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Autore: Monkey_D_Alyce    19/07/2014    4 recensioni
Si continuava a convincere di aver fatto la cosa giusta.
Non chiedeva il mondo.
Voleva solamente voltare pagina.
Eppure tutte le sfortune di questo pianeta capitavano solo a lei!
Era arrivata a Londra sotto un bell'acquazzone, ma non solo!
Ora doveva pure sorbirsi delle stupide deduzioni da parte di un detective eccentrico ed egoista di nome Sherlock Holmes!
Fantastico!
Veramente fantastico.
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Non-con, Triangolo
Capitoli:
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3° capitolo: Una vita movimentata
 

 
 
Una mano le colpì ferocemente il viso, svegliandola dal suo sonno forzato.
Scosse la testa per vari secondi, come a voler far finire quel senso di sbandamento che provava appena svegliata.
Sentì il viso freddo come il ghiaccio, mentre sentiva la guancia destra bruciarle terribilmente.
Era come se qualcuno le avesse gettato addosso un secchio d’acqua gelata.
Ma non era solamente quella sensazione a metterla a disagio.
Scoprì di avere nuovi abiti a coprirle il corpo: un lungo vestito rosa pesca di seta le abbracciava il seno e l’addome con estrema eleganza, lasciando “libere” le gambe fino in fondo.
Era un vestito con le maniche corte a sbuffo bianche di pizzo.
Se fosse stata in piedi, avrebbe toccato terra con l’orlo della sottana, ma stando seduta, le si potevano vedere anche un poco di caviglia.
Ai piedi calzava ballerine color rosa chiaro, con un vistoso fiore finto sulla punta.
I capelli, ora, non erano più lisci, ma mossi, a parte la frangia.
Si sentiva veramente come una di quelle bambole di porcellana che si vedono in vetrina.
 
“Finalmente ti sei svegliata! Come ti sei permessa di mentirmi sul fatto che Amelia fosse ancora viva?!?” la rimproverò con tono duro l’uomo che l’aveva colpita.
Non riusciva nemmeno a muovere liberamente le mani, Nami.
Le avevano legato i polsi dietro lo schienale della sedia.
“Sei un bastardo! Come hai potuto uccidere tutte quelle donne, eh?!? Cosa ti avevano fatto?!?” domandò inalberandosi, cercando di strappare quella corda che la teneva prigioniera per i polsi.
Lui si mise a ridere sonoramente, lasciando interdetta la ragazza,
Non riusciva a capire che cosa ci fosse di così divertente.
“Io non avevo niente contro di loro. Io, aiutavo solamente mio fratello nella sua opera!” le rispose prendendole il viso tra le sue mani calde.
“Come? T-tuo fratello?” chiese ancora, sbarrando gli occhi dallo stupore.
Quindi, non c’era solamente l’assassino, ma c’era anche un complice.
Le era sembrato troppo semplice e scontato, trovare l’assassino in quel fidanzato.
Solo lì, in quel momento, capì tutto...
 
Sherlock era tornato sulla scena del crimine, da solo, ed ora, stava esponendo tutto ciò che ebbe scoperto durante le sue ultime ricerche per completare il caso.
Era fatta! Nami aveva perso contro di lui, ovvio.
Nessuno poteva batterlo, naturalmente.
“Aspetta un attimo, Sherlock!”- lo interruppe Lestrade avvicinandosi a lui- “Stai dicendo che questo assassino lavora in coppia?”
“Sì, George. Ho detto così!” si stizzì il detective fulminandolo con lo sguardo.
“Greg!” lo corresse Lestrade non badando alla sua occhiataccia.
“Irrilevante. Come dicevo: il complice, le attira, cercando di diventare il fidanzato o il migliore amico delle vittime e, poi, al momento giusto, le porta al vero assassino e il gioco è fatto! E so anche il motivo per cui l’assassino prende proprio le rosse” -continuò Sherlock lasciando tutti col fiato sospeso- “Lo fa per un motivo religioso, o meglio, pagano…”
 
“Sai, mio fratello odia le streghe. E’ per questo che uccide le donne con i capelli rossi naturali. Da piccolo gli hanno insegnato di stare lontano da quelle donne e lui, di conseguenza, ha assimilato e fatto da sé una specie di rito di…purificazione…uccidere tredici donne con i capelli rossi naturali, in modo da scongiurare l’ordine delle streghe…” le spiegò l’uomo, lasciandola visibilmente scioccata.
Tutto quello che aveva sentito era un’assurdità.
Era tutto collegato alle streghe… come poteva essere vero?
Era…era…assurdo e irreale.
 
