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Autore: GirlWithTheGun    14/07/2014    2 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 9

Then The Quiet Explosion

 

 

Sirius varcò la porta della sua camera e la richiuse dietro di sé con un calcio: l’urto fece tremare le pareti ma non provocò nessun suono; Walburga l’aveva Incantata tempo prima, privandolo dell’adolescenziale soddisfazione di comunicare una protesta. Il pensiero aumentò esponenzialmente il suo senso di frustrazione e anche la nausea; in preda alla furia afferrò un lembo del sontuoso piumone che copriva il letto e scoperchiò il materasso, schiantando tutto quello che gli capitava a tiro dall’altra parte della stanza. Nella foga colpì con un ginocchio la struttura del baldacchino e il dolore si aggiunse a tutto il resto, facendolo crollare sul tappeto. Restò immobile per diverso tempo, ad assorbire il male con i denti stretti e i pugni serrati.

Non gli avevano permesso di salutare Andromeda, costretta all’isolamento, a meditare sul tradimento. Zio Cygnus si era premurato di comunicare a tutti loro che l’aveva condannata al digiuno, con una sorta di disgustoso imbarazzo, come scusandosi del fatto che, fino a quel momento, non aveva potuto spingersi oltre. Le mani di Sirius, anche chiuse com’erano, continuavano a tremare dalla tensione.

Gli occhi di Meda, pieni di paura e sgomento, erano stati l’ultima cosa che aveva visto prima di essere trascinato fuori dalla sala da pranzo contro la sua volontà. Dopo qualche resistenza suo padre lo aveva afferrato con decisione dietro il collo, come si fa con gli animali disobbedienti, e l’aveva sollevato con forza dalla sedia dove si era arroccato. Aveva tentato di richiamare l’attenzione della cugina - avrebbe voluto urlare le sue scuse per un errore così stupido e terribile se a fermarlo non ci fosse stata la paura di aggravare ancora di più la sua posizione – ma lei non si era voltata, aveva continuato a fissare Bellatrix come se guardasse un’estranea. Sirius era passato nel mezzo del percorso tracciato da quello sguardo, insieme ai suoi genitori e a Regulus: sul volto di Bella non c’era un briciolo di umanità, si godeva il momento come se si trattasse di uno spettacolo e non della vita di sua sorella che andava in pezzi. Appariva quasi felice. Non riuscì a controllarsi e la rabbia gli riempì gli occhi di lacrime. Meda, la sua Meda, la stessa che aveva riletto senza sosta la lettera di Tonks, consumandola con le dita, assottigliandola sotto il peso dei suoi pensieri, ripetendone le parole a mezza voce nelle notti insonni; la sua Meda di fronte a un plotone d’esecuzione che ne avrebbe piegato la volontà fino al limite estremo, fino all’annullamento. A Sirius mancò il respiro. Perché, perché doveva succedere? Neppure durante l’ultimo giorno trascorso a Englefield, con zia Druella nascosta a spurgare le sue immense vergogne e Narcissa e Bellatrix sparite chissà dove, gli era stato permesso di vedere Meda. Walburga, subito dopo il rientro con la Metropolvere in Grimmauld Place, aveva chiuso la faccenda con un sospiro affettato, sibilando un soddisfatto: “Ora sanno cosa si prova”; poi l’ennesima minaccia ringhiata a un palmo dal suo viso, un indice puntato a fondo nel suo petto e l’occhiata di disgusto che negli ultimi cinque anni non era mai mancata: “Non ti permetteremo mai di disonorarci in questo modo”.

Sirius immerse le dita nei capelli, nel tentativo di tenerle ferme, e si forzò in un lungo respiro. Le domande gli investirono la mente come una frana: quando avrebbe rivisto Andromeda? (Quando sarebbe finalmente e irrimediabilmente impazzito?) Quando avrebbe rivisto Andromeda? (Sarebbe stata la stessa Andromeda di sempre?). Scivolando sempre più in basso, trascinato dalla marea degli interrogativi, si addormentò all’improvviso, esausto, rannicchiato contro la parete.

 

*

 

Andromeda se ne stava piegata su un fianco, le ginocchia nude raccolte contro il petto e gli occhi, sbarrati, fissi contro il muro della sua stanza spoglia. Sua madre aveva fatto portare via tutto: prima i vestiti, poi le borse, in ultimo ogni libro babbano che era riuscita a scovare: li aveva inceneriti personalmente; Bella aveva assistito a una crisi isterica di fronte alla sfera piena di specchi che avevano sganciato dal soffitto, insieme al poster indecente che Meda aveva fissato alla porta. Non erano ancora partiti solo perché suo padre aveva deciso che avrebbero rispettato la tabella di marcia, senza destare inutili sospetti in merito a quanto era accaduto; così era stato stabilito che sua sorella avrebbe scontato la parte più dura della pena lì a Englefield. Non era la prima volta che andava a trovarla e sapeva che Cissy aveva fatto lo stesso senza ottenere in cambio nulla che non fosse silenzio. Più di ogni altra cosa, Bellatrix aveva bisogno che sua sorella finalmente mostrasse di comprendere cosa l’aveva spinta a compiere un gesto tanto estremo; che capisse quanto intensamente desiderasse proteggerla. Avrebbe fatto di tutto, pur di salvaguardare il loro legame. Nessuno pareva averne il coraggio: lei, invece, era disposta a correre il rischio di lasciarsi odiare pur di fare le cosa giusta. Andromeda doveva sforzarsi di accettarlo o, prima o poi, avrebbe commesso qualche errore così pericoloso da allontanarla per sempre dalla famiglia. Non avrebbe mai potuto sopportarlo.

