libertà, ad un certo punto avesse tagliato fuori dalla sua vita tutti i sentimenti e le emozioni.

Niente più affetto per nessuno, niente legami a cui poter rimanere impigliato, rapporti che potevano trattenerlo.

Nessuno per cui dover, un giorno, soffrire.

In quegli anni gli incubi notturni erano pian piano diminuiti ed erano stati relegati insieme ai rimorsi in un angolo della sua mente.
All’inizio più questi lo facevano star male, più lui di riflesso cercava di divertirsi di un divertimento fine a se stesso, superficiale come può essere l’andare a ballare in discoteca tutta la notte, sbronzarsi e tornare a casa il mattino dopo.
Un divertimento vuoto.

Adesso invece non vi faceva quasi più caso, preso com’era alla ricerca di qualcosa che risvegliasse in lui un qualunque interesse.

Dopo sei anni di solitudine voluta, cercata e trovata, si ritrovava a venticinque anni a non provare più niente per nessuno esattamente come voleva, ma lui che aveva abbandonato Harry Potter in una sperduta campagna londinese ma non era diventato nessuna delle maschere che si era creato.

Ormai non era nessuno.

Al punto in cui era arrivato era stato fin troppo facile passare dall’indifferenza forzata verso il modo che si era autoimposto ad un’indifferenza ormai naturale.

E da questo l’idea del Nottetempo, come mille altre prima.

Rischiare di essere scoperto.
Sentire anche solo per un secondo l’adrenalina scorrere di nuovo dentro di lui.

Il riuscire, anche solo per un attimo, a sentirsi vivo.

Ecco cosa cercava Harry.

Quella sera però, di adrenalina ne aveva provata ben poca.
Niente di niente.
Ernie non aveva nemmeno fatto caso a lui.







Decisamente abbattuto per il fatto che la sua idea si fosse rivelata solo una noiosa perdita di tempo il giovane Harry Spungen si diresse verso la discoteca, qualche ora di puro divertimento l’avrebbe distratto da quei pensieri.

L’insegna luminosa viola del locale notturno si stagliava come un faro nella scura sera londinese, quasi ad essere il punto di riferimento per chi, come lui, si era perduto nella notte.

Frequentava quel posto da poco più di una settimana, da quando, con la sua ennesima maschera era arrivato a Londra e vi aveva trovato lavoro.

Il posto era abbastanza tranquillo, potevi sederti a bere senza che nessuno ti infastidisse più di tanto se non avevi voglia di ballare ed in più i baristi del posto erano simpatici, specialmente Fred.
Fred era un ragazzo biondo più o meno della sua età che lavorava lì per pagarsi gli studi dell’università e che aveva preso Harry in simpatia da subito.
Le poche volte il moro era stato lì era rimasto a chiacchierare con lui tra un ballo e l’altro, anzi in realtà era il barista a parlare, Harry ascoltava solamente seguendo vagamente il discorso, pensando per la maggior parte del tempo se Fred potesse essere quello giusto per riuscire a superare l’apatia che pian piano gli stava corrodendo il cuore.

Altro piccolo particolare non trascurabile: la vita sentimentale di Harry.
Da Potter aveva avuto solo una relazione importante, con Ginny Weasley, durata poco tempo e mai più ripresa alla fine della guerra un po’ perché lui era così impegnato da non poterle dedicare tempo, un po’ perché Ginevra si era riavvicinata a Dean - il suo precedente ragazzo - e un po’ perché Harry aveva scoperto che in realtà non gli importava poi molto di lei.
Aveva quindi entrambi accettato la fine della loro storia con un’alzata di spalle senza soffrirne troppo e i due erano rimasti amici, riuscendo a vivere senza imbarazzo sotto lo stesso tetto, almeno fino alla sua fuga.