“Potevi anche evitarle di spiattellarle ogni cosa” disse una voce famigliare, richiamando la sua attenzione.
Era l’uomo che aveva incontrato quella mattina alla fermata del bus.
“Tanto sta per morire, no? Che differenza fa?” gli domandò in risposta, non suscitandogli alcuna reazione, preso com’era dalla figura di Nami.
“Perché le bambole?” domandò a quel punto con tono ansioso.
Doveva cercare di vivere ancora un po’.
Forse, qualcuno sarebbe arrivato a salvarla.
Ma era solo un’ipotesi…
Solo un’ipotesi.
“Oh, quello gliel’ho suggerito io. Sai, il senso dell’estetica conta, al giorno d’oggi” esclamò l’uomo che l’aveva paralizzata e colpita alla testa poche ore prima.
Nami cercò di restare calma, pensando ad un modo per fuggire da morte certa: aveva a che fare con un fanatico che odiava le streghe ed un uomo che pensa al senso dell’estetica in un omicidio.
Erano semplicemente dei pazzi, ma potevano essere anche molto pericolosi.
“Perché sono io, l’ultima che dovresti uccidere?” domandò guardando il volto coperto del vero assassino.
La metteva ancora un poco in soggezione, ma in confronto alla sua rabbia e frustrazione, era niente.
“Per sbaglio, tu, mi hai toccato, stamattina. E questa è una cosa che non sopporto! Ti rendi conto? Essere toccato da una strega!” esclamò inorridito, prendendo un filo di nylon trasparente, per poi avvicinarsi lentamente al collo della ragazza.
Nami cercò di dimenarsi, ma era tutto inutile: il fratello le fermò la testa e lui ebbe modo di avvolgergli la sua arma, cominciando a stringere.
Si sentì soffocare e annaspò per cercare aria, inoltre, la gola le faceva terribilmente male.
Sputò fuori alcune parole con estrema difficoltà, ma tentò varie volte di alzare il volume della sua voce, finché non urlò:
“Sherlock!”
 
Il detective guardò fuori dal finestrino del taxi, mentre davanti al mezzo sfrecciavano veloci le auto di Scotland Yard con le sirene spiegate.
John continuava a tamburellare nervosamente le dita sul suo ginocchio, continuando a sospirare dall’agitazione:
“Calmati. Andrà tutto bene” cercò di calmarlo Sherlock, ma senza successo.
Watson si arrabbiò tantissimo: voleva strozzare il suo amico, in quel momento, per la cosa sconsiderata e suicida che aveva rivelato quando ancora erano nella stanza d’albergo.
Era venuto a sapere che Sherlock e Nami si erano sfidati, avendo come vincitore chi scopriva prima l’assassino.
Inutile dire che quasi gli venne un colpo al cuore a quelle parole.
“Sherlock. Ti rendi conto della gravità della situazione? Nami è in pericolo per colpa tua!” gli inveì contro, lasciando, però, il consulente indifferente alla cosa.
“Non capisco dove sia il problema: ho mandato un mio amico a seguirla ed ora la stiamo andando a salvare. Ti prego di calmarti” gli suggerì non degnandolo di uno sguardo.
Ammise a se stesso che forse era stato un po’troppo avventato lanciare quella sfida, ma diamine!
La cosa era estremamente eccitante per lui!
Correre e salvare delle vite appena in tempo, quando quasi stava per accadere l’inevitabile era una cosa che aveva dell’afrodisiaco.
“Come faccio a calmarmi?!? Una ragazza, nonché nostra coinquilina, sta per essere uccisa! Non ti tocca minimamente la cosa?” chiese John scocciato, guardandolo con cipiglio alterato.
Odiava la sua estrema calma in un momento cruciale come quello: Nami poteva essere già morta o in fin di vita e tutto, per una stupidissima sfida!
“John. Ti devo rispiegare…”
“Sì, ho capito che hai mandato uno dei tuoi tanti amici senza tetto a controllarla! Ma perché non lo avete detto prima?!? Forse, tutto questo non sarebbe successo!” sibilò stringendo convulsamente i pugni.
“Siamo arrivati” decretò Sherlock dicendo all’autista di fermarsi, per poi scender velocemente dal taxi, correndo verso il capannone disabitato.
Non si trovava molto lontano da Londra.
Inizialmente, quel capannone fu utilizzato da una compagnia di importi come magazzino per oggetti arrivati dall’Africa e Brasile, ma poi la compagnia fallì e la struttura venne abbandonata.
Era un posto piuttosto allettante per commettere un omicidio lontano dagli occhi della città e da possibili “intrusioni”.
Entrò al suo interno, costatando che nonostante fosse abbastanza coperto, faceva molto freddo.
Notò che gli agenti di Scotland Yard erano posizionati abbastanza lontani da dove si trovava l’assassino, così decise di andare avanti, non badando ai continui richiami da parte di Lestrade di tornare indietro.
 