Tentò di non soffermarsi a lungo a riflettere su quanto apparisse pallida e sofferente, né sul bicchiere vuoto che faceva mostra di sé sul comodino. I tre canonici giorni di digiuno imposti da suo padre sarebbero dovuti finire quella sera: continuò a pensare a questo e a nient’altro per un lungo minuto. Soffocò la pena e anche la curiosa sensazione di disagio che le strozzava il respiro, ricordando a se stessa l’urgenza che l’aveva spinta a dirigersi subito nella camera della sorella non appena di ritorno dall’ultimo viaggio, senza neppure sfilarsi il mantello. Il venticinque di agosto andava avvicinandosi a grandi passi, insieme ai suoi inquietanti doveri da futura sposa e a un giuramento che avrebbe cambiato le sorti del Mondo Magico. Doveva mettere al sicuro Andromeda prima che fosse troppo tardi.

“So che mi ascolti” esordì, pentendosi subito dopo del tono duro che aveva usato “Devo parlarti di una cosa molto importante”.

Non giunse nessuna risposta, solo un battito di ciglia su uno sguardo ancora del tutto assente. Bella abbassò gli occhi sulle sue mani e si impose di non esitare.

“So che hai dei sospetti sui miei viaggi degli ultimi due anni e so che circolano delle voci al riguardo. Sono qui per spiegarti tutto quello che dovresti sapere e per metterti in guardia, Andromeda. Io voglio aiutarti” continuò.

Le raccontò del primo incontro, del reclutamento e degli allenamenti, di quanto le fosse costato, fisicamente, lasciarsi accettare come rappresentante della loro famiglia. Le spiegò il grande progetto che Lui aveva per tutti loro, le rivelò che presto l’ordine delle cose sarebbe stato sovvertito.

“Immagina un mondo pulito, Meda, dove noi Maghi non dovremo nasconderci né temere che qualcuno possa minacciare la nostra esistenza. Nessuno, mai più, potrà farci del male” le disse, spingendosi in ginocchio fino al suo letto e afferrandole una mano inerte “Io parteciperò alla distruzione di questo sistema perverso e poi potremo costruire insieme quello che verrà dopo”.

Tentò di farla ragionare sul fatto che, prima, avrebbero dovuto eliminare coloro che si rifiutavano di accettare un progetto tanto grande e rischioso, quelli che li avevano traditi rigettando il sangue magico, mischiandosi a chi per secoli aveva dominato senza averne l’autorità e neppure il potere.

“Tutto quello che è stato rovinato, noi potremo ricostruirlo, capisci? Te lo immagini?” le disse, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia “Io ti voglio con me, quel giorno. Non dovrai sporcarti le mani: lo farò io per tutti voi. Dovrai solo aspettare insieme a Cissy, a mamma e papà e poi potremo vivere in un mondo perfetto. Io voglio questo per te”.

Un mondo dove non sarà più necessario sposare qualcuno per garantirsi la sopravvivenza e scampare all’oblio.

Le posò un bacio sulla fronte.

“Io devo proteggerti. Lo capisci? Se dovrò farti ancora del male, lo farò, anche se mi odierai. È un prezzo che sono disposta a pagare” le sussurrò all’orecchio.

Mentre erano così vicine, il ricordo improvviso del suo respiro contro la camicia di Sirius le attraversò la mente. Lo ricacciò indietro ingoiando a vuoto, come un boccone ingombrante e amaro. Non adesso. Mai più. Fu in quel preciso istante che Andromeda prese a stringerle forte le dita, rianimandosi. Si allontanò un poco per guardarla in viso e la trovò insperatamente presente, come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno.

“Perdonami” mormorò solo quella parola.

Per Bellatrix fu sufficiente: ci sarebbe stato il tempo per le scuse e anche quello per le spiegazioni. In quel momento sentiva solo l’impellente necessità di un lungo abbraccio.

 

“Non so davvero cosa pensare”.

Suo padre lasciò che Narcissa gli colmasse il secondo bicchiere di Whisky Incendiario, sotto lo sguardo agitato della loro madre, che si tormentava una ciocca sfuggita alla crocchia severa.

