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Autore: saltandpepper    20/07/2014    16 recensioni
Avere un'avventura di una notte da ubriachi fa schifo.
Avere un'avventura di una notte da ubriachi mentre si è al liceo fa più schifo.
Avere un'avventura di una notte da ubriachi mentre si è al liceo e si è un ragazzo è il massimo dello schifo.
La vita di Louis Tomlinson crolla su di lui dopo un incontro con il calciatore Harry Styles mentre erano ubriachi. Tutto ciò che ha mai conosciuto e mai creduto viene gettato fuori dalla finestra e lui è improvvisamente costretto a venire a patti con il fatto che il suo cuore non batte più solo ed esclusivamente per lui.
ATTENZIONE: Questa storia non è nostra. Noi ci limitiamo a tradurla!
Slash, Louis/Harry esplicito.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg
Capitoli:
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ATTENZIONE: Questa storia non è nostra. Dopo averla trovata in uno dei tanti siti di Fan Fiction Inglesi, abbiamo deciso di tradurla anche qui su EFP, sapendo che sicuramente a qualcuno avrebbe fatto piacere. Tutti i diritti di autore vanno alla fantastica Blindfolded.
 
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Capitolo 24



Buona notte, dormi bene.

Pensavo che mia madre avrebbe smesso di ignorarmi dopo tre giorni, quattro massimo, ma avevo totalmente sbagliato. Il resto della settimana passò in silenzio, o almeno mia madre era silenziosa; Owen e Ian mi trattavano nello stesso modo di sempre, cosa di cui gliene fui grato. Non che mi aspettassi qualcos’altro da Owen, ma ero un po' preoccupato che mia madre avrebbe potuto dire a Ian quello che le avevo detto, ma attualmente sembrava che avesse tenuto la bocca chiusa.
Come avevo promesso a Zayn, avevo prenotato un nuovo appuntamento con il dottore per Lunedì 4 Aprile ed era stato lì che mi aveva detto che stava andando tutto bene, ma che avrei dovuto stare a casa il più possibile. A causa di tutto il tempo che avevo trascorso a casa durante l'intero anno scolastico, avevo pensato 'beh, vaffanculo' ed ero rimasto a casa più o meno tutti i giorni tranne che per le lezioni di matematica, visto che sapevo di dovermi tenere al passo. La data dell'appuntamento con il dottore segnò anche la mia trentatreesima settimana di gravidanza.  Avrei voluto piangere quando mi aveva fatto salire sulla bilancia ed aveva misurato il mio peso di settantanove chili. Settantanove chili. Ma, come sempre, mi aveva assicurato che fosse del tutto normale e che sia io che il bambino stavamo benissimo. Prenotai un nuovo appuntamento per Lunedì 19 Aprile alle tre in punto e per un breve istante mi chiesi se io e Harry prima o poi avremmo fatto pace. Probabilmente no se le cose sarebbero rimaste come lo erano in quel momento.
Non chiesi nulla al dottore riguardo alla possibilità  di scoprire quale cambiamento aveva subito il mio corpo per essere in grado di tenere il bambino e nemmeno lei lo fece. Nonostante io e Harry litigassimo frequentemente, volevo che lui fosse lì nel momento in cui avrei dovuto fare tutti gli esami, motivo per cui avevo tenuto la bocca chiusa su quella questione in particolare. Ma poi ancora, volevo sapere cosa c'era di sbagliato nel mio corpo – era abbastanza necessario saperlo – e avevo paura che i dottori non avrebbero saputo darmi risposte non appena il bambino fosse nato. Mi erano rimaste solo sei o sette settimane di gravidanza e quando tornai a casa dal dottore quel giorno, considerai di chiamare Harry. Non ci pensai. Tirai fuori il cellulare e digitai il numero tre volte, ma il mio nervosismo ebbe la meglio ogni volta e, alla fine, in pura frustrazione, lanciai il cellulare in un lato della stanza e colpì il muro prima di cadere per terra e rimanere lì.
E poi c'era il problema dell'adozione. Questa era un'altra cosa di cui dovevo parlare ad Harry perché era lui quello a voler disperatamente tenere il bambino. Sapevo molto bene che tenerlo sarebbe stata una pessima idea, l'idea peggiore a dire il vero, ma... Cristo, un bambino quasi totalmente sviluppato era dentro di me! Lui scalciava e si muoveva, gli parlavo tutto il tempo e lui era mio; il mio bambino, mio figlio, non di qualche altra coppia. Era frustrante pensarlo e quando mi venne in mente l'ultima volta che avevo parlato con Harry di questo, aveva detto molto chiaramente di volerlo tenere, cosa che aumentava maggiormente la mia frustrazione perché mi aveva detto che l'unica cosa che mi impediva di compiere la più grande e più importante decisione della mia vita ero... io. Io ero l'unica cosa che mi fermava. Non ero più sicuro al cento per cento che Harry volesse ancora tenere il bambino, ma poi ancora, solo perché al momento lui era arrabbiato con me non voleva dire che avesse smesso di preoccuparsi del bambino, no? Probabilmente no. E la mia famiglia – mamma e Owen almeno – sapevano tutto, anche se mamma non ci credeva, quindi dipendeva solo da me ora. E questo mi spaventava parecchio.

