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Autore: aduial    26/06/2014    4 recensioni
Una bambina sfugge miracolosamente alla distruzione della sua città, unica sopravvissuta di una crudele carneficina. Il suo destino sarà segnato da due incontri. Uno con una coetanea che le darà un nuovo nome e con esso la possibilità di ricominciare. L'altro avvenuto nel buio di una foresta, durante un concerto molto particolare, che la renderà davvero libera. Ma la prigionia più grande non sempre è quella che ti costringe in catene, anche qualcos'altro può togliere ogni briciolo di libertà: la voglia di vendetta.
Stora sospesa.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo primo
La salvezza
 
La notte scese sulla prateria e su ciò che rimaneva dell’antica Alahrian, celando con il suo manto il sangue e i corpi riversi nelle strade. La bimba si riscosse, dopo ore, dal suo torpore e sollevò lo sguardo, ancora velato di lacrime, al cielo. Le stelle brillavano lontane e il loro baluginio le rasserenò l’animo, seppur di poco. Una brezza leggera ma fredda, proveniente dalle montagne a nord, si insinuò sotto i suoi abiti leggeri, facendola rabbrividire. Mossa dall’istinto di sopravvivenza la bambina si alzò in piedi e, destreggiandosi tra i cadaveri, si mosse velocemente tra quei vicoli bui che conosceva a memoria, allontanandosi dalla via principale, nella quale i cavalieri erano stati più spietati che mai. Quando ritenne di essersi allontanata abbastanza, entrò in una casa dall’interno fortunatamente sgombro. Il buio calava velocemente, ma negli ultimi raggi del sole morente, scorse sul tavolo una lampada, che si affrettò ad accendere. Un bagliore dorato si diffuse nella stanza, riscaldando il corpo e il cuore della bambina, permettendole di notare il cibo lasciato sul tavolo e la stretta scala che portava al piano superiore. Rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse affamata, si avventò sul cibo, dilaniando e strappando con i denti grossi pezzi di carne, nel tentativo di placare i gorgoglii del suo stomaco. Quando si ritenne sazia, decise di esplorare il piano superiore della casa, ma un intenso dolore alle piante dei piedi la bloccò. Abbassò lo sguardo, vedendo i tagli che si era procurata camminando scalza. Il sangue era ormai secco e pezzi di vetro acuminato erano ancora conficcati nella tenera carne. Lo sguardo le si appannò, ma riuscì a mantenersi lucida, ricordando gli insegnamenti della madre. Era la guaritrice della regina Serenai e, con il tempo, era diventata anche la sua confidente. Afferrò un affilato coltello e incise la pelle per estrarre i pezzi di vetro. Sangue misto a pus uscì dalle ferite riaperte. Avevano già iniziato a infiammarsi. Stringendo i denti per sopportare i dolori lancinanti si alzò, iniziando a rovistare nei mobili e nei cassetti, finchè non trovò quello che stava cercando: erbe mediche. Immerse i piedi nel catino d’acqua che c’era in un angolo, avvertendo un immediato sollievo. Intanto cominciò a masticare distrattamente le erbe che aveva trovato e con le mani strappò un lenzuolo per farne delle strisce lunghe e sottili. Quando tutto il sudiciume che si era accumulato fu lavato via, applicò con cura la pasta che si aveva fatto con le erbe, avvolgendo i piedi nelle bende improvvisate. Poi salì le scale e, distrutta, crollò nel primo letto che incontrò.
 
L’alba allungò le sue dita dorate sulla pianura, arrivando a lambire le mura diroccate. La luce del sole si riversò nell’umile casa dove la bambina aveva trovato rifugio, svegliandola dolcemente. Sbatté le palpebre un paio di volte, chiedendosi cosa ci facesse in quella camera sconosciuta e perché l’aria non fosse impegnata dell’odore dei panini dolci che sua madre faceva ogni mattina. La verità la colpì, violenta come un pugno sullo stomaco e le lacrime ripresero a scorrere. Singhiozzò per minuti interminabili, o forse ore. Decise di alzarsi. Per quanto amasse Alahrian, non poteva più restare lì, doveva andarsene. In un angolo trovò un paio di stivali e li indossò, le stavano leggermente grandi, ma avrebbe dovuto accontentarsi. Uscendo dalla casa afferrò un paio di pagnotte ne caso in cui le fosse venuta fame e il sacchettino delle erbe mediche. Davanti alla porta si bloccò, seguendo l’improvviso istinto che la portava ad andare a vedere per l’ultima volta la casa che era stata teatro dei suoi primi e spensierati anni. Tutto era come l’aveva lasciato il giorno prima: la porta divelta dai cardini e il corpo della madre riverso sulla soglia. La morte era stata pietosa con lei, sarebbe potuto sembrare che dormisse, se non fosse stato per la chiazza di sangue, ormai scuro, che le incorniciava il volto.
La rabbia prese il posto del dolore e, stringendo fra le mani il cristallo, la bambina sentì il cuore colmarsi d’odio. Allora giurò vendetta, vendetta contro i mostri responsabili della carneficina di quel giorno, contro quell’essere crudele che aveva ordinato un tale scempio. Spazzò via le lacrime, promettendo a se stessa di non piangere mai più e si lanciò in una folle corsa per abbandonare quella città ormai maledetta.
Corse finché le sue gambe, ancora corte e deboli, la sostennero. Alahrian era alle sue spalle, minacciosa, lugubre e ancora troppo vicina. Si voltò, un’ultima volta. I raggi del sole si infiltravano nelle crepe delle mura semidistrutte, danzavano beffarde sui corpi delle sentinelle, rifulgendo sulle lame delle spade e delle lance. Un cupo e soffocante sentore di morte e putrefazione cominciava a serpeggiare nell’aria fresca della mattina. La bambina trattenne un conato e proseguì la sua fuga, senza più voltarsi.
 
