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Autore: Monkey_D_Alyce    14/07/2014    3 recensioni
Si continuava a convincere di aver fatto la cosa giusta.
Non chiedeva il mondo.
Voleva solamente voltare pagina.
Eppure tutte le sfortune di questo pianeta capitavano solo a lei!
Era arrivata a Londra sotto un bell'acquazzone, ma non solo!
Ora doveva pure sorbirsi delle stupide deduzioni da parte di un detective eccentrico ed egoista di nome Sherlock Holmes!
Fantastico!
Veramente fantastico.
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Non-con, Triangolo
Capitoli:
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2° capitolo: Una sfida che può costare la vita

 
 
Rimase per un tempo che le parve infinito a fissare la sponda del letto, seduta comodamente a gambe incrociate sul materasso, annoiata e arrabbiata.
Lei era venuta solamente per cercare un po’di pace, non per farsi raccontare la storia della sua vita da quel detective antipatico e impertinente!
 
Qualcuno cominciò a bussare insistentemente alla porta, facendola sobbalzare.
“Nami, tesoro! Sono le 19.45! Non hai fame?” le chiese Mrs. Hudson restando fuori dalla camera della ragazza.
Lei non aveva fame.
Non ne aveva affatto!
Si stava “nutrendo” del suo odio, nei confronti di qualcuno, che le attraversava il petto in una morsa gelida e calorosa allo stesso tempo.
“No, Mrs. Hudson. Non si preoccupi per me. Sto benissimo!” sibilò stringendo i pugni attorno ad un cuscino trovato lì per lì, “strozzandolo”.
“Ti prego, cara! Cerca di ragionare! Avrai mangiato pochissimo! Potresti ammalarti, se non sei in forze!” la rimproverò dolcemente la cara signora entrando dentro la sua stanza, sedendosi sul bordo del letto.
“Non m’importa…” cercò di desistere Nami con gentilezza, volgendo lo sguardo altrove.
Mrs. Hudson prese una mano tra le sua, in un gesto comprensivo.
“Non dire così. Sbaglio, o volevi cambiare completamente vita?” le chiese sorridendole dolcemente, frantumando la corazza che si era creata la ragazza.
Aveva ragione.
Non poteva comportarsi così.
Aveva deciso di voltare pagina, no?
E allora, perché non cominciare, lasciandosi alle spalle quello stupido diverbio avuto con Sherlock?
“John è rientrato?” domandò realmente incuriosita, sentendosi un po’in colpa per essere stata una parte della causa della sua reazione, che non fu delle migliori…
“Oh, sì! È tornato poco fa! Era ancora un po’arrabbiato e ha ancora litigato con Sherlock!” le rispose.
“Mi dispiace…” si rabbuiò di colpo, abbassando lo sguardo.
“Tesoro mio! Non devi preoccuparti di nulla! Quelli litigano e fanno pace come se nulla fosse! Vedrai che domani saranno amici come prima!” la rassicurò sollevandole il viso con due dita, guardandola dritto negli occhi.
“Andiamo?” insisté quindi Mrs. Hudson, facendo sbuffare divertita la ragazza, che la segui di sotto verso il suo soggiorno.
 