Bella affondò la schiena nel velluto imbottito, lasciandosi sfuggire un sospiro esausto.

“Sono certa che si sia trattato di un momento di debolezza. Non vorrete realmente basarvi sulle parole di Sirius…” disse, scrutando attentamente i genitori, uno alla volta.

Sua madre continuava a sembrare del tutto sconvolta, scatenando la sua irritazione.

“Chiaramente Meda non ama quel sudicio Mezzosangue, altrimenti non avrebbe implorato il nostro perdono. Deve aver preso coscienza di quella che è stata solo una pericolosa inclinazione e se ne è pentita. In effetti il ritrovamento della lettera è stato provvidenziale: ci ha permesso di porre rimedio prima che le cose precipitassero” continuò Bella, decisa.

“Non riesco a capire come sia stato possibile questo incontro” disse suo padre, fissando il tappeto e scuotendo la testa.

“Oh, Cygnus” squittì sua madre, arricciando le labbra “Io te l’avevo detto, te l’avevo detto che eri troppo indulgente. Se avessi seguito il mio consiglio…”.

“Per Salazar, Druella! Ancora questa storia?” ringhiò in risposta suo padre “Se avessi seguito il tuo consiglio ora nostra figlia sarebbe sposata con un mentecatto. Le alleanze matrimoniali vanno stipulate con criterio: un concetto che sembra andare al di là della tua portata”.

Sua madre incassò il colpo con eleganza, abbassando lo sguardo e tornando a tacere; Narcissa allungò una mano sulla sua schiena, accennando una carezza lieve e fissandola con apprensione.

Bellatrix si interrogò fuggevolmente sull’identità dell’erede idiota che aveva sollevato l’indignazione di suo padre, interrompendo il flusso dei pensieri prima che iniziassero a percorrere confini pericolosi. Dal giorno della lettera stava spendendo gran parte delle sue energie nel controllo della coscienza, rinunciando anche al sonno per evitare incontri spiacevoli con una parte di sé che presto avrebbe provveduto a estirpare. Strinse le mani attorno ai braccioli della poltrona, in un riflesso involontario.

“L’ho trovata sinceramente pentita e affranta per il grande dolore che ci ha arrecato” disse, decisa.

In realtà Meda aveva fatto poco altro che piangere e balbettare qualche frase sconnessa, mentre le si abbarbicava addosso come un bambino che non sa nuotare, ma l’unica cosa a cui pensava Bella, in quel momento, era al modo più rapido per riempire lo stomaco della sorella con  qualcosa che non fosse acqua.

Lanciò uno sguardo significativo a Cissy, quando fu certa che non potesse essere intercettato dai loro genitori.

Aiutami.

“Potrebbe essersi spaventata per via del fidanzamento di Bella. L’idea dell’allontanamento dalla nostra amata sorella, il pensiero di un matrimonio imminente…” intervenne Narcissa, con veemenza.

Sua madre spalancò gli occhi e la bocca in un’espressione folle.

“Ma cosa potrebbe mai esserci di così orribile in un matrimonio?!” esclamò, sconcertata.

Bella lasciò vagare lo sguardo sugli arazzi dell’ampio salotto che era stato eletto come quartier generale. Si sentiva direttamente responsabile per il comportamento sconsiderato di Andromeda, le sue crisi dovevano averla impressionata profondamente, fino al punto di terrorizzarla e spingerla direttamente nelle braccia del nemico. Era stata stupida ed egoista. Annotò nella mente l’ennesimo

codice infranto che le era stato ripetuto come una preghiera fin dall’infanzia: mai lasciarsi andare. Mai esternare emozioni che superassero la barriera imposta dalla decenza; le labbra di Sirius contro le sue; il sapore che le era rimasto nella bocca e sembrava non andare più via.

Si alzò in piedi all’improvviso, intrecciando le braccia intorno al corpo, e suo padre le lanciò uno sguardo interrogativo.

“Credo solo che non sia il momento per un simile scandalo” disse, voltando le spalle a tutti loro.

“E con il matrimonio così imminente!” sospirò con tono angosciato sua madre.

“Non sapete proprio parlare d’altro, Madre?” Bella non sollevò neppure lo sguardo, mentre riempiva un bicchiere di Whisky anche per sé “Credetemi, presto ci saranno motivi molto più seri perché il nome della nostra famiglia non debba essere associato a quello di un Mezzosangue”.

Li uccideremo tutti, pensò, mandando giù un lungo sorso. L’intento era stato piuttosto chiaro fin dal principio ma negli ultimi sei mesi ne avevano parlato esplicitamente, formulando piani e stabilendo strategie di attacco programmatiche. Bella non era mai stata spaventata dall’idea di togliere la vita a qualcuno.

