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Autore: Xima_    10/07/2014    3 recensioni
{ Personaggi serie Metal, BeyWhezzel e OC | AU!Sovrannaturale | ispirata al manga “Bibliotheca Mystica de Dantalian” }
Non ha mai fatto male a nessuno leggere un libro, giusto? Eppure, ci sono testi che è bene non siano letti. Libri che non dovrebbero nemmeno esistere, poiché un destino terrificante attende chi si azzarda a leggerli. Questi testi devono essere custoditi in un posto sicuro, una leggendaria biblioteca dove vengono raccolti libri con un potere immenso: la Bibliotheca Mystica de Illusion.
Sarà compito di una ragazza, Miku Kurogane, figlia del Custode della biblioteca e nipote del grande Bibliotecario Nero, trovare questi libri pericolosi, prima che finiscano in mani sbagliate. Verrà aiutata da una persona particolare, precisamente da un demone, che tutti conosciamo con il nome di “Principe dell’Ade”

Scusate per questa fan fiction penosa, ma quando mi viene in mente qualcosa niente mi ferma. Io, grande amante del soprannaturale, non potevo trattenermi nel scrivere qualcosa di questo genere, e, grazie al manga che ho da poco comprato, è spuntata fuori questa idea. Spero vi piaccia.
Xima_

(Capitoli uno, due, tre revisionati)
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Damian Hart, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pagina tre
 
Destino prestabilito
 
 
Una bambina rincorreva la palla, canticchiando allegra una canzone:
 
  In un bosco,
dentro una casa,
stava un demone.
Lui attendeva, impaziente,
l'arrivo della sua contraente.
 