“Così tu sei il famoso Sherlock. Sai, la tua amichetta ha urlato più volte il tuo nome. Per colpa sua non sono riuscito a concludere la mia opera!” sentenziò scocciata una voce camuffata, molto probabilmente coperta da una sciarpa.
Sherlock non lo vide da nessuna parte, ma capì subito che si trovava dietro ad una colonna del capannone, mentre per terra, di fianco a lui, c’era Nami.
“Spero per te che sia ancora viva, Rick Lager. Vedo che te e tuo fratello avete seguito le orme della vostra famiglia: una banda di fanatici che odia le streghe. Patetici” ribatté il detective ridendo divertito da quella faccenda.
I fratelli Lager erano veramente due pazzi, come il resto della loro famiglia.
“Tu non puoi capire!” gridò saltando fuori allo scoperto, tenendo la ragazza ferma tra le sue braccia.
Faticava a stare in piedi e più volte, l’assassino fu costretto a sollevarla, tenendo il filo di nylon attorno al suo collo, come minaccia per tenere lontano il detective.
Aveva ancora le mani legate dietro la schiena ed era semicosciente, mentre il suo respiro era irregolare, smorzato qualche volta da qualche gemito di dolore.
Il suo viso era molto provato e il trucco era sciolto a causa del sudore e qualche lacrima bastarda che usciva contro la sua volontà, formando lunghe scie di mascara e eyeliner lungo le sue guance e anche il collo.
Aprì lentamente gli occhi, scorgendo la figura sfocata di Sherlock e sorrise felice.
 
“Questa, è una strega! Merita di morire!” urlò ancora Rick Lager, irritando Holmes.
Si stava annoiando: non era la persona che si aspettava.
Pensava di divertirsi, ma quel pazzo fanatico continuava a farneticare cose senza senso.
Si guardò in giro, alla ricerca di suo fratello e lo vide ad uno dei piani superiori mentre imbracciava un fucile puntato contro di lui.
Cominciò a digitare un messaggio da inviare a Lestrade sul suo cellulare, tenuto ben nascosto da una delle tasche del suo lungo cappotto.
 
Mark Lager.
Piano superiore a sinistra, ore 10.
Armato di fucile. Due colpi.
 
“Se odi così tanto le streghe, poi, sarai costretto ad ucciderti. Ti ricordo che ne tiene una in ostaggio. Non hai paura? Potrebbe maledirti per il resto dei tuoi giorni” disse a quel punto ghignando sommessamente.
Lager parve pensarci un po’ su, per poi far cadere sul pavimento il corpo della ragazza.
Prese il filo di nylon e si avvolse il collo per strozzarsi, mentre suo fratello si alzò di scatto, buttando a terra il fucile e cominciò ad urlare contro di lui per farlo ragionare.
Distratti, Scotland Yard riuscì a fermare entrambi e li portò in centrale, mentre Lestrade fece chiamare un ambulanza per Nami.
John corse verso il corpo inerme della ragazza, accertandosi le sue condizioni:
“Per fortuna non è in pericolo di vita” affermò tirando un sospiro di sollievo, togliendosi la giacca in modo da coprire Nami dal freddo.
“Ne ero certo” disse Sherlock avvicinandosi, guardando il viso rilassato di lei.
“Come hai fatto a farlo desistere? Cioè, come lo sapevi?” chiese Greg realmente incuriosito.
“Oh, è stato molto semplice. Oltre ad essere un tipo che pativa molto il freddo era anche molto insicuro e facilmente suggestionabile. Elementare” spiegò brevemente il detective, aggiustandosi il bavero del cappotto.
Lo faceva quasi sempre, quando risolveva un caso: era un modo come un altro per porre la parola “Fine” al caso.
 