Appena entrò nella stanza incrociò lo sguardo freddo e indifferente del consulente detective, che Nami ricambiò con piacere, “fulminandolo”.
“Mrs. Hudson, la devo aiutare con la cena?” si propose gentilmente la ragazza.
“Oh, no! Sei l’ospite d’onore questa sera! Non è vero, John?” disse lei, cercando man forte da parte di Watson.
“Assolutamente sì! Siediti pure, Nami!” disse il biondo alzandosi dal suo posto per poi scostarle la sedia, in modo tale che lei si potesse sedere.
“Grazie mille, John!” lo ringraziò.
Così, mentre John e la Signora Hudson finivano i preparativi per la cena, lasciarono nelle mani del Destino Sherlock e Nami.
Lui continuava a fissarla con insistenza, volendola metterla in soggezione.
Lei cercò di sembrare il più annoiata possibile, mettendo un braccio sul tavolo, appoggiando il viso sopra la mano, mentre con l’altra picchiettò nervosamente sul ripiano in legno.
“C-credo…”- Sherlock richiamò l’attenzione di Nami con il suono concitato della sua voce, facendola sobbalzare- “Credo di doverti delle scuse…q-quindi…”
“Ti dispiace” terminò per lui, facendo l’indifferente.
Un po’, però, si sentiva contenta: Sherlock si stava scusando, cosa molto difficile per lui.
Holmes non sapeva se essere contento per essersi tolto un peso dalle spalle o essere irritato per il fatto che la ragazza gli aveva rubato, per l’ennesima volta, le parole di bocca.
Decise di sorvolare sulla cosa, non ritenendola importante e per far contento John, una buona volta.
Lui non provava sentimenti.
Già, provare qualcosa, era orribile.
Figuriamoci chiedere perdono a qualcuno per aver detto una cosa “innocente”, dimostrando, con orgoglio, la sua intelligenza.
“Già…hai…indovinato” osservò il ragazzo muovendo la testa nervoso.
“Beh…diciamo che non ho indovinato…era palese…”
“Come, prego?”
“Era…lasciamo perdere. E’ meglio!” sbottò Nami passandosi una mano sulla fronte con fare stanco.
Non voleva avere un’altra discussione con lui.
Meglio lasciarlo cuocerlo lentamente nel suo brodo.
Però…c’era una cosa che le assillava come un picchio che batte contro un albero, la mente: come faceva, Sherlock, ad avere degli amici?
Insomma! Se trattava, tutte le volte, le persone in quel modo, non credeva che arrivasse tanto lontano.
Di sicuro, qualcuno, lo detestava!
 
Qualcuno cominciò a suonare il campanello, risvegliando i due dal loro status di pensieri.
Nami e Sherlock si alzarono contemporaneamente, per poi dirigersi assieme verso l’ingresso: lui davanti, lei dietro.
La rossa si accorse della cosa e pensò che forse era meglio se stava al suo posto, rimanendo zitta e buona.
Sherlock aprì la porta rapidamente per poi esclamare: “Lestrade! Ti stavo aspettando!”
“Come diavolo facevi…lasciamo perdere! C’è stato un altro caso di omicidio. Un’altra ragazza dai capelli rossi” lo informò concitato, entrando in casa, seguita da una sua collega.
Nami, come se fosse stata presa in causa, rabbrividì, appiattendosi contro il muro, come a voler fondersi con esso.
Sherlock si diresse verso il salotto, seguito a ruota dai due agenti di Scotland Yard, per poi fermarsi:
“Nami, non vieni?” le chiese con fare beffardo, irritando un poco la ragazza che, riluttante raggiunse il gruppo.
“Nami? Sherlock, ma…” domandò la collega di Lestrade.
“No, Donovan. E’ la nostra nuova coinquilina!” la interruppe stizzito il consulente, fulminandola con lo sguardo.
Donovan era una donna dalla carnagione scura con capelli neri riccioli e occhi marroni.
Non era molto alta e si vestiva con jeans e una camicetta, oppure con una maglietta accompagnata da un maglioncino.
Portava un giaccone pesante grigio chiaro.
Era sempre stata una donna abbastanza ficcanaso e irritante.
Si credeva intelligente e superiore a tutto e a tutti.
Peccato che Sherlock la “smontava” in meno di due secondi, mettendola in riga.
Lestrade era un uomo dai capelli brizzolati e occhi scuri.
Era abbastanza alto e magro.
Si vestiva sempre in modo elegante, come Sherlock, indossando un cappotto abbastanza lungo.
Lui cercava di non far scoppiare una lite tra Sherlock e Donovan, facendo da mediatore.
Non sopportava di vederli attaccarsi come cane e gatto anche in situazioni veramente critiche.
“Nuova…coinquilina? Mi complimento con te, signorina! Sei stata una delle pochissime donne a non fuggire da questo detective egoista e saccente!”- si complimentò Lestrade, porgendole la mano- “Sono Greg!”
“Nami, piacere!” ricambiò lei con presa incerta.
Dov’era finito tutto il suo coraggio?
“Greg!”- lo richiamò Donovan, facendolo voltare di scatto verso la sua collega- “I suoi capelli…”
Lestrade si rigirò verso Nami, per poi boccheggiare più e più volte, mentre la “vittima” si preoccupava ogni singolo secondo che passava.
“Ti prego…dimmi che non sono naturali” la supplicò con voce stridula, scuotendola lievemente per le spalle.
“Sono naturali, invece…perché?” chiese fissandolo senza capire.
“Nel caso di cui mi sto occupando, sono coinvolte vittime dai capelli rossi o sul rossiccio (come i tuoi), venendo strangolate, vestite e truccate come bambole di porcellana.
Le foto vengono inviate ai loro famigliari, con delle frasi filosofiche sulla vita e la morte legate al colore rosso. Ne sono già state uccise dodici” le spiegò brevemente Sherlock, scombussolando nel profondo l’animo della ragazza, che si ritrovò a fissare con occhi spaventati il pavimento.
“Perché proprio le rosse…?” riuscì a chiedere con un filo di voce, ma riuscendo a farsi sentire dal detective.
“Deve essere una specie di vendetta o qualcosa del genere…” le rispose ancora, con tono neutro.
In quel momento arrivarono John e Mrs. Hudson, che andarono incontro al ragazzo.
“Greg! Un altro omicidio?” domandò preoccupato Watson, avvicinandosi lentamente a lui.
“Sì…ed ha ancora i capelli rossi…”
“Oh, Signore del Cielo!”- esclamò inorridita la Signora Hudson, correndo verso Nami, abbracciandola con forza- “Ma allora…lei è in pericolo di vita!”
La ragazza non spiccicò parola, continuando a tenere lo sguardo fisso sul pavimento.
Non riusciva a reagire.
Non riusciva a spiegarsi il motivo per cui delle donne, molto probabilmente innocenti, venissero uccise e truccate come se fossero dei giocattoli.
Chi poteva avere un’idea così malsana in testa? Chi?
E se fosse stata presa di mira anche lei? Cosa avrebbe fatto?
Dopo tutto il tempo in cui aveva dovuto subirsi le torture da parte del suo ex fidanzato e lo stress psicologico del lavoro, ed era riuscita a scappare…ora… correva il pericolo di essere uccisa…
Come poteva accettare tutto questo? Come?
Lei non voleva più scappare!
Non dopo esser riuscita a rifarsi una vita!
Certo, era ancora agli inizi, ma meglio poco che niente!
 
