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Autore: Love_in_London_night    17/07/2014    2 recensioni
Devin, scozzese e Parker, americano.
Pensate che il problema sia nella lontananza? SBAGLIATO!
La vera difficoltà è la popolarità, già.
Perché Parker è un attore famoso, ma solo negli Stati Uniti, cosa su cui il suo agente sta lavorando. Devin, invece, è una ragazza qualunque che è fuggita dalla Scozia per chiudere con il passato, e della notorietà di lui non sa nulla.
Cosa succederà tra loro? Perché si ritroveranno ad avere a che fare l’uno con l’altra?
Un modo diverso di vedere il mondo di Hollywood e di come vive chi lo popola. Un patto che porterà più caos che altro nelle vite dei due interessati.
"«Sentimi, buon samaritano, spero tu abbia ragione, perché se scopro che questa città fa più schifo di quanto tu mi abbia detto, ti assicuro che non mi importa per quanto dovrò cercarti, ti troverò e ti prenderò a calci nel culo, anche se sei più alto di me di venti centimetri».
Era una ragazza scozzese dopotutto, il suo bon ton era tutto birra, modi rudi e uomini con il gonnellino, non si poteva pretendere che parlasse come una principessa dispersa in una foresta di fate e unicorni.
Lei non viveva a Narnia."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 3


Amici, amanti e...

 

Devin sapeva di aver accettato un patto alquanto strano, ma mai si sarebbe aspettata di vedere la sua vita stravolta in quel modo. Di giorno era una semplice cameriera, additata certo come la presunta ragazza dell’attore più in vista del momento, ma di sera tutto cambiava: usciva con Parker e, molto spesso, con i suoi amici.
Era come passare dall’essere Cenerentola… a diventare Vivienne di Pretty Woman. Non proprio una prostituta, ma una ragazza qualsiasi a cui era stato concesso un fantastico upgrade nella propria vita.
Per lei era davvero strano uscire ed essere fotografata di nascosto, senza permesso. E gli scatti aumentavano se si avvicinava a Parker. Ma come poteva non cercarlo, quando era l’unica persona che conosceva in quel gruppo?
Nonostante tutto, quelle uscite si rivelavano sempre tremendamente normali, così semplici da farle apprezzare ogni volta di più quei momenti.
Certo, ormai aveva imparato a conoscere i suoi amici, e lui aveva avuto ragione, le erano piaciuti parecchio. Tutti sapevano perché si trovava lì, ma la trattavano come una ragazza qualunque, un’amica nuova che si era aggiunta al loro gruppo di sempre perché lo voleva, e perché loro la volevano.
Ridevano, si divertivano e scherzavano eppure – per quanto adorasse Travis, Dane e Shayla su tutti – Parker era il suo punto di riferimento.
Era lui a sapere un sacco di cose su di lei, lui a cercarla con lo sguardo e ancora lui a rassicurarla con un solo gesto. Parker aveva imparato a comprendere i segni del suo nervosismo e anche come metter loro  fine, era bravo a tranquillizzare le persone, o forse soltanto lei. Sapeva come prenderla, e Devin gliene era immensamente grata.
Nonostante fosse un attore di Hollywood ai suoi occhi era solo un ragazzo come tanti. Vederlo nei suoi atteggiamenti più normali, in gesti comuni a tutti, l’aveva aiutata a ridimensionare la sua fama, almeno in privato. Perché in casa, davanti alla playstation e a bordo dei gonfiabili per la piscina lui era solo Parker, era fuori che diventata Parker Payne, l’attore che stava catalizzando l’attenzione dei giornalisti come il suo agente si era sempre auspicato.
Ed era proprio in quei momenti che Devin si trovava in difficoltà.
Anche perché, per la miseria, si ritrovava a condividere il tempo divisa tra gli amici di sempre dell’attore e persone che – per lei – erano sempre state immagini nel web e nulla più.
“Usciamo a cena” le diceva, peccato che fosse organizzata da Ashton – sono figo anche se sto per diventare padre – Kutcher.
“Andiamo a una festa di beneficienza” e si era ritrovata seduta tra Jennifer Aniston e Bradley Cooper.
Persone molto carine e simpatiche, ma che solo con la loro presenza l’avevano fatta sentire più cessa di Ugly Betty in quattro stagioni. Avevano un’aura particolare, le star, che le sembrava di sfigurare anche solo nel respirare. Jennifer era senza trucco e senza reggiseno, eppure con la canotta bianca, i jeans e le semplici infradito nere sembrava più giovane e fresca di lei. Come si poteva competere con donne che non erano nate, ma uscite da una stampante e procreate da Photoshop?
Devin, con il vento che soffiava sempre su Los Angeles la sera, sembrava che si fosse fatta una mezza maratona per arrivare alla spiaggia, non sembrava semplice in confronto a lei e alle altre, solo sciatta e sbattuta.
Parker si era avvicinato per dirle che era bellissima, di non sentirsi a disagio e fuori luogo, dato che tutti le parlavano con una certa naturalezza e aveva ricevuto un sacco di complimenti, ma era facile per lui dirlo, dato che faceva parte del team “respiro e faccio venire mezzo mondo nelle mutande” come tutti gli altri là attorno, mentre lei giocava nella squadra avversaria, quella dei comuni mortali. Le sembrava che in quei contesti le troppe lentiggini sul viso fossero dei semafori o dei neon che segnalavano ai presenti quanto fosse… diversa da loro.