 
Quel venerdì di novembre era diverso dai precedenti: il cielo si era schiarito e il vento aveva spazzato via tutte le nuvole cariche di pioggia. Il sole splendeva più che mai, illuminando Komamura e accompagnando i cittadini al lavoro o a scuola.
Gli studenti della scuola WBBA erano vivaci e sorridenti, pur consapevoli che sarebbe iniziata un’altra giornata scolastica. Tra tutti i giovani, solo una non godeva di quella bella giornata: io.
Seduta al solito banco, in seconda fila, vicino alla finestra, tenevo lo sguardo perso nel vuoto, con una penna tra le labbra.
I miei amici erano tutti a farsi gli affari loro: Mei-Mei era davanti a me, intenta a scarabocchiare schizzi per le sue mosse di kung-fu; Masamune e Gingka erano in fondo alla classe a farsi un pisolino (strano che la professoressa non si fosse accorta del loro russare); e Madoka non c’era per un malanno preso il pomeriggio precedente, durante l’uscita con gli amici, infatti il banco accanto a me era vuoto.
Le parole della professoressa d’inglese, Hikaru, la vicepreside, mi arrivavano lontane, facendo da sottofondo ai miei pensieri insieme al russare del Duo Baka.
Ero stanca per prendere appunti. Mi ero svegliata già esausta, come se avessi lavorato in cantiere per venti ore di fila. Quando quella mattina mi ero guardata allo specchio, quasi non mi riconoscevo: occhiaie profonde, capelli disordinati, pelle cadaverica. Per un momento avevo creduto di essere uno zombie.
Puntai lo sguardo fuori alla finestra, verso il cielo limpido, così luminoso che sembrava prendermi in giro.
Sbuffai. Oltre alla debolezza, uno stranissimo sogno, fatto quella notte, mi tormentava: dal libro regalatomi dallo zio era uscito un ragazzo, vestito in modo alquanto bizzarro, e mi aveva baciata. Sì, doveva essere per forza stato un sogno, impossibile che dalle pagine di un vecchio libro apparisse uno sconosciuto: roba troppo soprannaturale. Non avevo mai creduto alle leggende che si raccontavano: i fantasmi, i mostri, gli zombie, i vampiri, i lupi mannari, tantomeno i demoni! Solo stupidaggini per spaventare la gente. Eppure sentivo ancora le sue labbra sulle mie e la freddezza della sua mano sulla guancia. Solo al pensiero avvampai, potevo fare a gara con i capelli rossi di Gingka.
«Prendete il diario, andate a martedì prossimo e segnate i compiti» ordinò Hikaru, voltandosi verso la lavagna e scrivendo con il gessetto gli esercizi.
Ubbidii svogliata. Andai alla ricerca del diario, nascosto nei meandri dello zaino, ma la mano afferrò qualcos’altro: Hades. Mi paralizzai con la bocca aperta. Cosa ci faceva lì? Io l’avevo lasciato sulla mia scrivania, n’ero sicura.
«Certo che voi umani siete proprio stupidi» commentò qualcuno seduto accanto a me. Ma che assurdità stava dicendo Madoka? Umani stupidi? Magari anche lei stava delirando.
Sospirai pesantemente, cercando di convincermi ancora che quel libro era frutto della mia stanchezza. Poi riflettei su una cosa: Madoka non c’era, quindi chi aveva parlato?
Spostai lo sguardo sulla sedia della mia amica e per poco non svenni: con le gambe accavallate sul banco, che mi guardava con aria beffarda, c’era il ragazzo di ieri. Gridai e finii a terra, seguita a ruota dalla sedia e dai quaderni, attirando l'attenzione della classe. Nella testa regnava la confusione. Se lui era lì significava solo una cosa: quello che era accaduto non era stato un sogno, quindi pure il bacio…
Avvampai, guardando allarmata il ragazzo dai capelli azzurri, che si stava divertendo a vedermi in quello stato.
«C’è qualche problema, Kurogane?» mi chiese la professoressa. «Non sopporto gli studenti quando interrompono le mie lezioni». Ma come?
«Ma lì c’è un pazzo vestito da supereroe!» strepitai indicandolo, ancora seduta sul pavimento. Lo sconosciuto fece una smorfia, forse offeso.
«Non c’è nessun pazzo. L'unica pazza qui è lei. E ora torni in silenzio a seguire la lezione.»
«Le ‘sto dicendo che è qui. Non sono pazza!» protestai io, rimettendomi in piedi. Come osava darmi della pazza?!
«Miku, sei impazzita? Torna a posto prima che Hikaru-sensei si arrabbi» mi intimò Mei-Mei, seduta al banco davanti, che mi scrutava inquietata. Perché tutti mi stavano dando della pazza?!
«No, mi rifiuto di cedere! Lì c’è un demone maniaco che ieri mi ha baciato!». Appena mi resi conto di ciò che avevo urlato, per di più davanti alla classe, mi sentii stupida. E pazza.
«Kurogane, vuole fare una bella visitina dal preside? Se non le piace la lezione vada fuori al fresco e non si inventi più scuse assurde come questa!» sbraitò indignata la professoressa, sbattendo una mano sulla cattedra. Quando si arrabbiava faceva paura.
Era meglio uscire o peggioravo la situazione. Mi affrettai a rimettere quaderni e penne nello zaino e uscii sotto lo sguardo severo di Hikaru e dei miei compagni, che bisbigliavano tra loro. Intanto Gingka e Masamune russavano ancora.
 
