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Autore: aduial    23/07/2014    2 recensioni
Una bambina sfugge miracolosamente alla distruzione della sua città, unica sopravvissuta di una crudele carneficina. Il suo destino sarà segnato da due incontri. Uno con una coetanea che le darà un nuovo nome e con esso la possibilità di ricominciare. L'altro avvenuto nel buio di una foresta, durante un concerto molto particolare, che la renderà davvero libera. Ma la prigionia più grande non sempre è quella che ti costringe in catene, anche qualcos'altro può togliere ogni briciolo di libertà: la voglia di vendetta.
Stora sospesa.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo secondo
Selthia
 
Leylah seguì l’immenso lupo nel fitto del bosco. Avanzava scostando i rami con le sue paffute mani da bambina e facendo scricchiolare le foglie cadute sotto ai suoi piedi. Camminarono per quasi un’ora, accompagnati dal frinire delle cicale e dal delicato rumore delle gocce d’acqua che dalle foglie cadevano sul morbido terreno del sottobosco. La bambina si guardava intorno, riempiendosi gli occhi di meraviglie, tanto che, talvolta, rimaneva indietro e doveva correre per raggiungere la sua insolita guida. Man mano che procedevano, la vegetazione si infittiva e con essa l’oscurità. Solo alcune lame di luce riuscivano a penetrare la volta arborea e creavano strane ed inquietanti ombre. Leylah rabbrividì, scorgendo degli strani luccichii, come di occhi che la osservavano curiosi. Si avvicinò maggiormente al lupo nero, che aveva lo strano potere di infonderle tranquillità.
 
Mentre avanzava Leylah cominciò a sentire un rumore forte e scrosciante e non tardò a riconoscerlo come quello prodotto da una cascata. Man mano che procedevano il rumore diventava sempre più forte, finché davanti agli occhi della bimba si aprì una radura illuminata dalla luce della luna. Si guardò intorno con gli occhi sgranati dalla meraviglia. Un ruscello limpido attraversava il prato, sovrastato da una cascata che precipitava da un’altissima roccia. Leylah cominciò a correre sull’erba, ridendo gioiosa fino a quando non si sentì sfinita e si lasciò cadere tra i fiori, sotto lo sguardo vigile e divertito dell’enorme lupo. Dopo che si fu riposata alcuni minuti si levò in piedi, pronta a continuare a curiosare. Notò che in un certo punto il ruscello si allargava per poi restringersi nuovamente, come a formare una sorta di piccolo lago. Attratta irresistibilmente verso di esso, si avvicinò e si inginocchiò sulla sponda, sfiorando delicatamente la superficie dell’acqua con la punta delle dita. Dopo pochi minuti la luna si specchiò nel laghetto, accarezzando quello specchio cristallino con le sue argentee dita.
Per un interminabile istante tutto tacque. Gli uccelli, il vento, il tintinnio dell’acqua. Non sentì più nulla. Poi dai fili d’erba, dai sassi che circondavano la riva, dalle foglie e dai tronchi sbucarono delle piccole luci, come se il baluginio di stelle lontane fosse sceso nel bosco per una notte. Quelle piccole schegge di luce avvolsero il corpo della bambina, giocando con le sue dita e con i suoi capelli, facendole il solletico. Leylah scoppiò a ridere, affascinata da quelle minuscole creature.
«Benvenuta, figlia della foresta» una voce, dolce e carezzevole come lo stormire delle fronde. Uno dei piccoli esseri luminosi si portò di fronte al viso della bambina, che tese la mano in avanti in modo tale che questi vi si potesse posare sopra. Leylah si trovò così ad osservare da vicino una creatura alta più o meno come il suo palmo, ma perfetta nella sua piccolezza. La pelle era diafana e liscia, i capelli onde lucenti che rotolavano sulle spalle. La bimba si incantò guardando le quattro ali dorate che le ornavano la schiena, luccicanti e frastagliate sui bordi e l’abito bianco, riccamente decorato.
«Io sono Selthia, la regina delle fate» si presentò la creatura, sorridendo dolcemente. Leylah sorrise di riflesso, affascinata dalla voce e dalle movenze eleganti della regina. Quest’ultima si rialzò in volo, facendo cenno alla bimba di seguirla.
 