Aveva sbuffato fissando il seno di Miranda Kerr, lei nemmeno con dieci push up di Victoria’s Secret sarebbe riuscita ad averle così sode e alte. E Miranda era più vecchia di lei.
«Stasera andiamo al concerto di Katy». Gliel’aveva annunciato dopo averla fatta salire in auto, perché Parker aveva imparato che se gliel’avesse detto prima Devin avrebbe trovato un modo per evitare di unirsi a loro, e non l’avrebbe mai voluto.
«Katy Perry?» oddio la adorava. Se non fosse stata lei ci sarebbe rimasta malissimo.
«Certo» sorrise lui contento nel sentirla sorpresa e rilassata. «Proprio lei, so che ti piace».
Piacere? La adorava. Come adorava i Muse, Rihanna, i OneReplic, gli Imagin Dragons, i Thirty Seconds To Mars, i Linkin Park, i Red Hot Chili Pepper e gli Oasis, nonostante si fossero sciolti tempo addietro.
E lui stava realizzando uno dei suoi sogni più grandi.
Fu solo quando arrivarono all’Hollywood Bowl che si rese conto che, in realtà, nemmeno lei era riuscita a fantasticare così in grande.
Per lei “andare a un concerto” voleva dire fare la coda per il parterre ed essere disposti a uccidere pur di avere un posto anche solo lontanamente decente e, nel caso in cui avesse avuto qualche soldo in più e la minima voglia di comportarsi come Gerard Butler in 300, si sarebbe presa il biglietto numerato con tanto di seduta.
Con Parker si era ritrovata nella zona VIP del palazzetto, dove poteva contare gli strass del vestito che Katy indossava. Senza contare il fatto che aveva potuto dirle di persona quanto fosse stata sensazionale, dato che erano finiti nel backstage. La cantante l’aveva abbracciata e Devin aveva chiesto a Parker di scattare loro una foto.
«Ehi, perché non venite a casa mia? Ho organizzato una festicciola dopo il concerto, niente di impegnativo, sia chiaro». Katy l’aveva davvero appena invitata a casa sua per bere qualcosa? La sola compagnia di Parker era davvero in grado di permetterle tutto quello?
Devin non riusciva a concepirlo.
«Certo, sempre che a Devin vada» rispose Parker sorridendole e aspettando una sua risposta.
«Volentierissimo, grazie!» disse lei con il cuore in gola mentre sentiva salire il disagio.
Fu solo fuori che, mentre Travis baciava Shayla e Dan parlava con Luke e Tamra, l’assistente di Katy, che Devin entrò nel panico. Era stata catapultata in una vita che non le apparteneva e, una volta passato l’entusiasmo datole dal concerto, si era lasciata prendere dall’ansia.
Si era avvicinata a Parker per la prima volta volontariamente, con la voglia di sentire la sua presenza che riusciva a rassicurarla. Lui stava parlando con qualcuno dell’entourage di Katy Perry, ma non interruppe il dialogo quando la sentì vicino a sé.
Devin si fece piccola nel tentativo di nascondersi dietro il suo braccio, abbastanza grande da darle la sensazione di eclissarla, soprattutto dopo aver avvistato i paparazzi in lontananza, nonostante fossero nella zona consentita solo allo staff e loro oltre la recinzione. Già si sentiva uno schifo, ci si mettevano pure loro a peggiorare il suo senso di inadeguatezza?
Fu Parker a coglierla di sorpresa.
«Ehi» la salutò abbassando lo sguardo in tempo per vedere un suo sorriso tirato e nervoso. «Tutto bene?»
Devin lo guardò come un cucciolo smarrito, sperando di assomigliare almeno in parte a qualche esserino carino e non sembrare più a Mickey Rourke dopo i vari interventi di chirurgia plastica, anche se aveva una parte di labbro arricciato insieme al naso per denotare il proprio disappunto.
Parker alzò il braccio incriminato per posarlo poi dietro la schiena di lei, nel tentativo di accarezzarle la colonna vertebrale e calmarla.
Lei, senza accorgersene, circondò la vita di lui con le braccia, sentendosi per la prima volta a casa da quando si trovava a Los Angeles. Aveva percepito la protezione che Parker le aveva promesso quando aveva cercato di convincerla a prendere parte a quella sceneggiata.
«È tutto ok, tranquilla». Gliel’aveva sussurrato mentre la stringeva di più a sé, poi appoggiò la testa su quella di lei, nel tentativo di infonderle più quiete possibile.
Devin capì che quello che Parker le aveva ripetuto tempo poteva essere reale anzi, era diventato vero. Tra loro si era instaurata una bella sintonia, cercarsi era diventato normale e lei ritrovava nel ragazzo una compagnia voluta e quanto mai gradita. Per quanto si frequentassero da poco era diventato un bisogno immediato, parte della sua quotidianità.
Aprì gli occhi e in lontananza vide i flash impazziti, ma non gliene importava nulla, tutto era diventato distante tranne Parker, e quella era l’unica cosa importante in quel momento. Il suo sorriso che la tranquillizzava, il calore del corpo che la cullava e la sensazione di benessere che provava con solo lui accanto.
Dopo tempo Oliver in quel momento non faceva male e, soprattutto, non rientrava nei suoi ricordi, Los Angeles non le sembrava così sconosciuta e lei non soltanto si sentiva compresa, ma era conscia di non essere più sola.
Quella sera avrebbe potuto partecipare a mille feste con ancor più persone famose che non le sarebbe importato nulla di quanto potessero apparire perfette, perché per lei lo era quel momento.