Martedì 5 Aprile
Trentatré settimane e un giorno


Nel martedì della mia trentatreesima settimana, mi costrinsi ad andare a scuola, pensando che stare a casa non mi avrebbe aiutato a risolvere i miei problemi. Il mio stomaco era talmente grande da non esserci più nessun modo per poterlo nascondere bene, così misi semplicemente il solito maglione, misi una sciarpa attorno al collo ed immaginai che nessuno probabilmente avrebbe sospettato del fatto che stessi diventando grasso. Ricevetti molte occhiate strane, ma le ignorai il più possibile guardando ovunque tranne che a quelle persone ed andava tutto bene. Ero di umore piuttosto suscettibile, ma nonostante questo partecipai alle due ore di matematica (Cosa cazzo è sta merda?) alle due ore di storia (A chi cazzo importa della Cristianità diffusa in Europa?), mezz'ora di pranzo (il posto più rumoroso e disgustoso) e due ore di sociologia (perché qualcuno dovrebbe sentire il bisogno di scoprire perché le persone commettono crimini?)
Quando la campanella suonò e annunciò la fine della giornata, ero talmente stanco e scontroso da urtare le persone senza scusarmi come in genere facevo.
Notai Harry e Niall, entrambi con il borsone della palestra sulla spalla, pochi metri lontano da me quando uscii dalla scuola e cercai disperatamente di evitarli ritornando dentro l'edificio e rimanendo nascosto dietro le porte per un paio di minuti fino a quando non fui sicuro che se ne fossero andati. Sembrava che ultimamente il comportamento immaturo stesse diventando parte della mia vita quotidiana, quindi perché smettere?
Non c'era nessuno quando arrivai a casa quel pomeriggio e ne approfittai per svuotare il frigo di tutto ciò che mi sembrasse buono – se una macedonia di tre giorni fa poteva essere chiamata 'buona' – e dopo mi sedetti sul divano in una posizione totalmente inappropriata. Durante il giorno in televisione non c'era niente di bello da urlare 'woho', ma riuscii a trovare un programma abbastanza decente degli anni '90 e lasciai quello, troppo stanco per preoccuparmi di cercare un film in DVD.
Mamma e Ian tornarono a casa due ore dopo, mamma fregandosene della mia presenza come al solito e Ian sorridendo e chiedendomi se avessi passato una lunga giornata.
“Lunga, noiosa, stancante,” risposi con un'alzata di spalle.
“Mi ricordo la scuola superiore come qualcosa del genere, si,” disse ironicamente, guardandomi dalla porta del salotto. Fece una pausa di pochi secondi, avendo chiaramente altri pensieri in testa, prima di parlare di nuovo.
“Sai per caso cosa sta succedendo a tua madre ultimamente?”
Quindi lei non era una puttana solo con me e Owen, ma anche con Ian. Si era guadagnato un punto della mia simpatia.
“Abbiamo avuto un piccolo... litigio lo scorso Martedì,” dissi, sforzandomi di rimanere calmo e controllato. “Non ha niente a che fare con te, sta sfogando la rabbia contro di me anche su di te. Scusa.”
Sospirò.
“Lei sa come tenere il broncio, mh?”
“Probabilmente le passerà prima di Natale, ma non ti prometto niente.”
Lui scosse la testa in evidente esasperazione prima di voltarsi e sparire dalla mia vista.

*

Mercoledì passò nello stesso modo di Martedì e così anche Giovedì. Non ero molto sicuro di come rimediare a tutto ciò che stava succedendo; mamma, Harry, me stesso, il bambino, tutto. Era tutto un grande pasticcio, come sempre, e lo affrontai nello stesso modo della settimana prima: essendo leggermente scontroso e parlando tanto con me stesso e alla mia pancia. Le cose erano semplicemente... normali e irritanti e stupide a dire il vero, questo fino a Venerdì pomeriggio. Fondamentalmente quando tutto diventò ancora peggiore di quanto già non fosse.

Venerdì 8 Aprile
Trentatré settimane e quattro giorni


Ero tornato a casa un paio di ore prima ed erano quasi le sette del pomeriggio quando sentii un forte schianto dal piano di sotto che mi distrasse dal libro che stavo leggendo. Rimasi seduto per pochi secondi, ascoltando se ci fossero altri schianti, ma quando circa mezzo minuto passò in silenzio, alzai le spalle e tornai a leggere.
Il silenzio non durò più di un minuto però, ma sta volta non era il suono di qualcosa di rotto, ma un urlo. Alzai lo sguardo e alzai le sopracciglia. Non riuscivo a capire le parole che stava dicendo, ma sentii la voce di Ian che stava urlando e capii anche che fosse arrabbiato. O forse sarebbe meglio dire 'furioso'.
Un fugace e speranzoso pensiero di 'forse se ne andrà di qui' passò nella mente prima di darmi uno schiaffo mentale. Sentii la voce di mamma rispondere qualche secondo dopo agli urli di Ian, anche lei urlando, ma non così arrabbiata. Era, per quello che ne sapessi, la prima volta che mamma e Ian litigavano per qualcosa ed io non potevo aiutare ma non potevo non sentirmi un po' curioso del motivo della litigata. Conoscendo mamma, probabilmente in un modo o nell'altro era colpa sua.