«Sai Leylah …»
«Come sai come mi chiamo?» la interruppe la bambina, sconcertata.
«Oh, io conosco molte cose di te. Ma credo sia meglio raccontarti tutto dall’inizio. Vedi, c’è stato un tempo in cui gli uomini vivevano in pace con tutti gli altri popoli: fate, elfi, nani. Rispettavano la natura ed essa rispettava loro. Ovunque regnava l’armonia. Man mano che passarono gli anni, però, gli uomini divennero avidi, desiderosi di prevalere sugli altri popoli e di avere sempre di più. Sterminarono gli elfi e i nani, sopraffacendoli grazie alla loro maggioranza numerica. Le fate abbandonarono le praterie e le radure, rifugiandosi nel cuore delle foreste, l’unico luogo che gli umani, seppur nella loro follia, ancora temevano. La maggior parte di loro dimenticò l’amore per la natura, iniziando a temerla e a considerarla una nemica. Solo pochi continuarono a vivere in perfetta comunione con essa, ma con il passare degli anni, anch’essi diminuirono sempre di più. Vengono chiamati maghi o streghe e sono perseguitati ed emarginati. E questo solo perché non vengono capiti».
La regina tacque, lasciando vagare lo sguardo chiaro tra gli alberi. Allora Leylah si arrischiò nuovamente a parlare: «Ma perché gli uomini sono diventati così cattivi?» chiese, fissandola con i suoi ingenui occhi di bambina.
Selthia sospirò. Poi tornò a guardare Leylah. «Perché si sono fidati della persona sbagliata. Devi sapere che, nonostante la pace che regnava tra i popoli, questi non si erano mai mescolati gli uni con gli altri. Ma un giorno un’elfa e un umano si innamorarono. Dalla loro unione nacque una bambina, che crebbe splendida e abilissima a combattere, ma con la tendenza a imporsi sugli altri. Il suo nome era Carnilwen. Ereditò l’immortalità elfica della madre e l’avidità umana del padre, un connubio che fu la rovina degli uomini. Votò la sua anima al male e in cambio ne ricevette poteri oscuri di forza inimmaginabile, con i quali manipolò le menti di tutti coloro che osavano porsi sul suo cammino per ostacolarla. Salì al potere e da secoli regna incontrastata su ogni cosa. Gli ultimi baluardi che non è riuscita a conquistare sono proprio le foreste, in cui si sono rifugiate non solo le fate, ma anche gli ultimi superstiti degli altri popoli».
Leylah aveva lo sguardo perso. Non capiva come qualcuno potesse desiderare il potere in modo così forte, quasi spasmodico. «Ma non c’è un modo per fermarla?» chiese, dopo essersi riscossa.
«La leggenda vuole che così come dall’unione tra elfi e umani è stato generato il male, dall’unione tra elfi e umani questo verrà sconfitto»
«Quindi basterebbe che un elfo e un umano si innamorassero e tutto questo finirebbe?»
«Temo che non sia così semplice. Quando Carnilwen cedette al male, le venne dato un cristallo nero, grazie al quale ha il potere di compiere magie oscure. Ma il male non può esistere senza il bene e così venne creato un altro cristallo, quasi identico al primo, con un’unica differenza: era completamente bianco. Solo grazie all’amore unito al potere del cristallo bianco si potrebbe sconfiggere Carnilwen»
«Quindi bisogna trovare il cristallo bianco?» chiese la bambina, la cui fantasia aveva iniziato a galoppare, portandola a immaginarsi come un giovane cavaliere in cerca d’avventure.
La regina abbassò il capo, abbattuta. Le dispiaceva stroncare l’entusiasmo della piccola ma si sentiva in dovere di essere completamente sincera: «Mi dispiace Leylah, ma il cristallo bianco è andato perduto secoli fa. Alcune voci dicevano che fosse custodito nella città di Alahrian, ma non credo fosse così. Infatti Carnilwen ha attaccato la città, ma credo che non abbia trovato quello che cercava, altrimenti non saremmo qui a parlarne».