Che Katy portasse tutti gli ospiti che desiderava, lei aveva la certezza di avere un appoggio che mai l’avrebbe lasciata sola, ed era la sensazione migliore che potesse mai provare.
 
«Ciao» esordì Parker contento di vederla.
Da quando Devin aveva accettato la situazione in cui si era cacciata insieme a lui aveva iniziato a distendersi e a mostrargli il lato di sé più leggero, quello che la caratterizzava.
Concedeva molti più sorrisi e si lasciava andare con lui e i suoi amici. Era bello poter vedere quanto riuscisse a scherzare con Travis, Dane e gli altri, e vedere che, al posto di prendersela quando giocavano alla Play come aveva fatto una modella con cui era uscito quasi un anno prima, si era unita a loro stracciandoli.
Si stava rivelando più interessante di quanto Parker si fosse immaginato all’inizio, e ne era soltanto contento. Gli piaceva passare il tempo con lei, anche se le serate sembravano sempre troppo corte e gli amici iniziavano a essere di troppo per i suoi gusti.
«Ciao!» Devin sorrise rilassata, la sensazione che in lei era nata dopo il concerto di Katy Perry non se ne era più andata. Era meno scorbutica con tutti, regalava sorrisi e le occhiaie se ne erano andate. Il pensiero di Oliver era meno frequente e non faceva male, ormai si arrabbiava solo con se stessa per aver perso tempo.
L’effetto Parker era fantastico e anche lei poteva vederne i benefici, inutile negare che quel ragazzo fosse stato per lei la migliore delle riabilitazioni esistenti sulla faccia del pianeta. Ma come avrebbe potuto resistere alle fossette che incorniciavano un sorriso che abbagliava, al suo buonumore e alla tranquillità che riusciva a infonderle?
«Sposta pure il sacchetto sul sedile posteriore» disse lui indicando un po’ di buste che erano accatastate ai piedi del posto del passeggero.
Devin alzò gli occhi al cielo, anche se in realtà era divertita.
«Scusa, la mia auto è un cesso». Cercò di giustificarsi lui con il sorrisino affascinante che sfoderava nelle interviste per distrarre le povere malcapitate che cercavano di scoprire i fatti suoi.
«Ehi!» lo prese in giro lei. «Sei andato a Yale?»
«Certo» rispose Parker con fare ovvio, tanto che Devin si girò a guardarlo con tanto d’occhi. Non gliel’aveva mai detto. «Ci sono andato una volta, ho assistito alla laurea di mia cugina Lorain!»
Lei ridacchiò mentre cercava di assestargli un pugno sul braccio, ma lui bloccò ogni suo tentativo di attacco nonostante fosse alla guida.
«Cosa facciamo stasera? Andiamo da te?» Devin cercò di chiederlo in modo distaccato, ma la verità era che passare del tempo in casa sua, con lui, non le sarebbe dispiaciuto poi molto. Da qualche giorno si portava sempre in borsa il costume da bagno. Aveva notato che da quando avevano usato la piscina, un pomeriggio, si erano avvicinati parecchio. Si era sempre chiesta se il buio della sera e le luci nell’acqua avrebbero portato… ad altro.
Non che lo volesse eh, ci teneva a precisarlo, ma se fosse successo qualcosa non le avrebbe fatto schifo.
Lo trovava strano, ma da un po’ di tempo le piaceva quando Parker le era vicino o la toccava, magari per sbaglio. Il contatto era diventato qualcosa di gradito, pure troppo.
«Avevo pensato di mangiare spagnolo, ti va?»
«Certo!» non proprio quello che si era aspettata, ma a del tempo in sua compagnia non avrebbe rinunciato. «Ho voglia di paella. I ragazzi?»
Parker sorrise contento, quando non aveva a che fare con la psicopatica dei loro primi incontri – o del periodo del ciclo – si divertiva parecchio con lei.
Non era espansiva, ma di certo era ben lontana dall’essere la persona che si piangeva addosso come la sera in cui l’aveva conosciuta. Era come aver incontrato Bridget Jones e avere a che fare in realtà con Lara Croft.
«Travis è con Shayla, Dane e gli altri non lo so, non li ho sentiti. Vuoi che lo faccia?»
Ci era rimasto male per la domanda di lei, sperava di poter passare un po’ di tempo con Devin, qualcosa di veramente sereno e intimo rispetto alla baraonda che la propria compagnia di amici riusciva a portare con sé. Non che fossero dei vandali, ma quando ci si mettevano riuscivano a essere peggio di Alan in Una notte da leoni.
«No. Sono stanca, preferisco fare qualcosa di tranquillo»
Espirò più calmo e soddisfatto, continuando a guidare verso il ristorante. Era come se avesse avuto la conferma che anche per lei la sua presenza fosse diventata normale, e la cosa gli piaceva un sacco; non c’era più il fine di farsi vedere con Devin dai paparazzi, ma la cercava perché  era bello stare con lei, ed era diventata parte della sua quotidianità. Forse non l’aveva mai fatto per dare ai fotografi ciò che volevano preservando in qualche modo la riservatezza di lei, quanto più per poter stare con lei e darsi una possibilità.
Entrarono nel ristorante e mangiarono la paella di cui avevano parlato nel tragitto. Devin si era concessa delle domande sul passato di Parker per conoscerlo meglio, e lui non le negò nemmeno alcuni episodi imbarazzanti tanto era felice di vederla così partecipe.
Dopo la crema catalana decisero di abbandonare il tavolo così appartato che avevano loro concesso e uscirono dal locale per andare a casa.
