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Autore: Simonne Lightwood    07/07/2014    4 recensioni
PRESUNTA PRIMA PARTE DI COHF, incentrata sul ritorno dei Malec. Una riappacificazione che però avverrà nel più inatteso dei modi.
Un pericolo incombe sui figli di Lilith, minacciando la vita di Magnus. E se neanche i suoi poteri gli fossero d'aiuto questa volta? E se Alec , il suo ormai ex fidanzato, fosse l'unico in grado di salvarlo dalla crudeltà di Sebastian?
Genere: Azione, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Come sarebbe a dire glie l'hai detto?!» Gracchiò Maryse, fulminando con lo sguardo il marito.
Robert si alzò dal letto su cui erano seduti lui e sua moglie, allontanandosi da lei. Odiava quando le persone gli urlavano contro, soprattutto se era Maryse a farlo. 
«Vuoi spiegarmi qual'è il problema?» chiese, esasperato. «Io cerco di farti un favore e tu reagisci così? Sai Maryse, a volte proprio non ti capisco.»
Le parole di Robert non fecero che infastidire la donna ancora di più e quest'ultima si alzò di scatto dal letto.
«Pensavi davvero di farmi un favore andando da tua figlia a dirle ciò che io avrei dovuto dirle?» 
Robert serrò la mascella. Doveva mantenere la calma. «Non pensavo che per te sarebbe stato un problema.»
Maryse era in piedi davanti a lui, con le braccia incrociate contro il petto, mentre aspettava la sua spiegazione.
«Credevo che, parlando con Taylor al posto tuo, ti avrei tolto un peso dalle spalle. Ma evidentemente mi sono sbagliato.» Aggiunse. «Mi ero dimenticato che tu non sei il tipo di persona che apprezza i gesti che la gente fa per aiutarti.»
Maryse emise un verso strozzato. Questo non avrebbe dovuto dirlo. «Non cercare di girare la frittata! Ti costa tanto ammettere di essere nel torto!?» Sbottò, indignata dalla risposta del marito. 
«Certo, perchè sono sempre io quello nel torto, no? Da quando sei venuta a sapere che ti ho tradita non fai altro che addossarmi la colpa di tutto ciò che succede. È comparsa una macchia sul tuo prezioso tappeto persiano? È colpa mia. I nostri figli non ti danno ascolto? È colpa mia. Cerco di renderti le cose più facili parlando con mia figlia al posto tuo? È colpa mia, quando mai non lo è?»
«Non ti è passato per l'anticamera del cervello che ora Taylor penserà che ho mandato te a parlarle perchè io non ne ho il coraggio? Che razza di idea si farà di me ora?!» Disse Maryse, coprendosi il viso con le mani.
Robert tacque. Dunque era quello il motivo per cui sua moglie era così irritata dal fatto che lui avesse parlato con sua figlia del suo trasloco senza dirle niente. Si era dimenticato di quanto fosse orgogliosa la donna che aveva sposato. Ciò che più odiava al mondo era essere considerata una codarda. A Maryse importava ciò che le persone pensavano di lei e la infastidiva terribilmente quando la gente si faceva un'impressione errata di lei. Anche se, in questo caso, la persona in questione era una sedicenne, figlia di suo marito e nata per errore.
«Senti, Robert. So che stai facendo il possibile per farti perdonare e lo apprezzo, davvero, ma questa volta hai fatto la mossa sbagliata. Taylor ha avuto il coraggio di venire fin qui da sola, di bussare alla porta di casa nostra e presentarsi come tua figlia, pur sapendo che i ragazzi avrebbero potuto odiarla. Pur sapendo che io avrei potuto odiarla. Ha avuto il coraggio di iniziare una nuova vita qui con noi, lasciandosi alle spalle il passato e di combattere contro Jonathan insieme a noi, rischiando la vita. So che non dovrebbe importarmi ciò che pensa di me, dal momento che lei non è nessuno per me, ma credo proprio di doverle delle spiegazioni sul perchè non voglio che rimanga a vivere qui. È una ragazza in gamba e giuro sull'Angelo che non la odio, ma.. non è mia figlia, capisci?»
Robert la guardò per un attimo, riflettendo sulla sua risposta, poi annuì. «Su questo.. hai ragione. Forse non avrei dovuto intromettermi.»
Se Maryse aveva apprezzato le scuse del marito, non lo diede a vedere. «No, non avresti dovuto.» Disse invece. «E ora vado a parlare con lei, si starà chiedendo che diavolo sta succedendo.» Aggiunse, incamminandosi verso la porta. Ma nel momento in cui sfiorò la maniglia, un urlo agghiacciante la fece sussultare e si voltò di nuovo verso il marito.
«Che.. che cos'è stato?» Chiese d'istinto, pur sapendo che lui sapeva la risposta a quella domanda quanto lei.