 
Nel corridoio, mi lasciai scivolare contro il muro, cercando di calmarmi e riordinare i pensieri. Lo sguardo era vacuo, disorientato, spiritato. Non ero più me stessa. Io che venivo sbattuta fuori dalla classe? Sarebbe apparso in prima pagina sul giornalino della scuola! Questo mi avrebbe rovinato la condotta.
Tutta colpa di uno stupido demone maniaco!
«Chi sarebbe lo 'stupido demone maniaco'
Mi voltai adirata verso il ragazzo dai capelli azzurri, apparso di fronte a me. Mi guardava dall’alto in basso, con aria da furbetto. Non avevo più alcun dubbio, lui non era un ordinario ragazzo come tutti gli altri.
«Adesso vai a leggere pure i pensieri delle persone? Non pensi di avermi già causato un sacco di problemi?!».
Silenzio. I nostri sguardi fissi l’uno nell’altro. I suoi occhi erano inespressivi, innaturali, irreali, mi confondevano le idee. Si appoggiò al muro, nella sua solita posizione.
Sospirai. Portai le gambe al petto e ci poggiai la testa sopra, disperata e stanca. Tutto era così confuso e impressionante che mi chiedevo perché a me. Perché, tra tutte le persone esistenti al mondo, questo demone stava rompendo le scatole proprio a me?
Lo sbirciai con la coda dell’occhio. Mi accorsi che, senza essere avvolto dal buio della sera, non faceva così paura. Ma comunque tenevo alta la guardia, era pur sempre un demone.
«Tsk! Se sono questi i tuoi problemi» disse con calma, rompendo il silenzio, «allora non sei pronta a diventare la custode della Bibliotheca Mystica de illusion.»
«Cosa?» domandai, sperando di aver capito male.
Lo guardavo ancora più stupita di prima, con le sopracciglia aggrottate. Lui distolse lo sguardo, posandolo dall'altra parte del corridoio, da dove provenivano dei passi.
Non mi ero accorta della persona che si era avvicinata con aria premurosa.
«Tutto bene?»
Il cuore collassò quando riconobbi la voce appartenente al presidente del consiglio studentesco: Tsubasa Otori. Il ragazzo di cui ero innamorata.
Era mio collega nel consiglio, l'avevo conosciuto proprio lì. Subito mi era parso uno studente perfetto, ideale per il ruolo che gli era stato assegnato. E all'improvviso era scoppiata la cotta. Credevo fosse solo ammirazione, ma col passare del tempo mi ero accorta che i miei sentimenti verso di lui erano cambiati. Tutte le ragazze del liceo gli andavano dietro, avevano addirittura creato un fan club dedicato solamente a lui. E come biasimarle, era così bello: capelli argentei, iridi ambrate, pelle abbronzata, alto e atletico; oltretutto gentile, educato e intelligente. Un angelo sceso in Terra. Era davvero affascinante con la divisa scolastica: la camicia bianca gli stava a pennello, abbinata alla cravatta bordeaux, i pantaloni blu risultavano aderenti, mettendo in risalto le gambe lunghe e magre.
Sembrava sorpreso di trovarmi nel corridoio da sola (beh, proprio sola non lo ero). Infatti, anche lui, come Hikaru e i miei compagni, non vedeva il demone che mi affiancava e che, da quando era arrivato, non aveva smesso di fissarlo.
Presa alla sprovvista, non seppi che rispondere. Le mie labbra tremavano, dalla bocca uscivano solo parole sconnesse e extraterrestri. Sudavo dall'agitazione. Aumentai la preoccupazione di Tsubasa.
«Ti senti poco bene?»
«E-ecco...» ah, finalmente una parola umana! «non lo so» dissi sincera, procurandogli un sorriso divertito.
«Andiamo in infermeria, magari stai male». Dopo avermi sollevata con estrema facilità, mi accompagnò per mano verso l'infermeria, situata al pian terreno, sotto il nostro.
Dalle orecchie mi usciva il fumo, probabilmente sarei svenuta da un momento all'altro. Cioè, mi teneva la mano! Forse temeva che cadessi perché stavo male (ma io ero più che sana…fisicamente, non mentalmente).
 «G-grazie, Otori-san» balbettai, non osando alzare la testa per non mostrargli il viso arrossato.
«Ci conosciamo da mesi, chiamami solo Tsubasa» disse, regalandomi un altro sorriso che mi sciolse come un cubetto di ghiaccio al sole.
Raggiunta la destinazione, ci accorgemmo che non c'era nessuno, nemmeno l'infermiera Fuyuka, una donna assunta da poco di ventisette anni.
Tsubasa si mise a cercare un termometro, supponeva avessi la febbre, mentre io sedevo sulla brandina vicino alla finestra. Non trovandolo, si arrese. Si avvicinò a me e poggiò la sua mano sulla mia fronte. Sorpresa della vicinanza improvvisa, sussultai.
«Non va affatto bene, la temperatura sta aumentando». Chissà perché! «Per caso hai preso freddo oppure hai un malore?». Forse non si rendeva conto che era proprio lui la causa della febbre.
«Non saprei…» farfugliai, giocherellando con alcune ciocche castane, imbarazzata.
Lo vidi sobbalzare e poi, esitante, indicò qualcosa sul mio petto. «T-ti sei fatta un tatuaggio?». Credevo fosse uno scherzo, ma lui non faceva mai battute.