L’ambulanza arrivò dopo circa dieci minuti e caricò Nami su una barella, per poi essere trasportata in Ospedale, accompagnata da John.
La tennero in osservazione giusto per quella notte, per assicurarsi che stesse bene, per poi dimetterla la mattina seguente.
“Lo sai che mi hai spaventato a morte?” la rimproverò con tono dolce John, facendole indossare ancora momentaneamente la sua giacca appena furono fuori dall’infrastruttura.
“Andiamo. Non esagerare! Sono viva, no? Però, la prossima volta ci penso su due volte prima di essere una possibile vittima di un assassino” gli rispose sorridendo di gusto, smangiucchiando un biscotto al cioccolato dell’Ospedale.
Nonostante non fosse dei migliori, si accontentò lo stesso, data la sua fame.
“Già!”- rise di cuore Watson, per poi fermarsi all’improvviso, come colto di sorpresa- “Cosa intendi con “la prossima volta”? Vorresti aiutarci nei casi?”
Nami, come colta in flagrante, arrossi violentemente, girando lo sguardo altrove: nonostante l’esperienza vissuta in prima persona la notte prima, si era “divertita”, in un certo senso.
Sapeva che non era un gioco, ma la cosa le metteva quel brivido d’eccitazione come quando si sta per provare una cosa fuori dal comune.
“Avrai capito male, caro il mio Dottor Watson!” esclamò saltellando come una bambina.
“Come fai a sapere che sono un dottore? Non te l’ho mai detto!” disse con fare sconcertato.
“Ah, tranquillo! Me lo ha rivelato Mrs. Hudson! Inoltre, tutti, qui all’Ospedale, ti chiamavano “dottore”!” rispose noncurante, facendo scuotere la testa a John con fare sconsolato.
Certe volte, anche le cose più ovvie gli sfuggivano.
Sherlock aveva ragione: doveva usare di più il cervello!
Pensò, per poi rimangiarsi tutto: anche quando non era presente, quel detective le aveva sempre vinte!
 
Arrivarono al 221B con il primo taxi che chiamarono, venendo accolti dalle lacrime della Signora Hudson, che abbracciò Nami come se non ci fosse stato un domani, facendola sorridere.
“Su! Su! Non c’è bisogno di piangere, Mrs. Hudson!” la consolò regalandole un sorriso radioso, facendo calmare la donna un poco.
“Hai rischiato la vita! Mi sono preoccupata tantissimo!” si difese asciugandosi le ultime lacrime con un fazzoletto di stoffa già bagnato.
Doveva ammettere che, nonostante fosse li da pochissimo tempo, si era già affezionata alla cara signora come se fosse stata una specie di nonna che non aveva mai avuto.
A rompere quel breve attimo di imbarazzo ci pensò lo stomaco di Nami, brontolando lievemente, facendola arrossire fino alla punta delle orecchie:
“Ho mangiato a malapena un biscotto. Mi dispiace tantissimo!” si giustificò a bassa voce, facendo scoppiare l’ilarità di John e Mrs. Hudson.
 
Sherlock gli raggiunse al piano inferiore, guardandoli con indifferenza, per poi incrociare gli occhi della rossa, ancora vestita con l’abito che le avevano fatto indossare la notte prima.
“Vedo che ti sei ripresa” la “salutò” sorridendo beffardo, guardando la linea sottile e quasi invisibile che attraversava il collo roseo di Nami.
Lei abbassò lo sguardo non sapendo cosa dire: si stava chiedendo chi avesse vinto la sfida.
Era una cosa che le stava assillando la mente.
“Naturalmente, ho vinto io” disse il detective come avendole letto nel pensiero.
“Ah, sì? Come mai? Non mi sembra che tu abbia trovato l’assassino!” ribatté piccata, sospirando pesantemente, mentre Mrs. Hudson e John continuavano a fissarli preoccupati: avevano paura che si potessero picchiare da un momento all’altro.
O meglio. Avevano paura che Nami potesse saltare addosso al consulente detective per picchiarlo.
“Non hai avvertito la polizia.” la informò Sherlock ghignando sommessamente, facendola irritare.
“Non era negli accordi.” si difese puntandogli il dito contro, riducendo gli occhi a due fessure.
Sherlock scosse la testa divertito, per poi affermare candidamente: “Ma io non ho neanche detto che non lo era”
Dire che la ragazza non sapeva come controbattere era un eufemismo: era arrabbiata, scocciata e delusa, inoltre, le dava fastidio il fatto di rimanere senza parole per farla pagare a quel detective da strapazzo.
Imprecò sottovoce, allontanandosi dai presenti, per poi rifugiarsi in camera sua per prendere un cambio d’abiti e andarsi a fare una bella doccia rilassante, in modo tale da schiarirsi le idee sulla situazione.
Aveva molte cose a cui pensare, soprattutto per il fatto che doveva andare a cercare un nuovo lavoro, altrimenti sarebbe rimasta a corto di soldi.
 