«Non lo so. Ma non proveniva da lontano.» L'uomo si alzò, dirigendosi verso la finestra della camera da letto. Tirò la tenda e dopo pochi istanti spalancò gli occhi dall'orrore. Maryse lo raggiunse e guardò a sua volta fuori dalla finestra, curiosa di vedere ciò che aveva fatto impallidire suo marito in quel modo. 
Non ci mise molto a vedere il gruppo di ragni giganti che avevano circondato due ragazzini e si stavano avvicinando minacciosamente a loro. Come se non bastasse, uno dei due era una bambina, a terra e con un ginocchio sanguinante.
«Oh mio dio!» Esclamò la donna, sconvolta. «Quelli sono..»
«Demoni Kuri. Ragni succhiasangue che vengono attirati dall'odore del sangue. Qualcuno deve essersi fatto male, ma finirà ancora peggio se non interveniamo.» Disse Robert, senza staccare gli occhi dalla finestra. 
I demoni erano cinque. I due non sarebbero riusciti ad ucciderli tutti da soli, anche perchè presto ne sarebbero arrivati altri. I Kuri sono come api attirate dal profumo di un fiore, ma molto, molto più pericolosi delle api.
«Preparati e chiama Jace, Izzy e Taylor» disse lei, prendendo il telefono dal comodino «io chiamo Alec e gli chiedo di raggiunger..»
Ancor prima di finire la frase, Maryse vide il marito uscire dalla stanza a passi decisi. 

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Quando i Lightwood arrivarono nel luogo dell'aggressione, dovettero dividersi i compiti. Isabelle sarebbe andata a soccorrere i due bambini mentre gli altri avrebbero affrontato i demoni che, attratti dall'odore di sangue giovane e fresco, avevano ormai invaso la piazza. Per fortuna quella non era una parte animata della città e non c'era quasi nessuno in giro.
 Non c'era tempo da perdere. Se non fossero intervenuti subito, i Kuri avrebbero  seminato il terrore nella città, portando morte e distruzione nel mondo dei mondani. E il compito degli Shadowhunters é quello di impedire che questo accada ad ogni costo, mettendo come sempre le vite dei mondani prima delle proprie.
Isabelle vide i suoi genitori correre verso un demone-ragno piuttosto agitato. Quando la creatura avanzò minacciosamente verso Maryse, Isabelle vide suo padre sfoderare la sua spada e mettersi tra il demone e sua moglie, facendo da scudo alla donna, senza pensarci due volte.
Quel semplice gesto colpì la giovane come un secchio d'acqua fredda in faccia. Perchè si comportavano quasi come se fossero due estranei da quando suo padre era tornato ma erano pronti a sacrificare la propria vita per l'altro senza esitazioni? 
Isabelle si sentiva egoista ad ammetterlo persino a sè stessa, ma in fondo al cuore desiderava che le cose potessero tornare come una volta. Quando lei era ancora piccola e ignara di tutto. Quando credeva di avere una famiglia perfetta, con due genitori che si amavano e un padre onesto verso i suoi figli e sua moglie. Quando era convinta di avere solo due fratelli biologici. Isabelle, al contrario di Taylor, preferiva le bugie a fin di bene alla cruda verità. Avrebbe preferito vivere una vita costruita su una menzogna, senza scomode verità venute a galla e con due genitori che avrebbero finto di amarsi, pur di vederla felice. Ma le cose non erano così semplici. Isabelle sapeva che niente sarebbe più stato come una volta.
Qualcosa ai suoi piedi attirò la sua attenzione. Abbassò lo sguardo e vide qualcosa di lungo, nero e peloso che giaceva a terra. La zampa di un Kuri. Si voltò e vide Taylor armeggiare con la sua ascia. Pur con una zampa mozzata, il Kuri non sembrava intenzionato ad arrendersi facilmente e avanzava goffamente verso la bionda, emettendo suoni minacciosi.
Isabelle fece per srotolare la frusta dal suo polso e andare ad aiutarla, ma poi si ricordò del suo compito: i ragazzini da salvare. 
Indecisa su cosa fare, si guardò attorno e fu sollevata di vedere pezzi di ragni sparsi ovunque. Più che uccidere demoni, Taylor sembrava giocare a fruit ninja.
Sorrise. Anche senza Clary ad aiutarla, sua sorella se la stava cavando piuttosto bene. 

Le due piccole prede dei demoni non erano più nel punto in cui Maryse e Robert li avevano visti, ma Isabelle non fece fatica a trovarli.