«Abbassa la testa se ti danno fastidio» le aveva detto prima di uscire nella notte fresca di Los Angeles. Devin annuì alla vista dei paparazzi che li stavano aspettando, e indossò la felpa che aveva in borsa per calare il cappuccio sulla testa. Nonostante non fosse la prima volta in cui li cercavano per braccarli, lei non riusciva certo a farci l’abitudine. Odiava l’insistenza con cui li seguivano e li stressavano, ma erano parte del mondo di Parker, un universo di cui aveva deciso di far parte nel momento in cui aveva accettato la sua strana richiesta.
I paparazzi non stavano diventando sopportabili, ma era uno dei pochi contro che facevano parte di quel ragazzo con i piedi così per terra che stava conoscendo, una brutta parte – seppur piccola – che non le aveva mai rovinato la serata.
Corsero all’auto e vi si chiusero all’interno. Una volta lontano, con la sicurezza di non essere inseguiti, dato che quello che avevano immortalato gli era bastato, Parker e Devin tornarono a respirare con regolarità e si rilassarono sui sedili del SUV nero, tanto che lei si tolse la felpa e la rimise nella borsa.
«Ok, dopo questo bagno di popolarità non desiderato mi è venuta ancora più voglia di fare qualcosa di terribilmente normale, ne avrei davvero bisogno» esclamò lui nel tentativo di spezzare il silenzio carico di tensione che si era creato.
«Più di una cena in un ristorante qualsiasi?» Devin lo fissava con un sopracciglio alzato, non era sicura che esistesse qualcosa di più tranquillo e meno interessante di un normalissimo pasto. Avevano fatto ciò che facevano due persone qualsiasi che non avevano stipendi stratosferici e vite da sogno.
«Sei sincero?» si divertiva a punzecchiarlo ogni volta che poteva, dato che le aveva promesso di essere sempre onesto nel momento in cui la stava invitando a unirsi in una grande bugia.
Lui evitò di cogliere la provocazione e passò direttamente alla risposta: «Già, un qualcosa di insulso… Un qualcosa che non mi ricordo di fare da tempo».
Devin nel pensarci spostò bottiglietta d’acqua vuota sul sedile posteriore, quell’auto era davvero una pattumiera come lui le aveva fatto notare qualche ora prima. Ma in America non erano tutti a favore dell’economia domestica e dell’ecologia? Non facevano dei corsi apposta? Avranno pur parlato di inquinamento!
Di sicuro Parker in quelle lezioni sarà stato impegnato a fantasticare sul proprio futuro da modello o attore, doveva pur immaginare di poter sfruttare la propria bellezza.
«Avanti… Sorprendimi». La prese in giro mentre era assorta nel suo silenzio.
Lo guardò con tanto d’occhi, conscia che stava imparando a conoscerla troppo bene.
Decise di continuare a voltarsi verso il sedile posteriore per evitare il suo sguardo, e vedere lo sporco accumulato dietro e la bottiglietta a mezz’aria le diede l’idea. «Ce l’ho io la soluzione per te, Mr non alzo un dito perché sono servito e riverito». Lo provocò con aria soddisfatta. «Prosegui per Venice Boulevard».
Voleva fare la persona normale? L’avrebbe accontentato.
«Cosa vuoi fare? Approfittarti di me in spiaggia al chiaro di luna?» la sfidò con un solo angolo della bocca alzato, non voleva lasciarle il vantaggio che lei pensava di avere, non lo trovava giusto.
Devin divenne rossa, cosa che avrebbe accentuato le sue già marcate lentiggini. Si girò così verso il finestrino per ammirare le luci che si confondevano con la notte grazie alla velocità dell’auto. La sua mente, più veloce di lei, era già corsa all’immagine vietata ai minori di diciotto anni che le parole di Parker avevano dipinto.
«Ti piacerebbe, eh?» si difese ostentando sicurezza. «Peccato che quel tipo di trattamento io lo riservi solo ai più meritevoli, e sono moooolto pochi».
Per mostrare quanto il suo intero discorso fosse ironico gli fece una linguaccia.
Parker rise, ma non gli sarebbe dispiaciuto di certo.
Se poi si parlava del rumore del mare, le stelle, la sabbia e loro due non avrebbe rifiutato. Era da un po’ che non si concedeva dell’azione, e nell’ultimo periodo la protagonista delle sue fantasie sessuali era diventata Devin.
Si sentiva come Jim, il protagonista sfigato di American Pie.
«Eccolo!» urlò lei indicando un punto sulla destra e risvegliandolo così dalle sue fantasticherie a luci rosse. «È lì, entra!»
Mise la freccia e si ritrovò in uno spiazzo ampio con tre posti auto molto grandi.
Era un autolavaggio.
«Qui?!» chiese scettico, convinto di aver sbagliato a girare.
«Sì» rispose sicura Devin.
«E perché?» e dire che di solito pensava di essere abbastanza sveglio, non proprio Sherlock Holmes, ma nemmeno tardo come Forrest Gump.
«Non hai detto tu che la tua macchina è un cesso e che vorresti fare qualcosa di normale?» replicò lei sempre più soddisfatta, un sorriso che si allargava a ogni parola. «Ecco la tua occasione: lavati l’auto».
«Ora?» era preoccupato, sembrava facesse sul serio.
«No, vuoi forse farlo domani alle tre? Quando c’è l’ora di punta e tutti possono girare dei video mentre lo fai?!» fece ovvia. «Se no se non ti va possiamo chiudere qui la serata e andare a casa». Finse uno sbadiglio per sottolineare la cosa.