Quando si rivolse nuovamente verso i suoi genitori, nel silenzio che era calato dopo l’ultima osservazione, li sorprese a fissarla con imbarazzo. Entrambi sapevano tutto quel che c’era da sapere sulle sue frequentazioni e lo stesso valeva per la maggior parte dei padri e delle madri dei suoi compagni: eppure vigeva il tacito accordo di non discuterne affatto, di non farvi mai riferimento, perché a certe cose si poteva solo alludere e parlare di assassinii in famiglia non era buon costume. Inoltre, fingere di non essere a conoscenza delle attività dei figli avrebbe permesso a tutti loro di restare al di fuori di ogni possibile pericolo o scandalo.

Sua madre tirò stizzita una ciocca, prima di fermarla con un gesto nervoso dietro l’orecchio, ma non ebbe il coraggio di aggiungere altro; suo padre si schiarì energicamente la voce.

“Dunque…” disse “Partiremo domattina, ho già dato istruzioni ai Domestici”.

“Questa sera Meda potrà mangiare?” chiese Bella, dopo aver vuotato il bicchiere.

“Sì”.

Bella non avrebbe mai dimenticato lo sguardo che suo padre le rivolse, prima di congedarla: i suoi occhi tradivano ammirazione e paura. Prese improvvisamente coscienza del fatto che, se non avesse posseduto motivi ben più profondi, quello sguardo sarebbe bastato per giustificare ogni singolo cadavere calpestato sul suo cammino.

 

Quando Bella fece ritorno al piano superiore aveva con sé cibarie sufficienti per una cena abbondante; era anche riuscita a sottrarre una fiaschetta di Idromele dalle cucine, dopo essersi liberata dei Domestici: lei e Andromeda lo avrebbero diviso, avrebbero mangiato insieme e poi parlato. Le cose sarebbero tornate ad essere come dovevano.

Non appena varcò la soglia, Bella realizzò l’assenza della sorella. Il letto era disfatto e vuoto.

“Meda?” chiamò, riaffacciandosi sul corridoio.

Forse alla fine aveva deciso di fare il bagno, come lei le aveva suggerito prima di scendere. Entrò nella camera per posare il vassoio sul comodino e poi raggiungerla nella stanza accanto; i suoi progetti a breve termine si infransero su un rettangolo di pergamena bianca, invisibile tra le lenzuola se non fosse stato sporcato da una macchia d’inchiostro recitante il suo nome. Allungando la mano davanti a sé la vide tremare; afferrò la lettera come in trance, ripercorrendo con gli occhi i tratti esitanti vergati da una piuma incerta, la aprì senza riuscire a respirare.

“Ti vorrò sempre bene”.

 

*

 

Sirius vide il gufo planare nel crepuscolo, diretto verso il terrazzo di Grimmauld Place, quando era ancora lontano; restò immobile a osservarlo avvicinarsi, una sigaretta accesa tra le labbra, fino a quando non lo riconobbe: era l’allocco grigio di Andromeda. Scattò in piedi un momento prima che l’animale planasse con un rapido movimento circolare sopra alla sua testa, per poi atterrare con grazia sul cornicione. Sfilò il rotolo di pergamena che portava legato con un nastro alla zampa destra e lo distese sulla pietra, piegandosi verso le luci notturne che giungevano dalla strada. Il gufo non attese oltre, spiccando nuovamente il volo mentre lui era intento a decifrare le prime righe.

“Sono scappata. Sono al sicuro. Ho dovuto farlo. Sono certa che i miei genitori non daranno la notizia prima di essere sicuri che non tornerò: presto scriverò anche a loro. Fino a quel momento non parlarne con nessuno. Ho bisogno di raccontarti molte cose. Non posso dirti dove mi trovo adesso ma appena possibile, forse domani, avrai mie notizie. Stai attento”. La firma sbavata di Meda chiudeva il messaggio.

Sirius spense il mozzicone a terra, in un gesto automatico, soffiando fuori l’ultima boccata di fumo. In pochi istanti realizzò che l’unico consanguineo al quale era realmente legato aveva appena intrapreso un viaggio di sola andata verso la diseredazione. Il suo iniziale sollievo, all’idea che la cugina preferita si fosse finalmente liberata, fu seguito quasi immediatamente da un vago malessere.  Immaginò il perfetto sorriso di Andromeda, intessuto nell’arazzo, sostituito dal buco nero che aveva cancellato ogni membro disertore della famiglia; come se bastasse incenerire un nome per eliminare ogni legame. Per suo padre e sua madre il mondo funzionava realmente così: chi rifiutava i codici imposti dal sangue doveva essere eliminato dalla memoria, come se non fosse mai esistito. Non aveva alcun dubbio in merito al fatto che gli zii avrebbero rinnegato Meda senza nessuna esitazione, una volta accertata la sua scelta. Per lui era del tutto impossibile comprendere con quale coraggio un genitore potesse decidere coscientemente di dimenticare un figlio.

Tornò a sedere nella semioscurità del suo rifugio, il cielo di Londra incombente sul margine dello sguardo, come la cortina che minaccia di calare sul sipario.