Mentre stava correndo lungo la strada - con il fiatone e il cuore che le batteva sempre più forte nel petto per la corsa - qualcosa attirò la sua attenzione. Un suono debole, appena audibile, simile ad un lamento. Si fermò, rimanendo immobile per cercare di individuare la fonte di quel suono. Poi ricominciò a correre, ignorando il dolore che gli stivali dai tacchi a spillo -più adatti ad una serata in discoteca che ad una corsa frenetica per le strade di New York - le stavano provocando, rallentandola. Emise un verso di frustazione. Perchè diavolo si era messa quegli stivali?
Seguendo i lamenti soffocati, si ritrovò in una stradina semideserta, dove gli imponenti grattacieli sparivano, dando posto ad una serie di casette di mattoni, vecchie e malconce.
E finalmente li trovò: nascosto tra un cespuglio e due bidoni della spazzatura, c'era un ragazzino magro e biondo che stringeva tra le braccia una bambina dal ginocchio sbucciato e sanguinante. Un rivolo di sangue colava sulla pelle candida della bambina in lacrime. Erano rannicchiati sul pavimento e stavano singhiozzando talmente forte che non si accorsero nemmeno della ragazza che si era inginocchiata di fronte a loro. Isabelle allungò con esitazione una mano verso la ragazzina, la quale sussultò e si ritrasse subito dal tocco della Nephilim. 
Isabelle ritirò la mano, mordendosi il labbro. «Scusatemi, non volevo spaventarvi» disse, sorridendo alla bambina dai capelli castani e spettinati, che stava cercando di era nascondersi tra le braccia del maggiore.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso la mora. I suoi occhi verdi erano arrossati per il pianto. 
«Tu.. c-chi sei?» le chiese, mentre il suo sguardo vagava sui vestiti neri della ragazza, per poi posarsi sulla cintura di cuoio dalla quale pendeva una spada. Sgranò gli occhi nel vederla e Isabelle aprì la bocca per parlare. Avrebbe voluto rassicuralo, dirgli che non voleva fare del male a nessuno dei due, che era lì per aiutarli, per salvarli dai demo-.
«Sei uno dei Power Rangers??» 
A quella domanda, la bambina piangente tra le sue braccia alzò lo sguardo verso di lei, incuriosita dalla domanda del fratello.
Isabelle sbattè le ciglia, confusa. «Un power che?» Chiese, pentendosene nel momento in cui vide spegnersi la luce di speranza negli occhi dei due ragazzini.
«Un Power Ranger! Indossano divise colorate, combattono con spade fosforescenti e uccidono mostri giganti con voci metalliche.» Esclamò il biondo con entusiasmo.
Isabelle inarcò un sopracciglio.«Tesoro, non una power danger o-»
«Ranger. Power Ranger, non danger.» La corresse lui, con una punta di irritazione nella voce.
«Si, come vuoi» rispose lei, spazientita. Era lì per salvarli, non per perdersi in chiacchiere con un mondano che aveva non più di dodici anni.
«Ma allora chi uccidi con quella spada?» Chiese la bambina, parlando per la prima volta da quando Isabelle era arrivata. Almeno aveva smesso di piangere. Era un buon inizio.
Isabelle esitò un attimo prima di rispondere. Sapeva bene che era assolutamente vietato agli Shadowhunters rivelare la loro identità ai mondani. Poi si accorse che le persone con cui stava parlando erano praticamente due bambini, e si rilassò. Se fossero andati in giro a raccontare di aver incontrato dei demoni ragno giganti e una cacciatrice di demoni con una spada nella cintura, nessuno ci avrebbe creduto. Gli adulti avrebbero probabilmente dato la colpa alla televisione.
«Demoni. Uccido demoni.» Rivelò la mora.
«Ma i demoni non esistono!» Obiettò il biondo. Dall'atteggiamento che stava mostrando in quel momento, sembrava essersi del tutto ripreso dal pianto.
«E i mostri giganti con voci metalliche si, invece?» Sbottò lei. Stava davvero discutendo con un dodicenne sull'esistenza delle creature che affrontava ogni giorno per proteggere quelli come lui? 
Prima che qualcuno potesse rispondere, Isabelle sentì dei passi avvicinarsi. Si irrigidì, sperando che chiunque fosse non li notasse. Se un mondano dovesse scoprire la sua identità, finirebbe nei guai. Grossi guai. Ma i passi si fecero più vicini e Isabelle vide due lunghe gambe avvolte in pantaloni rosa shocking camminare nella loro direzione.
«Isabelle..?» 
La mora alzò lo sguardo ed emise un sospiro di sollievo nel nel vedere Magnus. Aveva decisamente un aspetto migliore rispetto all'ultima volta in cui l'aveva visto. I suoi capelli erano di nuovo cosparsi di glitter e i suoi occhi erano più luminosi che mai. Isabelle era rimasta colpita dagli occhi dorati di Magnus dal momento in cui l'aveva visto per la prima volta e lo spesso strato di eyeliner che li contornava in quel momento li rendeva ancora più accattivanti, ma la mora avrebbe giurato che che non era il trucco a dare agli occhi dello Stregone quella luce. Era qualcos'altro. Era la libertà. Era la felicità. Era l'amore. Era Al-
«Quello è il mago di Oz?» 