Poi appoggiò i gomiti sul cofano e passò un dito sulla carrozzeria, dato che erano scesi per giovare dell’aria fresca della notte.
Parker alzò un sopracciglio, quella posa lo allettava parecchio. Senza contare che lì attorno di strumenti per attuare la propria vendetta ce n’erano a bizzeffe.
«Ok, hai vinto tu. Puliamo quest’auto prima che arrivi l’alba». Accettò l’offerta pur di non doverla riportare a casa prima del tempo, e vide il sorriso compiaciuto di lei farsi strada sul viso.
Aprirono entrambe le portiere posteriori e ripulirono il sedile da tutte le bottigliette e le cartacce che era riuscito a collezionare in settimane. Poi, con la macchina alleggerita di qualche chilo, si dedicarono alla pulizia esterna.
«Hai delle monete? Io ho cinque dollari, spero siano abbastanza». Lo ammonì lei con quel tono di scherno che tanto gli piaceva. Era il modo di Devin di dimostrargli di essere entrata in confidenza e lui non aveva intenzione di farla allontanare o contraddirla in alcun modo.
Solo vendicarsi.
Parker prese i gettoni che gli  aveva porto Devin e ne inserì uno nella fessura per poi scegliere la pistola che spruzzava sapone. Solo che, ops!, aveva dimenticato di dirle che – forse – non aveva una mira infallibile e al posto di insaponare la carrozzeria a un certo punto si era ritrovato con il getto puntato su Devin.
«Viscido traditore!» urlò. «Non si attacca il nemico alle spalle!»
«E chi l’ha detto?» domandò sarcastico mentre continuava a bagnarla.
La vide cercare altri soldi per prendere dei gettoni da infilare nello spazio accanto.
«Vuoi la guerra? Bene, l’avrai». Selezionò il sapone e passò al contrattacco con l’altra pistola. Fortuna il lavaggio era lontano dalle abitazioni o li avrebbero denunciati per gli schiamazzi.
Si nascosero ai lati dell’auto e, con i vari spruzzi, la insaponarono per bene.
Devin era sconvolta. Non solo Parker si stava lavando l’auto da solo, ma aveva iniziato una guerra con quelle specie di pistole che spruzzavano acqua o sapone, dipendeva da cosa uno selezionava prima di usarle.
Proprio lui, l’attore che appariva sempre perfetto senza nemmeno prepararsi, lui con le pose da modello, la stessa persona che veniva fotografato e che conosceva altre persone ancora più famose di lui.
Al diavolo! Era sconvolta perché Parker era tutto quello, ma lui era molto altro. Era la persona normale che frequentava gli amici di sempre, il ragazzo che l’aveva aiutata e accolta nella sua vita, e lo stesso buon samaritano che preferiva passare del tempo da solo con lei piuttosto che alle feste piene di VIP. Era un giovane uomo che nel cuore della notte non soltanto non si rifiutava di pulire l’auto con le sue stesse mani, ma aveva deciso di rendere la cosa divertente coinvolgendo entrambi il quel gioco assurdo.
Solo in quel momento Devin si rese conto di non conoscere affatto Parker Payne, l’attore con cui veniva paparazzata in giro molte sere, ma di aver imparato a conoscere Parker, il ragazzo che aveva cambiato stato anni prima ma che era rimasto sempre lo stesso nonostante la notorietà, lo stile di vita e tanti altri benefici che aveva e non sfruttava appieno.
E a lei era quella la cosa che più piaceva, la normalità di cui era entrata a far parte.
Certo, era un bel ragazzo, ma non si limitava solo a quello, era molto di più e lei aveva avuto la fortuna di poterlo scoprire.
Si ritrovò con il cuore in gola: era partito tutto da uno scherzo per diventare qualcosa di più. Poteva davvero piacerle un ragazzo che in realtà era una star proiettata verso il firmamento mondiale?
Parker approfittò della distrazione di Devin per bagnarla ancora.
Sì, poteva. Sì, stava già succedendo.
Si riscosse dai propri pensieri. «Ehi! Che fai?»
«Cosa ne dici» le rispose lui fradicio e contento come mai l’aveva visto. «Se passiamo all’acqua così risciacquiamo l’auto e noi stessi?»
Quell’inaspettato car wash gli aveva regalato molte prospettive interessanti, tra cui la maglietta di lei quasi trasparente, i suoi occhi contenti per la prima volta e una felicità che non ricordava di provare da tempo.
Devin si avvicinò con un sorriso luminoso. «Sarà meglio, non ci tengo a sedermi sul sedile e scivolare poi sui tappetini appena aspirati per sporcarli di nuovo».
Gli puntò lo spruzzino al petto e liberò il getto d’acqua con una certa pressione.
«Ahi! Non è giusto!» obiettò lui colpito in un suo momento di disattenzione.
«No» rispose Devin allontanandosi ancora un po’ per ripararsi e bagnarlo meglio. «Tu sei ingiusto».
E si rincorsero finché l’auto non fu lavata e splendente come nuova mentre loro si asciugarono con il telo che Parker aveva usato in spiaggia quella mattina.
Si strinsero entrambi in un abbraccio per asciugarsi e scaldarsi nel silenzio che loro stessi avevano lasciato, un momento che nessuno dei due avrebbe mai scordato, soprattutto per la scossa che avevano percepito e per la morsa allo stomaco che aveva preso entrambi di soppiatto.
D’altronde agli occhi di lei era solo un ragazzo con una vita nel cielo stellato di Hollywood, nulla più.