Considerando che non riuscivo a capire nessuna delle parole che stavano dicendo, molto presto mi annoiai di sentire i loro discorsi e prestai di nuovo la mia attenzione al libro e continuai a leggere. Cercai di fare del mio meglio per ignorare le voce proveniente dal piano inferiore e ci riuscii abbastanza bene. Questo fino a che le parole non diventarono sempre più comprensibili e sempre più forti fino al punto da realizzare che entrambi avessero abbandonato il piano di sotto e fossero ora fuori dalla porta della mia camera. Cosa che mi fece diventare ancora più confuso; perché venire di sopra per litigare? L'unica stanza qui era la mia camera, la camera di Owen e un piccolo bagno, niente che potesse interessare né a Ian né a mamma.
Questo fu l'ultimo pensiero prima che la porta della mia camera venisse aperta e che Ian entrasse, la faccia rossa di rabbia e mamma dietro di lui, per qualche ragione spaventata. Non avevo mai visto Ian arrabbiato prima, avevo sempre pensato che fosse troppo apatico per arrabbiarsi, ma era abbastanza ovvio che fossi in torto. Non che volessi dirlo ad alta voce, ma a dire il vero sembrava terribilmente spaventoso. 
“Cosa sta succedendo?” Chiesi cauto, appoggiando il libro sopra il comodino a fianco del letto prima di guardare l'uomo furioso fermo ai piedi del mio letto, fissandomi.
“Cos'è questa cazzata di essere gay?” Sputò.
Sentii come se il mio intestino scomparisse e lasciasse un orribile vuoto e un' orribile sensazione. Per un bel po' di tempo, mentre non ero in grado di dire o fare nulla, fissai Ian con la bocca aperta come un pesce rosso. Mamma gliel'aveva veramente detto? Per quale ragione avrebbe dovuto dirglielo se nemmeno mi credeva? Spostai lo sguardo verso di lei, ma lei aveva gli occhi fissati da qualche parte dietro il mio orecchio e sembrava non aver alcuna intenzione di guardarmi negli occhi.
“G-gliel'hai detto?” Gracchiai alla fine, guardando intensamente mia madre, costringendola a guardarmi.
“Non cambiare argomento!” Urlò Ian, facendo saltare sia me che mamma.
Sbattei le palpebre un po' di volte prima di spostare lo sguardo sul mio grembo, non riuscendo a guardare a lungo Ian negli occhi.
“C-che io sia gay o no, n-non sono affari tuoi,” mormorai.
“Cazzo, certo che sono affari miei!” Ringhiò. “Pensi che io voglia vivere nella stessa casa di un finocchio?”
La mia testa scattò a queste parole e inghiottii a fatica.
“Beh, m-mi dispiace tu-” iniziai, ma prima che potessi finire la frase, lui continuò.
“Vivere con uno come te mette in cattiva luce tutti noi: me, tua madre e tuo fratello. Come se il fatto che tu abbia le dimensione di una balena non sia abbastanza grave, sei anche gay! Cosa pensi che diranno i vicini quando lo scopriranno, eh?”
“Loro non lo-”
“Cose come queste vengono sempre fuori, che tu lo voglia o no!”
“Beh, questo non ti riguarda e-”
“Certo che mi riguarda! E riguarda tua madre e tuo fratello allo stesso modo!”
Lo guardai, cercando di capire cosa volesse dire tutto questo. Ma la sua espressione non fece trapelare niente, era soltanto arrabbiata e rossa come prima e non mi lasciava capire una dannata cosa di ciò che gli stava passando per la mente.
“C'è... c'è un punto per tutto questo?” Chiesi esitante dopo pochi minuti di silenzio.
La sua mascella si serrò visibilmente e per un breve momento pensai a quanto fosse incredibile il fatto che un uomo che appariva così semplice e noioso potesse somigliare così tanto ad un orso grizzly arrabbiato.
“Si, c'è un punto per tutto questo,” disse, la voce talmente calma da spaventarmi. “Il punto è che è arrivato il momento che tu faccia una valigia e che te ne vada da questa casa.”
Sbattei le palpebre. Una. Due. Tre volte.
Fare la valigia?
Andare via da questa casa?
“S-scusa?” balbettai, il cuore che batteva veloce nella cassa toracica.
“Mi hai sentito,” disse. “Fai la valigia ed esci da questa casa nei prossimi trenta minuti.”
“Non- non penso tu possa sbattermi fuori da casa mia,” dissi, ma la mia voce era insicura e le mie labbra tremavano spaventate.
“Pensaci di nuovo,” sputò. “Questa casa è sia mia che di tua madre, cinquanta e cinquanta, ed io ho detto che te ne devi andare. Quindi vattene.”
“Se è cinquanta e cinquanta, suppongo che anche mamma debba dirmelo,” dissi, sentendomi un po' più sicuro ora. Per nessuna ragione mia madre avrebbe dato ragione ad un uomo conosciuto da meno di un anno cacciando suo figlio da casa. Per nessuna ragione.
“Ne abbiamo già parlato,” disse Ian prima che mamma potesse aprir bocca. “Siamo d'accordo sul fatto che farti andare via è meglio per tutti.”
La mia bocca si aprì leggermente e guardai mamma con gli occhi spalancati.
“M-mamma?” Sussurrai supplichevole. “T-t-tu non- non sei d'accordo con questo, vero?”
La vidi prendere un profondo respiro poi, ancora senza guardarmi, annuì.
“Ascolta Ian, Louis. Fai la valigia e esci da questa casa, senza brontolare. Sarà molto più facile per tutti.”