Gli diedi le spalle e mi sbottonai gli ultimi bottoni della camicia bianca. Poco sopra il seno, stava un simbolo: rappresentava tre teste mostruose mitologiche. Aggrottai le sopracciglia, accigliata e confusa. Stamattina, mentre mi vestivo, non l’avevo notato. Odiavo i tatuaggi, perché mai ne avevo uno? Provai a levarlo, sfregandolo con le unghie, ma fu inutile.
Chissà cosa stava pensando Tsubasa in quel momento.
Lui si portò una mano sotto il mento, con fare pensieroso, per poi sospirare e avviarsi verso la porta.
«Per adesso rimani qui, vado in segreteria e avviso tua sorella, poi ti porto qualcosa da mangiare, d'accordo?» uscì.
Mi sentii abbandonata. Sentivo il bisogno di parlare con qualcuno per sfogarmi. Ciò che stava accadendo mi stava complicando la vita.
«L'infatuazione dei giovani, davvero ridicola» commentò qualcuno nell'orecchio.
Mi trattenni dall’urlare. Il demone stava alle mie spalle, potevo sentire il suo fiato sul collo. Mi vennero i brividi e ripensai alla sera precedente, nella mia camera, quando mi aveva baciata. Saltai indietro, distanziandomi il più possibile da lui.
Rise divertito. «Brutto l'amore non corrisposto, eh?»
«Non eri sparito, demone?»
«E ora sono riapparso, contenta?». Odiavo il suo ghigno, odiavo lui in generale.
«Sei fastidioso come un cactus sotto il sedere!» tuonai.
«Come sei acida. Dovresti portare più rispetto a chi ti è superiore» si riavvicinò, ero al limite del letto, un altro passo e avrei sbattuto il didietro sul pavimento.
«Solo perché sei un demone non vuol dire che sei forte». Mi maledissi per averlo detto.
La distanza tra noi si era di nuovo accorciata. «Ne vuoi una dimostrazione?»
C'era aria di sfida, davvero opprimente, impedendomi quasi di respirare. Il silenzio si fece fitto, non sentivo più alcun rumore oltre al battito del mio cuore. Non mi piaceva quella vicinanza, mi metteva a disagio e mi faceva sentire inferiore.
Scesi dal letto e presi lo zaino. Tirai fuori il libro nero, Hades, e dissi decisa: «Se tutto è iniziato da questo, vuol dire che devo semplicemente sbarazzarmene e tu sparirai.»
Trattenne una risata. Ma quel tipo sapeva solo ridere?
«Come sei sciocca, non è facile come credi, Miku». Anche lui scese dal letto, avvicinandosi alla finestra. Adesso che notavo, era bassino rispetto a me, di almeno cinque centimetri, e io avevo paura di un nanetto travestito da supereroe?
«Sei stata scelta dalla Bibliotheca» alzò gli occhi verso il cielo, fuori dalla finestra, «non puoi sfuggirle».
Il clima era cambiato: il sole era stato oscurato da nuvole cariche d'acqua. Pioveva. Il tempo era matto quanto me.
«La pioggia è il segno che qualcuno sta soffrendo» disse, percorrendo con l'indice i movimenti delle gocce sul vetro.
Un ricordo mi balenò nella testa. Una scena accaduta tempo fa, a casa di zio Ziggurat: pioveva, ero nella biblioteca, in compagnia di un ragazzo. Un ragazzo affascinante, magnetico, misterioso.
«Eri tu» sussurrai sconvolta, «q-quel...»
La finestra, la pioggia che cadeva incessante, il buio della stanza, l'odore dei libri, il rumore dei tuoni. E lui. «In tutti questi anni, mi hanno appropriato diversi nomi, così tanti… Ma tutti con lo stesso significato. Io sono la morte. Io sono il principe dell’Ade.»
«T-tu s-sei...» iniziai balbettando, e lui continuò: «...Damian, principe dell'Ade» tornò a guardarmi.
La bambina e il demone.
Il demone e la bambina, dopo otto anni.
Non era cambiato affatto, sempre inespressivo, sempre misterioso, sempre bello.
Un lampo illuminò la stanza. Ogni cosa si era fermata: io, una normale liceale, immobile, stupita, a bocca socchiusa; lui, principe del regno dei morti, tranquillo, enigmatico, affascinante. Era tutto surreale.
Strinsi forte Hades tra le mani, le nocche divennero bianche.
«Impossibile» mi dissi, «assurdo» continuai. Eppure era la realtà.
Piangevo incredula, osservando Damian negli occhi. La vista mi si appannò.
«I-i d-demoni non e-esistono» singhiozzai. Ne avevo uno di fronte.
Strinsi di più il libro nero al petto. «E' tutta colpa di Ziggurat, vero?» gli domandai. «Tu, la Bibliotheca Mystica de Illusion, Hades... quel maledetto era al corrente di tutto. Il mio destino, quello di incontrarci...l'aveva già prestabilito». L'avevo sempre odiato. «ma ora cambierò i suoi piani».
Sospettavo che mi fosse stato affidato un compito che riguardava la leggendaria Bibliotheca Mystica de Illusion, come aveva accennato prima Damian, ma non volevo immischiarmi in questioni troppo grandi per una comune essere umana. Presi lo zaino e mi diressi alla finestra. Aprii le ante, facendo entrare il vento gelido autunnale e turbolento che mi scompigliò i capelli.
 