 
«Cosa? No! Io lì dentro non ci metto piede».
Era… allibita. All’entrata c’erano dei bodyguard che controllavano i nominativi delle persone che si presentavano alla festa e i loro inviti, la villa era addobbata come un immenso parco giochi, le gigantografie – photoshoppate, perché il naso era ben più imponente – della festeggiata appese lungo le pareti e niente era lasciato al caso.
«Ma te l’avevo detto che era la festa di compleanno di una mia amica». Parker le mise un braccio intorno alle spalle nel tentativo di calmarla, nemmeno fosse stato Dylan di Beverly Hills 90210, ma lei si allontanò, stizzita per quel suo comportamento, alla fine lui aveva capito anche il modo di trascinarla a quelle feste Hollywodiane, ovvero tacere ogni dettaglio che avrebbe riportato a una celebrità.
«No! Tu avevi detto Stefani, mi hai mentito»
«Non ti ho detto bugie. Non si chiama forse così Lady Gaga?»
Cazzarola, lui aveva maledettamente ragione, ma Devin non poteva dargliela vinta, dato che stava comunque camminando verso l’imponente villa in stile Losangelino.
«Già, ma per noi comuni mortali rimane comunque Lady Gaga!»
Stephanie, puah. Cos’è? Erano così in intimità? Cosa era successo tra i due?
No ok, forse non voleva saperlo, anche se pensare che tra quei due fosse avvenuto qualcosa la rincuorava un po’. Dopo aver visto la modella – sì, aveva fatto le proprie ricerche in internet – con cui era uscito tempo addietro, sapere che anche Lady faccio paura sia con il trucco che senza Gaga aveva avuto una possibilità con lui la faceva ben sperare.
Forse agli occhi del mondo poteva giustificare la propria presenza al fianco di lui per la prima volta senza sembrare una totale idiota.
«Parker Payne più Devin». Parker mostrò l’invito ai ragazzi dello staff mentre con la mano libera intrecciò le dita a quelle di lei. Se era quello che i paparazzi volevano gliel’avrebbe dato, anche perché era ciò che desiderava di più poter camminare così con lei, come se fosse normale.
Gli uomini al cancello lo aprirono e li fecero entrare, e loro si inoltrarono sul viale che divideva l’immenso giardino verde.
«Cosa? Dei gonfiabili?» Devin era sbalordita. Accanto alla casa, prima di girare l’angolo e trovare l’immensa piscina da cui provenivano urla e musica, c’era un castello gonfiabile completamente senza vita con tanto di drago appollaiato sulla torre da dove partiva lo scivolo, come se le persone fossero passate già di lì e si fossero poi dedicate ad altro.
Agli alcolici e alla piscina, supponeva, dato che erano le cinque di pomeriggio.
«È un party a tema». Si giustificò Parker siccome sapeva che – in effetti – nel suo ambiente le stranezze fossero all’ordine del giorno.
Doveva ammettere che non aveva molta voglia di prendere parte a quella festa, ecco perché era arrivato così tardi: sperava di aver perso il momento dei convenevoli per entrare subito nel suo vivo, quando gli altri erano troppo indaffarati per subissarlo di chiacchiere inutili, in quel modo sarebbe rimasto poco e se ne sarebbe andato alla svelta con Devin, facendo però molto felice John che quasi piangeva di gioia a saperlo a simili eventi.
«E quale sarebbe questo tema?»
«L’infanzia». Rispose con un sorriso. Un gonfiabile per la piscina sbucò dall’angolo ma qualcuno corse prontamente a riprenderlo. Oddio, non era Jared Leto quello? E l’uomo che lo rincorreva sembrava proprio Leonardo. Di Caprio, s’intendeva.
Ben oltre la piscina Devin adocchiò Robert Pattinson con una ciambella a forma di papera sulla testa mentre era al telefono con qualcuno.
«Sì, ci sono sia i Leto, che Robert Pattinson, che Jennifer Lawrence e Leo». La informò con un sorrisino compiaciuto.
La ragazza lo guardò con tanto d’occhi, forse averla trascinata lì non era stata una cosa così brutta come aveva pensato. I Leto, li avrebbe conosciuti senza concerto. L’avrebbe mai portata a un loro live? O a una premiere di Rob? O meglio ancora: a quella del capitolo finale di Hunger Games.
«Voi a Hollywood siete tutti completamente fuori di testa». Fu l’unica cosa in grado di dire, perché niente di quello che aveva visto le sembrava normale, inoltre le piaceva non dargliela mai vinta, era il loro gioco preferito quello: lui la sorprendeva mostrandole la verità del mondo di Hollywood, lei fingeva di non esserne colpita, cercando di mostrare quanto più self-control avesse in corpo in realtà.
«È per quello che non frequento molto l’ambiente». Ed era vero. Erano sì simpatiche quelle persone, ma non tutte e, soprattutto, a piccole dosi. Parker aveva degli amici nell’ambiente, ma si potevano contare sulle dita di una mano, non quella monca di Peter Minus; le altre a volte erano troppo anche per lui, tra atteggiamenti altezzosi e vizi che non riusciva a concepire non apprezzava più di tanto quella vita in cui tutto era concesso e niente sembrava avere valore.
«Sì certo, come se tu non fossi il più pazzo di tutti». Lo prese in giro Devin tentando di tirarlo verso la piscina.
Non che fosse così ansiosa di mostrarsi in costume vicino a quella dea di Jennifer Lawrence, ma essere in casa altrui senza essersi annunciata alla festeggiata le metteva un certo disagio, specialmente se la persona in questione era una eccentrica cantante di fama mondiale.