La bambina scoppiò a ridere. Isabelle lanciò ad entrambi un'occhiata torva. Quel bambino stava mettendo alla prova la sua pazienza. Tuttavia si morse la lingua e non disse niente. A quello ci pensò Magnus.
«Il mago di Oz?!» Sbottò Magnus, offeso e incredulo. Poi puntò un dito contro il biondo. «Senti, marmocchio. Non ti permetterò di prenderti gioco del magnifico, splendido, amatissimo e potentissimo sommo Stregone di Brooklyn. Si, hai capito bene. Io sono l'alto Stregone della città, il più temuto, il più invidiato, il più-»
«Magnus» lo interruppe la Nephilim, che in quel momento avrebbe preferito andare a combattere contro un esercito di Kuri piuttosto che discutere con il marmocchio per un altro minuto. «È solo un bambino mondano. Risparmiati la fatica.»
Lo Stregone fece per obiettare, ma l'occhiataccia che gli lanciò la ragazza gli fece cambiare idea.
«Okay, allora. Passiamo alle cose importanti. Se ti stai chiedendo cosa ci faccio qui, quando Alec ha ricevuto la chiamata dall'Istituto ho insistito per venire con lui. Voleva che restassi a casa a riposarmi, ma non me la sentivo di lasciarlo rischiare la sua vita senza che potessi fare niente per aiutarlo. Quando siamo arrivati e non ti ha vista, ha iniziato a preoccuparsi e gli ho detto che sarei venuto a cercarti. E ora, potresti spiegarmi chi sono questi due marmocchi nascosti dietro a due bidoni della spazzatura?» Disse, indicando con la mano i due ragazzini che li guardavano confusi. Alec? Istituto? Ovviamente non capivano di cosa stessero parlando.
«Sono stati loro ad attirare i demoni qui. I Kuri si nutrono di sangue e cacciano le loro prede in gruppi. Come vedi, la bambina è ferita, seppur lievemente.» Spiegò lei. Poi si rivolse verso i due. «Potreste spiegarci cos'è successo?»
Capendo che il momento delle battute era finito, il ragazzino assunse un'espressione seria. «Io e mia sorella  stavamo facendo un giro sulla mia bici. Ho cercato di farle capire che era troppo piccola per andare su una bici da grandi, ma lei ha insistito. Ad un certo punto è spuntato fuori dal nulla un cane. Non volevo investirlo e quindi ho frenato bruscamente e Kate è caduta dalla bici sbucciandosi il ginocchio.»
Isabelle lanciò un'occhiata al ginocchio della bambina. Aveva smesso di sanguinare e il sangue stava iniziando a seccarsi. 
«E poi sono arrivati i Kuri? Cioè, i ragni giganti?» Chiese Magnus.
«Si. Stavo giusto aiutando Kate a rialzarsi quando ad un tratto sono spuntati fuori due ragni enormi. Io e mia sorella eravamo terrorizzati. Non avevamo mai visto niente di simile. Stavano venendo verso di noi e quindi abbiamo iniziato a correre. Eravamo talmente in preda al panico che ci siamo dimenticati della bici. Kate si lamentava perchè le faceva male il ginocchio e ho dovuto trascinarla. Stavo correndo senza sapere dove stavo andando. Volevo solo seminarli. Quando entrambi eravamo troppo stanchi per continuare a correre, ci siamo fermati e ci siamo nascosti qui, sperando che non ci trovassero.» Spiegò lui, mentre sua sorella annuiva in silenzio.
Isabelle si alzò in piedi. «Fidatevi di me, non verranno a cercarvi.»
I due annuirono di nuovo. C'era qualcosa nell'espressione e nella voce della ragazza che li induceva a fidarsi delle sue parole.
«Ma adesso cosa facciamo?» Chiese la bambina, guardando Isabelle con aspettativa.
«Adesso io devo tornare ad aiutare altri.» Disse lei, rivolgendosi a Magnus e cercando il suo consenso nei suoi occhi. Lo Stregone annuì. Isabelle si girò di nuovo verso i ragazzini.«Il mago di Oz si occuperà di voi.» Disse, con un sorriso sorriso giocoso a Magnus.
«Ora ti ci metti anche tu?!» Esclamò lui, dandole un colpetto sul braccio.
Isabelle rise, ma tornò seria subito.«Occupati di loro, Magnus. Sai cosa devi fare.»

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Jace si pulì frettolosamente la faccia con una mano, cercando di togliersi di dosso quello schifoso liquido nerastro. Il suo viso si contorse in un'espressione di disgusto mentre altro icore demoniaco schizzava dall'arto peloso del demone-ragno e finiva sui suoi riccioli dorati. 
