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Autore: Ljn    16/07/2014    2 recensioni
"C’era una volta, tanto, tanto tempo fa, un principe molto amato dalla sua gente per il suo cuore grande e l’animo gentile.
Il principe amava i suoi sudditi con la stessa intensità in cui era amato, ma aveva un amore particolare per una persona. Una persona molto speciale, che il principe aveva cara e custodiva vicino al proprio cuore esattamente come ella faceva segretamente con lui …"
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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__. Capitolo Terzo .__

Ottenere informazioni su Konoha, era stato quasi impossibile. Trovarla, praticamente un’epopea condita pure di intervento divino necessario a far progredire la storia.

Il volenteroso cittadino che aveva cercato di zittirmi mandandomi letteralmente “a quel paese”, si era infatti volatilizzato un istante dopo essere sbottato, e quelli che lo avevano zittito avevano tutti nervosamente affermato che l’uomo fosse un pazzo visionario inaffidabile. Era ovvio che lo avessero detto nel tentativo di scoraggiarmi e farmi perdere interesse per la strana affermazione rivoltami.

Peccato che io ero là proprio per trovare storie strane e sentire folli affermazioni.

Perciò setacciai in lungo e in largo quel buco ai confini del mondo per scovare la mia preda, e la inseguii per due giorni affinché si convincesse a sbottonarsi con “l’estranea isterica” su quel posto sconosciuto a Google Maps. Non ero assolutamente dell’idea di lasciarmi sfuggire l’unica possibilità di poter tornare alla civiltà in tempi brevi che mi si era presentata dinnanzi da settimane.

Alla fine, lo presi per sfinimento. E lo costrinsi a parlare.

- È una storia che mi ha raccontato mio nonno. – iniziò. E mi parve subito strano. Secondo la mia esperienza, erano le nonne e le madri a raccontare le favole. I nonni raccontavano storie vere. – So per certo che anche gli altri la conoscono perché da piccoli ne abbiamo parlato, prima che i grandi ci scoprissero e ci vietassero di continuare a farlo. Ha visto anche lei come mi hanno subito zittito. Questa storia non deve essere raccontata all’esterno del villaggio.

- E allora perché ne ha accennato a me? E perché me ne sta parlando ora? – chiesi, scetticamente divertita dalla sua cautela. Mi ricordava molto i personaggi secondari dei film dell’orrore. Non quelli che muoiono per primi, intendiamoci. Quelli che dicono al protagonista “non fare questo” o “quella casa è maledeeeeettaaah” e poi sono gli unici a sopravvivere alla storia perché sono gli unici a seguire i loro consigli ammiccanti. Oh. A parte quello che sconfigge il mostro di turno, ovviamente. Quello sopravvive sempre.

Lui mi incenerì con un’occhiataccia. – Perché lei è fastidiosa come una zanzara immortale, signorina. E mi auguro che almeno la maledizione di Konoha faccia effetto e mi liberi da lei.

“Ah ha …” pensai tra me e me, divertita dalla facilità con cui un qualsiasi estraneo potesse riuscire a venire a conoscenza di un segreto segretissimo tramandato di nonno in nipote nei secoli dei secoli amen.

 

La storia segreta narrava di una città fantasma abitata da esseri immortali, che custodivano un giardino maledetto che succhiava l’anima alla gente che vi entrava. Al villaggio sapevano della sua esistenza perché un tizio, centinaia di anni prima, era riuscito a sfuggirle quel tanto da arrivare là e schiattare subito dopo aver spiattellato della maledizione. Gli abitanti di quel buco in cui ero, avevano generosamente deciso di tenersi il segreto per loro, e avevano cresciuto generazioni di bambini con gli ammonimenti in merito e la promessa di grandi disastri se l’avessero detto agli stranieri. Alla faccia della sfiga e dell’altruismo.

Beh … questioni etiche a parte, non era la cosa più originale che avessi mai sentito dopo aver partecipato a diverse maratone di film horror a casa dei miei amici d’infanzia fidanzati da sempre e con un gusto decisamente malato per i film d’autore, però … era il meglio in cui mi fossi imbattuta dall’inizio del mio esilio.

Quindi mi ci aggrappai e mollai la presa di quel villico che avevo torturato per fargli sputare il segreto segretissimo a proposito del villaggio dedito alle arti di occultamento stile ninja – ovviamente tale borgo di stregoni era nascosto, perché se no non ci sarebbe stato gusto nella maledizione - e al divertente passatempo di succhiare l’anima ai passanti. Per fare cosa, poi, non mi era chiaro. La cariatide che si era volatilizzata poco dopo avermi dato le vaghe indicazioni per arrivare a Konoha che si tramandavano da generazioni, non lo sapeva.