 

La mattina dopo non era ancora giunta nessuna notizia della fuga di Andromeda. I suoi genitori avevano deciso di rimediare al ritorno improvviso da Englefield con una gita a Tinworth, per godersi un paio di giorni in riva all’oceano. A cena, la sera prima, Sirius aveva finto con scarso impegno un malessere generico e suo padre aveva commentato la cosa con un lungo tiro di pipa.

Verso mezzogiorno, finalmente solo, Sirius stava consumando un sandwich umido nel suo letto, quando l’allocco di Andromeda era tornato a fargli visita, planando nella sua stanza attraverso la finestra aperta; aveva lasciato cadere il biglietto ai suoi piedi e poi si era appollaiato sull’unico angolo libero della scrivania, sommersa da vestiti sporchi e libri. Nella fretta di decifrarlo rischiò di soffocare, ingoiando con foga un grosso morso, e cosparse il foglio di briciole. Il messaggio era essenziale: “Dingwalls. 11 Middle Yard, Camden Lock. Ti aspetto qui”.

Recuperò un paio di jeans sdruciti da sotto il letto, dopo essere atterrato sul tappeto con un balzo poco agile, e sfilò una t-shirt dal mucchio che invadeva la mobilia, sotto il becco severo del gufo, che continuava a guardarlo con un cipiglio molto simile a quello esibito da sua madre a colazione. Gli rifilò a tradimento quel che rimaneva del suo pranzo, prima di incastrare la bacchetta nella cintura e prendere la porta. Scendendo le scale incrociò Kreacher, intento a lucidare il corrimano con la devozione di un fedele chinato a pregare in chiesa, ma non sprecò fiato per un saluto che, in ogni caso, sarebbe stato ricambiato con un grugnito deferente. Non appena uscì in strada, lasciandosi alle spalle il corridoio cupo di Grimmauld Place, gli parve di tornare a respirare dopo una lunghissima apnea; l’aria sporca di Londra aveva un odore che lasciava presagire pioggia, e le nuvole pesanti accumulate sui tetti delle case confermavano l’ipotesi di un acquazzone imminente, ma il cattivo tempo non incrinò il suo ritrovato buonumore. Non si lasciò scoraggiare e si mischiò agli sconosciuti indifferenti che percorrevano le strade di Islington, sentendosi più leggero ad ogni metro guadagnato: l’idea di riabbracciare Meda lo fece sorridere tra se e se, mentre intraprendeva a passo svelto il cammino conosciuto che lo avrebbe condotto a Camden Town. Attraversò incroci e tagliò la strada a passanti ignari, senza essere realmente consapevole di ciò che lo circondava, concentrato a elaborare teorie e modi che gli avrebbero permesso di aiutare la cugina, se ne avesse avuto bisogno, in barba a qualsiasi follia punitiva familiare. Lo sfiorò l’idea di accompagnarla in quella fuga ma subito la sua coscienza si ritrasse al pensiero, lasciandolo turbato. Non era disposto ad ammetterlo con nessuno e in ultima analisi, probabilmente, nemmeno con se stesso, eppure anche soltanto immaginare di lasciarsi per sempre alle spalle il mondo che lo aveva incatenato lo spaventava. Quelle riflessioni lo fecero rabbuiare un poco e finì per macinare la restante parte del percorso con le mani sprofondate in tasca, a maledirsi per aver scordato accendino e sigarette nel nascondiglio del terrazzo.

Quando finalmente raggiunse il luogo dell’appuntamento, un locale lungo la doppia chiusa di Camden Lock, prese a guardare nelle vicinanze alla ricerca di Meda. Sapeva che i locali dei dintorni erano frequentati anche da alcuni del suo anno, che ritenevano trasgressiva l’idea di mescolarsi a masse di Babbani sudati per assistere ai live delle band alternative che si esibivano lì e alla Roundhouse, in Chalk Farm Road. Harvie l’aveva letteralmente supplicato di accompagnarlo a un concerto, sicuro che Sirius sarebbe stato un ottimo compagno per un’occasione simile: aveva sempre declinato gli inviti, specie nell’ultimo periodo, dopo la scoperta del piccolo problema peloso di Remus e il loro conseguente – e collettivo – arrovellarsi su quale potesse essere il modo migliore per stargli vicino senza rimetterci la pelle, anche nei momenti peggiori. Il più delle volte le loro riunioni a ridosso delle vacanze estive e natalizie erano finite nella frustrazione generale, almeno fino a quel momento; James aveva proclamato che entro l’anno successivo avrebbero trovato di certo la soluzione e, anche se non aveva davvero la più pallida idea del come, Sirius ci credeva altrettanto fiduciosamente.

“Ehi”.