“Voglio…voglio aiutarvi!” disse allontanandosi con un gesto dall’abbraccio di Mrs. Hudson, guardando i presenti uno per uno, negli occhi.
“E’ troppo pericoloso!” cercarono di farla desistere Greg e John.
“Va bene!” le diede man forte, invece, Sherlock, lasciando sorpresi tutti, soprattutto il suo amico e la Signora Hudson.
Pensarono che era un suicidio: Nami era appena arrivata, dopo essersi lasciata alle spalle un passato tormentato, inoltre, era rossa naturale di capelli.
Solamente un pazzo, avrebbe accettato l’offerta della ragazza!
Si poteva tralasciare il fatto che Sherlock poteva sembrare un malato di mente solamente perché teneva delle teste di cadavere dentro al frigo e impiccava in mezzo al salotto (in bella vista) dei fantocci per ragionare, ma questa cosa…era inconcepibile, ecco!
“Sherlock! Cerca di ragionare, per favore!” s’infervorò John, parandosi davanti a lui, come convinto del fatto che se lo avesse guardato negli occhi, lui, avrebbe desistito dalla sua scelta folle.
“Si è proposta lei. Io non c’entro, sta volta” commentò indifferente il detective, indicando la rossa.
“Oh, ma andiamo! Nami! Ti prego di non ragionare come Sherlock! Per favore, ritira la tua offerta e stai a casa, al sicuro!” le ordinò perentorio Watson, mentre Donovan e Lestrade aspettavano il verdetto finale con fare nervoso, sbuffando in continuazione.
Il tempo stringeva e un’altra vittima poteva essere uccisa in qualsiasi momento, anche in quel preciso istante.
“Mi dispiace, ma ho già fatto la mia scelta. Non mi tirerò indietro per nessun motivo!”  disobbedì correndo al piano superiore per prendere la sua giacca, pronta ad uscire.
John sospirò affranto, pensando di essere andato a vivere non solo con un detective dotato di super intelligenza e massimo egoismo, ma ora, anche con una ragazza veramente testarda e che sapeva il fatto suo.
Sherlock sorrise impercettibilmente a quella reazione, contento anche del fatto, che finalmente avrebbe “testato” le capacità deduttive della nuova arrivata al 221B di Baker Street.
 