E questo ci riporta al punto di partenza, e al fatto che ora mi ritrovavo sotto le mura di quella che supponevo essere Konoha. Senza benzina e con un navigatore satellitare che mi dichiarava persa nel nulla e mi incitava a fare inversione di marcia il prima possibile se non volevo andare per sempre alla deriva nel vuoto dell’Universo. Metaforico, almeno.

Come ero arrivata là? “Vada verso il Sole che sorge e se il suo cuore sarà abbastanza coraggioso e degno, riuscirà a trovarla. O almeno è quello che dice la leggenda.” In pratica? Non ne ho idea. Ho girato per ore, prima di perdere il senso dell’orientamento e ritrovarmi qui.

Valorosamente.

Nel vuoto ovviamente buio.

Senza benzina.

Ma avevo provato il mio essere degna.

… Sempre che quella fosse davvero la città maledetta.

Shannaro.

Avrei preferito la benzina e l’indegnità e una o due certezze in più.

- Avantiiiii … - il motore non partiva. – Non puoi lasciare una donna in difficoltà in mezzo al nulla! Di notte! Va contro le leggi di Asimov*!

Che l’auto non fosse un’intelligenza artificiale, ma solo una scatola con un motore, non aveva molta importanza. Era comunque una macchina, che avrebbe dovuto avere il buonsenso di risparmiare benzina in modo da non mettermi in quella situazione.

Alzai gli occhi determinata a insultare quell’aggeggio fino a che non si fosse mosso, quando notai una figura che camminava lungo le mura della città che speravo ardentemente fosse quella che ero venuta a cercare, perché non avrei sopportato altri giorni di caccia infruttuosa, dopo questa prima battuta.

Afferrai la borsa e corsi fuori dalla macchina, cercando di attirare l’attenzione del mio salvatore-a-venire in modo pacato e signorile.

- EHI! – urlai. – EEEEHIII! Ehi! LEI! – mi ignorò, e io insistei correndogli dietro - Mi scusi? Mi sente? – lo raggiunsi con qualche sforzo, e mi aggrappai alla sua giacca, costringendolo a girarsi - Ho dei problemi alla macchina e …

“E” … rimasi a bocca aperta mentre il mio corpo aveva un’improvvisa impennata di ormoni.

Era … la fantasia di ogni donna fatta carne, e io per poco non sbavai. Mi ripresi appena in tempo per evitare di rendermi completamente ridicola davanti a quella … visione, e mi ricomposi, abbassando la voce e passandomi una mano tra i capelli. Sorrisi, sicura del mio fascino.

- Salve! La mia macchina mi ha abbandonata. Mi saprebbe indicare un albergo dove passare la notte?

Non sono una donna facile, chiariamolo. Ma avere davanti l’incarnazione di un Dio greco in bianco e nero avrebbe fatto chiudere un occhio sulla fedeltà a qualsiasi donna al di sotto della settantina. E forse anche a qualcuna al di sopra.

Lui mi fissò a lungo con occhi così freddi e neri che il mio sorriso quasi cedette. Poi il suo sguardo scivolò verso il basso, e io mi misi istintivamente in posa più plastica, convinta di aver ottenuto la sua attenzione.

Almeno fino a quando la sua voce profonda e roca in modo assolutamente delizioso non disse – Mi stai sgualcendo la giacca. – e i miei processi mentali non ne registrarono il significato.

Battei le palpebre, mentre lui sfilava il tessuto dalla mia presa sconvolta e se ne andava.

Mi ci volle un secondo per passare sopra alla mia incredulità. Poi gli corsi dietro.

- Ehi! Potresti anche essere un po’ più gentile con una signora, sai? Ho appena detto che sono rimasta a piedi! Ed è notte e questo posto io non lo conosco! Dove sono finite le tue buone maniere?

Lui si fermò di scatto.  – Buone maniere? – brontolò pericolosamente la sua voce, facendomi scorrere lungo la schiena un piacevole brivido di paura.

Così illuminato dalla luce del tramonto, vestito di nero, con quella pelle pallida, i capelli scuri un po’ lunghi che il lieve venticello gli soffiava davanti agli occhi, i lineamenti regali e quegli occhi profondi come l’Inferno … Se fossi stata in un film dell’orrore, avrei detto che era un vampiro.

- Sì. Buone maniere. Hai presente? Quelle che dicono che non si lascia una damigella in difficoltà ai bordi di una strada deserta.

Alzò leggermente il mento, inclinando la testa verso destra. Poi le sue labbra si stirarono lentamente fino a distendersi in un ghigno che, avessi avuto un cuore più pavido, mi avrebbe spaventata a morte.

- I buoni samaritani di solito si rivelano serial killer, lo sai? – mormorò con tono pericoloso.

- I serial killer non avvisano le loro vittime. – o almeno lo speravo.