Qualcuno gli sfiorò un braccio e Sirius si voltò: incorniciata dall’entrata in mattoni rossi di Dingwalls sullo sfondo, c’era Andromeda. Aveva i capelli legati in una coda disordinata e indossava abiti che l’avrebbero resa indistinguibile tra la folla di Camden Market, proprio come lui; sorrideva nel modo tirato di chi sta soffrendo, le lunghe ciglia abbassate su un paio di occhiaie che negli ultimi tempi erano diventate familiari. Il saluto che voleva rivolgergli le morì sulle labbra non appena incrociò il suo sguardo e Sirius non attese oltre, le afferrò un polso e la tirò verso di se, intrappolandola in un lungo abbraccio. Meda si aggrappò alla sua maglietta e posò la fronte sul suo petto, piangendo sommessamente; le accarezzò la schiena tentando di calmarla, ricordando ogni singolo momento in cui lei aveva fatto lo stesso, nel tempo in cui era solo un ragazzino che cercava di metabolizzare il rifiuto dei suoi genitori. Sirius non aveva mai pianto e sentire la cugina singhiozzare contro di lui lo impressionò, si sentì impotente e del tutto impreparato rispetto al compito che gli veniva affidato in quel momento, consolare una donna che aveva appena detto addio a un universo intero di ricordi e amore. Non riusciva a comprenderla fino in fondo, ma sapeva che Meda aveva coltivato un affetto sincero, intensissimo, per le sue sorelle e i suoi genitori e poteva solo immaginare cosa volesse dire realizzare che non avrebbe potuto più abbracciarli o parlare con loro. Sperava solo che anche gli zii, Narcissa e Bellatrix avrebbero sofferto altrettanto per quel distacco, anche se non era per nulla ottimista al riguardo: temeva che tutto il sincero rammarico di Andromeda fosse tempo sprecato, sottratto a una nuova felicità che ora lei avrebbe potuto scegliere e afferrare, in totale libertà. Tenne quei pensieri per sé e continuò a stringerla tra le braccia.

“Andrà tutto bene” sussurrò.

Dopo qualche minuto di sconforto, Meda iniziò a calmarsi e allentò la presa d’acciaio sulle pieghe della sua t-shirt.

“Sei contento, ora? Perché io non lo sono per niente…” disse, scostandosi e asciugando il viso con le mani.

Sirius incassò il colpo senza fiatare, allungando una mano fino ad accarezzarle la guancia, ancora umida di pianto. Andromeda gli regalò un altro sorriso triste.

“Ovviamente avevi ragione” disse, scrollando le spalle.

“Mi dispiace davvero”.

“Lo so”.

“Vuoi fare un giro al mercato?”.

Meda alzò gli occhi nella direzione vaga che le aveva indicato.

“Certo”.

Prima che si incamminassero gli si accostò e gli diede un bacio tenero sulla guancia, agganciandosi al suo braccio destro come una bambina.

Vagarono per le bancarelle stracolme, scrutando con poco interesse oggetti Babbani palesemente inutili e merce magica pericolosa mimetizzata tra bigiotteria innocente e antiquariato fasullo. Andromeda gli spiegò che per il momento dormiva da una sua ex compagna di scuola lì a Camden ma presto lei e Tonks avrebbero trovato un posto dove stare insieme.

“Sei sicura? Vuoi davvero vivere con lui?” le chiese Sirius, superando un banco che vendeva lecca lecca al gusto di cannabis.

“Sì” rispose Andromeda, rivolgendogli il primo vero sorriso da che si erano incontrati.

Sirius soffocò l’istinto di abbracciarla ancora, lì in mezzo alla folla, solo per la paura irrazionale di passare per il sentimentale che non era affatto.

“Vorrei solo non sentirmi così…” disse lei, raccattando un paio di orecchini con delle lunghe piume da chissà dove.

Li portò alle orecchie con finta disinvoltura, mimando uno sguardo da seduttrice nel tentativo vano di alleggerire le parole che aveva appena pronunciato.

“Non mi piacciono” replicò Sirius “Così come?”.

Meda fece indugiare le dita su un anello con una grossa pietra azzurra incastonata in cima.

“Questo ti piace?”.

“No. Mi piace questa”.

Le mostrò una collanina con un piccolissimo ciondolo dorato a forma di libellula.

“È bella” disse Meda, senza guardarlo “Come se non avessi più nessuno al mondo”.

“Sai che non è vero. Hai me, hai Ted, i tuoi amici…”.

“Sì ma loro non possono capire. Non sono come noi”.

“Questo potrebbe essere un bene”.

“Già”.

“Come hai fatto a scappare? Credevo che ti tenessero rinchiusa da qualche parte nelle segrete”.

Andromeda appoggiò la testa alla sua spalla, mentre continuavano a camminare nella luce del primo pomeriggio.

“Ho finto di essere molto pentita. Sai bene che i Black hanno un vero talento nell’arte dell’inganno”.

“Non guardare me, se fossi stato davvero un buon bugiardo mi sarei fatto Smistare in Serpeverde e avrei riservato le sorprese per la maggiore età”.

“Un po’ come ho fatto io, insomma?”.