Approfittando del momento di debolezza del mostro, il biondo affondò la spada in uno dei tanti occhi rossi e privi di pupille del demone, il quale emise un suono stridulo che fece venire a Jace la pelle d'oca. 
Il Kuri iniziò a contorcersi dal dolore, strillando e agitandosi, mentre altro icore colava dal suo occhio. 
Jace alzò gli occhi al cielo. I demoni-ragno erano creature talmente stupide che ucciderli era fin troppo facile. O almeno lo era per il leggendario Shadowunter Jace Lightwood.
«Mi hai stufato, bestiaccia. Mi stai facendo perdere tempo, quindi facciamola finita.» Disse Jace, annoiato,  saltando in groppa al ragno gigante prima ancora che questo potesse accorgersi del movimento fulmineo del biondo. Impugnò saldamente la sua Samandriel e trafisse la schiena della creatura, centrando senza difficoltà il cuore. Il demone Kuri emise un ultimo lamento sofferente prima che il suo corpo iniziasse a contorcersi in preda agli spasmi, rimpicciolendosi sempre di più, fino a sparire nel nulla.
Jace si guardò attorno. Aveva ucciso il terzo demone, ora gliene mancavano altri.. dieci? Quindici? Ormai aveva perso il conto. Quando erano arrivati ce n'erano pochi e Jace aveva sperato che sarebbero riusciti a farli fuori in fretta in poco tempo, ma i Kuri erano accorsi come un branco di avvoltoi affamati che dall'alto intravedono la carcassa di un animale morto. Erano in tanti, si, ma almeno avevano la fortuna che quel tipo di demoni non fosse particolarmente intelligente. Dovevano solo stare attenti alle loro fauci, perchè quelle erano fatali. 
Quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi incrociarono quelli rossi e iniettati di sangue di uno dei simili della cosa che aveva appena ucciso. Il biondo sollevò l'arma verso la creatura pronta ad attaccare.
«Su, bello. Fatti avanti.» Disse Jace, facendo roteare velocemente la spada tra le sue mani per disorientare il demone. Il giochetto non fece altro che infastidire la creatura, che attaccò senza esitare, ma non appena il Kuri spalancò le fauci, rivelando una fila di denti giallastri, sottili e appuntiti come aghi, il cui corpo si irrigidì e presto cadde a terra con un tonfo, sibilando e contorcendosi. 
Jace inarcò un sopracciglio, sorpreso, e vide che nella schiena della creatura vi era conficcata una freccia. 
Sorrise. Non aveva bisogno di alzare lo sguardo per vedere chi aveva deciso di occuparsi del suo avversario al posto suo. Lo sapeva  già. Tuttavia lo fece. Guardò in alto, verso la figura scura in piedi sul tetto di una casa vicina. Alec stringeva il suo arco in una mano e una freccia nell'altra e, anche se si trovava a diversi metri da lui, Jace poteva vederlo sorridere. Fu contento di rivedere finalmente quel sorriso raro ma gentile del suo migliore amico, in grado di portare un po' di luce anche nelle giornate più buie. Quel sorriso che Jace non aveva più visto per parecchi giorni, e che ora si era di nuovo fatto largo sul volto del ragazzo, illuminandolo. E Jace era sicuro di conoscere la ragione di quel sorriso. Una ragione dagli occhi color giada dorato che portava il nome di Magnus.
Jace decise di fingersi offeso. «Non c'era bisogno di portarmi via la preda, sai?» Disse, incrociando le braccia contro il petto in modo teatrale.
Alec tirò fuori un'altra freccia, preparandosi al tiro successivo.
«Beh, forse la tua preda mi piaceva più delle altre» rispose il moro, in tono giocoso. 
Jace sorrise all'amico. Normalmente Alec avrebbe risposto ad una sua battuta con un'occhiata torva o qualcosa del genere. Evidentemente il suo parabatai era di buonumore, quel giorno. 
«Jace!» 
Il biondo si voltò e il suo sorriso svanì nel vedere l'espressione tutt'altro che divertita di Isabelle. La mora stava cercando di affrontare due Kuri contemporaneamente, ma dai suoi muscoli tesi e dal sudore che le colava dalla fronte, Jace capì che aveva bisogno di aiuto. Del suo aiuto.
«Volete anche del the coi pasticcini mentre chiacchierate tranquillamente nel bel mezzo di un'orda di demoni che non vede l'ora di farci a pezzi!?» Gracchiò Isabelle, tirando un colpo di frusta in pieno volto a uno dei demoni-ragno, il quale strillò, accovacciandosi a terra. La Nephilim lanciò un'occhiata di disprezzo alla creatura ai suoi piedi, prima di sferrare un altro colpo. 