Tornò subito dopo, infilandosi in fretta e furia la sua giacca di pelle con il cappuccio, chiudendo la cerniera fino a metà torace.
“Sono pronta!” esclamò emozionata per quella strabiliante e alquanto strana avventura.
“Molto bene! Lestrade! Andiamo!” sentenziò Holmes prendendo il suo lungo cappotto dal braccio di Mrs. Hudson, che nel frattempo, era corsa a prendere sia quella di Sherlock che di John.
John, non avendo più voce in capitolo, si limitò a seguire il gruppo, stando però vicino a Nami.
Non voleva che le succedesse qualcosa.
I due agenti sfrecciarono con le auto della polizia, mentre i tre ragazzi del 221B presero un taxi chiamato dal consulente detective.
Nonostante l’abitacolo fosse spazioso, si dovettero stringere un pochino per non essere d’intralcio a nessuno.
Nami fissava il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, immaginando cosa avrebbe visto.
Un mucchio di domande fecero capolinea nella sua mente, inquietando un poco il suo animo.
Fortunatamente, si era ricordata di prendere il suo taccuino, per smorzare la tensione che le aleggiava nel cuore.
Scarabocchiò varie parole chiave, scrivendo anche le domande che riteneva più importanti…
“Hanno un limite d’età, queste vittime?” chiese cercando di rimanere il più fredda possibile di fronte alla situazione.
“Hanno più o meno tutte la tua stessa età. Vent’anni” le rispose non degnandola di uno sguardo Sherlock, osservando però, di sottecchi, quello che lei annotava, come una brava studentessa.
Pensò che quel vizio le fosse venuto appena entrò nel giornalismo, in modo tale che non dimenticasse le cose più importanti, ricadendo sui suoi articoli: abbastanza sintetici e con le giuste informazioni.
Nami, per un breve attimo si chiese come facesse Sherlock a sapere la sua età, ma decise di lasciar scorrere la cosa, poiché non era così importante, in fondo.
“Potrebbe essere legato ad un suo parente mancato a vent’anni…” osservò concentrandosi il più possibile.
“A causa di una donna dai capelli rossi? E’ una buona deduzione, ma è banale e sbagliata. I dettagli, Nami. Anche quelli di cui non sospetteresti mai”  cercò di aiutarla.
Si concentrò di più, pensando a varie e bizzarre motivazioni: poteva essere a causa di un rifiuto riguardo ad una dichiarazione, oppure per un altro tipo di vendetta legato al lavoro…
“L’assassino potrebbe anche farlo per puro divertimento…ma non vedo nessun collegamento con le donne dai capelli rossi!” sbottò grattandosi lievemente il capo con la biro.
“Forse…le piacciono le rosse” s’intromise John, non provocando però, nessuna reazione da parte dei due.
“E’ troppo scontato, ti pare?” domandarono all’unisono, spaventando Watson, che si fece piccolo piccolo contro il sedile del taxi.
Con chi diamine aveva a che fare?!?
 
Giunti al luogo destinato, scesero velocemente dal mezzo, raggiungendo gli agenti sulla scena del crimine.
La vittima si trovava dentro ad una stanza d’albergo, adornata con vari fronzoli e servizi costosi di porcellana.
Era seduta sul materasso, mentre la schiena poggiava contro una sponda del letto: aveva un lungo abito rosso sangue e delle scarpe a tacco basso laccate dello stesso colore.
I capelli lisci, rossi accesi, erano acconciati in due codini bassi.
Il viso era truccato in modo abbastanza pesante, facendo rendere la pelle bianca come il latte, in netto contrasto con il rossetto cremisi e l’ombretto color carne scuro.
I suoi occhi erano vitrei e inespressivi, proprio come quelli delle bambole, mentre un sorriso faceva capolinea sul volto.
Tra le mani teneva un biglietto color rosa pesca:
 