Giurai che il mio cuore sarebbe potuto uscire fuori dal petto e atterrare da qualche parte sul pavimento per quanto stesse battendo forte. Incapace di guardare ancora mia madre, abbassai lo sguardo e guardai le mie coperte, senza però prestargli realmente attenzione. Ero stato appena cacciato da casa mia da un uomo che un anno fa non sapevo nemmeno chi fosse. Mia madre aveva detto di essere d'accordo, ma per nessuna ragione lo avrebbe mai fatto. Non era di certo felice che io fossi gay, no, ma non mi avrebbe mai cacciato di casa di sua spontanea volontà.
Era tutta colpa di Ian, non avevo dubbi.
Il sangue mi scorreva nelle orecchie e non ero proprio sicuro di cosa provassi oltre allo shock. Ero arrabbiato? Forse. Mi sentivo tradito? Possibile. Ero spaventato? Sicuramente. Nessuno di questi sentimenti aveva senso però, loro erano solo... lì, prendendosi gioco di me, prendendosi il comando, dicendomi che la mia vita era appena diventata tre volte più difficile di quanto già non fosse.
“Okay,” sentii dire da me stesso dopo un lungo, lungo silenzio. “Okay, me ne andrò.”
E con questo mi alzai dal letto, sentendomi come se il mio corpo avesse iniziato una vita tutta sua, e presi il cellulare dal comodino di fianco al letto prima di superare Ian e mamma, fuori dalla mia camera, giù per le scale fino alla porta d'entrata. Mi misi un paio di scarpe e presi una giacca dall'attaccapanni, notando a mala pena mamma e Ian che mi stavano guardando dal corridoio, prima di uscire dalla porta e chiuderla dietro di me.
Non realizzai ciò che era appena successo fino a che non mi ritrovai in mezzo alla strada.
Ero appena stato cacciato da casa mia. Casa mia da almeno diciannove anni ed io ero stato cacciato. Non avevo nessun posto in cui andare, non avevo soldi, non avevo vestiti, non avevo cibo, niente. Ero completamente solo e senza un posto in cui stare. Erano circa le otto di sera, il cielo era scuro e piccole gocce di pioggia stavano cadendo dalle nuvole sopra di me, e sapevo bene di non poter rimanere fuori molto a lungo. Nonostante fosse Aprile, continuava a far freddo e la giacca che avevo indossato non era sicuramente una delle più calde. Inoltre, stavo indossando i pantaloni del pigiama. Se mi fosse venuta l'ipotermia sarebbe stato sicuramente un male per il bambino.
“Cazzo,” sussurrai a me stesso, cominciando a camminare lentamente.
Dovevo trovare un posto in cui stare per la notte e considerando di non aver il portafoglio dietro, non potevo permettermi nessun hotel. Avrei dovuto trovare qualcuno che potesse ospitarmi.
Eleanor sarebbe potuta essere un'opzione se non fosse per il fatto che la sua casa fosse di fianco alla mia – o quella che una volta era la mia casa – quindi non andava bene.
Per quanto non mi piacesse pensarlo, l'unica altra... opzione valida che avevo era di chiamare il ragazzo che nell'ultima settimana avevo evitato come la peste. Smisi di camminare per un minuto, avendo bisogno di pensare bene.
Chiamare Harry.
Chiamare Harry.
Pessima idea.
L'unica opzione.
Inopportuno.
Ancora l'unica opzione.
Possibilità di un duro rifiuto.
Questo non cambiava il fatto che rimanesse l'unica opzione.
Con un pesante grumo di nervosismo e di ansia nella gola, tirai fuori il cellulare dalla tasca ed esitante andai nella lista dei contatti. Mi fermai, il mio dito vicinissimo allo schermo, Quando raggiunsi Harry Styles, stavo per rinunciarci quando ricordai a me stesso – ancora una volta – che chiamare Harry era rimasta l'unica opzione a meno che non volessi passare l'intera notte sulla panchina di un parco. Solo il pensiero mi fece tremare e prima di aver l'opportunità di pentirmi, premetti il tasto verde e mi portai il cellulare all'orecchio.
“Uhm, ciao,” dissi goffamente.
Ciao? Per quale cazzo di motivo mi hai chiamato?
Sembrava irritato, anche un po' arrabbiato, e mi morsi il labbro.
“Ho... ho bisogno di un favore,” mormorai, sfregando i piedi sull'asfalto sotto di me.
Un favore,” ripeté. “Hai bisogno di un favore. Da me. Grandioso.
“Harry, ti prego,” dissi, cercando di deglutire quello stupido grumo nella gola che continuava ad essere presente.
Di cosa cazzo hai bisogno allora?
Presi un respiro profondo e pregai che non avrebbe semplicemente riso di me e riattaccato, prima di rispondere.
“Ho bisogno di un posto dove dormire stanotte.”
Ci fu silenzio per un paio di secondi.
Perché?
Mi feci scappare una piccola risata, nonostante non ci fosse niente di divertente.
“Perché sono stato appena cacciato da casa mia per essere gay.”
Ci fu di nuovo silenzio, questa volta un po' più a lungo. Sentii il suo respiro dall'altro capo della linea, perciò almeno sapevo che non avesse riattaccato.
Okay, bene,” disse alla fine. “Dove sei?
Sospirai di sollievo interiormente.
“Solo cento metri da casa mia.”
Sarò lì tra venti minuti.