Camminava nella pianura ormai da ore, senza sapere dove si stesse dirigendo, seguendo semplicemente la strada, che ancora portava i segni dei carri e delle carrozze che erano solite percorrerla. Il sole era ormai alto nel cielo e sembrava deriderla, mentre la guardava affrontare il caldo torrido del mezzogiorno. La bambina gli lanciò uno sguardo si sfida, abbagliandosi e, nonostante la calura opprimente, continuò a camminare. Mangiò qualche boccone di pane, senza fermarsi, conscia che se l’avesse fatto, non si sarebbe più alzata e bevve a piccoli sorsi l’acqua dal piccolo otre che aveva trovato su uno scaffale qualche ora prima. Poi il pane finì. E anche l’acqua. Calava di nuovo la sera quando, sotto lo sguardo impietosito di una luna nascente, le apparve davanti agli occhi un villaggio. Era minuscolo per chi, come lei, era cresciuto nella grande e caotica Alahrian, ma accolse quella visione come un assetato che vede l’oasi nel deserto. Cercò di aumentare il passo per chiedere aiuto, ma le gambe le cedettero e si ritrovò immersa nella polvere. Quando stava per perdere definitivamente i sensi sentì una voce lontana: «Mamma! Papà! Venite ad aiutarmi!». Un paio di braccia gentili la sollevarono, poi svenne
 
Si risvegliò in un giaciglio fresco e pulito. Qualcuno l’aveva lavata, vestita con abiti nuovi e cambiato le fasciature ai piedi. Si mise a sedere, guardandosi avidamente intorno.
«Mamma! Si è svegliata!»
«Suvvia tesoro, lasciala stare. Non vedi che è disorientata?»
Una signora piuttosto in carne, dal viso paffuto e gentile si inginocchiò accanto al suo letto, porgendole un bicchiere di acqua e aiutandola a bere.
Com’era finita lì? Che cos’era successo i giorni prima? Chi erano quelle persone? E, soprattutto, chi era lei?
Domande su domande assillavano la mente della bambina, incapace di ricordarsi alcunché. «Io sono Serenai, come la grande regina di Alahrian, tu come ti chiami?» chiese un’altra bambina, pressappoco della sua età, che sedeva vicino al giaciglio su cui era adagiata. «Io … non mi ricordo» rispose debolmente. Il sorriso dell’altra si allargò ancora di più e gli occhi scuri e compassionevoli come quelli della madre si illuminarono: «Non importa. Vuol dire che troveremo insieme un nome per te. Ti piace Marelania? No, hai ragione è orrendo. Veridis? No, non ti ci vedo. Ci sono! Leylah!». La bambina sorrise. Ora aveva di nuovo un nome. La madre di Serenai le porse un involucro: «Quando ti abbiamo trovata lo stringevi tra le mani. Penso sia piuttosto importante per te». Riposto con cura all’interno del panno c’era il cristallo. Svelta se lo infilò al collo, sorridendo di gratitudine.
I giorni seguenti passarono come un sogno. Leylah trascorreva le giornate giocando con Serenai e aiutando nelle faccende domestiche. Sentiva però che c’era qualcosa di sbagliato, come se stesse vivendo la vita di qualcun altro. Fare il pane, il bucato, rammendare, non erano cose che le si addicevano. Era esattamente come quando sua madre tentava di insegnarle qualcosa dell’arte medica. Si sentiva veramente viva solo quando il padre le insegnava a maneggiare la spada o quando si azzuffava con i suoi amici nelle strade di Alahrian. Presa da quei pochi sprazzi di vita che ancora ricordava, immagini che sembravano avvolte nella nebbia, sfocate e confuse, Leylah si rigirava nel giaciglio, cercando una posizione comoda.
All’improvviso si sentì un ululato. Lungo e acuto. E man mano se ne aggiunsero altri, andando a formare un coro sublime. La bimba si alzo, infilò gli stivali di pelle e uscì nella notte. Seguendo una strana sensazione, si addentrò nella foresta buia. Aveva percorso solo pochi metri quando due occhi gialli apparvero tra gli alberi davanti a lei. Appartenevano ad un enorme lupo nero. Leylah non ebbe paura. Davanti a quella meravigliosa creatura, tutto ciò che fu capace di provare era rispetto. Senza distogliere lo sguardo si inchinò davanti a quello che aveva capito essere il signore della foresta. Il lupo studiò a lungo la bambina e, inaspettatamente, non l’aggredì ma ricambiò l’inchino. Poi le fece cenno di seguirlo con il capo. Leylah era stata accolta nel branco.
 
Angolo autrice
Non ho assolutamente nulla da aggiungere, se non che mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate e quindi sarebbe molto carino se mi lasciaste una recensione, anche piccola piccola. Ovviamente sono ben accette tutte le critiche, purché costruttive.
Un bacio, Aduial
   
 
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