Uscì dalla doccia sentendosi come rinata, per poi avvolgersi l’asciugamano intorno al corpo e prese il suo cellulare per controllare se avesse ricevuto messaggi o chiamate.
Inutile dire che era strapieno di messaggi scritti e vocali minacciosi da parte del suo ex.
Il suo collega, invece, non l’aveva più richiamata.
Meglio così.
Pensò pettinandosi i corti capelli rossicci, mentre alla mente rivide il ricordo del caso risolto:
“Ho davvero ancora litigato con Sherlock per un caso?” si chiese ad alta voce, poggiando il pettine sul ripiano, ricominciando a vestirsi, per poi uscire dal bagno, incontrando una persona ormai ben conosciuta.
“E tu cosa ci fai qui? Non mi dirai che mi stavi spiando!” sbottò inalberandosi, poggiando le mani sui fianchi.
“Prego? Io non stavo spiando nessuno. Volevo…ringraziarti per il tuo…aiuto fornitomi durante lo scorso caso…anche se l’ho risolto e ho vinto io la sfida…” tentò di dire Sherlock con una certa nota di stizza nella voce.
“Non lo pensi davvero!” ribatté “mettendolo con le spalle al muro”, sorridendo arrogante.
“Appunto. Solo che mi ha costretto John” aggiunse lui completamente d’accordo con la coinquilina.
“Vabbè, non mene importa niente. Esco per un po’!” annunciò alzando di un poco la voce per farsi sentire da John e Mrs. Hudson, correndo in camera per mettersi le scarpe e la giacca, prendendo con sé anche la borsetta.
“Nami! Dovresti restare a riposo! Devi pure fare colazione!” la rimproverò John dal salotto, mentre sorseggiava il suo thè tranquillamente.
“Mi annoio! Vado a cercarmi un lavoro!” non lo ascoltò e prosegui verso l’uscita del 221B.
“Prendi il taxi!”
“Farò due passi!”
“Perché devi contraddirmi?!?” gridò Watson, ma era troppo tardi.
La ragazza era già lontano, ma Sherlock la scrutò dalla finestra cominciando a suonare il violino, riempendo il locale della sua dolce melodia, inebriando l’udito dei presenti.
“Non lavorerà con noi?” chiese il consulente detective rivolto al suo amico.
“Sherlock. Non puoi costringerla. Inoltre, non guadagnerà niente!” cercò di farlo ragionare John.
“Oh, andiamo. Hai capito anche tu che le è piaciuto!” esclamò smettendo di suonare il suo strumento, guardandolo per alcuni attimi, per poi ritornare con lo sguardo fisso sulla strada.
Il medico non replicò, sapendo che era tutto inutile tentare di convincerlo.
 
Nami camminò per un bel tratto di strada, finché una macchina non le si affiancò, mettendola in allarme, anche se non lo diede a vedere.
La portiera posteriore della vettura si apri come un chiaro cenno di salire.
Sulle prime, non seppe cosa fare e cominciò a guardarsi in giro, ma poi si decise e, racimolando un po’di coraggio, salì.
 