“Grazie, davvero.”
Sicuro.
Con questo attaccò e mi lasciò ancora una volta da solo con i miei pensieri. Troppo stanco per stare ancora in piedi, mi sedetti sul pavimento, ignorando la sensazione bagnata e fredda a contatto con il mio sedere. Quando mi sedetti, tutto solo nel bel mezzo della strada di un piccolo quartiere, fu troppo facile perdermi nei miei pensieri e lasciarmi tuffare nella piscina di depressione che era sempre presente nella mia testa. Mi sforzai di pensare a cose più felici e più facili. Come la scuola. Quanto era triste che la mia vita era arrivata ad un punto da trovare la scuola come un aspetto positivo?
Cercai di non cambiare discorso comunque, pensando al compito di storia sul rinascimento che avrei avuto il successivo Martedì. Il rinascimento... la più stupida era di sempre. Fatta eccezione per l'illuminismo ed il vecchio medioevo. Okay, forse non era poi così stupido. Sicuramente c'erano un sacco di persone stupide però. Martin Lutero e la sua stupida riforma, Nicolò Copernico che si rifiutò di credere che i pianteti si muovevano in stupidi cerchi ellittici... persone stupide.
Mentre ero seduto lì a pensare alle stupide persone del Rinascimento, non notai i passi che si stavano rapidamente avvicinando a me. Non fino a quando non vidi, con la coda dell'occhio, qualcuno fermarsi al mio fianco.
“Non hai preso niente,” disse mamma, guardandomi con sguardo triste. Mi tese una borsa, come per mostrarmi qualcosa, per poi metterlo a terra accanto a me.
“Ti ho messo dentro qualche vestito, un paio di scarpe, il tuo portatile, un paio dei tuoi libri, le cose della scuola e il tuo portafoglio.”
Alzai semplicemente lo sguardo per guardarla, senza dire niente, senza nemmeno sbattere le palpebre.
Gli angoli della sua bocca si incurvarono leggermente.
“Mi dispiace tanto per tutto questo, Louis,” disse piano. “Non volevo che si arrivasse a questo.”
“Mi hai cacciato,” dissi, guardandola senza una particolare espressione sul viso. “Ti ho detto di essere gay e incinto e tu mi hai cacciato.”
Notai il modo in cui il suo viso si contrasse alla parola 'incinto', ma non commentò.
“Come ho già detto, mi dispiace,” disse. “Hai un posto in cui stare stanotte? Ti ho messo duecento sterline dentro il portafoglio, ma ne hai bisogno di altre per un hotel?”
“Non voglio niente da te,” dissi non ammettendo repliche, ritornando a guardare l'asfalto. “Grazie per avermi portato le mie cose. Puoi andare ora.”
Lei non disse niente, ma sentii un singhiozzo. Con la coda dell'occhio vidi i suoi piedi spostarsi e poi ci furono un paio di labbra pressate sulla mia testa.
“Ti voglio bene, tesoro,” disse. “Ti prego non odiarmi per questo.”
E poi se ne andò e probabilmente non sentii il mio 'troppo tardi, mamma' mormorato. Girai la testa e la guardai allontanarsi da me, lasciandomi lì da solo. Fu a quel punto che tutto l'accaduto mi colpii in pieno al massimo della forza e prima di rendermene conto, un fiume di lacrime corsero giù per le mie guance e dei singhiozzi soffocati sfuggirono dalle mie labbra.
Mia madre. La mia sola madre. La mia sola madre mi aveva cacciato fuori di casa senza sembrare pentita della decisione; Come aveva potuto farmi questo? Quale genitore farebbe una cosa del genere al proprio figlio? Non avevo ancora finito la scuola, non avevo lavoro e niente con cui mantenermi; lei lo sapeva, e mi aveva chiesto di andarmene di casa... solo perché ero gay. Lei mi aveva cacciato perché volevo un ragazzo invece di una ragazza. Ha deciso di schierarsi con un uomo che conosce da meno di un anno, ha tradito suo figlio, ha tradito me. Quale altro genitore lo farebbe? Lei non mi amava? Era questa la ragione? Che lei amasse Ian più di quanto amasse me? Se le cose stavano così, era solo perché fossi gay o era sempre stato così? C'era qualcosa in me che urlava 'impossibile da amare'?
E fu così che mi trovò Harry dieci minuti più tardi, raffreddato e triste mentre piangevo, per non parlare di depresso, triste e patetico.
“Oh, Lou,” sospirò quando uscì dalla macchina, parcheggiata sul lato della strada per poi camminare fino a dove ero seduto. “Sei un vero impiccio, lo sai vero?”
Alzai lo sguardo verso di lui e cercai di sorridere, probabilmente fallendo.
“Scusa per aver chiamato,” dissi, la mia voce leggermente rauca. “Non sapevo chi altro... contattare, quindi ho pensato... si.”
“Va tutto bene,” disse.
“Vieni, lascia che ti aiuti ad alzarti,” aggiunse e mi tese entrambe le mani.
Faticai un po' prima di riuscire ad alzarmi in piedi, nonostante l'aiuto di Harry, e mi scusai almeno un migliaio di volte nei trenta secondi che mi ci sono voluti per alzarmi.
“Scusami, scusami,” dissi quando riuscii a salire sui suoi piedi tentando di chinarmi e raccogliere la borsa poggiata a terra.