“C’è una differenza, rispetto agli altri casi riscontrati. La frase scritta sul biglietto è diversa: Toglierò l’ultima rosa rossa dal giardino. Questa sarà la più bella e completerà la mia bellissima creazione. Ma solamente quest’ultima spiccherà tra tutte.” disse con tono grave Lestrade, girando nervosamente per la stanza.
John guardò Sherlock come in cerca di risposte, ma lui sembrò indifferente alla cosa.
Nami, invece, rimuginò su quelle parole, continuando però, a guardare la povera ragazza uccisa.
“Sherlock. Dobbiamo catturare l’assassino prima che commetta anche l’ultima opera!” sbottò Greg arrabbiato per richiamarne l’attenzione.
“Lestrade, taci. Mi stai disturbando” disse gelido, fissandolo per un istante negli occhi.
L’agente rimase a dir poco scioccato, ma tacque, facendosi consolare un poco dalla sua collega Donovan.
“Deve essere un maniaco della perfezione…” osservò sottovoce Nami, notando che tutto era perfetto, ma il consulente la smentì in un batter d’occhio.
“L’assassino soffre perennemente il freddo. Se ci fai caso, nonostante voglia essere “perfetto”, il trucco del rossetto è sbavato verso un angolo, anche se ad una prima occhiata non si nota”
La ragazza osservò meglio e dovette dargli ragione, mentre un’idea le balenò in testa.
I suoi ricordi corsero verso la figura che quella mattina le aveva indicato la strada per raggiungere Baker Street.
Era vestito in modo troppo pesante per quella stagione.
Era ancora autunno, non inverno.
Erano a malapena a metà Ottobre.
Quella figura le sembrò ancora più inquietante di quanto già non fosse.
Strano. Veramente strano.
“La gente, qui…si veste in modo pesante, anche se è autunno?” chiese titubante al gruppo, facendo scorrere una rapida occhiata su ognuno di loro.
“No. Tutto sommato, ci si veste ancora con abiti leggeri” le rispose Donovan sicura, guardandola in modo perplesso.
Non sapeva del perché la ragazza avesse fatto quella domanda così…fuori dall’argomento, in un certo senso.
“Tu hai visto l’assassino…” s’intromise Sherlock riducendo gli occhi a due fessure.
Nami deglutì rumorosamente, cercando di dare una risposta convincente, ma l’unica cosa che sapeva fare in quel momento era stare zitta e muta come un pesce.
“Potrebbe farne un identikit!” esclamò raggiante Lestrade, facendo agitare ulteriormente la ragazza.
Dio solo sapeva, quanto in quel momento, lei voleva pestare Holmes a sangue, finché non gli implorava pietà.
Capiva che aveva un’intelligenza fuori dal comune, ma che affermasse cose che parevano non stare né in cielo né in terra, no.
Proprio no.
“I-Io non ne sono sicura…la mia è solamente un’ipotesi!” cercò di difendersi, invano.
Sherlock, però, era ben disposto a metterle in continuazione il bastone tra le ruote, complicando la situazione.
Ogni momento che passava lo odiava sempre più.
Affermò che Nami mentì e che invece era ben sicura che l’assassino fosse l’uomo che aveva visto.
Ma lei non la pensava affatto così: era un’ipotesi.
Una semplice ipotesi, diamine!
Forse si era sbagliata e aveva preso un granchio!
Come poteva saperlo, lei?!?
Perché il detective non cercava di ragionare?!?
 