“Sei sempre stata il mio mentore”.

“Sediamoci un po’”.

Meda lo guidò oltre il confine delle bancarelle, scavalcando una bassa balaustra, fino al margine del ponte, dove si sedettero con le gambe a penzoloni.

“Vengo spesso qui” disse lei, mentre il riflesso del sole sull’acqua giocava con i suoi capelli “Anche da sola. A volte non compro niente. Mi piace stare in mezzo alla gente con la certezza, o almeno la concreta possibilità, che non ci sia nessuno che mi conosca. È come fare un salto in un altro pianeta”.

Sirius provava la stessa sensazione in compagnia dei suoi amici. Dopo i primi due anni a Hogwarts la differenza tra lui e il resto della discendenza passata per quelle mura era diventata talmente evidente da renderlo un individuo a se stante. Era molto più conosciuto come compagno di scorribande di James Potter, che come primogenito Black. Andromeda stava parlando del posto dove tu sei tu e basta, e anche se quel te stesso è un signor nessuno va più che bene: l’esatto contrario della politica propagandata in famiglia, dove, come era stato insegnato a Sirius, tu non sei tu ma l’erede di un sangue antico con un carico di cemento sulle spalle che tutti chiamavano alto lignaggio.

“Tu come fai? Intendo a sopportare tutto questo”

Sirius meditò per qualche secondo sulla risposta incoraggiante, e drammaticamente finta, che avrebbe potuto dare, poi decise di essere spietatamente sincero.

“Non lo faccio. Non riesco a sopportarlo e non credo ci sia un modo per riuscirci. Voglio dire, i miei genitori che hanno deciso di non volermi più, come se fossi, non lo so… e mio fratello… penso che sono cose che nessuno può superare o affrontare, e penso anche che ti lasciano un segno, per sempre. Remus dice che con un po’ più di fiducia nel prossimo potrei riuscirci. Non ne sono convinto ma ci sto provando, almeno con i miei amici”.

Andromeda lo stava fissando, come se volesse andare oltre alla confessione che le aveva appena fatto.

“Ho capito solo ora come ti sei sentito per tutto questo tempo. Forse per te è stato anche peggio. Era in assoluto la cosa di cui avevo più paura e ora che è successo mi sembra di non avere più una vita”.

“Puoi costruirtene una con Ted, credo che se lo meriti” disse Sirius “O con qualsiasi altro tizio dall’aria vichinga che riesci a incontrare”.

Lei sorrise ma brevemente.

“Come fai a fare i conti con i ricordi? Ci sarà stato qualche momento con i tuoi o con Reg che ricordi con affetto. Non ti tornano mai in mente?”.

Sì. E fanno un male cane.

“Sì, però sono lontanissimi e spero che prima o poi li rimuoverò del tutto”.

“Quindi l’unica soluzione è dimenticare. Non so se ne sono capace. Hai dimenticato anche Bella? Pensare a voi due mi ha sempre resa molto triste, anche prima, e ora sarà peggio. Eravate davvero uniti, fin da quando eri bambino”.

Sirius la scrutò, incredulo.

“Non ricordo di essere mai stato unito a Bellatrix in nessun senso. La sola idea mi fa rabbrividire” mentre lo diceva, un vago dolore alla testa gli fece strizzare gli occhi.

“Lei ti adorava e tu la seguivi ovunque. Mi ricordo che, un Natale, hai detto a tutti noi che avevi deciso di sposarla. Avrai avuto sì e no otto anni, eri abbastanza grande per ricordartelo. Non puoi davvero aver dimenticato tutto di Bella”.

Il dolore aumentò allo sforzo impiegato per ripescare nella memoria un evento tanto assurdo.

“Adorarmi? Una cosa del genere non può essere mai successa. Bella mi ha sempre odiato” disse, portando istintivamente una mano alla tempia.

“Stai esagerando. Alla festa di fidanzamento avete ballato insieme, questo lo ricordi?”.

Non appena Meda terminò la frase Sirius avvertì una fitta fortissima, come se qualcuno stesse cercando di tranciargli a metà il cranio, e si piegò in avanti, portando le mani a coprire la testa. Andromeda lo afferrò per un braccio e urlò qualcosa, agitata, ma non riuscì a capire le sue parole. Tutto sembrava essere precipitato in un vortice, la sua voce e i contorni delle cose si confondevano in un unico guazzabuglio di colori e suoni; quando riemerse dalla confusione un conato lo costrinse a sporgersi sul fiume. Vomitò il suo pranzo e anche buona parte della colazione nel rigagnolo.

“Ehi amico! Ci hai dato dentro?” strillò qualcuno, da lontano.

“Vieni qui” Meda lo sollevò lentamente fino a farlo stare dritto.

Era molto pallida e aveva tra le mani un fazzoletto di stoffa con cui gli pulì le labbra.

“Per Merlino…” sfiatò Sirius, quando fu certo di essere nuovamente in sé.