“Perché non lasci che la prenda io la borsa e non vai dentro la macchina?” Disse e con mio grande sollievo, c'era un piccolo sorriso sulle sue labbra.
“Sicuro?”
“E' solo uno zaino, Lou, quindi vai e siediti in macchina prima di farti del male. O farlo a me.”
Le mie guance diventarono leggermente rosse a quelle parole, ma feci quello che mi aveva detto ed andai a sedermi nel sedile del passeggero. Harry mi raggiunse pochi secondi dopo e dopo aver chiuso la porta, si girò leggermente sul sedile e mi guardò indagatore.
“Quindi siamo qui,” disse, alzando leggermente le sopracciglia. “Un po' inaspettato.”
“Si,” dissi. “Suppongo sia stata un po'... una merda a chiamarti ora quando ti ho ignorato per una settimana intera.”
“Un po' una merda, forse.”
“Mi dispiace.”
Mi sentii un po' inadeguato a dire un semplice 'mi dispiace', ma non ero molto sicuro su che altro dire senza sembrare un perfetto idiota.
Lui sospirò.
“Non siamo molto bravi con le semplici conversazioni, vero?” disse. “Finiamo sempre con lo scontrarci l'uno contro l'altro.”
Non potevo non essere d'accordo con questo.
“Si credo.”
Feci una pausa di un secondo prima di continuare.
“Ma... mi dispiace davvero per quello che è successo la settimana scorsa, non avrei dovuto dire quelle cose.”
“E' tutto ok,” disse, sorridendo lievemente. “Credo di avere un po' esagerato.”
“Quindi, è colpa di entrambi?”
“Suppongo di si.”
“E... siamo a posto ora?”
Lui increspò le labbra e annuì.
“Che ne dici se ne parlassimo dopo? Non ho detto a mia madre dove stessi andando, inizierà a chiedersi dove sono se non torniamo a casa presto.”
“Oh, si sicuro,” dissi, facendo un gesto a caso con la mano. “Andiamo.”
Sorrise ancora prima di girarsi sul suo sedile così da essere di fronte al volante, infilare le chiavi nell'accensione e far partire la macchina. Il ritorno verso casa sua passò in un silenzio confortante; io non sentivo il bisogno di parlare e fortunatamente nemmeno Harry. Sentii i suoi occhi su di me ad un certo punto, ma finsi di non notarlo e tenni fermo lo sguardo fuori dal finestrino.
Quando girammo nella via di casa sua, l'orologio segnava le nove e trenta di sera e, per la prima volta, riuscii a sentire quanto fossi stanco ed esausto. Era strano, davvero, quanto le cose erano successe rapidamente, e a dire il vero mi sembrava come se fossero passate almeno ventiquattro ore da quando Ian era piombato in camera mia e mi aveva ordinato di andarmene. Strano.
“Puoi entrare se vuoi, sai?” disse Harry quando aprì la porta d'ingresso di casa e si fermò dentro, guardandomi impalato sul portico.
“Oh, giusto,” dissi e mossi di nuovo i miei piedi. Una volta dentro e dopo aver chiuso la porta dietro di me, mi affrettai a togliere le scarpe e metterle vicino al muro prima di togliermi anche la giacca, appendendole all'attaccapanni libero contro il muro. Harry era fermo lì, vicino al muro mentre mi aspetta con la borsa in una mano e le chiavi della macchina nell'altra.
“Fatto?” chiese.
Annuii e sorrisi, felice.
“Bene. Vieni, ti faccio conoscere mia mamma.”
“Io- cosa?” dissi, il nervosismo a prendere di nuovo il controllo su di me. “Ma s-sto indossando i pantaloni del pigiama ed ho il culo tutto bagnato per essermi seduto sulla strada e-”
“A lei non importa,” mi interruppe. “Perciò vieni.”
Provai a protestare, ma invece di ascoltarmi, mi afferrò il braccio e praticamente mi trascinò per tutta la casa fino al salotto.
“So che dovrei sentirmi grato con te per avermi portato qui ora visto che sono senza una casa,” mormorai. “Ma non mi piaci ora.”
Lui non rispose, ma notai l'accenno di sorriso sul suo viso e per qualche ragione, nel vederlo mi sentii meglio. Entrammo nel salotto qualche secondo dopo e notai immediatamente la donna seduta sul divano mentre indossava un paio di pantaloni della tuta e i suoi capelli marroni raccolti in una crocchia sopra la testa. Se non fossi stato gay, probabilmente l'avrei trovata dannatamente attraente.
“Hey, mamma,” disse Harry mentre mi guidava verso il divano. Si fermò quando entrambi eravamo fermi di fianco al bracciolo.
La donna alzò lo sguardo e sorrise.
“Beh, ciao,” disse.
“Quindi, questo è Louis,” continuò tranquillo.
Le sue sopracciglia si alzarono immediatamente a questo e per un secondo diventai preoccupato, ma poi lei aprì la bocca e la mia preoccupazione ritornò al suo posto.
“Quindi sei il ragazzo che sta avendo mio nipote,” disse educata.
“Piacere di conoscerti,” aggiunse, allungando una mano.
Restai a guardarla per un secondo o due prima di essere in grado di radunare abbastanza attenzione e stringerle la mano.
“Io- uhm, si, ciao,” dissi stupidamente. “Non- Non sapevo tu... lo sapessi.”