“Come lo hai conosciuto? Ah! Aspetta! Lo hai incontrato alla stazione del bus e ci hai parlato. Gli hai chiesto indicazioni per Baker Street e ti è sembrato un tipo sospetto, soprattutto perché aveva il viso coperto. Solo che hai deciso di non farci caso perché nessuno lo degnava di uno sguardo nonostante il suo strano atteggiamento di stare in mezzo alla gente. Ho dimenticato qualcosa?” chiese fissandola con occhi intensi, mettendola in soggezione.
Tra l’altro, alla fine, non aveva chiesto: “Ho sbagliato qualcosa?”, ma “Ho dimenticato qualcosa?”
Quel detective la stupiva ogni volta di più.
Solo che voleva rendergli pan per focaccia…e l’idea l’allettava parecchio.
“Sì! Di che colore erano i vestiti che indossava?” domandò quindi, mentre il suo alter-ego saltava dalla felicità per la sua piccola vittoria.
Guardò intorno alla stanza e notò che c’erano pochi colori scuri, tra cui, quello dei vestiti dell’uomo o presunto assassino.
“Scuri: blu e nero”
“Nami, è vero quello che dice?” -chiese Greg concitato, ricevendo un segno d’assenso come risposta- “Come diavolo hai fatto?”
Erano rimasti allibiti da quell’esatta deduzione.
Tutti, tranne qualcuno.
“Gli occhi. Ho semplicemente seguito la direzione dei suoi occhi…” cominciò, ma venne interrotto sul più bello, facendolo imbestialire un poco.
Non amava essere interrotto durante una delle sue spiegazioni.
“Quando si pone una domanda ad una persona, di solito, questa vaga lo sguardo altrove, indicando, in un certo senso, la risposta, tradendosi con le proprie mani. Di solito è un gesto involontario, ma certe volte può anche essere un chiaro segno d’aiuto” terminò Nami con fare indifferente.
Lo aveva imparato facendo la giornalista: estrapolare le informazioni con qualsiasi mezzo, utilizzando tutti e cinque sensi.
Solo così si scopriva la verità.
E la cosa funzionava.
 
I presenti fissarono i due ragazzi con una certa ammirazione, soprattutto la rossa: era difficile tenere testa a Sherlock Holmes.
Tutti pensarono che avesse trovato pane per i suoi denti, ma non sapevano se era una buona o cattiva cosa.
Potevano entrare in competizione, diventando completamente asociali, cercando di risolvere i casi da soli: oppure potevano essere di grande aiuto a Scotland Yard.
La faccenda era piuttosto complicata.
 
Sherlock gettò un’occhiata glaciale alla ragazza che aveva osato togliergli le parole di bocca.
Come gli era saltato in mente, prima, di dargli dei consigli?
Solamente un pazzo, lo avrebbe fatto.
All’improvviso, un’idea gli baleno alla mente, facendolo sorridere tronfio.
Si avvicinò velocemente alle spalle di Nami, avvicinando il viso al suo orecchio destro, per poi sussurrare:
“Ti propongo una sfida. Tu contro di me, in questo caso. Vincerà chi prima avrà trovato l’assassino, cosa già ovvia, a dir il vero. Che ne dici?”
Rimase un poco perplessa, passando ad osservare i presenti nella stanza.
Lei voleva solamente risolvere il caso, solo che quella sfida la allettava moltissimo, soprattutto per il fatto perché avrebbe dimostrato al consulente detective di che pasta era fatta.
Ma la sua parte razionale le continuava a ripetere che era una stupida sfida, in cui c’era in gioco la vita di una persona.
E con le vite umane, non si giocava.
Nemmeno per scherzo.
“Non posso. La posta in gioco è troppo alta. Una donna potrebbe morire da un momento all’altro!” sibilò a denti stretti, facendo sorridere ancor di più il ragazzo in modo beffardo.
Forse poteva sembrare troppo capriccioso, ma non voleva rinunciare.
Sapeva benissimo che, nonostante tutto, Nami era orgogliosa, quindi, bastava semplicemente “schiacciare il tasto giusto” e avviare la macchina.
“Non è che hai paura? Guardali. Guardali tutti. Ti ammirano solamente perché mi tieni testa. Ma forse, hanno preso un granchio…” ribatté strafottente, cosa che fece irritare la ragazza.
Voleva guerra?
Benissimo.
“Accetto la sfida!” rispose girandosi di scatto verso di lui, trovandolo incredibilmente vicino al suo viso.
Poteva vedere ogni singola caratteristica dei suoi occhi e del suo viso: dagli occhi alle labbra.
“Molto bene. Che la partita abbia inizio, allora!” esclamò stringendole la mano, come sancire quel loro patto segreto, come fanno i bambini appena hanno compiuto una marachella e non vogliono rivelarla a nessuno, lasciando tutti perplessi.
Uscirono insieme dalla camera d’albergo e sempre insieme uscirono dal palazzo.
I loro passi erano veloci ma perfettamente coordinati.
I loro sguardi erano fissi su un punto davanti a loro.
Le loro menti elaboravano le informazioni, cercando di trovare una pista.
Solamente uno dei due poteva vincere.
Uno di loro due avrebbe perso miseramente.
Potevano sembrare simili, ma i loro sentimenti erano così differenti: lui era sempre freddo e impassibile, ma lei aveva una tempesta dentro di sé.
Si era pentita dello sbaglio che aveva commesso.
Perché, uno volta ogni tanto, non lasciava stare l’orgoglio e dava ascolto alla sua parte razionale?
Perché?
 