Con la sua nuova vita poi Harry aveva scoperto di essere attratto anche dai maschi, o meglio, aveva scoperto di essere attratto solo da loro.
Lo aveva capito mentre era in Scozia, pochi mesi dopo la fuga, mentre lavorava come cameriere sotto falso nome, come sempre.
Un ragazzo, Joe, gli si era presentato una sera nel locale dove aveva trovato lavoro, avevano parlato del più e del meno e l’altro alla fine della serata gli aveva lasciato insieme ai soldi della consumazione un biglietto con il suo numero di telefono.
Joe era un bel ragazzo, capelli castani chiari, occhi celesti, alto e non troppo muscoloso ed Harry ne era stato da subito attratto.
In passato non gli era mai successo di sentirsi attratto da un ragazzo.
Quasi mai, in realtà.
Gli era capitato solo un’alta volta, ma non era successo né nel momento adatto, né con la persona giusta per certi pensieri e quindi quell’attrazione era stata rilegata nell’angolo insieme ad incubi e rimorsi.

Poi la sera dopo, mentre si faceva tutte quelle paranoie, si era ritrovato l’altro ad aspettarlo alla chiusura del locale e il biondo, appena incrociato il suo sguardo, fece un sorriso talmente luminoso in sua direzione che Harry mandò tutto ad diavolo.

Aveva lasciato tutto per essere libero di vivere la sua vita e adesso l’avrebbe fatto, si disse.

Prese alla sprovvista Joe, spingendolo con foga verso il muso su cui era appoggiato ed iniziando a baciarlo rudemente.
L’altro lo lasciò fare, rispondendo appassionatamente al bacio e accarezzandogli dolcemente i capelli.
Iniziò così tra loro, in un vicolo umido di una cittadina scozzese sconosciuta.

Stettero insieme due mesi, due bellissimi mesi.
Harry scoprì nell’altro una dolcezza inaspettata, lo riempiva di attenzioni, lo faceva sentire amato e apprezzato, come mai nessuno aveva fatto prima.
Poco alla volta sentiva cedere le sue barriere e ogni giorno sembrava più facile per lui abbandonarsi a quel sentimento.

Ma Harry era sempre stato un disastro nelle questioni sentimentali, fare di cognome Potter o in qualsiasi altro modo non cambiava le cose.

Dopo circa un mese iniziarono i problemi.
Le difficoltà si presentarono esattamente quando Joe iniziò a fargli domande sulla sua vita passata.
I dubbi non arrivarono da parte del biondo che, anzi, una volta capito che Harry avrebbe risposto solo a monosillabi, lasciò cadere il discorso.
Arrivarono da lui.
Tutto quello aveva infatti messo in moto nella sua testa una serie di paure e insicurezze.
Sapeva che in quel periodo si stava affezionando all’altro, più di quanto volesse ammettere e sapeva, allo stesso modo, che non sarebbe mai riuscito a raccontargli la sua vera storia e che però d’altro canto voleva nemmeno mentirgli.
In tutto questo poi non era stato aiutato dal fatto che gli incubi dopo un periodo di stalla erano ripresi con maggior intensità di prima.

Più ci pensava più non vedeva vie d’uscita.
Anzi, ne vedeva una sola.

Via che prese una mattina d’inverno, mentre passeggiavano fianco a fianco, lungo una via vicino al locale dove Harry lavorava.
La sera prima avevano litigato per una sciocchezza, come accadeva spesso nell’ultimo periodo e Joe lo aveva voluto accompagnare a lavoro, per cercare di far pace.
Nei suoi occhi si leggeva la voglia da innamorato di lasciarsi al più presto la litigata alle spalle.
Harry si era voltato verso di lui, aveva visto quegli occhi risplendere per lui nella leggera nebbia mattutina e le parole erano uscite di getto, senza che avesse il tempo di fermarle.