“Probabilmente non lo saprei se non avessi visto la foto dell'ecografia sopra la scrivania di Harry l'altro giorno quando stavo lasciando i panni puliti proprio lì sopra,” disse. “E mi sono trovata in una situazione piuttosto imbarazzante quando gliene ho dovuto parlare, lascia che te lo dica.”
“E' stato molto più imbarazzante quando le ho dovuto raccontare tutta la storia,” si intromise Harry, sembrando più calmo del solito.
“Uhm, giusto, si,” dissi, graffiandomi la parte posteriore del collo solo per aver qualcosa da fare con le mani. “S-sono felice di sapere che sei d'accordo con queste... cose,” Continuai.
“Non c'è molto altro da fare, no?” disse, sorridendo leggermente. “Specialmente non da quando Harry mi ha detto che stai prendendo in considerazione di tenere il bambino invece di darlo in adozione.”
“Oh. Giusto.”
“Ti lascio andare ora,” disse. “Ti sto mettendo in imbarazzo.”
“Oh no, non è-”
Lei fece un cenno sprezzante.
“Va tutto bene, puoi dirlo.”
“Okay, bene,” disse Harry, afferrando di nuovo il mio braccio ed iniziando a tirarmi lontano. “Grazie mamma. Oh, e Louis starà qui stanotte.”
“Lo avevo dedotto,” disse lei, ritornando di nuovo con gli occhi sulla tv.
“Quindi, quella era mia madre,” disse Harry mentre iniziammo a camminare nel corridoio che sapevo conducesse alla sua camera.
“Sembra simpatica,” riflettei. “Molto... amichevole.”
“Si, lei è magnifica,” disse. “Anche mio padre più o meno.”
“Dov'è lui?”
“In viaggio di lavoro in Galles.”
“Lontano.”
“Lo so, davvero triste.”
Raggiungemmo la sua camera e lui aprì la porta, tenendola aperta per me e invitandomi ad entrare dentro, cosa che feci prima che lo facesse anche lui e chiudesse la porta.
“Allora, tu puoi dormire nella vecchia camera di Carlos,” disse mentre appoggiava il mio zaino sul pavimento di fianco alla porta. “Di solito la usiamo come camera degli ospiti e comunque il letto è fatto e tutto il resto.”
“Okay, grande,” dissi, cercando di non apparire troppo in disaccordo per il fatto che non avrei dormito nella camera di Harry. Poi ancora, probabilmente era meglio così. Calò il silenzio dopo questo, non un silenzio imbarazzante però, più che altro un po' teso.
“Quindi,” disse Harry camminando verso il suo letto e sedendosi sopra. “Vogliamo riprendere la nostra imbarazzante, ma inevitabile, conversazione ora o lo faremo domani? Sembri un po' stanco ad essere onesto.”
“Possiamo farlo, tanto vale farla finita,” dissi mentre, il più normalmente possibile, lo raggiunsi sul letto.
“Questo è ciò che ha detto lei.”
Sorrisi a quelle parole, ma non dissi niente.
“Okay,” disse, guardandomi con i suoi occhi caldi e gentili. 
“Riguardo a quella... cosa della scorsa settimana,” continuò. “Hai capito che tutte quelle cose per cui mi hai accusato non sono vere, no?”
“Quale parte in particolare?” Chiesi, pensando di averlo accusato di tante cose.
“La parte riguardo il fatto che mi importi solo del bambino e che ti abbia baciato solo perché mi dispiaceva per te.”
“Giusto, quella parte,” mormorai, guardando in basso. “Suppongo fossi solo un po'... confuso? Arrabbiato? Un po' ferito? Non lo so.”
“L'avevo capito,” disse velocemente. “L'avevo fatto, davvero, ma non è vero okay? Mi importa di te tanto quanto del bambino e non ti ho baciato per pietà. Ho bisogno che tu mi creda.”
Annuii.
“Va bene,” dissi. “Ti credo, penso. E' solo che... il modo in cui- in cui mi hai guardato dopo.. il bacio, non  è stato... bello, non è stato carino.”
“Come ti ho guardato?” Chiese, accigliandosi in confusione.
Sorrisi debolmente.
“Sembravi... irritato e arrabbiato e davvero, davvero schifato.”
Il suo cipiglio diventò più profondo a quelle parole.
“Mi dispiace,” disse. “Non me ne ero reso conto, e posso assicurarti che non avevo intenzione di farlo.”
Lo aveva fatto di nuovo. Non avevo intenzione di farlo, non volevo dirlo. Questa volta scelsi di non commentare però.
“Si, okay,” dissi solo.
“Siamo a posto con questo piccolo problema ora?”
Annuii.
“Si.”
Sorrise, sembrando felice.
“Bene. E... ricorda che a me importa di te,” disse, appoggiando una mano calda sopra il mio ginocchio. “Mi importa tanto di te.”
“Si, anche a me,” dissi senza pensarci. Le mie guance si arrossarono non appena mi resi conto di ciò che avevo detto, ma lui sembrò non accorgersene.
Sorrise per un secondo prima di appoggiare le braccia dietro di lui per alzarsi dal letto.
“Probabilmente dovremmo parlare un po' di più di questo, ma tu sei stanco, quindi penso sia ora di andare a letto.”
Il pensiero di un comodo letto e un paio di pantaloni del pigiama puliti erano più che benvenuti perciò mi alzai dal letto.
“Vado,” dissi.