“Buongiorno, Nami. Spero di non averla spaventata” la salutò un uomo di bell’aspetto.
Si capiva che era una persona facoltosa, molto facoltosa.
Era vestito con un completo elegante chiaro e una camicia bianca.
Al suo fianco vi era un ombrello ben lavorato appoggiato al sedile.
Aveva capelli sul marrone rossiccio, gli occhi erano azzurri e seri, nonostante sorridesse.
Nami pensò di averlo già visto da qualche parte e cominciò a guardarlo senza aver risposto all’uomo.
“Come mai mi guarda a quel modo?” le chiese fissandola a sua volta.
“Chi è lei?” domandò non facendo caso alla sua domanda.
“Certo che ha una bella faccia tosta, lo sa? Non ha ancora risposto a nessuna delle mie frasi. Non ha importanza sapere chi sono, in questo momento.”
“Lo è per me”
“Sta rispondendo come John Watson quando ci siamo incontrati per la prima volta. Anche lei, seguirà Sherlock Holmes?” chiese realmente incuriosito, suscitando lo stupore della ragazza.
In meno di uno giorno aveva conosciuto molte persone e vissuto a stretto contatto con la Morte, dato che stava per essere uccisa da un fanatico che odiava le streghe.
“Come fa a conoscere Sherlock?”
“Diciamo che sono una persona che si preoccupa per lui”
“Io l’ho già vista da qualche parte, ma non ricordo dove…è abbastanza famoso, se non mi sbaglio” osservò la ragazza prendendosi il mento con due dita con fare pensieroso.
L’uomo sorrise per l’ennesima volta, decidendo di andare subito al punto:
“Sono qui per metterla in guardia. Una volta presa la strada, non potrà più tornare indietro. Si capisce molto che le è piaciuta l’esperienza di ieri sera. Solo che è in giro per le strade di Londra per cercare un lavoro…perché?” disse con fare tranquillo, facendo sobbalzare Nami dalla sorpresa.
Quello sapeva tutto sul suo conto e lei a malapena cercava di riconoscerlo, perché diamine!
Lo aveva già visto, eppure non si ricordava dove!
“Come fa a sapere tutte queste cose?” domandò guardandolo a fondo negli occhi, come voler scoprire qualcosa.
“Beh! Fa parte del mio lavoro, dopotutto! Ma tornando a noi: perché sta cercando un lavoro?”
“Di certo non posso dipendere da John e Sherl…ma a lei cosa interessa?!?”
“Cosa vorrebbe fare?”
“Ma non ha risposto alla mia domanda!!!”
“Proprio come ha fatto lei poco fa, Nami”
“Ma…Cristo Santo! Di sicuro non vorrei fare più la giornalista…mi piacerebbe aiutare le stazioni meteorologiche o aiutare nella cartografia…” decretò arrendendosi, sospirando pesantemente.
“Capisco. Ritorni a casa, deve riposare. So che è stata promossa con voti alti alla scuola di geografia che ha frequentato a Washington. Metterò una buona parola per lei e la contatterò. Ora vada” la informò facendole segno di poter scendere da quella vettura lussuosa.
“Sì, andrò. Non vorrei beccarmi un altro bell’acquazzone…aspetti…come mi contatterà?” chiese incuriosita mentre apriva la portiera.
“Che domanda! Molto probabilmente la chiamerò sul suo cellulare, ma c’è il rischio di farsi rintracciare da Sherlock. Ora devo proprio andare: mi aspetta un’importante riunione”
“Mi può dire almeno il suo nome?”
“Mycroft. Buona giornata, Nami” rispose salutandola.
La ragazza boccheggiò varie volte, come colta di sorpresa durante una marachella e non seppe cosa dire: aveva capito chi era.
Mycroft Holmes: uomo di politica e a stretto contatto con la Regina d’Inghilterra.
Sapeva che era un tipo molto serio nel suo lavoro e che non permetteva fallimenti di nessun genere.
Oltre ad averlo letto sui giornali, sua sorella continuava a parlarne in continuazione, affermando di quanto fosse bravo e potente.
Solo che le era venuto un dubbio.
Un grande dubbio: che fosse un parente di Sherlock?
Stava per chiudere lo sportello dell’auto, ma bloccò la sua azione sul nascere:
“Che tipo di relazione c’è tra lei e Sherlock?” domandò a bruciapelo, facendo sgranare per pochissimi attimi gli occhi di Mycroft.
“Molto complicata” rispose deglutendo la saliva, girando lo sguardo altrove.
Nami capì all’istante e ghignò divertita, ricordandosi di come lei e Nojiko, certe volte, litigavano (qualche volta giunsero persino alle mani) per un non nulla: una volta si picchiarono per un ultimo pezzo di cioccolato rimasto nella confezione.
“Capisco. Nonostante certe volte, potremmo sembrare capricciosi, noi, i più piccoli della famiglia, avremmo sempre ragione. Bye!” lo salutò regalandogli un sorriso birichino, per poi scappare in tutta fretta lontano dall’auto.
Naturalmente, non è che abbia avuto del tutto ragione: sapeva che certe volte i fratelli più piccoli, oltre ad essere capricciosi (non sempre), volevano avere ragione anche quando erano in torto marcio.
C’era passata pure lei.
Ovviamente, poi, pagava le conseguenza con la vendetta di sua sorella maggiore.
 