“Che ti è preso? Stavi male stamattina? Avresti potuto dirmelo!” disse sua cugina, bianca come un lenzuolo.

“No, no. Sto benissimo. Deve essere stato il sandwich di Kreacher, quello schifo”.

Andromeda non sembrò tranquillizzarsi, anzi, se possibile, parve agitarsi ancora di più.

“Spostiamoci da qui, forse il sole forte ti ha dato fastidio. Riesci ad alzarti?”.

“Per carità, Meda, non esagerare. È solo un po’ di nausea”.

Per confermarle la sua buona salute si alzò in piedi con decisione “Dove vuoi andare?”.

“Andrà bene qualsiasi bar”.

La ricerca durò poco e appena sei minuti dopo Sirius si ritrovò seduto a un tavolino di plastica, con un tizio da una cresta arancione che gli chiedeva l’ordinazione.

“L’acqua andrà benissimo, e una limonata per me”.

Il cameriere atipico inarcò le sopracciglia con perplessità e portò via i menu che ospitavano una quantità esorbitante di nomi di birre.

“Come ti senti?”.

“Sto bene”.

“Non sembra proprio, sei verde”.

“E tu sembri un cadavere, ok?”.

“Hai ancora la nausea?”.

“Meda. ti. prego”.

Sua cugina si trincerò in un silenzio cupo fino a quando il cameriere non ritornò; quando anche con il suo bicchiere di limonata ghiacciata davanti sembrava non aver intenzione di muovere un muscolo, Sirius parlò.

“Scusami. Davvero, sto benissimo. Deve essere stato il caldo, vai a capire” disse, con tono affabile “Tu non dovevi raccontarmi tante cose?”.

Andromeda non si rilassò per niente, anzi, si incupì ancora di più.

“In effetti una cosa ci sarebbe” disse “Credo di essere incinta”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

NdA: ciao a tutti! So di pubblicare sempre con molto ritardo rispetto ai “normali” standard delle autrici buone&care che vi vogliono veramente bene, ma per me è già un miracolo riuscire a portare avanti questa storia come vorrei (considerando l’antica data di concepimento del primo capitolo >.<). Come al solito, spero che questo aggiornamento vi piaccia e vi stimoli a proseguire con la storia nonostante i miei tempi biblici: se così non fosse sentitevi liberi di consigliare/bacchettarmi su quello che non vi sconfinfera (vi prego, siate coccolosi se lo farete perché il mio povero cuore non reggerebbe i commenti al vetriolo). Prima di ringraziare, volevo inserire due o tre note su alcune cose di questo capitolo:

1)      Dingwalls è un locale di Camden aperto nel ’73 o giù di lì, ospitava e ospita attualmente molti live – anche di artisti cosiddetti alternativi -;

2)      La Roundhouse  è il parente nobile e parecchio più figo di Dingwalls, aperto negli anni ’60 e attivissimo nei ’70, che ha ospitato artisti tipo Rolling Stones, Bowie (del quale la mia Meda è una fan sfegatata), Hendrix e così via, tanto per dirne alcuni.

3)      Idealmente ho collocato la residenza cittadina dei Black, Grimmauld Place, nel borgo di Islington, solo ed esclusivamente perché è stato scelto come location per la collocazione della casa dei Black durante le riprese di vari film di Harry Potter. La scelta mi è piaciuta molto.

4)      Per me Camden Town è un ideale luogo di fusione tra mondo magico e mondo babbano, per motivi scontati, ci tenevo a piazzare la cosa da qualche parte.

5)      Il ponte dove Sirius rigurgita roba varia è tipo così: http://www.true-london.com/wp-content/uploads/camden2.jpg

6)      Non odiatemi per le inesattezze su Camden e Islington o su Londra in generale, non sono praticissima e prima di scriverne ho provato a rimediare aiuto sul mio fake con scarsi risultati q_q

7)      Mi sembra giusto specificare che i malesseri di Sirius vanno messi in relazione ai ricordi che sono stati rimossi da Bellatrix: chiaramente Bella non è un Medimago e perciò, per quanto talentuosa, non avrebbe dovuto nemmeno pensare di intervenire a modificare parti così sensibili della memoria del cugino (se stessimo parlando di una personcina pienamente sana, questo concetto sarebbe stato chiaro). Una delle spiegazioni che inserirò in qualche modo nei restanti capitoli riguarda proprio il fatto che modificare ricordi legati a sfere emotive profonde come, in questo caso, l’amore, può provocare danni sensibili all’apparato cerebrale. Questa spiegazione sarà essenziale per il successivo sviluppo della follia di Bella, ma non voglio spoilerare troppo.

Dovrei aver finito con le precisazioni inutili. Ho notato, negli ultimi giorni, un incremento di letture e di preferiti/seguite: non so da dove siate spuntati ma vi ringrazio davvero tanto! Spero di risentirvi presto, un saluto a tutti :3

   
 
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