Mi offrì un altro sorriso prima di avvicinarsi alla porta, prendere il mio zaino e scomparire dietro la porta. Lo seguii a ruota mentre camminava di pochi metri lontano da me lungo il corridoio e poi si fermò, aprì una porta ed entrò in una camera molto simile alla sua.
“Penso che dovresti sentirti a tuo agio qui,” disse indicando la stanza. “Il letto è uguale al mio, così almeno sono sicuro che ti piaccia.”
Ridacchiai.
“Non lo dubito.”
“Hm. Beh, io esco, ti lascio dormire e il resto,” disse e mise il mio zaino su una scrivania posta accanto al letto. “Se hai bisogno di me, sono nella mia stanza.”
Annuii, chiedendomi quanto gli sarei sembrato infantile e appiccicoso se gli avessi chiesto di coccolarmi un po'. Probabilmente molto più infantile e appiccicoso di quanto dovrebbe essere un diciottenne.
“Buona notte, dormi bene,” disse sorridendo dolcemente prima di dirigersi verso la porta e chiuderla con calma.



Occhio a me!

Eccoci qui, al ventiquattresimo capitolo.
Wow, ventiquattro sono tanti eh? Mi fa strano pensare che ne mancano ancora diciotto prima che la storia finisca. In confronto ai ventiquattro già tradotti mi sembrano pochissimi.
Okay, non potete immaginare quanto mi sia piaciuto tradurre questo capitolo. Si, forse non è uno dei più felici della storia, ma se da una parte Louis viene cacciato di casa dalla persona che dovrebbe amare i suoi figli più di qualsiasi altra persona al mondo, dall'altro abbiamo un Harry dolce che tira fuori la parte migliore di sé. Non so voi, ma mi sono sciolta nel momento in cui ha detto a Louis di tenerci tanto a lui. Non parliamo poi di quando Louis gli ha risposto.
Aaaaaaah ragazze ma quanto sono perfetti insieme? Più ci penso più me lo chiedo.
Poi ultimamente per una serie di eventi (si, anche il tweet di Harry) sto riaquistando quasi totalemente la sicurezza del rapporto speciale tra i veri Harry e Louis. Non so cosa stia succedendo ora tra i due, ma sono sempre più che sicura che almeno in passato qualcosa più di un'amicizia ci sia stata. Non mi sarei montata la testa in questo modo se non fosse così. Io spero solo che siano felici e che, alla fine, si saprà tutta la verità. In questo momento mi dispiace un sacco per quello che è accaduto a Louis con i Doncaster Rovers, ci tiente davvero tanto ed è come se avessero strappato un giocattolo dalle mani del bambino cinque secondi dopo averglielo dato. Potevano evitare almeno di dargli la speranza.
Okay, mi sto perdendo in argomenti che non c'entrano niente con la storia ma a cui ho pensato tanto negli ultimi giorni e di cui magari non ve ne frega nulla. Scusatemi.
Allora siete contente dell'aggiornamento anticipato? Ci dispiace tanto per il ritardo dello scorso capitolo, ma tradurre richiede parecchio tempo e non è così tanto facile come sembra. Soprattutto quando si hanno altri tremila problemi da affrontare. Quiindi scusate se ogni tanto faremo qualche giorno di ritardo, ma ricordate che ce la mettiamo tutta e che non ce ne andremo fino alla fine. Ci avrete tra i piedi fino al quarantaduesimo capitolo e, chissà, magari anche dopo con una nuova traduzione.
Sia io che Ana ci teniamo a ringraziare voi, ognuno di voi che continua a leggere questa storia e che continua ad apprezzarla. Significa tanto per noi. Significano tanto le recensioni, significano tanto tutte le persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Siete più di mille a seguire questa storia e siete stupendi.
Ah e poi vogliamo aggiungere un enorme grazie a tutte quelle ragazze che ci hanno scritto su Twitter, siete tutte dolcissime e perfette e non abbiamo più parole (Ok, no, stasera di parole ne ho avute e faccio un applauso virtuale a tutte quelle che sono arrivate a leggere fino a qui perché lo so di essere una palla delle volte).
MI DISPIACE, mi dispiace tantissimo di non aver risposto alle recensioni del ventiduesimo capitolo, ma siete tantissime e ultimamente ho avuto un sacco da fare e ho cercato di non trascurare la traduzione, trascurando però le vostre stupende recensioni. Sappiate che le ho (le abbiamo) lette tutte e venti con il cuore in mano. Vi amo. Prometto di rispondere a tutte quelle di questo capitolo.
Vorrei aggiungere una cosa che non ha niente a che fare con la storia, ma che ci tengo tanto a dire: devo tantissimo a questa storia, perché oltre ad essere una delle più belle che io abbia mai letto, mi ha dato l'opportunità di conoscere Ana. E' una delle persone più belle che io abbia mai avuto la fortuna di conoscere, c'è sempre per me e l'ho conosciuta proprio nel momento giusto. Penso che lei non si renda nemmeno conto di quanto le voglia bene e di quanto sia speciale, perciò ci tenevo a ricordarglielo una volta per tutte. Grazie per sopportarmi tutti i giorni <3
Basta, sto scrivendo troppo ragazze, fermatemi o scriverò più qui che nella traduzione AHAHAHAHA.
Twitter → @Itbeatsfortwo_ 
I really love you all guys.
See ya soon.

Giulia.

  
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