Ripercorse la strada a ritroso, correndo come una furia.
Dei nuvoloni carichi di pioggia stavano incombendo sulla città di Londra, “colorandola” di una sfumatura triste e fredda.
L’aria si stava facendo più fredda e il vento cominciava ad alzarsi.
Le persone si coprivano con i loro cappotti, nel tentativo di ripararsi il più possibile, mentre i genitori correvano per le strade affollate per portare i loro figli a scuola in tempo.
Nami schivava tutta quella massa con grande agilità e destrezza, quasi fosse una cosa normale.
Delle piccole e minute goccioline cominciarono a far capolinea sulla Metropoli, bagnando le strade e i suoi passanti.
Quasi tutti aprirono i propri ombrelli, mentre la ragazza si mise a correre più forte percependo i polmoni bruciare un poco assieme alla gola.
La sottile ferita della notte prima pizzicò man mano che l’aria la colpiva con violenza, ma Nami decise di farci poco caso, svoltando a destra.
Poteva prendere un taxi, ma non voleva.
Tanto, mancava ancora poco al 221B…
 
Si fermò davanti all’uscio con il fiato corto, appoggiando le mani sulle ginocchia per riposarsi, inclinandosi in avanti.
La pioggia si era fatta più fitta, così come il ritmo della città.
Dopo essersi un po’ripresa dalla folle corsa, aprì con uno scatto la porta, per poi entrare e salire velocemente le scale per il piano superiore.
Cominciò a sentire un suono melodioso di un violino diventare sempre più forte, fino a che non giunse in salotto, restando sbigottita: Sherlock suonava il violino.
Le sue dita lunghe e affusolate tenevano l’archetto con delicatezza e maestria e sembrava accarezzasse le corde dello strumento.
Il suono che ne usciva era a dir poco meraviglioso.
Un lungo brivido piacevole percorse la schiena della ragazza, facendola deglutire a vuoto.
“Vedo che hai trovato lavoro in fretta” osservò Sherlock non degnandola di uno sguardo, continuando a suonare imperterrito.
“Già…” sussurrò guardandolo incantata, per poi scuotere la testa per ridestarsi.
Si sentì una stupida.
In quell’istante aveva una voglia matta di darsi uno schiaffo per il suo comportamento da ebete di fronte al detective.
“Dov’è John?” chiese deviando l’argomento in tempo dirigendosi in cucina per prendersi una tazza di caffè.
“E’ andato al lavoro dodici minuti fa. Perché?” domandò a sua volta, facendo stupire Nami dalla sua precisione.
“Così…non hai nessun caso da risolvere?”
“Al momento no. Sto giusto suonando per rompere la noia…”- disse continuando a guardare fuori dalla finestra, finché un’altra delle sue idee non gli balenò alla mente, smettendo di suonare- “Ti va di giocare?”
La ragazza deglutì ancora cercando di bere il suo beneamato caffè senza strozzarsi.
L’aveva colta di sorpresa.
Un’altra volta.
E poi l’aveva spaventata il modo in cui aveva posto la domanda: la sua voce aveva assunto un tono basso e profondo, soprattutto la parola “giocare”, facendola sprofondare.
“H-ho da fare” si difese bevendo un altro sorso di caffè, cercando di parere il più irritata possibile.
Cosa che invece non le riuscì molto bene: sembrava volesse scappare.
“Menti” controbatté subito l’altro, spaventandola ancor di più.
“Affatto” tentò di difendersi.
“Sì, invece. Lo si capisce dal tono della tua voce e la mano ti trema impercettibilmente. Hai paura di perdere, di nuovo?” chiese beffardo, avvicinandosi a lei.
Lo guardò non sapendo cosa fare: quel completo scuro e così perfettamente aderente al suo corpo alto e snello lo faceva sembrare una pantera pronta a cacciare la sua preda.
Per non parlare dei suoi occhi color ghiaccio.
Vispi, attenti e furbi.
Dannatamente furbi.
Entrò nel panico più totale: il suo cuore batteva all’impazzata e il respiro stava accelerando man mano che il tempo passava.
“Non ho paura…” mormorò insicura, stringendo convulsamente la tazza che teneva in mano, quasi a cercare di aggrapparsi a quel piccolo appiglio.
“Sì, invece. Le pupille ti si sono dilatate, inoltre, hai il fiato corto, eppure, ti sei ripresa dalla tua corsa di poco fa. Ah. Non dimentichiamoci del tuo tono di voce. Si è abbassato notevolmente. Ho dimenticato qualcosa?” chiese accarezzandole lievemente il viso con due dita, facendola sobbalzare a quel tocco così leggero.
Non aveva nemmeno la forza per ritrarsi da quell’Inferno.
I suoi occhi erano incatenati a quelli di Sherlock e le sue gambe le parevano gelatina.
La sua parte razionale le stava urlando di staccarsi e di non ascoltare quella provocazione, ma l’altra parte le diceva di controbattere con la stessa moneta, facendogliela pagare.
Proprio com’era successo al caso della scorsa notte.
“L’apparenza inganna, Sherlock. Io non ho paura. Dimmi: a cosa vuoi giocare?” domandò avvicinandosi a lui, assumendo l’espressione dell’indifferente.
In cuor suo sperava che non fosse “Il gioco delle ombre”.
“A Cluedo. Penso sia un ottimo test per misurare a fondo le tue capacità deduttive. Che ne dici?” le propose sorridendo come un bambino.
Nami trasse un leggero sospiro di sollievo, cosa che non sfuggì al detective:
“A cosa pensavi di così spaventoso?”
“Al gioco delle ombre…” rispose senza nemmeno pensarci, accorgendosi subito dopo dell’errore che aveva commesso.
Sherlock ci pensò un po’su, per poi ghignare sommessamente:
“Leggi le creepy pasta?” chiese continuando a ghignare.
“Ero capitata per caso in quel sito…” si irritò un poco, sbuffando lievemente.
“Ed hai avuto paura…” concluse saccente, facendola arrabbiare.
“Non ho mai avuto paura!” sbottò inviperita.
“Dimostramelo. Altrimenti perché hai tirato un sospiro di sollievo?”
“Così, perché mi andava! E non ti dimostrerò un bel niente.” concluse statuaria.
“Perché hai paura. Te lo si legge in faccia, Nami”
“Non. Ho. Paura!”
“Allora niente in contrario se stasera ci giochiamo” concluse dirigendosi verso il salotto, facendo percorrere un brivido di terrore alla ragazza.
Non che lei ci credesse, sia ben chiaro, ma ammesso che quegli essere demoniaci esistessero per davvero, che cosa avrebbe fatto?
Sarebbe stata costretta a giocare, come dicevano le regole, altrimenti rimandava alla notte successiva o moriva.
Non le sembrava una buona idea.
“Se vuoi posso giocare tutto il tempo con te a Cluedo!” cercò di farlo desistere raggiungendolo frettolosamente.
Il consulente detective parve un po’indeciso, per poi affermare candidamente:
“D’accordo. Ma stasera giocheremo al “Gioco delle ombre”. Voglio vederti urlare”
Nami non sapeva se mettersi a piangere o gettarsi dalla finestra, risparmiandosi quella tortura.
“Così non vale! E poi, come facciamo? Le regole dicono che non ci possono essere altre persone a meno che non giochino anche loro. John potrebbe farcela, ma Mrs. Hudson?” chiese con una piccola nota di  vittoria nella voce.
“Tranquilla. M’inventerò qualcosa” le rispose beffardo, distruggendo così, tutta l’autostima della ragazza.
Possibile che riuscisse sempre a contraddirla?
“Sherlock!”
“Puoi sempre ritirarti. Giocherò da solo”
“Non ci penso proprio! D’accordo! Stasera giocheremo!”
 