 
Due studentesse lo salutarono ammirate, sorridendo come delle ochette smielate. Tsubasa ricambiò accennando un sorriso, facendo scogliere le due povere malcapitate. Volevano chiacchierare con lui, ma non si fermò. Aveva altro da fare.
In mano aveva un vassoio con pane e una tazza di tè, preso dalla mensa della scuola per la sua amica Miku. Stava male, credeva lui, e sperava di esserle d'aiuto una volta tanto, visto che di solito era lei ad aiutarlo premurosamente in quanto sua vice.
Quando aprì la porta dell'infermeria, le parole gli morirono in gola e il vassoio gli scivolò dalle mani: Miku era sparita. E si allarmò di più quando vide la finestra spalancata, le tende mosse dal  vento e una scarpa per terra.  
 
 
Correvo disperata sotto l'acquazzone, con un piede scalzo. I vestiti bagnati ingombravano la mia corsa. Essendo senza ombrello, usavo lo zaino per ripararmi. La pioggia non dava segno di cedere, avrebbe continuato così fino a sera. I piedi facevano “ciaf” ogni volta che finivano in una pozzanghera, accompagnati dal rumore dei clacson delle macchine che superavo senza fermarmi ai semafori rossi. Starnutii tre volte di seguito, maledicendomi per aver scordato il giubbotto in classe.
Ma che mi era saltato in mente? Ero appena fuggita da scuola dalla finestra? Dovevo essere impazzita! Kurai mi avrebbe portato in un ospedale psichiatrico!
Damian levitava al mio fianco, incredulo e divertito dal mio atto di pazzia.
«E con questo che speri di ottenere? Una bronchite?» trattenne una risata.
Ribollivo dalla rabbia. Mi stavano innervosendo le sue risatine, lui prendeva tutto alla leggera, come se non notasse il rischio che stavo correndo. Mi fermai su un ponte, sotto c'era il fiume Tama. 
«Senti, ma cosa vuoi da me? Che centri tu in tutta questa storia?!» gli domandai furiosa.
Damian fece una smorfia di sorpresa per poi rispondermi freddamente: «Pensi che anche a me piaccia sopportare una stupida umana che mi chiama “demone maniaco vestito da supereroe” e che poi si lancia dalla finestra della scuola?»
Maaa...? Come si permetteva!
«Ti avrei già abbandonata se non fossi la mia contraente!». Mi mostrò il dorso della mano, sopra c’era marchiato un simbolo: tre teste di mostri. Il mio stesso tatuaggio sul petto.
Lo indicai, con la mano tremante e la mandibola a terra, urlai indignata: «Ma allora sei stato tu, brutto demente! Quando lo avresti fatto?! Mentre dormivo?».
«Ma come, non ricordi?» ghignò. «Quando abbiamo stretto il Patto.»
Gli stavo per domandare a cosa si riferisse, ma mi bloccai. Che si riferisse al bacio? Quello era ciò che chiamava “Patto”? Assurdo!
«Guarda che sei stato tu a baciarmi! Potevi sceglierti un altro contraente, no?!»
«Quanto sei seccante!» si scompigliò i capelli, snervato. Incrociò le braccia sul petto, come suo solito. «Pensi che ti abbia scelta a caso? E poi perché ti scaldi tanto per un bacio?»
Avvampai, imbarazzata e imbestialita. «Io non mi metto a baciare gli sconosciuti!»
«Per noi demoni è normale!»
«Sono umana! U-m-a-n-a! E non me ne frega niente di cosa fate voi demoni!» urlai disperata, con la testa tra le mani.
Dei passanti si fermarono a vedere una pazza che sbraitava contro l'uomo invisibile. Una signora stava chiamando al telefono un'ambulanza. Non ci badai.
«E poi che significa “pensi che ti abbia scelta a caso”?»
Intanto la pioggia stava aumentando, avevo il corpo infreddolito. La frangia color cioccolato mi si era appiccicata sugli occhi, neanche il mio sbuffo spazientito riuscì a spostarla.
«Quante domande, cos'è? Un interrogatorio? Perché non lo scopri da sola!»
«Non ho bisogno di sprecare forze, tanto getto 'sto dannato libro nel Tama e addio!»  tirai fuori Hades dallo zaino.
Lo sporsi oltre la ringhiera di mattone del ponte. Sotto, l'acqua del fiume era agitata, faceva paura, ma almeno avrebbe trascinato il testo fino al mare.
«Ti ho incontrato, anzi, rincontrato da poche ore e già ti odio» affermai tranquilla, lanciandogli uno sguardo di traverso.
Damian incurvò le labbra verso l'alto. «Sentimento reciproco.»
«Bene...» sussurrai, mentre sentivo un peso sul cuore quando lasciai la presa. «Addio, Damian...»
Hades sprofondò nella corrente del fiume. Ormai era andato. Ripresi a respirare.
La signora che aveva chiamato l'ospedale mi allontanò dalla ringhiera. Le persone che avevano assistito la scena avevano temuto che io mi buttassi giù. Che follia!
Quando mi voltai, di Damian nemmeno l'ombra.
 