«Ah, è così? Allora il pazzo in questione ora ti porta nel castello gonfiabile con tanto di drago. Immagino che tutti l’abbiano già sfruttato a dovere e saranno ormai in piscina mezzi ubriachi» disse esercitando forza sulla mano che ancora aveva intrecciato a quella di lei per tirarla a sé. «Meglio, così potrò dire di aver preso parte alla festa senza dover per forza partecipare. Sei sempre un ottimo diversivo»
«Un’ottima soluzione, direi» rispose ridendo Devin mentre poggiava una mano sul suo petto per non cadergli addosso come la peggiore delle fan. «E comunque lì dentro non mi ci trascini».
Nel dirlo aveva puntato i piedi a terra
«Scommettiamo?» Parker alzò un sopracciglio, convinto di avere la vittoria in pugno.
«Dai, vediamo come mi schiodi di qua» replicò lei con il peso del proprio corpo proiettato sui talloni.
Quello che Devin non aveva calcolato era il fatto che lui non fosse proprio pompato come Brad Pitt in Troy, ma non era nemmeno scheletrico come quei ragazzini un po’ nerd che si aggiravano per i corridoi della scuola senza nemmeno un muscolo, per quanto con loro condividesse la passione per lo skateboard.
Era più come Jake Gyllenhaal in Prince of Persia. E Dio solo sapeva quante notti aveva fantasticato su di lui.
Il problema era che questa sua prestanza fisica non andava a suo favore, dato che l’aveva sollevata di peso per caricarsela a spalle.
«Mettimi giù!» urlò lei tentando con una mano di far aderire la gonna del vestito ai glutei per non mostrarli a nessuno nel caso fossero passati di lì, mentre con l’altra gli prendeva a pugni la schiena.
Inutile, sembrava fatto di gomma come Mr. Fantastic dei Fantastici quattro, quindi i suoi colpi non sortivano effetto alcuno. Appena avesse avuto un po’ di soldi da parte si sarebbe iscritta in palestra, lo giurò tra sé.
«Certo!» annuì Parker tra le risate. «Ma quando lo decido io».
E così fece. La depositò poco dopo, ma Devin non posò i piedi sul terreno, a meno che non si trovassero nella Fabbrica di Cioccolato e Lady Gaga fosse diventata Johnny Depp. Fu come camminare su una nuvola.
Lo guardò scettica, con un sopracciglio alzato e lo sguardo affilato, ma la verità era che tutto quello risultava divertente. Era stata catapultata al volo nella sua infanzia, si sentiva una bambina dell’asilo.
Fece fatica a trattenere un sorriso divertito mentre iniziava a camminare all’interno del castello, per poi voltarsi verso Parker: «Allora? Hai intenzione di lasciarmi qui sola?»
«Oh no» rispose prontamente lui. «Ho intenzione di divertirmi un po’ a modo mio».
Qualcosa in quella frase fece contorcere le budella a Devin in una dolce aspettativa. Erano ormai due mesi che si vedevano maniera assidua, eppure non era successo nulla. Da quanto aspettava un bacio o un semplice gesto da parte sua? Non avrebbe saputo dirlo.
Parker iniziò a inseguirla e finirono ben presto per aderire al tema. Erano due bambini che si rincorrevano per l’intero gonfiabile. Saltavano, scendevano dallo scivolo interno e fingevano combattimenti che nemmeno in Star Wars o Matrix erano tanto assurdi.
Fu nel momento in cui Parker era distratto che Devin gli sferrò un attacco degno di una tartaruga ninja, facendolo piombare a terra. Inutile dire che, senza grazia alcuna, cadde insieme a lui dato che Parker non aveva frenato la sua mossa e la forza con cui si era scagliata sul povero malcapitato li aveva stesi entrambi.
Rimbalzarono così per l’intero perimetro del castello, finché non si fermarono: Parker stramazzato sul pavimento morbido e Devin con la faccia spiattellata sulla pancia di lui, che assomigliava più a un’asse da stiro vista la consistenza.
Parker la prese e la fece scorrere lungo il proprio corpo fino a portare il suo viso al livello del proprio.
Devin non ricordava di essere mai stata così vicina a lui e la fece sentire a disagio, per quanto lo desiderasse.
«Scusa, non volevo ucciderti» si giustificò diventando rossa.
«Tranquilla» rise lui. «Ero distratto».
Anche se non poteva ammettere di essersi perso a fissarla a tal punto da non accorgersi che lei gli stava saltando addosso.
Senza aspettare la sollevò di peso e ribaltò le posizioni. Si mise su di lei per non farla scappare e, puntellato sui gomiti, con l’indice iniziò a delineare i contorni di quel rossore, come se cercasse di collegare tra loro ogni lentiggine a formare un disegno.
Devin stava andando in fiamme. Ogni parte di lei reclamava quel tocco, desiderava Parker da morire perché sì, le piaceva, e pure tanto.
«Io pe…» cercò di dire combattendo contro il cuore in gola.
«Sssshhhh». Parker si avvicinò ancora di più al suo viso mentre con il dito scendeva sulle labbra piene di lei. «Non sempre bisogna dire qualcosa».
Parker era nervoso ed eccitato. Era dalla prima volta in cui l’aveva vista che voleva baciarla, ma non ne aveva mai avuto il coraggio. Aveva sempre avuto la convinzione che Devin non l’avesse mai guardato con interesse, ma sapeva che qualcosa in quei loro momenti passati insieme era cambiato. Ogni giorno aveva percepito il cambiamento in entrambi, e aveva solo aspettato il momento giusto, sperando che arrivasse e che lui fosse tanto sveglio da riconoscerlo.