Sherlock pensò che si sarebbe divertito.
Lui, a quel gioco, ci aveva giocato una miriade di volte e non era mai successo nulla di che.
Però, sapeva come movimentare la serata.
Di sicuro, Nami non avrebbe approvato ciò che aveva in mente.
D’altronde, lui non era un pazzo.
Era semplicemente un sociopatico iperattivo.
Solo un sociopatico iperattivo.







Angolo di Alyce: Buon Sabato a tutti! :D
Come potete ben vedere, Nami accetta ogni sorta di sfida che il nostro carissimo Holmes le propone, inoltre, ha incontrato Mycroft :D
Ho grandi progetti per lui...muahahahahahahahah.
Ok, ritorno in me ^^'
Chiarisco una piccola cosa: quando Nami vede avvicinarsi Sherlock come una pantera (cosa che se sarebbe successa a me sarei crollata sul pavimento con occhi trasognati e un'espressione come questa   :Q_______________________) non è che le piaccia, cioè, forse un po' (?), ma principalmente è timore.
Ok, spero che abbiate capito questo mio pazzo delirio xD
Passiamo al nostro fatidico "Gioco delle Ombre": la considero una cosa molto interessante e che mi piacerebbe scrivere (W le creepy pasta!)
Quindi vorrei un vostro parere: se scrivo il capitolo (sempre se lo vogliate, altrimenti faccio un salto temporale e scrivo subito i fatti del giorno dopo, accennado ai sentimenti che i protagonisti hanno provato), la metto come Special o un capitolo normale (cioè: 4. Il Gioco delle Ombre)?
A voi la scelta!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :)))))))))))))))))
  
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