 
Pensai che fosse inutile tornare alla WBBA, avrei solo ricevuto rimproveri su rimproveri dai professori e dal padre di Gingka, togliendomi anche il ruolo di vicepresidentessa del consiglio, così mi avviai verso casa, bagnata dalla testa ai piedi, ma con il cuore in pace. Intanto la pioggia aveva ceduto un po'.
Quando entrai in casa, non mi accorsi di una presenza con in mano un battipanni. Fui attaccata.
«Waaah! Sparisci ladro!».
Mi proteggevo con lo zaino dagli attacchi continui del battipanni.
«Nonna, sono io, Miku!».
Lei smise di sventolare “l'arma”, guardandomi stupita. Mi ispezionò con lo sguardo attraverso i suoi occhiali, per poi affermare decisa: «Impossibile! Mia nipote non andrebbe in giro conciata così!».
«Così come?! Fuori diluviava e mi sono scordata l'ombrello!» le urlai.
«Oh, adesso capisco...» allungò il collo, senza smuovere lo sguardo da me. «Effettivamente rassomigli molto a mia nipote».
Sospirai pesantemente, prima di abbandonare mia nonna all'ingresso che diceva sospetta “che sia un clone?”. Cosa mi tratteneva nel mandarla in un ospizio ancora non lo sapevo.
Andai nella mia stanza per cambiarmi e farmi una doccia, ma senza rendermene conto mi ero già buttata sopra il letto. Chissà se Kurai aveva ricevuto la chiamata dalla scuola per dirle che ero fuggita dalla finestra. Come minimo sarebbe svenuta.
Sbadigliai stanca. Ero talmente esausta che l'unica cosa che volevo era dormire per il resto della giornata. Per un momento avrei dimenticato tutto: Kurai, Damian, scuola, Damian, libri neri, Damian...
«Damian...». Perché mi veniva in mente proprio quel tipo? Era stato lui a stravolgermi quei due giorni.
Eppure scoppiai in una risata liberatoria, inconsciamente. Se avessi raccontato i fatti appena successi, chiunque avrebbe detto che ero fuori di testa. E come biasimarlo.
Sbadigliai un'altra volta. Scordando che ero ancora fradicia, mi raggomitolai sotto le coperte alla ricerca di protezione e calore e mi addormentai.
 
Damian era appoggiato al muro della camera, nella sua solita posizione, e osservava attento la sua contraente.  “Ci sarà da divertirsi” pensò.
Spostò gli occhi sulla scrivania. Lì, stava un oggetto dalla forma rettangolare, nero, con delle pagine al suo interno.
 
Hades attendeva gli ordini della sua padrona.
 
 
Fine pagina tre
Angolino di Ximas
Buonanotte, cari e care! Solo io posso aggiornare a quest'ora. -.-
Eccovi un altro capitolo di questa assurda fic. Che dite?
La mia immaginazione sta tirnado fuori idee piuttosto scarse, vero?
Comunque spero che vi piaccia e che non si siano errori.
Sayonara,
Xima_
  
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