Il vampiro mi studiò attentamente, come se mi stesse prendendo le misure. Poi, raggiunta una conclusione di qualche tipo, sbuffò infastidito, si girò riprendendo a camminare e … - Te ne pentirai. - … decretò.

- Aspetta!

Ne fui quasi sorpresa, quando lui si fermò e si girò fissandomi da dietro ciocche scure quanto la notte imminente. Non credevo lo avrebbe fatto davvero.

- Che c’è ancora. – ringhiò spazientito. Oh, questo sì che me lo aspettavo. Sorrisi dolcemente. – La mia valigia.

 

Recuperammo il bagaglio dalla macchina, e poi ci avviammo verso la città sconosciuta ad ogni navigatore satellitare.  – Con tutti i soldi che ho pagato per avere quella macchina, potevano almeno fornire un navigatore aggiornato, no? – borbottai mentre arrancavo dietro la virile figura del mio … salvatore.

Che era bello come il peccato, ma aveva lo spirito di cavalleria di un girino. Anzi, no. Dovetti correggere la mia prima impressione casuale. Un girino almeno si sarebbe sviluppato in qualcosa di altrettanto innocuo. Quel condensato di cattive maniere, infatti, era più simile a uno di quei bei fiori carnivori che attirano con la loro bellezza gli insetti e poi li mangiano vivi.

Onestamente, io quei fiori li adoravo.

Me ne portavo una versione pure a letto. E non intendo in strani modi perversi. Solamente che l’idiota che speravo fosse ancora seduto sulla tazza a liberare se stesso di tutte le impurità che mi stava facendo passare, apparteneva alla stessa specie. Solo che era più gentile. A volte. Quando la cosa non interferiva con i suoi piani, almeno.

Il mio terapista mi ha chiesto, effettivamente, se da piccola non abbia battuto la testa compromettendo la mia capacità di distinguere il pericolo, dopo aver conosciuto il mio idiota. Io ho negato con forza, naturalmente, ma il dubbio è venuto pure a me, e più di una volta ...

Comunque.

L’esemplare di pianta carnivora che avevo davanti mi fece camminare attraverso le strade deserte della città per SECOLI. Senza degnarsi di offrirsi di trascinare la valigia per me o portarmi la borsa. O portami in braccio, se era per quello.

- Dobbiamo camminare ancora a lungo?

Silenzio.

- Mi dici il tuo nome? Così le autorità sapranno con chi iniziare, se dovesse essere trovato il mio cadavere da qualche parte. – spiai per l’ennesima volta il cellulare, che non dava segno di voler essere collegato al mondo esterno neppure se pregato in aramaico antico.

Sospirai seccata. - Mi puoi dire almeno se questa è Konoha?

Si fermò così improvvisamente che quasi gli andai a sbattere addosso, impegnata come ero a cercare di ottenere una connessione di qualche tipo per il telefono, attraverso la pura forza di volontà.

Lo scoprii a studiarmi.

- Che c’è? – sbottai dopo alcuni secondi. Ok che era gratificante essere fissata così intensamente da un Adone, ma lo stava facendo come se fossi una varietà sconosciuta di stercorario. Avrei preferito essere almeno una farfalla. Nasce verme, muore presto, ma nel mezzo è pur sempre una bella vista.

- Tu … fa’ niente. Qui non ci sono alberghi. Stiamo andando a casa mia. Puoi chiamarmi goshujin sama, se proprio devi.

- Go …

Riprese a camminare con tranquillità, come se non mi avesse appena detto di chiamarlo “padrone”, e aggiunse – E se decidessi di ucciderti nessuno lo verrà mai a sapere, perciò le autorità non avranno necessità di sapere proprio nulla.

Battei le palpebre, incredula. – Grazie! Che sollievo sentirtelo dire! Non hai idea di quanto questo mi faccia sentire più al sicuro! – ribattei infine ritrovando la voce.

Poi ripresi a seguirlo, trascinandomi dietro la valigia. – Piuttosto. Casa tua è ancora lontana? Perché se no potresti fare l’assassino cortese e portarmi tu questa dannata cosa! Da queste parti non sapete cosa sia, l’asfalto? Questo sterrato è terribile.

Il bel vampiro, aspirante assassino, stronzo bastardo misogino eccetera eccetera, mi ignorò. Che novità.

Mi domandai se il mio atteggiamento sarebbe stato diverso se non avessi avuto già fin troppa familiarità con bastardi silenziosi. Probabilmente, la mia perplessità sarebbe rimasta tale.

 


* Leggi di Asimov. Sono le tre leggi della robotica. Sono certa che se avete mai letto (o visto) qualcosa di fantascienza, sapete cosa recitano, ma io ve lo metto lo stesso, il link. http://it.wikipedia.org/wiki/Tre_leggi_della_robotica

   
 
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