Gli occhi di lei erano liquidi e luminosi, ogni volta avvertiva un’apertura da parte di Devin nei suoi confronti che sperava significasse qualcosa. E in quel momento, il suo non scappare dalla situazione, voleva dire molto ai propri occhi.
«Non. Muoverti». Scandì le parole mentre con lentezza si avvicinava alla sua bocca nella speranza che lei non si ritraesse.
«No. Non lo farò» sussurrò Devin con la voce spezzata dall’attesa. Non si sarebbe mossa per nessuna ragione al mondo, aveva aspettato pure troppo il bacio di Parker per non cogliere l’occasione.
La certezza che venne dalle stesse labbra che si stava apprestando a baciare, oltre che a renderlo felice, lo galvanizzò. Abbandonò i modi delicati per prendersi con forza ciò che aveva sempre desiderato.
Cercò di non pesarle addosso, ma con le mani era ormai concentrato sul suo corpo. Una corse dietro la nuca per avvicinarle la bocca, mentre l’altra era scivolata lungo il fianco per spostare la gamba di lei attorno alla propria vita, ora che poteva averla per sé non sembrava mai abbastanza.
Accarezzò le labbra di Devin con le proprie prima di imprimere con urgenza il suo passaggio, sempre più avido di quel contatto che ormai era diventato realtà.
Lo stupì in modo piacevole sentire la risposta del corpo di lei. Si stava lasciando andare, adattandosi ai suoi respiri e ai suoi morsi mentre stringeva la presa e accarezzava la sua schiena lasciando una scia bollente sopra la maglietta.
Forse non c’era una scena da film a cui paragonare la cosa, non era perfetto come posto o come situazione, ma per loro non era un problema.
Erano in un castello e qualcosa con quel bacio era stato risvegliato; non erano un principe e una principessa, ma era meglio di una favola perché tutto era diventato reale.
«Ti prego, dimmi che le ragazze scozzesi baciano sempre così» Parker cercò di alleggerire la tensione e di riprendere un po’ di lucidità, non poteva permettersi di lasciarsi andare proprio in quel posto e alla festa di qualcuno di così in vista, sarebbe stato disdicevole.
«Sanno fare anche di meglio» espirò estasiata Devin.
«Perché hai aspettato così tanto?» gli lasciò un altro bacio a fior di labbra, troppo tentata da quella bocca che aveva desiderato da tempo e finalmente assaggiato.
«Perché avevo paura di finire in cima alla lista delle persone che avresti voluto prendere negli stinchi». Le sorrise timido mentre l’aiutava a rialzarsi, c’era una festa che li attendeva.
Devin gli accarezzò una guancia con una delicatezza che fece fare le fusa a Parker.
«Credimi, non sarebbe mai successo». Ammise mentre, una volta usciti dal gonfiabile, si dirigevano verso la piscina per fare gli auguri alla festeggiata con un braccio intorno alla vita dell’altro. «A dire il vero non hai mai fatto parte di quella lista»
«Non ne ero convinto dopo averti proposto di farmi compagnia in questa cosa senza senso» replicò l’attore dopo averle lasciato un bacio sul naso. Sapere che non c’erano paparazzi in giro faceva sentire entrambi più a loro agio con quei comportamenti così naturali, era come essere rinchiusi in una bolla costruita apposta per loro, anche se non era proprio così.
«Oh, non potrei mai avercela con un buon samaritano». Lo prese in giro.
«Ti svelo un segreto: è solo apparenza. In realtà sono un ragazzaccio». Per sottolineare il concetto assunse un’espressione misteriosa e dura che la fece ridere.
«Vuoi dirmi che saresti capace di replicare ancora quello che hai fatto lì dentro?» Devin con il pollice indicò il castello alle loro spalle.
«Ogni volta che vuoi» rispose con un solo angolo della bocca alzato, un sorriso compiaciuto e mozzafiato che le fece tremare le gambe e il cuore.
«Ci conto».


 


Ciao a tutte!
Come state? Spero bene!
Mmmmhhh, ho visto che il capitolo scorso non vi ha fatto impazzire, quindi spero proprio di recuperare con questo!
Cosa dite, ce l'ho fatta? Me lo auguro!
I gusti musicali, come quelli in fatto di manzi... cioè, di attori, sono i miei, lo so. Non è una cosa biografica, affatto, è solo pigrizia e comodità. Insomma, non mi sono dovuta scervellare, capite quanto mi ha facilitata nella scrittura? #teampigri, sempre.
Tamra è davvero l'assistente di Katy Perry. Io sto lavorando sull'ultimo capitolo, sono a metà dell'opera... Sono ottimista per settimana prossima, lo ammetto. Se dovessi farcela mi piacerebbe pubblicare il capitolo addirittura un giorno prima! Siete contente, eh? *vede passare un pomodoro marcio*
Sono sempre pronta per ascoltare i vostri pareri riguardo al capitolo, anche alle quasi zozzerie nel castello gonfiabile. Sì, mi sono trattenuta, lo ammetto. Io, dirty birdy, ho pensato di far fare loro di peggio, ma non so come avrebbe potuto reagire Gaga a tutto ciò.
Se volete mi trovate nel gruppo facebook: Love Doses.
A settimana prossima, sbaciucchiamenti, Cris.
   
 
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