Si divisero: Sherlock a destra, Nami a sinistra.
Nessuno dei due si voltò indietro per guardare l’avversario.
Lestrade, Donovan e John si precipitarono fuori e li guardarono non sapendo cosa fare.
Nessuno aveva capito cosa stava succedendo a quei due.
John non capiva perché si comportassero quasi come cane e gatto.
 
Nami cominciò le sue ricerche, fermandosi un attimo a guardare le informazioni racimolate.
L’ultima donna che era stata uccisa si chiamava Amelia Jessica Wrighter.
Bisognava cominciare a chiedere in giro se qualcuno la conoscesse ed, eventualmente, chiedere altre informazioni sul luogo di lavoro o ai suoi colleghi.
Passò così, dieci minuti in vari bar, dove incontrò vari amici della vittima.
Scoprì che era una ragazza simpatica, ma piena di problemi finanziari.
La ditta per cui lavorava si stava fallendo e si era rifugiata nell’alcool, rovinandosi la vita.
Usciva ogni volta con un nuovo ragazzo, ma da alcuni mesi aveva cominciato a frequentare un uomo che l’aveva presa sotto la sua ala protettiva.
Chiese l’indirizzo di dove abitava quest’uomo e chiamò un taxi per arrivare più in fretta.
Suonò varie volte il citofono e, dopo due minuti qualcuno venne a rispondere:
“Chi è?” domandò la voce, facendo irrigidire Nami.
Non era quella dell’uomo che aveva incontrato quella mattina…
“Sono un’amica di Amelia!” esclamò cercando di essere il più convincente possibile.
Il cancello sì apri con un lieve cigolio e la rossa entrò a passo spedito verso la villetta in cui abitava il fidanzato della Wrighter.
 
“Cosa porta un’amica della mia fidanzata, qui? E’ successo qualcosa?” chiese l’uomo mostrandole il suo volto: era un uomo sulla quarantina con capelli biondi e occhi azzurri.
Portava un completo elegante, ma era stropicciato in più punti.
Molto probabilmente era rientrato a casa da poco, inoltre, la sua ventiquattrore era appoggiata di fianco alla porta, simbolo che appena entrato in casa, stava suonando il citofono.
“Oh, niente di che! Mi ha chiesto di venire per avvertirla che stasera non verrà, perché fa un’uscita a quattro con le sue amiche!” spiegò tentando di dimostrarsi impassibile.
 
L’uomo, a quelle parole, sbarrò gli occhi per un attimo, ma si riprese subito:
“Non mi ha avvertito. Peccato! Ma venga! Le offro una tazza di thè, così si potrà un attimo riposare!” la invitò spingendola delicatamente verso il soggiorno spazioso.
“Non ce n’è bisogno! Devo proprio andare!” si ribellò lei, ma senza successo.
L’uomo le cinse il collo con un braccio, iniettandole qualcosa, e lei cadde a terra, con gli arti paralizzati e lo sguardo fissò davanti a sé.
Non riusciva ad emettere alcun suono dalla bocca, quasi come se avesse perso la sua voce.
Riusciva solamente ad emettere gemiti strozzati.
“Sai. È ora che una ficcanaso come te faccia una bella dormita! So per certo che Amelia ci ha lasciati più di dodici ore fa! Tu non sei una sua amica, perché me le ha presentate tutte. E ti posso assicurare che ne aveva davvero poche. Sogni d’oro!” disse l’uomo colpendole la testa contro il freddo pavimento, facendola svenire.





Angolo di Alyce: Buonasera a tutti!
Ecco a voi il secondo capitolo!
Come potete ben vedere Nami si mette subito nei guai e tutto perché ha accettato una sfida di Sherlock.
Però, ha avuto anche un po'ragione: quando c'è di mezzo l'orgoglio non c'è nulla da fare.
Cosa accadrà? Sherlock cosa farà? E il nostro caro John come la prenderà?
Tutto, nel prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione!
Alyce :))))))))))))
  
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