Jace si sentì come un bambino che veniva sgridato dalla maestra perchè non aveva fatto i compiti. Isabelle aveva ragione: quello era tutt'altro che un momento buono per distrarsi e chiacchierare con il suo amico. 
Impugnò la spada e si lanciò contro il primo demone che si trovò davanti.

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Pozzanghere di liquido nero grosse quanto stagni, ragni agguerriti e Shadowhunter sempre più stanchi. Questo era ciò che Alec vedeva dall'alto, in piedi sul tetto di una casa. Vide Isabelle indietreggiare, mentre un Kuri avanzava verso di lei, con le fauci che si aprivano e chiudevano come un paio di forbici. 
No. Quella viscida creatura non avrebbe sfiorato la sua sorellina. Alec non ci pensò due volte. Prese la mira e scoccò l'ennesima freccia, la quale finì nel fianco del un demone. Isabelle alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise con entusiasmo, poi tornò a concentrarsi sugli altri demoni. 
Alec scrutò con lo sguardo la piazza e il suo cuore perse un battito nel vedere sua madre circondata da ben quattro.. no, cinque demoni. Prima che il moro potesse chiedersi perchè i demoni avessero preso di mira proprio Maryse, il ragazzo vide con orrore del sangue colare dal braccio della donna. 
Questa non ci voleva pensò Alec, con il cuore in gola. Tirò il braccio indietro per prendere un altra freccia ma ad un tratto sentì qualcosa colpirlo alla schiena. Senza nemmeno accorgersene, Alec stava precipitando giù dall'edificio. Imprecò mentalmente. Un Kuri si era arrampicato sul tetto e lo aveva buttato giù. Non c'era nessun'altra spiegazione. Si sarebbe rotto qualcosa e avrebbe dovuto sprecare del tempo a farsi iratze anzi che aiutare sua madre. 
Ma, con sua sorpresa, il suo corpo non toccò mai il cemento. Un paio di braccia magre ma forti lo stavano reggendo. Aprì gli occhi che non si era accorto di aver chiuso e il suo sguardo incrociò quello divertito di Magnus. 
«Hai messo la tua vita nelle mie mani, guanciotte dolci. Letteralmente.» Scherzò il maggiore, mentre Alec arrossiva per l'imbarazzo.
«I-io non..un demone..» balbettò, cercando di dare una spiegazione a ciò che era appena successo.
Lo Stregone tornò serio. «Cerca di non cadere di nuovo dal tetto, Alec. Rischi di romperti qualcosa. E io ti voglio integro.. per stasera.» Magnus sussurrò le ultime due parole nell'orecchio del giovane, facendolo arrossire ulteriormente. 
Erano in una piazza assediata da demoni succhiasangue e Magnus lo stava stuzzicando. Alec sorrise. Magnus non smetteva mai di sorprenderlo.
«Ora mettimi giù però, sembriamo una coppia di sposini e il momento è alquanto inopportuno» disse Alec e Magnus mise il broncio. 
«Non mi merito qualcosa per averti salvato la vità, stella cadente?»
Il moro rise al soprannome e circondò la vita del suo ragazzo con le braccia. 
«Vedo che qualcuno ha bisogno di attenzioni..» mormorò, facendo sfiorare le loro labbra.
Magnus non rispose. In ogni caso non sarebbe riuscito a formulare una frase di senso compiuto con le labbra di Alec così vicine alle proprie. Annullò del tutto la distanza tra di loro, coinvolgendo il Nephilim in un lungo bacio e presto si ritrovò la lingua di Alec in bocca. Inutile dire che Magnus apprezzò il gesto. Amava vedere il suo ragazzo prendere l'iniziativa. Rimasero lì a baciarsi, dimenticandosi per un attimo di essere circondati da demoni-ragno succhiasangue giganti. Era così ogni volta. Tutte le volte che i due ragazzi si baciavano, il resto del mondo spariva. 
Magnus e Alec erano all'oscuro del fatto che c'era qualcuno che li stava guardando in quel momento. Qualcuno che aveva cercato di ignorare la loro relazione per molto, troppo tempo. Qualcuno che in quel momento stava combattendo contro i sentimenti contrastanti che la visione di quel bacio così intenso gli aveva provocato. Qualcuno che aveva finalmente deciso di parlare con Magnus.

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Erano in troppi. Non ce l'avrebbe fatta da sola. Si guardò attorno, mentre il suo battito cardiaco accellerava. Vide suo marito, in groppa a una delle creature mentre cercava di colpirla mortalmente. Vide Isabelle e Jace che combattevano fianco a fianco. Isabelle sembrava esausta. Vide Taylor, impegnata a ridurre in mille pezzi un Kuri probabilmente già morto. Le si strinse il cuore nel petto. Solo poche ore prima, Robert era andato a dirle che doveva andarsene, che la sua presenza all'Istituto non era gradita da tutti. Maryse era convinta che Taylor avrebbe rifiutato di unirsi insieme a loro contro i demoni. Perchè mai avrebbe voluto combattere insieme a qualcuno che voleva sbarazzarsi di lei? E invece era lì, con l'ascia tra le mani e un mucchio di pezzi di demone-ragno ai piedi, intenta ad uccidere altri demoni come se non ci fosse un domani. 