Leylah rimase pensierosa. Le sembrava di aver già sentito quel nome, Alahrian, ma non riusciva proprio a ricordarsi dove. Era esattamente come quando si era svegliata e non era stata capace di ricordarsi il suo nome. Fisso lo sguardo su una goccia di rugiada su una foglia e la osservò cadere, finché non tocco il suolo scuro.
Vedendola leggermente disorientata, la regina decise di aiutarla a ricordare: «È la città nella quale sei cresciuta, dove abitavi con i tuoi genitori».
La verità colpì la bimba come un pugno allo stomaco. Si accasciò a terra, mentre immagini terrificanti le sfilavano davanti agli occhi. Sangue. Paura. Morte. Dolore. Sua madre riversa sulla porta di casa. I corpi nelle strade. Cominciò a respirare affannosamente, ma non pianse. Aveva fatto una promessa. In quel momento un pensiero la colpì: «E se il cristallo non fosse stato trovato perché qualcuno l’aveva nascosto? Qualcuno che non è stato ucciso durante l’attacco».
Selthia la guardò confusa per alcuni istanti, poi un lampo di consapevolezza le attraversò lo sguardo: «Vuoi forse dire che …?»
«Mia madre mi ha affidato un cristallo bianco prima di morire, dicendomi di proteggerlo a qualunque costo. Confidava nel fatto che mi sarei salvata»
La regina la fissò, il volto acceso dalla luce della speranza: «Ma tua madre come ha fatto a entrare in possesso del cristallo? E ora dove l’hai nascosto?»
Leylah si alzò, grattandosi la testa e cercando una risposta alla prima concitata domanda che la regina le aveva posto: «Credo che l’abbia ricevuto in custodia dalla regina, erano molto amiche. Per quanto riguarda, invece, il posto dove si trova ora, è nella casa di quelle persone che mi hanno salvato dopo la mia fuga da Alahrian».
La fata assunse immediatamente un’espressione preoccupata: «Finché si trova in quel villaggio nessuno degli abitanti è al sicuro. Devi andare subito a recuperarlo» la esortò, volando di nuovo verso la radura. Una volta giunte nuovamente alla rive del ruscello, si trovarono circondate da tante piccole fate luminose, che spettegolavano sulla nuova arrivata con le loro voci armoniche, e da altrettanti lupi, ognuno caratterizzato da un manto differente. Leylah si incantò a guardarli, avrebbe voluto studiare ogni sfumatura, ogni riverbero delle stelle su quei colori che sapevano di bosco e di libertà. Al vedere l’espressione preoccupata sul viso della regina, il chiacchiericcio nella radura tacque.
«Gaaren!» chiamò Selthia. Il richiamo rimbalzò amplificato nel silenzio, parendo quasi un grido disperato. Dal gruppo uscì l’enorme lupo nero che aveva guidato Leylah fin lì. Ora che poteva vederlo confrontato con gli altri membri del branco, riusciva davvero a capire quanto fosse grande. A colpo d’occhio si intuiva che lui fosse il capobranco, il maschio alfa. Eppure si inchinò con rispetto di fronte alla minuscola regina, ancora più piccola al suo fianco. La fata sussurrò qualcosa all’orecchio del lupo che si abbassò sulle zampe, facendo cenno a Leylah di montargli in groppa. Quando si fu accertato che la bimba fosse aggrappata saldamente, si lanciò in una folle corsa, sparendo tra gli alberi e lasciandosi alle spalle la radura incantata.
Prima che il vento che le fischiava nelle orecchie cancellasse ogni altro rumore, Leylah fu certa di aver udito una frase, sussurrata dalla regina stessa.
«Buona fortuna, figlia dei lupi».
 
Angolo dell’autrice
Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che hanno speso un minuto del loro tempo per lasciarmi le fantastiche recensioni che ho ricevuto. Grazie anche a Himenoshirotsuki, che ha letto il capitolo in anteprima, dandomi degli ottimi consigli su come migliorarlo (per chi non ha niente da fare: passate sul suo profilo e date un’occhiata alle sue storie, sono davvero bellissime). Come sempre vi chiedo di dirmi cosa ne pensate, se avete consigli, critiche, accetto addirittura i complimenti, se proprio volete ;).
Un bacio,
Aduial
   
 
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