Ancora adesso si ricordava la scena.
Joe che con le mani nelle tasche del grande cappotto marrone, in un gesto che lo faceva sembrare ancora più piccolo dei suoi vent’anni, lo guardava sgomento.
Harry gli aveva appena detto all’incirca così “Non voglio illuderti. Io non posso condividere il mio passato con te, né mai potrò, però allo stesso tempo non posso nemmeno stare con un ragazzo che non mi conosce realmente. Non è colpa tua, sono io..io ad essere sbagliato..mi spiace Joe”

Joe aveva continuato a fissarlo poi ad un tratto si era voltato e si era incamminato dalla parte opposta.
Non una parola.
L’ultima cosa che Harry si ricordava di lui erano due spalle che si allontanavano.

Aveva avuto un altro paio di storie, se cosi si potevano definire.
Più che altro flirt da discoteca, che iniziavano e finivano lì dentro. Joe l’aveva segnato più di quanto credesse in realtà.
Il biondo non aveva fatto altro che ripetere che avrebbe fatto di tutto per lui però, al momento della verità, non era stato capace di altro tranne che di girargli le spalle e andarsene.
Harry, che aveva sempre avuto dentro se un incredibile bisogno di amore e sicurezza, probabilmente se l’latro gli avesse detto qualcosa, lo avesse rassicurato, non lo avrebbe lasciato.

Bella fregatura, i sentimenti.

Era iniziata lì la sua indifferenza, all’inizio forzata, poi man mano sempre più naturale.







Adesso invece si ritrovava lì, con davanti a se quel barista così carino che sorrideva verso lui, mentre in realtà stava pensando al suo ex e si disse che no, non ne valeva la pena tornare indietro e rischiare di soffrire, non per Fred almeno.

Forse Harry non troverà mai nessuno per cui valga la pena di rischiare.

O forse l’ha già trovato e se l’è fatto scivolare tra le mani, questo non lo aveva mai capito.

Sorrise a Fred, scendendo lentamente giù dallo sgabello del bar, apprestandosi a trovare una scusa per poi potersi lanciare nelle danze.

Divertirsi e non pensare ad altro. Il suo motto.

Aveva già cominciato ad aprire bocca per articolare una frase sensata quando due bracca snelle, avvolte da una camicia grigio cenere si appoggiarono al bancone vicino a lui, troppo vicino.
Un profumo muschiato lo riportò per un istante indietro nel tempo.

Una scopa, delle fiamme, due braccia aggrappate a lui talmente forte da fargli male.

Si riprese giusto in tempo per sentire una voce, familiare e sconosciuta al tempo stesso accanto a lui.
“Buonasera! Vorrei due Gin Lemon e una Vodka!”
Cercò di farsi più piccolo possibile, capendo che non sarebbe riuscito a muovere un muscolo, nemmeno volendo, perché vicino a lui c’era qualcuno che poteva far saltare la sua copertura in un solo istante.
E non solo per quello.
Harry non capiva se sentirsi contento perché finalmente poteva provare una vera emozione nel venire scoperto o sentirsi in trappola perché, assurdo, di tutti proprio lui.

Draco Malfoy: la variabile impazzita della vita di Harry Potter.

Che al momento lui non si chiamasse più Potter era solo un dettaglio trascurabile, l’altro restava pur sempre Draco Malfoy.

Harry sperò, per un ardente attimo, che l’altro prendesse la sua ordinazione e sparisse così com’era comparso.
Ma la fortuna si sa, non era mai stata la sua migliore alleata.
Infatti Fred scelse proprio quel momento, l’attimo in cui stava servendo il biondo, per rivolgere l’attenzione su di lui.

“Hey Harry, vuoi anche tu un altro drink?”
Il moro capì dallo spostamento d’aria che Malfoy si era voltato verso di lui, lo sentì addirittura trattenere un’esclamazione sorpresa, segno che l’aveva riconosciuto.

Perché diavolo, si domandò in quella frazione di secondo, Malfoy doveva girarsi alla pronuncia del nome ‘Harry’?

A quel punto non gli rimase altro da fare se non affrontarlo con la faccia tosta che si era creato ad arte in quegli anni e sperare..sperare..non sapeva nemmeno lui cosa sperare.

Restava il fatto però che non si è mai troppo preparati ad affrontare Draco Malfoy.




  
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