Il gesto della ragazza rendeva le cose ancora più difficili per Maryse. Ora sarebbe stata davvero dura guardarla negli occhi e dirle che no, non poteva rimanere a vivere all'Istituto, neanche dopo aver accettato di combattere insieme a loro senza esitazioni.
Maryse era circondata. I Kuri avanzavano velocemente verso di lei. Decine di occhi iniettati di sangue erano puntati su di lei. Dalle fauci aperte dei mostri colavano rivoli di bava. Maryse si mise una mano sulla bocca, per non vomitare. Aveva provato a coprire il taglio che si era fatta accidentalmente con la spada sul braccio, ma l'olfatto ultrasviluppato dei demoni li aveva attirati come una calamita verso di lei. Maryse si maledì per la sua sbadataggine e strinse la presa sulla sua la sua spada. 
Senza nemmeno accorgersene si ritrovò faccia a faccia con un Kuri affamato e impaziente. Il suo muso era pericolosamente vicino al viso della donna e i suoi occhi grossi quanto chicchi di grano le sembravano enormi in quel momento. Con mano tremante, Maryse alzò la spada per attaccare, ma il demone fu più veloce di lei. Spalancò le fauci, rivelando due file di denti giallastri e appuntiti, simili a quelli dei vampiri ma tre volte più grossi, e la Nephilim si rese conto che era troppo tardi per reagire. 

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Taylor era stanca. O meglio sfinita. I muscoli delle braccia le facevano male e il peso dell'ascia sembrava aumentare sempre di più nelle sue mani. Cadde in ginocchio, troppo stanca persino per reggersi in piedi. Attorno a lei, i corpi dei demoni uccisi stavano scomparendo, uno dopo l'altro, lasciando pozzanghere di icore nero e puzzolente. Chiuse un attimo gli occhi, cercando di regolare il suo respiro. Respira, espira. Respira, espira. Respi-
«Taylor!»
La bionda si girò verso la direzione da cui proveniva la voce. Vide Isabelle che indietreggiava mentre un Kuri avanzava verso di lei e si accorse con terrore che la ragazza era disarmata. La sua frusta giaceva a terra a un paio di metri da lei. Taylor abbassò lo sguardo sulla cintura, dove avrebbe dovuto esserci una spada che però non c'era. Scattò in piedi, correndo verso di lei con l'ascia in mano, ma la ragazza la fermò con un gesto della mano. Per un attimo Taylor rimase immobile, guardando la sua sorellastra senza capire. Poi Isabelle indicò qualcosa con la mano. O meglio qualcuno. Taylor vide Maryse, circondata da un gruppo di demoni, uno dei quali era pericolosamente vicino a lei.
«Aiutala» disse, mentre cercava di recuperare la sua frusta e di schivare i colpi del demone contemporaneamente.«Per favore.» 
Taylor si morse il labbro. Nella voce di Isabelle c'era disperazione.
Per un momento, cercò di ignorare la sua rabbia verso Maryse. Cercò di ignorare la frustrazione e la stanchezza che stava provando.
 Chiuse un attimo gli occhi e nella sua mente apparve il viso di sua madre. L'immagine della donna era talmente nitida nella sua mente da far male. I suoi capelli sempre pettinati con cura, le fossette che le apparivano ai lati della bocca quando sorrideva, i suoi occhi viola scuro, così simili ai propri. E la sua voce. Quella voce che non sentiva ormai da mesi ma che non avrebbe mai dimenticato. Per nulla al mondo.
Non esitare neanche un attimo ad aiutare una persona in difficoltà. Non importa che ruolo abbia quella persona nella tua vita. Non importa che sia una persona a te cara o uno sconosciuto. Non importa che sia uno Shadowhunter, mondano o Nascosto.  Aiutare qualcuno che ne ha bisogno è il miglior gesto che tu possa fare. Non dimenticarlo mai, Tay.
Furono quelle parole a dare a Taylor la forza di rialzarsi in piedi. Senza nemmeno accorgersene, stava correndo in direzione di Maryse, e la determinazione prese il sopravvento sulla rabbia. In quel momento non stava salvando la donna che voleva separarla dall'unica famiglia che le era rimasta. In quel momento stava salvando una persona che aveva disperatamente bisogno di aiuto.
Le fauci del demone-ragno erano spalancate, i denti pronti ad affondare nella carne della donna, immobile e con gli occhi chiusi, pronta a morire.
Taylor sollevò le braccia in aria e affondò l'ascia nella schiena della creatura, cogliendola di sorpresa.
Il demone urlò. Fu un urlo assordante, uno di quelli che ti fanno venire la pelle d'oca. Maryse aprì gli occhi di scatto, sorpresa nel vedere il demone che cadeva a terra e si contorceva su sè stesso. Poi il suo sguardo si posò su Taylor, la sua salvezza. La donna sbattè le ciglia un paio di volte, incredula. Per qualche istante, il suo volto rimase inespressivo mentre cercava di realizzare ciò che era appena successo. Poi le sue labbra si allargarono in un sorriso. Ma quel sorriso così sincero non durò a lungo. Lo sguardo della donna si spostò improvvisamente su qualcos'altro, qualcosa alle spalle di Taylor e presto il sorriso si trasformò in una smorfia di orrore. 
«Taylor! Dietro di-» 
Taylor spalancò gli occhi. Un dolore acuto che partiva dalla spalla si diffuse rapidamente in tutto il suo corpo. Denti. Denti lunghi e appuntiti trafissero la sua carne prima che lei avesse il tempo di girarsi. Taylor urlò, accasciandosi a terra, incapace di reggersi in piedi. Chiuse gli occhi, sforzandosi di non piangere. Gli Shadowhunters non piangevano in battaglia. Il dolore era insopportabile e lei si sentiva sempre più impotente. 
Un altro urlo si diffuse nell'aria, ma questa volta non era il suo. Non sapeva di chi fosse. Non riusciva nemmeno a pensarci. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era la sua morte. Taylor sapeva quanto fosse letale il veleno dei demoni Kuri. In quel momento si sentiva come un topo che è stato morso da un serpente, il quale aspetta solo che che la sua vittima muoia avvelenata per mangiarsela. Una morte lenta e dolorosa.
Il veleno del demone si sarebbe diffuso in ogni cellula del suo corpo, uccidendola poco a poco. 
Un debole sorriso si formò sulle sue labbra. Almeno sua madre stata sarebbe fiera di lei. E forse persino suo padre. 
Poi sentì dei passi. Erano sempre più vicini. Qualcuno stava correndo verso di lei, ma la bionda non aveva nemmeno la forza di girare la testa per vedere chi fosse. Il suo corpo ormai non rispondeva più ai comandi.
Sentì qualcuno ripetere il suo nome. Una, due, tre, quattro volte. Ad un certo punto Taylor perse il conto. Un paio di braccia forti la sollevarono da terra e presto sentì un altro corpo premere contro il proprio. Quello di suo padre. Le stava dicendo qualcosa, ma la ragazza non riusciva a seguire il filo delle sue parole.
«..-aylor.. non -iudere gli occhi.. -evi resistere.. tutto a posto.. Istituto.. -telli silenti..starai bene..»
La voce di suo padre sembrava sempre più lontana.. sempre più distante. Taylor avrebbe pensato che Robert si stesse allontanando, se non fosse per le braccia ancora saldamente avvolte intorno a lei, che la cullavano come se fosse una bambina. E poi sentì qualcosa di caldo e bagnato posarsi sulla sua fronte. Una goccia. Stava piovendo? No, la pioggia era fredda. Una lacrima. Si, quella doveva essere una lacrima. Robert stava davvero piangendo per lei? Non pensava nemmeno che ne fosse capace.
Taylor cercò di dire a suo padre di non piangere, di rassicurarlo in qualche modo, ma dalla sua bocca uscì solo un debole suono sofferente.
E poi la forza la abbandonò del tutto e la ragazza sprofondò nel sonno. Un sonno da cui forse non si sarebbe mai risvegliata.


Sono schifosamente in ritardo. Di nuovo. 
Uno schifo. Ecco cos'è questo capitolo. Uno schifo di 17 pagine di word. 
Non mi stupirei se smetteste di seguirmi dopo questa schifezzina, anche se spero che non lo facciate, perchè ho delle belle sorprese in serbo per voi nei prossimi due capitoli. 
Qualcosa di importante succederà ai malec, ma non vi anticipo niente. E non è detto che sia necessariamente qualcosa di bello. Basta, sto zitta.
Purtroppo ho una brutta notizia per voi. Il 10 parto e sto via per un mese. E nel posto in cui vado non c'è il wifi. Un mese senza wifi, piango solo al pensiero. Tuttavia mi porterò il computer dietro e scriverò i prossimi capitoli, anche perchè dovrò pur fare qualcosa per non morire di noia. 
Sempre se qualcuna di voi avrà ancora voglia di continuare a leggere sta cosa dopo aver letto cohf.
Ora vado, amours. Recensite pls. Anche se il capitolo vi fa schifo.
Un bacio,
-Simo ♥
  
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